Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17268 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: COGNOME
In nome del Popolo Italiano Relatore: COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17268 Anno 2025
Data Udienza: 14/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 620/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 14/02/2025
GIORGIO POSCIA
R.G.N. 41903/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Catania in data 8/04/1960
avverso l’ordinanza del 19/11/2024 del Tribunale di sorveglianza di L’aquila
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del consigliere, NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con la quale ha concluso chiedendo l ‘annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha concesso la semilibertà a NOME COGNOME detenuto in esecuzione della pena dell’ergastolo, dal 15 ottobre 1996 , in relazione a plurimi reati, tra i quali partecipazione ad associazione mafiosa, omicidio, soppressione di cadavere, violazione della normativa in tema di armi.
2.Avverso il provvedimento descritto ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di L’Aquila, denunciando nei motivi di seguito riassunti, plurimi vizi.
2.1. In primo luogo, viene denunciata violazione di legge, in relazione agli artt. 71ter Ord. pen. in relazione agli artt. 4bis e 50 Ord. pen., 3 e 2 d. l. n. 162 del 2022 convertito dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199.
Ritiene il ricorrente che vi siano elementi tali da non escludere l’attualità dei collegamenti del condannato con la criminalità organizzata e il pericolo di ripristino di tali collegamenti, come evidenziato nel parere negativo della DDA di Catania del 26 settembre 2023, richiamato anche dal più recente parere espresso in data 13 agosto 2024.
Il Tribunale di sorveglianza, a fronte dell ‘ esecuzione della pena relativa a gravi delitti quali partecipazione ad associazione mafiosa, sei omicidi e soppressione di cadavere, detenzione illegale di armi, ricettazione, svaluta indebitamente, a parere del ricorrente, gli elementi negativi messi in luce nel parere della DDA e nella relazione del Reparto operativo Nucleo investigativo dei Carabinieri di Catania del 13 febbraio 2023.
Si tratta di reati che, inseriti in un quadro d’insieme, depongono a parere del ricorrente per l’impossibilità di giungere all’esclusione dell’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e del rischio di ripristino di tali collegamenti.
COGNOME era al vertice dell’articolazione territoriale di Piedimonte Etneo dell’organizzazione mafiosa denominata clan COGNOME–COGNOME i ficurinia, egemone del territorio nella provincia di Catania e su parte della provincia di Messina.
Il sodalizio indicato è tuttora attivo come riscontrato in molteplici procedimenti penali richiamati dal parere della Dda che hanno visto protagonista il ricorrente per sanguinarie faide di mafia. Questi viene indicato come uomo di fiducia dei COGNOME cresciuto all’interno di tale famiglia. Tra i numerosi omicidi per i quali il ricorrente è stato condannato viene dato rilievo a quello commesso ai danni di NOME COGNOME, appartenente a clan contrapposto, eseguito con modalità militari da un commando di circa quindici persone le quali, accerchiata l’abitazione della vittima, ne sfondavano una parete con un escavatore per poi colpirlo con colpi d’arma da fuoco grazie al varco così creato.
COGNOME secondo le deduzioni del ricorrente, non ha mai collaborato con la giustizia né si è adoperato per assicurare prove di reati e sottrarre all’associazione criminale risorse decisive per la commissione dei delitti pur avendo assunto all’interno del sodalizio una posizione verticistica.
Va segnalato che il ricorrente rimarca che è stata accertata, nei confronti del condannato, la collaborazione impossibile ma in relazione ai reati di omicidio e violazione legge armi, mentre tale collaborazione impossibile non è stata riconosciuta per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
In tale contesto, con riferimento all’attualità dei collegamenti con l’associazione, va segnalato che la permanenza della partecipazione degli affiliati al sodalizio viene meno solo nel caso della cessazione dell’associazione ovvero in ipotesi soggettive, positivamente accertate, di recesso e di esclusione del singolo
associato delle quali miglior causa è la collaborazione con la giustizia. Si tratta di condizioni insussistenti nel caso di specie.
Il sodalizio, nonostante il sopravvenuto stato detentivo di parte dei suoi affiliati, non è venuto automaticamente a cessare posto che la struttura associativa è caratterizzata da forti legami tra gli aderenti e da notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine, dunque accetta i periodi di detenzione degli aderenti quale eventualità che, comunque, non fa venire meno la disponibilità a riassumere il ruolo attivo di questi alla cessazione del forzato impedimento dovuto alla detenzione.
2.2. In secondo luogo, viene segnalata l’omessa specifica valutazione di tutti gli elementi messi in luce dalla relazione della DDA di Catania presupposto indefettibile per la concessione della misura alternativa come imposto dalla legge n. 199 del 2022.
Necessita, infatti, valutare, in concreto, la sussistenza di elementi idonei a superare la presunzione dei collegamenti con la criminalità organizzata valutazione che è più rigorosa quanto più importante è il ruolo rivestito all’interno del sodalizio e la forza del vincolo di appartenenza del quale si esige l’abbandono definitivo.
