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Segni distintivi contraffatti: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il possesso di segni distintivi contraffatti di forze di polizia. La Corte ha stabilito che il ricorso era generico e mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La condanna per il reato di cui all’art. 497-ter c.p. è stata quindi confermata, con l’addebito delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Segni distintivi contraffatti: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34492 del 2024, offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in sede di legittimità, in particolare in relazione al reato di possesso di segni distintivi contraffatti. La pronuncia sottolinea come un ricorso generico, disordinato e finalizzato a una mera rivalutazione delle prove sia destinato a essere dichiarato inammissibile, confermando così la decisione dei giudici di merito.

I fatti del processo e la condanna per segni distintivi contraffatti

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo, confermata in appello, per il reato previsto dall’articolo 497-ter del codice penale. L’imputato era stato trovato in possesso di una serie di segni distintivi contraffatti appartenenti a diverse forze di polizia. Le corti di primo e secondo grado avevano ritenuto provata la sua colpevolezza, condannandolo a una pena detentiva.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e l’omessa assunzione di prove decisive. La difesa sosteneva che la Corte territoriale avesse ignorato elementi a favore dell’imputato, come presunti abusi subiti e il suo presunto ruolo di collaboratore delle istituzioni. Inoltre, si contestava la valutazione di attendibilità dei testimoni d’accusa e si richiedeva l’acquisizione di videoregistrazioni che, a dire della difesa, avrebbero dimostrato una persecuzione giudiziaria ai suoi danni.

Il ricorso e le censure mosse alla sentenza d’appello

Il ricorso si articolava su un unico, complesso motivo. La difesa criticava la sentenza impugnata per:

* Vizio di motivazione: La Corte d’Appello si sarebbe limitata a ripetere le valutazioni del primo grado senza rispondere puntualmente ai motivi di gravame.
* Omessa rinnovazione dell’istruttoria: Era stata negata l’acquisizione di prove (videoregistrazioni) ritenute decisive per dimostrare un complotto contro l’imputato.
* Errata valutazione delle prove: La difesa contestava l’attendibilità dei testimoni e deduceva che l’imputato avesse svolto ruoli legittimi (agente sotto copertura, ausiliario della Croce Rossa) che giustificavano in qualche modo la sua condotta.

In sostanza, l’imputato cercava di dimostrare che il processo a suo carico fosse parte di un più ampio disegno persecutorio, estraneo al thema decidendum del reato contestato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e rigorosa. Innanzitutto, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. È inammissibile un ricorso che, attraverso un’esposizione generica e disordinata, si limiti a criticare la valutazione delle prove fatta dai giudici dei gradi precedenti, proponendo una lettura alternativa dei fatti.

La Corte ha specificato che il compito del giudice di legittimità è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Le censure dell’imputato sono state giudicate del tutto estranee a questo perimetro. Le argomentazioni relative alla presunta persecuzione giudiziaria sono state considerate irrilevanti rispetto all’accusa di possesso di segni distintivi contraffatti.

Inoltre, la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria era stata correttamente respinta dai giudici di merito, poiché le prove esistenti erano state ritenute sufficienti per decidere. La Corte ha concluso che le deduzioni difensive sui presunti ruoli ufficiali ricoperti dall’imputato erano generiche e prive di una correlazione puntuale con i fatti specifici contestati, ovvero il possesso illecito dei segni.

Le conclusioni: i limiti del giudizio di legittimità

La sentenza in esame riafferma con forza la natura del giudizio di cassazione come controllo di legittimità e non di merito. Qualsiasi tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove o di introdurre elementi fattuali estranei al nucleo dell’imputazione è destinato all’insuccesso. La decisione comporta la condanna definitiva dell’imputato, che ora dovrà scontare la pena e pagare le spese processuali, oltre a una sanzione di 3.000,00 euro a favore della Cassa delle ammende. Questo caso serve da monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici, pertinenti e focalizzati esclusivamente sui vizi di legittimità previsti dalla legge.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del processo?
No, la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non riesaminare le prove o fornire una diversa interpretazione dei fatti.

Quali sono i motivi che rendono un ricorso per cassazione inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando è generico, disordinato, si basa su argomenti estranei all’oggetto del giudizio (thema decidendum), o mira a ottenere una rivalutazione delle prove e dei fatti, attività riservata ai giudici di merito.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La sentenza impugnata diventa definitiva. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo è determinato dalla Corte in base alle questioni trattate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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