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Sentenza non tradotta: quando è un diritto leso?

Un cittadino straniero è stato condannato per soggiorno irregolare. Ha impugnato la decisione lamentando una sentenza non tradotta e la violazione del principio del ‘ne bis in idem’. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, specificando che l’assenza di traduzione non è causa di nullità se non si dimostra un pregiudizio concreto al diritto di difesa, esercitato in Cassazione esclusivamente dal legale. Inoltre, ha chiarito che la permanenza illegale sul territorio dopo una precedente sentenza definitiva costituisce un nuovo reato, non coperto dal giudicato precedente.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sentenza non tradotta: la Cassazione stabilisce i limiti del diritto

Il diritto alla comprensione degli atti processuali è un pilastro del giusto processo, specialmente per gli imputati stranieri. Ma cosa succede quando una sentenza non tradotta viene impugnata? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4408/2025, offre un’analisi dettagliata, bilanciando il diritto alla difesa con le concrete modalità di esercizio dei rimedi processuali. Il caso esaminato riguarda un cittadino straniero condannato per soggiorno irregolare che ha sollevato due questioni cruciali: la violazione del suo diritto a ricevere la sentenza nella sua lingua e la presunta violazione del principio del ‘ne bis in idem’.

I fatti del caso: la condanna e i motivi dell’appello

Un cittadino straniero veniva condannato dal Giudice di Pace al pagamento di un’ammenda per essersi trattenuto irregolarmente sul territorio italiano, con accertamento del fatto in data 23 settembre 2020. La difesa aveva chiesto il proscioglimento basandosi sul principio del ‘ne bis in idem’ (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto), citando due precedenti sentenze: una di assoluzione per fatti del 2016 e una di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto per eventi fino all’agosto 2019.

Il Giudice di Pace respingeva la richiesta, ritenendo che i fatti fossero diversi per tempo e luogo. L’imputato, tramite il suo difensore, ha quindi presentato ricorso in Cassazione, articolando due motivi principali:
1. L’omessa traduzione della sentenza, che avrebbe leso il suo diritto di difesa.
2. La violazione dell’art. 649 c.p.p. (ne bis in idem), sostenendo di essere stato giudicato per il medesimo fatto storico, ovvero il soggiorno illegale in Italia.

La decisione della Cassazione sulla sentenza non tradotta

Il primo motivo di ricorso è stato rigettato. La Corte ha svolto un’approfondita disamina del diritto all’assistenza linguistica, riconosciuto come un ‘meta-diritto’ strumentale all’esercizio di tutti gli altri diritti di difesa. Tuttavia, la sua applicazione non è assoluta.

La Corte Suprema ha chiarito che, sebbene l’art. 143 del codice di procedura penale annoveri le sentenze tra gli atti da tradurre, questo obbligo è funzionale a ‘consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa’. Nel caso del ricorso per Cassazione, la legge (art. 613 c.p.p.) riserva la facoltà di proporre l’impugnazione esclusivamente al difensore (ius postulandi). L’imputato, pur essendo titolare del diritto, non può presentare personalmente il ricorso.

Di conseguenza, la mancata traduzione della sentenza di primo grado non pregiudica concretamente la possibilità di impugnare, poiché tale compito spetta al legale, che comprende la lingua italiana. La Corte ha sottolineato che l’imputato che lamenta la violazione di tale diritto ha l’onere di dimostrare un ‘interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile’, allegando un pregiudizio specifico e non meramente astratto o potenziale. Poiché il difensore ha potuto regolarmente presentare ricorso, non è stata ravvisata alcuna lesione effettiva del diritto di difesa.

La questione del ‘Ne bis in idem’ nel reato di soggiorno illegale

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ribadito che il principio del ne bis in idem impedisce un secondo processo solo se il ‘fatto storico’ è identico in tutti i suoi elementi (condotta, nesso causale, evento). Il reato di soggiorno irregolare è un ‘reato permanente’, la cui consumazione si protrae nel tempo fino a quando la condotta illecita non viene interrotta.

La natura del reato permanente

La giurisprudenza è costante nell’affermare che una sentenza definitiva (di condanna o assoluzione) per un reato permanente copre la condotta fino alla data della decisione irrevocabile. Qualsiasi prosecuzione della stessa condotta illegale in un’epoca successiva costituisce un ‘fatto storico diverso’, non coperto dal giudicato e, pertanto, autonomamente processabile.
Nel caso di specie, i fatti giudicati in precedenza si erano conclusi al più tardi nell’agosto 2019. La nuova contestazione, relativa a un accertamento del settembre 2020, riguardava quindi una porzione di condotta successiva e distinta, per la quale non poteva operare il divieto di un secondo giudizio.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un’interpretazione funzionale e non formalistica delle norme processuali. Per quanto riguarda la traduzione, ha stabilito che il diritto non è fine a se stesso, ma serve a garantire l’effettività della difesa. Se la difesa può essere pienamente esercitata tramite il legale, come nel ricorso per Cassazione, l’omissione della traduzione non produce nullità, a meno che non si dimostri un danno concreto e specifico. Sul principio del ne bis in idem, la Corte ha applicato il consolidato orientamento sui reati permanenti: il giudicato copre il passato, ma non può creare una ‘licenza’ per il futuro. La continuazione del soggiorno irregolare dopo una sentenza definitiva è un nuovo reato, autonomamente perseguibile, perché costituisce un fatto storico distinto dal precedente.

Le conclusioni

La sentenza consolida due importanti principi. Primo, il diritto alla traduzione degli atti per l’imputato alloglotto deve essere valutato in concreto, verificando se la sua omissione abbia realmente compromesso le strategie difensive. La sola assenza della traduzione non è sufficiente per invalidare un atto, specialmente quando l’assistenza legale garantisce la piena tutela. Secondo, il carattere permanente del reato di soggiorno irregolare implica che ogni nuovo periodo di permanenza illegale, successivo a una sentenza irrevocabile, può essere oggetto di un nuovo procedimento penale, senza che ciò violi il principio del ne bis in idem.

La mancata traduzione di una sentenza per un imputato straniero causa sempre la nullità del provvedimento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non causa nullità se non viene dimostrato un pregiudizio concreto ed effettivo al diritto di difesa. Nel caso di un ricorso per Cassazione, che può essere proposto solo dal difensore, si presume che la difesa sia stata garantita, a meno che non si provi il contrario.

Una persona può essere processata più volte per il reato di soggiorno illegale in Italia?
Sì, se i periodi di permanenza illegale sono diversi. Il reato è ‘permanente’ e una sentenza definitiva copre la condotta solo fino a quel momento. Se la persona continua a soggiornare irregolarmente dopo la sentenza, commette un nuovo reato per il quale può essere nuovamente processata.

Perché il diritto alla traduzione della sentenza è stato considerato non violato in questo caso specifico?
Perché il rimedio processuale disponibile era il ricorso per Cassazione, che può essere presentato esclusivamente da un avvocato. Poiché il difensore ha potuto redigere e presentare l’impugnazione, comprendendo la lingua italiana, la Corte ha ritenuto che l’imputato non abbia subito alcuna limitazione concreta nel suo diritto di difesa a causa della mancata traduzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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