Nel caso di specie difetta l’esame di tali elementi, messi in luce dalla relazione della Dda, rispetto ai quali non è sufficiente valutare la sola condotta regolare carceraria, la mera partecipazione al percorso rieducativo e la mera dissociazione, elementi positivi comunque non tali da escludere l’attualità dei collegamenti e il rischio del loro ripristino una volta che il condannato risulti semilibero.
Invero, per il legislatore sono necessari ulteriori elementi che qui sono assenti per essere soltanto dichiarata la disponibilità al risarcimento del danno, allo svolgimento di attività socialmente utili, nonché l’avvio di un percorso di giustizia riparativa. Non vi sono elementi per dichiarare reciso con certezza il collegamento con la compagine mafiosa di riferimento o che sia venuto meno il rischio di ripristino; né può assumere rilievo preminente l’ottimo percorso trattamentale per ritenere che il detenuto persegue i valori di legalità socialmente condivisi tanto da essere scongiurata l’eventualità di un riavvicinamento a contesti malavitosi di riferimento.
2.3. Infine, si deduce che il Tribunale di sorveglianza ha, quanto alla sproporzione del tenore di vita del nucleo familiare di origine rispetto alle fonti di reddito, trascurato quanto emerso dalla relazione del Reparto operativo dei Carabinieri di Catania secondo cui il detenuto ha continuato a mantenere il sostegno economico dell’associazione di appartenenza, per sé e per i propri familiari, anche molti anni dopo l’inizio della sua detenzione.
In definitiva per il ricorrente non emergono prove positive di esclusione di collegamenti con la criminalità organizzata ma vi è il ragionevole rischio, anche considerata la caratura del detenuto e gli efferati delitti commessi, del loro ripristino all’attualità, non essendo sufficiente ad escluderli i risultati dell’osservazione compiuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
1.1. Giova evidenziare che la disciplina di cui all’art. 4-bis Ord, pen. ha subito una consistente modifica in forza del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199), che ha introdotto una distinzione netta tra il detenuto che ha deciso di collaborare con la giustizia e il detenuto che, invece, ha deciso di non collaborare.
In tale ultimo caso, il legislatore ha previsto che il condannato per reato di associazione di tipo mafioso, sia gravato da un onere di istruttoria rafforzata, volta a dimostrare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e l’assenza di qualunque pericolo di ripristino di tali reati: ai sensi dell’art. 4bis , comma 1bis , Ord. pen., infatti, in assenza di collaborazione, i benefici penitenziari possono essere concessi purché il detenuto dimostri l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghi elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile.
Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta, altresì, la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie, che in quelle della giustizia riparativa.
Tuttavia, l’art. 3, comma 2, D.L. n. 162 del 2022 ha al contempo previsto che ai condannati prima dell’entrata in vigore del decreto, nei casi tra gli altri in cui ‘l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità con sentenza irrevocabile rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia’, i benefici possono essere concessi secondo la procedura di cui al
comma 2 dell’art. 4 -bis L. n. 354 del 1975 ‘purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità .
Di conseguenza, ai condannati -come l’odierno ricorrente che abbiano commesso taluno dei delitti previsti dal comma 1 dell’art. 4 -bis prima della data di entrata in vigore del d. l. n. 162 del 2022 non si applicano, in caso di collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante, i più gravosi oneri dimostrativi che ha introdotto la nuova disciplina, quando ha sostituito alla precedente presunzione assoluta di incompatibilità dei condannati per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’art. 4 -bis un sistema per accedere ai benefici penitenziari anche in assenza di positiva collaborazione con la giustizia, ma fondandolo su stringenti condizioni e presupposti che sta al condannato allegare e documentare.
1.2. Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza non ha analizzato puntualmente, alla luce dell’istruttoria svolta, l’eventuale assenza di collegamenti attuali, anche soltanto potenziali, di COGNOME con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso di riferimento, mediante gli ampi poteri istruttori di cui all’art. 4bis , comma 2, Ord. pen.
Il Collegio rileva che il Tribunale di sorveglianza, considerate le condizioni richieste dal citato art. 4bis , per il caso di detenuto non collaborante -condizione indicata dal ricorrente con riferimento al reato di partecipazione ad associazione mafiosa per non essere stata accertata la cd. collaborazione impossibile in relazione a detto delitto – condannato per reati ostativi cd. di prima fascia, non ha motivato in modo completo circa la ritenuta presenza di indici esteriori comprovanti l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e di qualunque solo eventuale pericolo di ripristino di tali collegamenti.
Il Tribunale di sorveglianza ha, infatti, concesso la misura alternativa alla detenzione senza esauriente motivazione alla stregua della previsione di cui all’art. 4bis Ord. pen., anche in considerazione della specifica misura alternativa concessa.
Invero, per l’applicazione della semilibertà, sono richieste due indagini, una concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del detenuto nella società, implicanti la presa di coscienza attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento , ai sensi dell’art. 50 comma 4 Ord. pen. (Sez. 1, n. 197 del 25/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285550 -01; Sez. 1, n. 20005 del 9/04/2014, COGNOME, Rv. 259622).
