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Semilibertà per reati ostativi: la nuova disciplina

La Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che concedeva la semilibertà a un detenuto per reati ostativi legati al narcotraffico. La sentenza sottolinea come, a seguito della riforma dell’art. 4-bis, la presunzione di pericolosità sociale per i non collaboranti sia divenuta relativa e superabile. Il giudice può concedere il beneficio se il percorso rieducativo e l’assenza di legami con la criminalità organizzata sono solidamente dimostrati, anche in presenza di pareri contrari della Procura.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi e Benefici Penitenziari: La Cassazione sulla Nuova Disciplina

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 25961 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sulla concessione di benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla misura della semilibertà a seguito delle modifiche introdotte all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Questa decisione chiarisce che la via del reinserimento è percorribile anche per chi non collabora con la giustizia, a patto di dimostrare con elementi concreti un reale e definitivo allontanamento dal mondo criminale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato per gravi reati legati al traffico di stupefacenti, commessi nell’ambito di un’associazione criminale. Dopo un lungo periodo di detenzione, il Tribunale di Sorveglianza gli ha concesso la misura alternativa della semilibertà. La decisione si basava su una valutazione positiva del suo percorso carcerario: per oltre due anni aveva usufruito proficuamente di permessi premio, aveva manifestato la volontà di intraprendere attività riparative e non risultavano più contatti con l’organizzazione di appartenenza.

Contro questa ordinanza, il Procuratore Generale ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il condannato non avesse mai collaborato con la giustizia e avesse in passato mantenuto contatti con un soggetto legato alla criminalità organizzata. Secondo la Procura, il Tribunale avrebbe erroneamente superato la presunzione di pericolosità sociale, sostituendosi al legislatore.

La Riforma dei Reati Ostativi e l’Art. 4-bis

Il fulcro della questione risiede nella novella legislativa del 2022 (d.l. n. 162/2022, convertito in legge n. 199/2022), che ha profondamente modificato la disciplina dei reati ostativi. In precedenza, per chi era condannato per tali crimini e non collaborava con la giustizia, vigeva una presunzione assoluta di pericolosità sociale che impediva l’accesso a quasi tutti i benefici penitenziari.

La riforma ha trasformato questa presunzione da “assoluta” a “relativa”. Ciò significa che il detenuto ha ora la possibilità di superarla fornendo la prova contraria. Il giudice di sorveglianza ha il compito di accertare, attraverso un’istruttoria approfondita, che non vi siano più collegamenti con la criminalità organizzata e che non sussista il pericolo di un loro ripristino. La valutazione deve basarsi su elementi specifici e ulteriori rispetto alla sola buona condotta carceraria.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale, ritenendo l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza immune da vizi. I giudici di legittimità hanno confermato che la nuova normativa attribuisce al magistrato di sorveglianza un potere valutativo più ampio, che deve essere esercitato con rigore.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente applicato i principi della riforma. Aveva valorizzato non solo la buona condotta, ma anche il lungo e positivo periodo di fruizione dei permessi premio, che già presupponeva una valutazione sulla recisione dei legami criminali. Inoltre, aveva considerato la condizione familiare e sociale del detenuto, la disponibilità a impegnarsi in attività di volontariato e una rilettura critica del proprio passato deviante. Le pregresse relazioni epistolari erano state ritenute non più attuali e quindi inidonee a dimostrare un pericolo concreto.

La Corte ha specificato che il giudice di sorveglianza, pur dovendo acquisire i pareri della Procura Nazionale e Distrettuale Antimafia, non è vincolato da essi e può discostarsene fornendo una motivazione logica e congrua, come avvenuto in questo caso.

Conclusioni

La sentenza consolida l’interpretazione della riforma sui reati ostativi, stabilendo che la mancata collaborazione con la giustizia non rappresenta più un ostacolo insormontabile all’accesso ai benefici penitenziari. La decisione finale spetta al giudice di sorveglianza, che deve condurre una valutazione complessiva e individualizzata del percorso del detenuto. È necessario dimostrare, con prove concrete e specifiche, di aver intrapreso un cammino di rieducazione autentico e di aver rotto definitivamente ogni legame con il contesto criminale di provenienza. La pronuncia riafferma così un principio di progressività trattamentale e di finalità rieducativa della pena, anche per i reati più gravi.

Dopo la riforma del 2022, un condannato per reati ostativi può ottenere la semilibertà senza collaborare con la giustizia?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la legge ora lo permette, a condizione che il detenuto dimostri in modo convincente di aver interrotto ogni legame con la criminalità organizzata e di aver completato un percorso rieducativo che superi la presunzione legale di pericolosità sociale.

Quali elementi deve valutare il giudice per concedere benefici penitenziari per reati ostativi a un non collaborante?
Il giudice deve esaminare un complesso di fattori che vanno oltre la mera buona condotta. Questi includono la partecipazione a percorsi rieducativi, iniziative a favore delle vittime, l’assenza di collegamenti attuali o potenziali con ambienti criminali, la revisione critica del proprio passato e ogni altra informazione disponibile che possa escludere il pericolo di recidiva.

I pareri negativi della Direzione Nazionale Antimafia (DNAA) o della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) sono vincolanti per il giudice?
No. La sentenza chiarisce che il Tribunale di Sorveglianza, pur avendo l’obbligo di acquisire tali pareri, può motivatamente discostarsene. Se altre prove concrete e significative dimostrano il successo del percorso rieducativo e l’assenza di pericolosità attuale, il giudice può concedere il beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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