Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36912 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36912 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nata a Villafranca di Verona il DATA_NASCITA;
avverso il decreto del Magistrato di sorveglianza di Brescia del 19/04/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe il Magistrato di sorveglianza di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena, sensi della I. 199/2010, presentata da NOME COGNOME con riferimento alla condanna irrevocabile inflittale dal Tribunale di Pordenone con sentenza pronunciata 1 1 11 ottobre 2018 (NUMERO_DOCUMENTO della Procura della Repubblica di Pordenone).
In particolare, il Magistrato di sorveglianza ha ritenuto l’ istanza inammissibile poiché il Tribunale di sorveglianza di Trieste, con ordinanza dell’i febbraio 2022, aveva già respinto nel merito le domande di affidamento in prova e di detenzione domiciliare avanzate dalla condannata rispetto al medesimo titolo esecutivo, di talché doveva escludersi la possibilità di una seconda sospensione dell’ordine di carcerazione.
Avverso il predetto provvedimento NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insis per il suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 1.199/2010 in relazione all’art. 656, comma 5, del codice di rito ed all’art. 24 Cost. rispetto diritto di difesa e sostiene che, nel caso in esame, non era stata in grado di partecipare alla udienza svoltasi avanti il Tribunale di sorveglianza di Trieste e che non aveva avuto notizia del suo esito per quasi due anni.
2.2. Con il secondo motivo la condannata lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il vizio di motivazione carente rispetto alla corretta applicazione dell’art. 1 1.199/2012, non avendo tenuto conto il Magistrato di sorveglianza di Brescia della mutata situazione intercorsa rispetto all’epoca in cui era intervenuta la decisione del Tribunale di sorveglianza di Trieste e della circostanza che NOME COGNOME è madre di quattro figli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso (i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione) è infondato e, pertanto, deve essere respinto risultando corretta la declaratoria di inammissibilità oggetto di impugnazione, non potendo procedersi nel caso di specie ad una seconda sospensione del medesimo ordine di esecuzione.
Invero, con riferimento alla possibilità di una seconda sospensione dell’ordine di esecuzione deve ricordarsi che, dopo un iniziale contrasto, la giurisprudenza di questa Corte, nel coordinare la disciplina prevista per l’esecuzione delle pene detentive non superiori a tre o quattro anni dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. e quella introdotta dall’art. 1, commi 3 e segg., della legge n. 199 del 2010 per l’esecuzione delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, è pervenuta all’approdo ermeneutico, ormai consolidato, in base al quale il Pubblico ministero, quando sussistono le condizioni previste dal provvedimento normativo citato da ultimo deve disporre un’ulteriore sospensione dell’esecuzione nei confronti del condannato che ha già beneficiato della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 cod. proc. pen. e che non ha avanzato la richiesta di misura alternativa e ciò al fine di consentire al Magistrato d sorveglianza di decidere se la pena vada eseguita presso il domicilio (Sez. 1, n. 14987 del 13/03/2019, PG C/ NOME, Rv. 275330; Sez. 1, n. 4971 del 09/12/2014, dep. 2015, P.M. in proc. Vullo, Rv. 262642. Sez. 1, n. 25039 del 11/01/2012, Pmt in proc. Sanzo, Rv. 253333. Contra Sez. 1, Sentenza n. 48425 del 27/11/2012, P.M. in proc. Baretto, Rv. 253981).
2.1. Non è però assimilabile a siffatta ipotesi quella in cui il condannato dopo l’ordine di sospensione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non sia rimasto inerte, ma si sia attivato ed il Tribunale di sorveglianza competente abbia rigettato la sua domanda per assenza dei presupposti della misura richiesta, come verificatosi nel caso di specie. Al riguardo si osserva, per completezza, che la ricorrente non deduce alcun vizio relativo alla corretta instaurazione del procedimento conclusosi con la sopra indicata ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Trieste.
Infatti, la valutazione sulla concessione delle misure alternative del Tribunale di sorveglianza non è interamente sovrapponibile a quella affidata dall’art. 2 della legge 26 novembre 2010, n. 199 al Magistrato di sorveglianza in ordine all’applicazione dell’esecuzione presso il domicilio. Non solo i presupposti di quest’ultima misura sono configurati soltanto come “limiti negativi” o come condizioni ostative, ma, comunque, essa è applicabile anche in deroga alle regole generali poste dall’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, per la detenzione domiciliare, e quindi indipendentemente da ogni valutazione di meritevolezza in ordine alla concessione della misura (cfr. Sez. 1, n. 6138 del 11/12/2013, deo. 2014, P.G. in proc. Caldarozzi, Rv. 259469; in motivazione, la Corte ha evidenziato che la nuova disciplina non costituisce una mera sovrapposizione rispetto a quella della detenzione domiciliare anche perché l’art. 1, comma ottavo, della legge n. 199 del 2010 prevede che le disposizioni dell’art. 47-ter della legge n. 354 del
1975 sono applicabili in quanto compatibili). Non vi è dubbio, però, che, come osservato dal provvedimento impugnato, laddove il Tribunale di sorveglianza avesse rigettato la richiesta di applicazione di misure alternative avanzata dalla condannata in costanza di sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. apprezzando la loro inidoneità a fronteggiare il tasso di pericolosità sociale del condannato, il magistrato di sorveglianza nell’eventuale successivo giudizio promosso per l’applicazione della misura di cui alla legge n. 199 del 2010 in relazione alla pena oggetto del medesimo ordine di esecuzione dovrebbe compiere, in punto di pericolosità, una valutazione di merito in gran parte assorbita da quella compiuta in precedenza dal Tribunale.
Invero, ai sensi dell’art. 1, comma 2 lett. d), l’applicazione della detenzione presso il domicilio non è applicabile “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze d tutela delle persone offese dal reato”.
2.2. Inoltre, è di ostacolo ad un’ulteriore sospensione del medesimo ordine di esecuzione la preclusione processuale determinata dalla conclusione della fase svoltasi dinanzi al Tribunale sorveglianza adito ai sensi dell’art. 656, commi 5 e 6, cod. proc. pen. con conseguente efficacia esecutiva sia della pronuncia di rigetto sia della revoca immediata della sospensione (art. 656, comma 8, cod. proc. pen.), statuizioni che non possono essere rimesse in discussione dal pubblico ministero il quale non può disporre la sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna “più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni” (art. 656, comma 7, cod. proc. pen.).
D’altra parte, nei rapporti tra Tribunale di sorveglianza e Magistrato di sorveglianza trova applicazione, per espressa previsione dell’art. 1, comma 5, della legge n. 199 del 2010, la disciplina dettata in materia di liberazione anticipata dall’art. 69-bis, Ord pen., a mente della quale competente a decidere sulla richiesta in prima istanza, è il magistrato di sorveglianza fatta eccezione per il caso in cui la domanda sia presentata nel corso di procedimenti pendenti dinanzi al tribunale di sorveglianza per la richiesta di altre misure alternative, nel qual cas il Tribunale può decidere sulla richiesta di liberazione anticipata senza necessità di trasmetterla al Magistrato di sorveglianza (Sez.1, n. 46040 del 03/11/2004, COGNOME, Rv. 230583).
2.3. Ne deriva quindi che il Tribunale di sorveglianza, investito dopo l’ordine di carcerazione sospeso ex art. 656, comma 5 cod. proc. pen., può direttamente ammettere il detenuto, senza attendere un nuovo ordine di sospensione, ad espiare la pena presso il domicilio qualora non sussistano i presupposti per la concessione della misura richiesta dal condannato, ma ricorrono i requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 199 del 2010, disponendo se necessario un supplemento istruttorio circa l’idoneità del domicilio ai sensi dell’art. 69-bis, comma 5, Ord. pen.
Nel delineato sistema non c’è, quindi, spazio per un intervento del Pubblico ministero volto a riattivare il procedimento disciplinato dall’art. 656, commi 5 e seg., cod. proc. pen., già definito dal Tribunale di sorveglianza, legittimato, per d più, anche ad applicare la detenzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi richiedibili dal condannato attraverso una nuova sospensione del medesimo ordine di esecuzione. Ove, infatti, si ritenesse ammissibile anche nella ipotesi in esame la doppia sospensione dovrebbe ammettersi una regressione alla fase precedente alla pronuncia di rigetto già divenuta esecutiva (Sez. 1, n.8522 del 18/12/2020, dep. 2021).
Dal rigetto del ricorso discende la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 9 luglio 2024.