Deve riscontrarsi, da un lato, che il Tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta valutando positivamente la condotta carceraria e la partecipazione del
detenuto al percorso rieducativo . Dall’altro , il provvedimento non ha reso esaurientemente conto delle risultanze del parere negativo espresso, in due occasioni, dalla DDA di Catania e della relazione del Reparto operativo dei Carabinieri di Catania.
Tali atti del procedimento indicano come ancora operativo il clan di riferimento sul territorio siciliano e l ‘accertamento d i un tenore di vita sproporzionato, quanto ai familiari del ricorrente, rispetto a redditi lecitamente prodotti, così segnalando il collegamento di questi con il clan di riferimento e, dunque, evidenziando il medesimo rischio, all’attualità, anche per il condannato, in relazione ai circuiti criminali di riferimento, per il tramite di terzi.
Si tratta, peraltro, di dato che il Tribunale confuta (cfr. p. 6) facendo riferimento alle condizioni economiche di soggetto detenuto da circa ventotto anni, con motivazione apodittica e non parametrata al contenuto dell’accertamento svolto che risulta essere stato operato dai Carabinieri tenendo conto di dati statistici (concernenti la spesa annuale delle famiglie residenti in Italia), comunque collegato alle condizioni del nucleo familiare del ricorrente, cioè a soggetti in condizioni di libertà. Dunque, la motivazione offerta dal Tribunale, sulle ragioni indicate dai Carabinieri di Catania per le quali si è reputato sussistente il collegamento dei familiari con circuiti illeciti per la sproporzione dei redditi, tenuto conto dei redditi familiari medi, finisce per essere solo apparente.
1.3. Oltre alle carenze motivazionali in relazione al contenuto di detti atti, mera formula di stile risulta quella adottata dal Tribunale per affermare la sussistenza di elementi concordanti che, valutati complessivamente, consentono di superare il giudizio di pericolosità, in quanto ancorata, esclusivamente, alla bontà del percorso carcerario e rieducativo.
Dunque, la motivazione è carente quanto all ‘ individuazione del requisito dell’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e di qualunque pericolo di ripristino di tali legami, oltre che dello specifico requisito, del pari necessario per la concessione della misura alternativa della semilibertà, della presa di coscienza, attraverso l’analisi delle negative esperienze del passato e della riflessione critica proiettata verso il ravvedimento, se parametrata all’assenza di collaborazione quanto al la partecipazione al sodalizio di riferimento che, ancora alla data della relazione del 22 maggio 2024 – vigente e operativo su quel territorio ancora il clan COGNOME – il detenuto giustifica ritenendo inopportuno accusare altre persone (cfr. p. 3), dunque non soltanto per tutelare i familiari.
In tale ottica e limitatamente a tale profilo, le attività dirette al ravvedimento, quali iniziative risarcitorie, di giustizia riparativa nei confronti delle vittime, risultano indicate dal Tribunale solo come manifestazione di
disponibilità all’incontro con i familiari delle vittime, al risarcimento del danno e allo svolgimento di lavori socialmente utili e di volontariato. Dunque, si tratta di programmi riparatori solo prospettati.
La valutazione compiuta dal Tribunale si fonda, in definitiva, esclusi gli elementi, sin qui considerati, per i quali è stato riscontrato il difetto di motivazione, sull’assenza all’attualità della vigenza del regime di cui all’art. 41bis (dato non nuovo, perché il regime risulta essere stato revocato dal 2010), sulla mancanza di carichi pendenti (a fronte, però, di una detenzione che dura dal 1996), di contatti epistolari con altri detenuti e sulla condotta positiva infra ed extramuraria (per aver fruito di tre permessi premio), oltre a valorizzare l’ espressa volontà di proseguire il percorso trattamentale esterno il territorio diverso da quello di origine (Abruzzo).
Tuttavia, il complesso di tali elementi non appare esaustivo, a fronte di detenuto per reati di cui all’art. 4 -bis Ord. pen., non collaborante in relazione al delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. per il quale è necessario non solo superare la prognosi di pericolosità all’attualità o anche solo di possibile ri pristino di legami con il sodalizio di riferimento ancora operativo ma anche, trattandosi di semilibertà, oltre alla buona condotta trattamentale, ma anche l ‘altro -necessario – requisito della presa di coscienza attraverso l’analisi delle neg ative esperienze del passato e dell’esistenza di una riflessione critica proiettata, in concreto, verso il ravvedimento (Sez. 1, n. 20005 del 9/04/2014, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 1, n. 843 del 27/02/1993, COGNOME, Rv. 193995; Sez. 1, n. 84 del 11/01/1994, COGNOME, Rv. 196659; Sez. 1, n. 4066 del 05/07/1995, COGNOME, Rv. 202414).
Segue l’annullamento del provvedimento impugnato perché il giudice del rinvio, nella piena autonomia quanto all’esito, integri la motivazione sui punti di cui alla parte motiva, § 1.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila.
Così deciso, il 14 febbraio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME