Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35834 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35834 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA SEZIONE DISTACCATA DELLA CORTE D’APPELLO DI SASSARI
Nel procedimento relativo a:
COGNOME NOME, nato a NISCEMI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Sassari del 10/04/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della ReRAGIONE_SOCIALE presso questa Corte di cassazione, COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria difensiva proposta nell’interesse di NOME COGNOME con nota del 26 settembre 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, deliberata il 10 aprile 2025 ed emessa in sede di rinvio a seguito di annullamento, statuito dalla Prima sezione di questa Corte con sentenza n. 30702 del 16 aprile 2024, del provvedimento in data 21 marzo 2023, con il quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza di ammissione alla semilibertà proposta da NOME COGNOME, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha ammesso l’istante al richiesto beneficio per lo svolgimento di attività di vendita di frutta verdura e ausilio alla moglie nella gestione dell’esercizio di ortofrutta denominato “RAGIONE_SOCIALE” sito in AlgheroINDIRIZZO, con le prescrizioni accessorie.
Avverso l’ordinanza indicata del 10 aprile 2025 ha proposto ricorso il Procuratore generale della ReRAGIONE_SOCIALE presso la sezione distaccata della Corte d’appello di Sassari, affidando le proprie censure ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli artt. 50 e 4-bis 0.p.
Con un primo argomento, il Procuratore generale segnala come la normativa applicabile al COGNOME, non collaborante, sarebbe rinvenibile nell’art. 4-bis O. p. nella versione di cui al d.l. n. 152 del 1991, in ragione del tempus commissi delicti e, nei predetti termini, l’accesso alla semilibertà sarebbe subordinato all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata.
Tanto premesso, deduce che il Tribunale di Sorveglianza non avrebbe tenuto in adeguata considerazione gli elementi informativi acquisiti, dai quali risulta, da un lato, l’attualità dei collegamenti del COGNOME con l’ambiente di provenienza, nel cui ambito militano tuttora i familiari ed il figlio NOME; dall’altro, che l’attivit impresa familiare corrente in Alghero – alla cui gestione l’istante aspira di poter partecipare – è svolta dalla consorte del COGNOME in collaborazione con i familiari residenti in Sicilia, ancora destinatari del rispetto che si tributa ai vertici da parte delle organizzazioni mafiose del territorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale è infondato.
Al fine della disamina delle censure articolate con il ricorso, va, preliminarmente, tracciato l’ambito cognitivo del giudizio di rinvio, introdotto dalla declaratoria di annullamento dell’ordinanza del 21 marzo 2023, statuita dalla Prima sezione di questa Corte con la sentenza n. 30702 del 2024 citata, con la quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza di ammissione alla semilibertà proposta da NOME COGNOME.
1.1. GLYPH Sul punto – essenziale – dell’individuazione della normativa applicabile al COGNOME, richiedente la semilibertà che non ha collaborato con la giustizia e non risulta condannato per reati riconducibili all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in data successiva al 24 ottobre 1991, data della sua carcerazione, la Prima sezione ha affrontato il tema dell’applicabilità o meno della normativa sopravvenuta ai fatti commessi antecedentemente.
Ha, al riguardo, richiamato quell’orientamento che, nel solco della giurisprudenza formatasi sin dall’introduzione dell’art. 4-bis 0.p. a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, aveva affermato l’applicabilità delle preclusioni e delle restrizioni, previste dalla predetta norma, alle esecuzioni in corso, al momento della sua entrata in vigore, per i fatti anteriormente giudicati o commessi (Sez. 1, n. 3427 del 20/09/1993, COGNOME, Rv. 195289); indirizzo interpretativo rimasto immutato anche a seguito dell’ampliamento delle fattispecie indicate nell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in quanto le disposizioni legislative, che individuano i delitt ostativi ai benefici penitenziari o stabiliscono restrizioni in pejus della disciplina di accesso ai medesimi, sono relative alle modalità di esecuzione della pena e trovano immediata applicazione anche per i fatti e le condanne pregresse (Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, COGNOME., Rv. 233976; Sez. 5, n. 30558 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 262489; Sez. 1, n. 32000 del 06/07/2006, NOME, Rv. 234381), in difetto di una specifica regolamentazione transitoria (Sez. 1, 11580 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 3 255310), facendo leva sulla natura processuale delle disposizioni relative all’Ordinamento penitenziario, oltre che sull’applicazione del criterio risolutore offerto dal principio tempus regit actum.
Siffatta opzione interpretativa è stata successivamente rinneditata (Sez. 1, n. 17203 del 28/02/2020, PG C/Posocco, Rv. 279215), anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 32 del 2020, pronunciata in relazione alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha imposto anche in materia di esecuzione della pena una rilettura della portata del divieto di retroattività di cui all’art. 25, comma secondo,
Cost: si legge nella sentenza d’annullamento: «l Giudice delle leggi ha, infatti, specificato che quando la normativa sopravvenuta non incide sulla modifica delle modalità esecutive della pena, prevista dalla legge al momento del reato, ma ne opera una vera trasformazione che ha effetti sulla libertà personale del condannato, non è possibile derogare ai principi espressi dall’art. 25, comma secondo, Cost. Il diverso statuto, delineatosi per effetto della successione normativa, in questi casi, se non applicato ai soli fatti di reato posteriori, determina un trattamento che sostanzialmente si risolve in un trattamento deteriore rispetto a quello legalmente stabilito al momento della violazione, con mortificazione delle garanzie che sono alla base del divieto di applicazione retroattiva delle leggi che aggravano la pena prevista per il reato. La valutazione va operata, in generale, in chiave di prognosi, comparando, rispetto al tempus commissi delicti, la pena che era ragionevole attendersi in base alla legislazione vigente e quella che potrebbe derivare in concreto per il detenuto per effetto del mutato quadro normativo. La trasformazione di maggiore afflittività sussiste quando il condannato può essere assoggettato a un trattamento “più severo” rispetto a quello che era ragionevolmente prevedibile nel momento di commissione del reato. Ciò anche avuto riguardo, sia pur in termini probabilistici, all’accesso a modalità extramurarie di esecuzione della pena, quali quelle previste dalle misure alternative alla detenzione o da altri benefici penitenziari. La Corte costituzionale ha, infatti, chiaramente affermato che questi ultimi, ove consentano di uscire dal carcere, sono misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena. Esse, dunque, incidono sul grado di privazione della libertà personale e costituiscono “pene alternative” alla detenzione caratterizzandosi per ridurre la limitazione alla libertà personale del condannato e per offrire opportunità rieducative molto diverse da quelle che caratterizzano la pena detentiva intra-moenia in senso stretto». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tale quadro, la Prima sezione ha dato conto della revisione del precedente orientamento in tema di interpretazione dell’art. 4-bis 0.p. riguardo al regime intertemporale della sua applicazione, prestando adesione al principio per cui le novelle intervenute sui requisiti per l’accesso alle misure alternative alla detenzione e le limitazioni ai benefici penitenziari che consentono di ridurre i tempi di permanenza in carcerazione debbono essere valutate, in concreto, rispetto alla particolare situazione individuale del detenuto in relazione alla data di commissione del reato per cui è stata disposta la condanna e la conseguente carcerazione, non essendo consentito, in materia di successione di leggi penali, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole con riferimento al caso concreto, in ossequio al principio di legalità, di combinare frammenti normativi dell’una e
dell’altra, così da delineare una terza disciplina (Sez. 4, n. 13207 del 27/01/2022, Premoli, Rv. 282936).
Alla luce di tale contesto normativo, la Prima sezione ha ritenuto che l’istanza del COGNOME dovesse essere disaminata secondo il più favorevole assetto antecedente alle modifiche apportate all’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 per effetto dell’entrata in vigore del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con legge 30 dicembre 2022, n. 199, per essere il condannato detenuto dal 24 ottobre 1991 per fatti ricondotti all’art. 416-bis cod. pen., consumati sino a tale data.
E, poiché ai sensi dell’art. 4-bis 0.p. in vigore nel 1991 (versione di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, n. 203) per accedere alla semilibertà era sufficiente acquisire solo elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata o eversiva, limitandosi a richiedere tali informazioni “per il tramite del RAGIONE_SOCIALE competente in relazione al luogo di detenzione del condannato”, a tale standard dovesse attenersi il giudice del rinvio.
In altri termini, la pronuncia di annullamento con rinvio intervenuta nel presente procedimento ha statuito che, in tema di ordinamento penitenziario, le modifiche legislative successive ai fatti per i quali è intervenuta condanna che rendano più gravoso l’accesso alle misure alternative alla detenzione ed ai benefici penitenziari “extra moenia”, assoggettando il condannato ad un trattamento più severo di quello che era ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del reato, non possono trovare applicazione retroattiva, alla luce della lettura dell’art. 25, comma secondo, Cost. adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2020.
1.2. Il Tribunale di Sorveglianza si è attenuto ai predetti postulati.
Come già rilevato, ai fini dell’ammissione del COGNOME al beneficio richiesto, trova applicazione il testo dell’art. 4-bis in vigore nel 1991 (versione di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), alla cui stregua era sufficiente acquisire soltanto elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata o eversiva, con istruttoria limitata alla richiesta di tali informazioni “per il tramite del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE competente in relazione al luogo di detenzione del condannato”; e, disaminando gli elementi in tal guisa acquisiti, il Tribunale Sorveglianza ha motivatamente ritenuto in positivo che non sussistano, nell’attualità, concreti indicatori di collegamento dell’istante con le organizzazioni mafiose del contesto d’origine.
Per contro, il Procuratore generale ricorrente ha contestato che il Tribunale di sorveglianza non abbia valorizzato in modo adeguato la nota della Procura della ReRAGIONE_SOCIALE presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 3 marzo 2025, la nota della RAGIONE_SOCIALE del 12 marzo 2025, la nota del 25 febbraio 2025 della Procura della ReRAGIONE_SOCIALE presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE e l’aggiornamento della relazione di sintesi del 3 gennaio 2025, poiché da tali documenti emergerebbe l’attualità dei collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata, in quanto nelle locali organizzazioni mafiose, attualmente attive, sarebbero inseriti sia i nipoti del COGNOME che il figlio NOME, più volte denunciato anche per gravi reati. Osserva, inoltre, il Procuratore Generale che le locali organizzazioni mafiose sono state interessate da recenti operazioni investigative, eseguite nel territorio di Gela e nei territori limitrofi. In tale contesto, l’istante, attraverso l’attività commerciale svo manterrebbe costanti contati con il figlio NOME, incontrandolo personalmente in occasione delle visite che lo stesso effettua in Alghero.
Siffatte deduzioni, oltre ad articolare rilievi che attingono il merito e che si risolvono in una valutazione alternativa, introducendo temi estranei all’ambito del sindacato consentito a questa Corte di legittimità, non considerano che il provvedimento impugnato esamina in maniera completa la storia criminale del condannato, il suo ruolo di spicco nell’organizzazione mafiosa all’epoca dei reati, anche connotati in termini di particolare gravità, ma anche l’evoluzione nel tempo del percorso intrapreso dal medesimo, evidenziando come siano intervenuti elementi positivi, idonei a depotenziare quelli negativi, come emerge anche dalla sua storia carceraria.
In ogni caso, con motivazione completa e razionale, insindacabile in questa sede, il Tribunale di sorveglianza ha dato conto della rielaborazione del passato e della propensione del COGNOME a distaccarsi da esso e concentrarsi sui propri interessi, sugli affetti familiari e, particolarmente, sul rapporto con la moglie ed i figli.
Il ricorrente finisce, poi, per richiede un’alternativa valutazione di merito, a fronte di un contrario apprezzamento degli stessi elementi da parte del Tribunale di sorveglianza, quando sostiene che le locali organizzazioni mafiose sono ancora attive, come emerge da operazioni investigative in quel contesto maturate, formulando a carico del COGNOME una prognosi di reinserimento nei medesimi ambienti di tipo presuntivo, in tal modo omettendo di confrontarsi con gli argomenti contenuti nel provvedimento impugnato dove si evidenzia come, a fronte delle generalizzanti affermazioni contenute nelle note citate, non vengono messi in rilievo concreti elementi indicativi di tale giudizio.
Il Tribunale di sorveglianza, infatti, analizza i pareri, contrari all’accoglimento dell’istanza, spiegando, con dovizia di pertinenti argomentazioni, le ragioni per le quali ha reputato di disattenderli. In particolare, il Tribunale ha sottolineato come, in realtà, non sia emerso alcun diretto coinvolgimento del COGNOME nelle operazioni investigative svolte nel territorio di Gela, in quanto le indagini e le misure cautelari emesse in tale contesto non hanno interessato soggetti con i quali il medesimo mantiene contatti, neppure per il tramite dei familiari o del figlio NOME (come risulta dagli stessi pareri delle RAGIONE_SOCIALE e della stessa RAGIONE_SOCIALE). Anzi, la stessa affermazione, con la quale si assume che il figlio dell’istante, NOME COGNOME, sia inserito nel contesto delle associazioni mafiose di riferimento, è considerata del tutto generica, senza riferimenti specifici alle operazioni suddette, alle quali sarebbe estraneo.
Ai pareri negativi alla concessione della misura espressi il Tribunale di sorveglianza oppone, in altri termini, le risultanze in atti, anche integrate dagli accertamenti già in precedenza svolti nell’ambito dei procedimenti instaurati dall’interessato per accedere ai benefici dei permessi premio di cui il medesimo fruisce dal 2020, senza il rilievo di alcuna criticità.
Anche al riguardo, il provvedimento impugnato svolge un’accurata valutazione degli elementi desunti dagli atti acquisiti, dà conto delle risultanze concernenti il tenore di vita del detenuto e di quello del suo nucleo familiare, evidenziando che non risultano in atti indagini o segnalazioni circa la percezione, da parte dell’istante dei suoi familiari, di redditi ingiustificati tali da fondare il ragionevole collegamento con clan del territorio di provenienza che, altrimenti, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mancato di evidenziare.
Il giudizio circa l’inesistenza di contatti attuali con le organizzazioni mafiose è desunto, in definitiva, da una complessa serie di elementi: l’assenza di contatti, in qualunque forma, con soggetti coinvolti nel clan mafioso di appartenenza; la mancata segnalazione, da parte dei dirigenti degli Istituti penitenziari della Sardegna e delle RAGIONE_SOCIALE, di elementi anche solo di sospetto o di condanne ulteriori rispetto a quelle concernenti i reati consumati fino al 1991; la natura esclusivamente affettiva delle relazioni familiari; il merito carcerario, non compromesso da alcuna infrazione, anche nella fruizione dei permessi premio.
Alia luce di quanto sin qui argomentato, il ricorso del Procuratore generale deve essere rigettato.
rigetta il ricorso del Procuratore generale.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente