Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31535 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31535 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOMECOGNOME nato ad Andria il 28/07/1988 NOME COGNOME nato a Cerignola il 07/03/1966 COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerignola il 06/01/1973 NOME COGNOME nato a Cerignola il 06/08/1975 DI NOMECOGNOME nato ad Andria il 13/01/1983 DI COGNOME nato ad Andria il 27/02/1955
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo /la sentenza impugnata venga 001annullata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 416, quarto comma, cod. pen., con rinvio alla Corte d’appello di Bari, e che i ricorsi siano dichiarati inammissibili nel resto;
udito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME Nicola e COGNOME GiuseppeCOGNOME il quale, dopo la discussione, si è riportato ai motivi dei ricorsi, dei quali ha chiest l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/07/2024, la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del 19/07/2023 del G.u.p. del Tribunale di Trani:
quanto all’imputato NOME COGNOME:
1.1) ne confermava la condanna per i reati di:
1.1.1) partecipazione all’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
1.1.2) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Nissan Juke targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo P1) dell’imputazione;
1.1.3) riciclaggio in concorso dell’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R1) dell’imputazione;
1.2) riduceva a due anni, dieci mesi e dieci giorni di reclusione ed C 4.333,00 di multa la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione;
quanto all’imputato NOME COGNOME:
2.1) ne confermava la condanna per i reati di:
2.1.1) partecipazione all’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
2.1.2) riciclaggio in concorso dell’autovettura BMW Mini Countryman targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo C) dell’imputazione;
2.1.3) riciclaggio in concorso dell’autovettura Ford TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo I) dell’imputazione;
2.1.4) riciclaggio in concorso delle autovetture oggetto dei furti perpetrati nella notte del 24/03/2021, di cui al capo O) dell’imputazione;
2.1.5) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes classe A targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R) dell’imputazione;
2.1.6) riciclaggio in concorso delle autovetture Toyota Yaris targata TARGA_VEICOLO e Renault Clio non meglio identificata, di cui al capo U) dell’imputazione;
2.1.7) riciclaggio in concorso delle autovetture Toyota Aygo targata TARGA_VEICOLO e Peugeot TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo A1) dell’imputazione;
2.1.8) riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo C1) dell’imputazione;
2.1.9) riciclaggio in concorso delle autovetture Hyunday Tucson targata TARGA_VEICOLO e Citroen CI targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo Fl) dell’imputazione;
2.1.10) riciclaggio in concorso delle autovetture Renault Clio targata TARGA_VEICOLO
e Ford Fiesta targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo L1) dell’imputazione;
2.1.11) riciclaggio in concorso delle autovetture Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO e Renault Clio non meglio identificata, di cui al capo Ni) dell’imputazione;
2.1.12) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Nissan Juke targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo P1) dell’imputazione;
2.1.13) riciclaggio in concorso dell’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R1) dell’imputazione;
2.2.) ritenuta la prevalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche, riduceva a tre anni e otto mesi di reclusione ed € 5.600,00 di multa la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione;
quanto all’imputato NOME COGNOME:
3.1) ne confermava la condanna per i reati di:
3.1.1) partecipazione all’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
3.1.2) riciclaggio in concorso delle autovetture oggetto dei furti perpetrati nella notte del 24/03/2021, di cui al capo O) dell’imputazione;
3.1.3) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes classe A targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R) dell’imputazione;
3.1.4) riciclaggio in concorso delle autovetture Toyota Yaris targata TARGA_VEICOLO e Renault Clio non meglio identificata, di cui al capo U) dell’imputazione;
3.1.5) riciclaggio in concorso delle autovetture Toyota Aygo targata TARGA_VEICOLO e TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo Al) dell’imputazione;
3.1.6) riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo C1) dell’imputazione;
3.1.7) riciclaggio in concorso delle autovetture Hyunday Tucson targata TARGA_VEICOLO e Citroen CI targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo Fl) dell’imputazione;
3.1.8) riciclaggio in concorso delle autovetture Renault Clio targata TARGA_VEICOLO e Ford Fiesta targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo L1) dell’imputazione;
3.1.9) riciclaggio in concorso delle autovetture Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO e Renault Clio non meglio identificata, di cui al capo Ni) dell’imputazione;
3.1.10) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Nissan Juke targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo P1) dell’imputazione;
3.1.11) riciclaggio in concorso dell’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R1) dell’imputazione;
3.2) riduceva a tre anni e dieci mesi di reclusione ed € 5.800,00 di multa la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione;
quanto all’imputato NOME COGNOME:
4.1) ne confermava la condanna per i reati di:
4.1.1) partecipazione all’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
4.1.2) riciclaggio in concorso delle autovetture Renault Clio targata TARGA_VEICOLO e Ford Fiesta targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo L1) dell’imputazione;
4.1.3) riciclaggio in concorso delle autovetture Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO e Renault Clio non meglio identificata, di cui al capo Ni) dell’imputazione;
4.1.4) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Nissan Juke targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo P1) dell’imputazione;
4.2) riduceva a tre anni di reclusione ed C 4.600,00 di multa la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione;
quanto all’imputato NOME COGNOME:
5.1) ne confermava la condanna per i reati di:
5.1.1) promozione, costituzione o organizzazione dell’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
5.1.2) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Toyota TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo V) dell’imputazione;
5.1.3) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Peugeot TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo Z) dell’imputazione;
5.1.4) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura BMW Mini Countryman targata TARGA_VEICOLO di cui al capo B) dell’imputazione;
5.1.5) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) delle autovetture Kia Ceed targata TARGA_VEICOLO e Seat Arona targata TARGA_VEICOLO di cui al capo D) dell’imputazione;
5.1.6) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Opel Grand Land X targata TARGA_VEICOLO di cui al capo L) dell’imputazione;
5.1.7) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Skoda Octavia targata TARGA_VEICOLO di cui al capo M) dell’imputazione;
5.1.8) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo N) dell’imputazione;
5.1.9) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Toyota Yaris targata TARGA_VEICOLO di cui al capo S) dell’imputazione;
5.1.10) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo B1) dell’imputazione;
5.1.11) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Renault TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo H1) dell’imputazione;
5.1.12) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle co e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo M1) dell’imputazione;
5.1.13) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Nissan Juke targata TARGA_VEICOLO di cui al capo 01) dell’imputazione;
5.1.14) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo Q1) dell’imputazione;
5.1.15) furto in concorso pluriaggravato (dall’avere usato violenza sulle cose e dall’avere commesso il fatto su cosa esposta alla pubblica fede) dell’autovettura Ford TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO di cui al capo Si) dell’imputazione;
5.2) riduceva a tre anni e otto mesi di reclusione la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione;
quanto all’imputato NOME COGNOME:
6.1) ne confermava la condanna per i reati di:
6.1.1) partecipazione all’associazione per delinquere pluriaggravata (dall’essere gli associati più di dieci e dallo scorrere essi in armi le campagne o le pubbliche vie), di cui al capo A) dell’imputazione;
6.1.2) riciclaggio in concorso dell’autovettura BMW Mini Countryman targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo C) dell’imputazione;
6.1.3) riciclaggio in concorso dell’autovettura Ford TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo I) dell’imputazione;
6.1.4) riciclaggio in concorso delle autovetture oggetto dei furti perpetrati nella notte del 24/03/2021, di cui al capo 0) dell’imputazione;
6.1.5) tentato riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes classe A targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo R) dell’imputazione;
6.1.6) riciclaggio in concorso dell’autovettura Mercedes TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo C1) dell’imputazione;
6.1.7) riciclaggio in concorso delle autovetture Hyunday Tucson targata TARGA_VEICOLO e Citroen Cl targata TARGA_VEICOLO, di cui al capo F1) dell’imputazione;
6.2) riduceva a tre anni e cinque mesi di reclusione ed C 4.700,00 di multa la pena irrogata per tali reati, unificati dal vincolo della continuazione.
Avverso la menzionata sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Bari, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite de propri rispettivi difensori, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME, è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e/o l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta esistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione e alla ritenuta sua partecipazione alla stessa associazione.
Dopo avere esposto che, con il proprio atto di appello, aveva argomentato l’«assenza della sussistenza di elementi sintomatici di una compagine associativa, inquadrabile ai sensi dell’art. 416 c.p., nonché della affectio sodetatis in capo al Sig. COGNOME, atteso non soltanto il numero esiguo di reati-fine contestatigli ma anche la mancanza generale di enucleazione di un seppur minimo e generico programma delittuoso», con la conseguente «prospettiva concorsuale ex art. 110 c.p. delle condotte poste in essere», il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari avrebbe eluso il confronto con tale sua doglianza, in quanto si sarebbe limitata a confermare in maniera apodittica quanto era stato affermato dal G.u.p. del Tribunale di Trani, cioè la sussistenza dell’associazione e la partecipazione alla stessa «sulla base della generica sussistenza degli elementi oggettivi inquadrati dalla fattispecie di cui all’art. 416 c.p., nonché dalla riten commissione dei delitti di riciclaggio di cui ai Capi P1), R1)».
Il ricorrente lamenta in particolare il carattere apodittico, contraddittorio illogico di quanto argomentato dalla Corte d’appello di Bari nel secondo capoverso della pag. 81 della sentenza impugnata, «atteso che in nessun modo si possa considerare sussistente l’affectio societatis in capo al ricorrente alla stregua di quanto sino ad ora dedotto».
Secondo il COGNOME, gli elementi valorizzati dalla Corte d’appello di Bari sarebbero connotati da «estrema ambiguità ed assenza di concordanza intrinseca ed estrinseca» e confermerebbero, anzi, la tesi difensiva secondo cui egli «non fosse a conoscenza dell’intero programma criminoso, né che gli associati avessero diretta consapevolezza dell’esistenza del Sig. COGNOME e del proprio ruolo di intraneus».
Il COGNOME espone ancora come «l’unico elemento di congiunzione tra l’odierno ricorrente e gli altri associati fosse il solo coimputato COGNOME, dunque come non possa considerarsi sussistente il dolo di partecipazione ad un’associazione di cui all’art. 416 c.p. bensì una mera condotta concorsuale
nei singoli delitti di riciclaggio ex art. 110-648 bis c.p., con un soggetto che ben avrebbe potuto far parte di una compagine delittuosa, ma senza alcun tipo di ingerenza nel caso che qui occupa».
Inoltre, la Corte d’appello di Bari non si sarebbe confrontata con l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità «secondo cui è necessaria una motivazione rafforzata ove un soggetto partecipi all’associazione contribuendo alla realizzazione di uno specifico reato-fine (nel caso che occupa solo due, commessi in un limitato spazio temporale)». Egli aveva «partecipato alla commissione di due singole condotte di riciclaggio, con mezzi propri, non intrattenendo relazioni con la compagine associativa, bensì con il solo coimputato COGNOME e con altri soggetti assoldati con le medesime modalità operative che lo interessano, non emergendo dal testo della motivazione alcun elemento divergente rispetto a quest’ultimo che lo facciano ritenere a conoscenza dell’intera struttura associativa, dunque gli affibbino un ruolo di intraneus alla stessa».
La Corte d’appello di Bari avrebbe anche «posto in essere un’operazione di cd. cherry-picking al fine di valorizzare taluni spunti investigativi in luogo di altri che ben avrebbero potuto far inquadrare l’odierna vicenda in una mera più puntuale fattispecie concorsuale».
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale sempre con riguardo alla ritenuta esistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione e alla ritenuta sua partecipazione alla stessa associazione.
Deduce che la Corte d’appello di Bari avrebbe dovuto «valutare, nel proprio complesso, gli elementi elaborati dalla giurisprudenza sintomatici della effettiva sussistenza della condotta di partecipazione, dunque lo specifico contributo apportato dall’eventuale intraneus al mantenimento dell’associazione ed al raggiungimento dei suoi scopi», «dovendo essere l’indagine in ordine alla penale responsabilità del mero partecipe improntata a requisiti di maggiore determinatezza e materialità della condotta specificamente posta in essere».
Secondo il ricorrente, «la partecipazione non può essere unilaterale e dal compendio probatorio ovvero indiziario deve emergere l’effettiva accettazione da parte dell’intraneus della associazione, in relazione alla dinamica del gruppo in cui si inserisce».
La partecipazione all’associazione dovrebbe «essere inquadrata in un’ottica funzionale rispetto agli scopi della societas sceleris, prevedendo una razionalità del contributo minimo rispetto allo scopo, fermo restando il problema di individuare in concreto la consistenza minima necessaria di tale contributo apportato».
Secondo il ricorrente, gli elementi posti a base dell’affermazione della sua responsabilità sarebbero connotati da «estrema ambiguità ed assenza di concordanza intrinseca ed estrinseca dei risultati probatori, non emergendo in alcun modo il fatto che il COGNOME fosse ad effettiva conoscenza dell’intero programma criminoso, né che gli altri associati avessero diretta consapevolezza dell’esistenza del Sig. COGNOME e del proprio ruolo all’interno della compagine criminosa».
Il ricorrente ribadisce che aveva «partecipato alla commissione di due singole condotte di riciclaggio, con mezzi propri, non intrattenendo relazioni con la compagine associativa, bensì con il solo coimputato COGNOME e con altri soggetti assoldati con le medesime modalità operative che lo interessano, non emergendo dal testo della motivazione alcun elemento divergente rispetto a quest’ultimo che lo facciano ritenere a conoscenza dell’intera struttura associativa, dunque gli affibbino un ruolo di intraneus alla stessa».
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e/o l’illogicità della motivazione riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen.
Secondo il COGNOME la motivazione della sussistenza di tale circostanza aggravante, che figura al quinto capoverso della pag. 80 della sentenza impugnata, sarebbe apodittica e illogica per due ordini di ragioni.
In primo luogo, perché sarebbe «evidente come dal contesto della conversazione intercettata, la generalizzazione incardinata dalla Corte di Appello di Bari con l’identificazione del cd. ferro con un termine gergale che faccia riferimento alle armi da fuoco, risulti del tutto congetturale, in quanto esulante totalmente ed evidentemente dal contesto della stessa, senza nemmeno che venga posta una necessaria conferma della impostazione ermeneutica mediante il raffronto con altri elementi indiziari ovvero probatori dai quali emerga la disponibilità di armi in capo al sodalizio». Dal che «l’estrema impostazione congetturale – dunque illogica – del passaggio motivazionale, che non può nel caso specifico rimandare ad una massima di esperienza, perché fuorviante rispetto al contesto specifico emergente dal testo del provvedimento impugnato». Pertanto, «sia il contesto che l’assenza di elementi ultronei confermativi che inferissero, mediante prova scientifica ovvero collaudate massime di esperienza, la tesi prospettata della disponibilità in capo sodalizio di armi da fuoco, ben avrebbero dovuto far propendere la Corte territoriale per l’esclusione della circostanza aggravante in parola».
In secondo luogo, in quanto la Corte d’appello di Bari «rileva la mera disponibilità in capo agli associati di armi da fuoco, in una prospettiva del tutto
decentrata ed inconferente rispetto alla configurazione del diritto circostanziato ai sensi del co. 4 dell’art. 416, c.p., il quale prevede l’effettiva scorreria in armi parte degli associati al fine di realizzare il programma criminoso genericamente stabilito». Infatti, «perché sussista la circostanza aggravante della scorreria in armi è necessario che la condotta si connoti per un aumentato pericolo per l’ordine pubblico e un particolare allarme sociale», mentre non è sufficiente la mera disponibilità di armi in capo al sodalizio criminoso, come mostrerebbe invece di ritenere la Corte d’appello di Bari.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale sempre con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen.
Secondo il COGNOME l’interpretazione al riguardo fatta propria dalla Corte d’appello di Bari – che figura, come si è detto (al punto 3.3), al quinto capoverso della pag. 80 della sentenza impugnata – integrerebbe un error in iudicando, in quanto la stessa Corte d’appello «rileva la mera disponibilità in capo agli associati di armi da fuoco, in una prospettiva del tutto decentrata ed inconferente rispetto alla configurazione del delitto circostanziato ai sensi del co. 4 dell’art. 416, c.p., quale prevede l’effettiva scorreria in armi da parte degli associati al fine d realizzare il programma criminoso genericamente stabilito».
Infatti, «perché sussista la circostanza aggravante della scorreria in armi è necessario che la condotta si connoti per un aumentato pericolo per l’ordine pubblico e un particolare allarme sociale», mentre non è sufficiente la mera disponibilità di armi in capo al sodalizio criminoso, come mostrerebbe invece di ritenere la Corte d’appello di Bari.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio.
Dopo avere rammentato di avere rinunciato ai primi due motivi di appello, con i quali aveva chiesto, rispettivamente, l’assoluzione (primo motivo) e la riqualificazione come ricettazione dei fatti che gli erano stati contestati come riciclaggio (secondo motivo), e di avere insistito solo sul terzo motivo di appello, con il quale aveva chiesto il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche e la rideterminazione in misura più ridotta sia della pena base sia degli aumenti di pena per la continuazione, in ragione della scelta del giudizio abbreviato, con la quale egli avrebbe «denota di avere ben compreso il disvalore delle condotte poste in essere e dimostra di volersi allontanare da
ogni logica delittuosa», il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bari, «a fronte di tali inequivocabili elementi», non avrebbe fatto adeguata applicazione dei parametri dettati dall’art. 133 cod. pen. e, in particolare, non avrebbe «applicato, in maniera corretta, i due criteri legali ispiratori che avrebbe dovuto utilizzare cioè quello della retribuzione e della prevenzione speciale», e, comunque, non avrebbe dato conto del corretto esercizio del proprio potere discrezionale nella determinazione della misura della pena.
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’ar 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce la carenza e l’illogicit della motivazione con riguardo alla conferma dell’applicazione della recidiva (semplice).
Dopo avere rammentato di avere rinunciato ai primi due motivi di appello, con i quali aveva chiesto, rispettivamente, l’assoluzione (primo motivo) e la riqualificazione come ricettazione dei fatti che gli erano stati contestati come riciclaggio (secondo motivo), e di avere insistito solo sul terzo motivo di appello, con il quale aveva chiesto il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche e la rideterminazione in misura più ridotta sia della pena base sia degli aumenti di pena per la continuazione, in ragione della scelta del giudizio abbreviato, con la quale egli avrebbe «denota di avere ben compreso il disvalore delle condotte poste in essere e dimostra di volersi allontanare da ogni logica delittuosa», il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bari, «a fronte di tali inequivocabili elementi», non avrebbe fatto adeguata applicazione dei parametri dettati dall’art. 133 cod. pen. e, in particolare, non avrebbe «applicato, in maniera corretta, i due criteri legali ispiratori che avrebbe dovuto utilizzare cioè quello della retribuzione e della prevenzione speciale», e, comunque, non avrebbe dato conto del corretto esercizio del proprio potere discrezionale nella determinazione della misura della pena. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari abbia, «con una motivazione scarna, nega la disapplicazione della recidiva» e, dopo avere invocato «la Corte costituzionale a Sezioni Unite sent. n. 35738/2010» (più precisamente: Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibé, Rv. 247838-01), chiede che, sulla base di tale pronuncia, la sentenza impugnata venga annullata.
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME, è affidato a tre motivi.
7.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e/o l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta esistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione e alla ritenuta sua qualità di «capo-promotore» della stessa associazione.
Dopo avere esposto che, con il proprio atto di appello, aveva argomentato l’«assenza di elementi sintomatici della sussistenza di una compagine associativa, inquadrabile ai sensi dell’art. 416 c.p., ed in particolare della qualifica di cap promotore del Sig. COGNOME NOME COGNOME attesa la mancanza generale di enucleazione di un seppur minimo e generico programma delittuoso, nonché della (così definita) democraticità della associazione stessa», con la conseguente «prospettiva concorsuale ex art. 110 c.p. delle condotte poste in essere , ovvero quantomeno della riqualificazione nella ben più mite previsione di mero partecipe della compagine criminosa», il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari avrebbe eluso il confronto con tale sua doglianza, in quanto si sarebbe limitata a confermare in maniera apodittica quanto era stato affermato dal G.u.p. del Tribunale di Trani, cioè la sussistenza dell’associazione e la partecipazione alla stessa nella qualità di «capo-promotore» «sulla base della generica sussistenza degli elementi oggettivi inquadrati dalla fattispecie di cui all’art. 416 c.p., nonché dalla ritenuta commissione dei reati-fine contestatigli».
Il ricorrente lamenta in particolare il carattere apodittico, contraddittorio illogico di quanto argomentato dalla Corte d’appello di Bari nel penultimo e nell’ultimo capoverso della pag. 92 e nei primi quattro paragrafi della pag. 93 della sentenza impugnata, «atteso che in nessun modo si possa considerare sussistente l’affectio societatis ed il ruolo di promotore in capo al ricorrente alla stregua di quanto sino ad ora dedotto».
Secondo il COGNOME, gli elementi valorizzati dalla Corte d’appello di Bari sarebbero connotati da «estrema ambiguità ed assenza di concordanza intrinseca ed estrinseca» e confermerebbero, anzi, la tesi difensiva secondo cui egli «non fosse a conoscenza dell’intero programma criminoso».
La Corte d’appello di Bari non si sarebbe neppure confrontata con la doglianza che egli aveva avanzato nel proprio atto di appello «secondo cui, stante la delineata democraticità – vedasi orizzontalità del sodalizio criminoso, ben avrebbe dovuto enucleare il giudicante un quid pluris sulla base del quale far emergere il ruolo apicale dell’odierno ricorrente».
7.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e/o l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante
dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen.
Il COGNOME prospetta argomentazioni che coincidono con quelle che sono state sviluppate nel terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME e che si sono riassunte al punto 3.3.
Il COGNOME aggiunge che la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria anche là dove «inferisce la sussistenza della circostanza aggravante sulla base della condanna subita dall’odierno ricorrente – pur in concorso con taluni dei coimputati – per il delitto di cui all’art. 628 c.p., commesso in agro di Bitonto, per il quale sarebbe stata adoperata un’arma da fuoco, dal momento che non risulta esser stato accertato in alcun modo che le due vicende siano state realizzate nell’ambito della medesima compagine criminosa che qui occupa». Secondo il ricorrente, «tale elemento risulta ancor più congetturale ove si consideri che la vicenda criminosa presa in esame sia proposta ex novo da parte della Corte territoriale, in maniera del tutto strumentale rispetto alla sol affermazione di sussistenza dell’aggravante della scorreria in armi».
7.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale sempre con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen.
Il COGNOME prospetta argomentazioni che coincidono con quelle che sono state sviluppate nel quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e che si sono riassunte al punto 3.4.
Il COGNOME aggiunge che neppure sarebbe «risolutiva la considerazione emersa nella prefata sentenza, nella parte in cui inferisce la sussistenza della circostanza aggravante sulla base della condanna subita dall’odierno ricorrente pur in concorso con taluni dei coimputati – per il delitto di cui all’art. 628 c. commesso in agro di Bitonto, per il quale sarebbe stato adoperata un’arma da fuoco, dal momento che non risulta essere stato accertato in alcun modo che le due vicende siano state realizzate nell’ambito della medesima compagine criminosa che qui occupa». Secondo il ricorrente, «tale elemento risulta ancor più congetturale e decentrato ove si consideri che la vicenda criminosa presa in esame sia proposta ex novo da parte della Corte territoriale, in maniera del tutto strumentale rispetto alla sola affermazione di sussistenza dell’aggravante della scorreria in armi».
8. Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a due motivi.
8.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per i reati di riciclaggio di autovetture a lui attribuiti.
Dopo avere esposto che, con il proprio atto di appello, aveva contestato sia la sua identificazione con il soggetto soprannominato “il Vecchio” sia «la riferibilità allo stesso dei reati in rubrica specificati, in ragione proprio di tale individuazione il Di COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari si sarebbe limitata, «attraverso considerazioni puramente deduttive», a individuarlo ne “il Vecchio”, ma che «le conclusioni cui perviene il Giudice di seconde cure non sono sufficienti a ritenere l’imputato, così come soprannominato, comunque autore dei reati contestati», avendo lo stesso Giudice «trascura del tutto gli aspetti propri della condotta materiale dei reati» di riciclaggio.
Il ricorrente deduce che la sua identificazione con “il Vecchio” è stata basata su servizi di osservazione in cui «gli agenti osservavano esclusivamente la presenza dell’imputato e null’altro» e che sarebbe «evidente che siffatta identificazione del Di COGNOME non consente di ritenere che lo stesso sia proprio l’autore dei reati oggetto di contestazione».
A quest’ultimo proposito, il ricorrente rappresenta che egli «non è mai stato sorpreso durante il compimento della presunta attività criminosa. In atti non vi è un documento, una testimonianza o una risultanza probatoria che consenta di collocare il Di Trani sui lod commissi delicti». I suddetti agenti di polizia giudiziaria, infatti, «si sono limitati a identificare il Di Trani esclusivamente presso luoghi apert al pubblico (stazioni di servizio) . Nessuna attività di pedinamento è mai seguita a dette individuazioni».
Il fatto che «in alcune intercettazioni telefoniche i coimputati facciano riferimento al “Vecchio” al “fesso” o allo “zio”» non consentirebbe «di ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il COGNOME , così presuntivamente soprannominato, non solo si trovasse sulla c.d. scena del crimine, ma fosse anche intento a commettere uno dei reati per cui si procede».
Sarebbe, pertanto, «vidente che la mancanza di elementi probatori circa l’effettivo compimento da parte del Di Trani dell’attività di cannibalizzazione delle autovetture rubate scardina la logica del provvedimento impugnato creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali». Infa «’avvistamento dell’imputato in luoghi diversi dalla scena del crimine e l’asserita sua presenza in ragione del propalato di altri soggetti, sprovvisto di ogni doveroso riscontro, inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione».
8.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della sua partecipazione «all’associazione mafiosa».
Il COGNOME contesta quanto asserito dalla Corte d’appello di Bari nel penultimo capoverso della pag. 111 della sentenza impugnata, rappresentando che «tale assunto non è corroborato da alcuna risultanza probatoria che consenta di provare sia che l’imputato abbia materialmente realizzato le condotte di cui ai citati capi di imputazione e soprattutto che abbia agito in adesione agli scopi dell’associazione mafiosa». Ciò integrerebbe un «macroscopico errore di valutazione che inficia l’intero ragionamento seguito in entrambe le fasi del presente giudizio».
Inoltre, dalla lettura della sentenza impugnata non sarebbe «dato rilevare gli elementi in forza dei quali la Corte deduce l’adesione dell’imputato all’associazione. Sicuramente la mera operazione di sezionamento delle autovetture, rubate peraltro da soggetti appartenenti al gruppo associativo, è da sola inidonea a provare la sussistenza di un vincolo di stabile appartenenza del Di Trani agli altri sodali».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il primo e il secondo motivo – i quali, attenendo entrambi alla contestazione della ritenuta esistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione e della ritenuta partecipazione dell’imputato alla stessa associazione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
1.1.1. La Corte di cassazione ha chiarito che il criterio distintivo tra il deli di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell’accordo criminoso, che nell’indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale e accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati – anche nell’ambito del medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 5, n. 1964 del 17/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274442-01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, COGNOME Rv. 258009-01).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi, costituiti: a) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; b) dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato; c) dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, COGNOME, Rv. 211403-01; Sez. 6, n. 11413 del 14/06/1995, COGNOME, Rv. 203642).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve ritenere che la Corte d’appello di Bari ne abbia fatto un’applicazione pienamente corretta.
La Corte d’appello di Bari ha ritenuto l’esistenza dell’associazione per delinquere contestata al capo A) dell’imputazione sulla base di una pluralità di elementi probatori, tra cui spicca, per rilevanza, il contenuto delle conversazioni intercettate, dai quali era risultata l’esistenza di un sodalizio diretto a ottene denaro attraverso una serie di reati contro il patrimonio, in particolare, furti d autovetture, per lo più di recente immatricolazione, e successivi riciclaggi delle stesse – che venivano sezionate dai cosiddetti “tagliatori” (“cannibalizzazione”) per ricavarne la relativa componentistica, così ostacolandone l’identificazione della provenienza delittuosa -, componentistica che veniva poi venduta a ricettatori sul mercato illegale dei ricambi.
La Corte barese ha in particolare evidenziato come dai menzionati elementi probatori fossero emersi: a) il carattere sistematico delle condotte criminose (reati-fine), che venivano realizzate regolarmente con frequenza pressoché quotidiana e seguendo un collaudato modus operandi (individuazione “frenetica” delle automobili da rubare, “cannibalizzazione” di esse, vendita ai ricettatori dei componenti così ricavati), così palesando l’esistenza di un ben preciso e indeterminato (anche nel tempo) programma criminoso e la stabilità del vincolo tra i sodali (e non, all’evidenza, estemporanee deliberazioni criminose); b) la ripartizione di ruoli tra gli stessi sodali, essendo taluni incaricati di commettere furti delle automobili, altri di sezionarle (i “tagliatori”), altri di trasf componenti così ricavate presso un garage in Cerignola a disposizione del clan (autisti e altri soggetti incaricati di controllare che la strada fosse “libera”) l’esistenza di una gerarchia interna al gruppo; d) l’esistenza di una cassa comune del gruppo, la quale veniva utilizzata sia per retribuirne i componenti, tra cui venivano ripartiti i proventi dei reati-fine, sia per acquistare beni necessari per l’esistenza del sodalizio e per la commissione degli stessi reati-fine; e) l’assistenza ai membri del sodalizio; f) la disponibilità, in capo a esso, di attrezzistica per consumazione dei furti (strumenti di effrazione, disturbatori di frequenze,
strumenti per disattivare le centraline delle autovetture), di automezzi (un’autovettura Audi S3 utilizzata per commettere i furti e due furgoni Fiat Ducato utilizzati per il trasporto delle componenti dei veicoli sezionati dai “tagliatori”) utenze intestate per lo più a soggetti stranieri, di basi logistiche dove allocare mezzi utilizzati per commettere i reati-fine e nascondere i pezzi delle auto tagliate.
Ad avviso del Collegio, e diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, tale valorizzato complesso di elementi appare, sia giuridicamente sia logicamente, evidentemente pienamente sintomatico dell’esistenza di un’associazione per delinquere ai sensi dell’art. 416 cod. pen. – nei ricordati termini che sono stati precisati dalla Corte di cassazione – e, in particolare, dell’associazione per delinquere contestata al capo A) dell’imputazione, sicché le censure del ricorrente sul punto si devono ritenere manifestamente infondate, nonché, altresì, aspecifiche, atteso che il COGNOME non risulta neppure essersi compiutamente confrontato con la motivazione della sentenza impugnata sul punto.
1.1.2. In tema di partecipazione a un’associazione per delinquere, la Corte di cassazione ha affermato i seguenti principi, che sono condivisi dal Collegio: anzitutto, la condotta di partecipazione si distingue da quella del concorrente ex art. 110 cod. pen. perché, a differenza di questa, implica l’esistenza del pactum sceleris, con riferimento alla consorteria criminale, e della affectio societatis, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata (con la conseguenza che è punibile a titolo di partecipazione, e non in applicazione della disciplina del concorso esterno, colui che presta la sua adesione e il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase temporalmente limitata; Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, Miglionico, Rv. 254105-01); peraltro, l’esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in un’attiva e stabile partecipazione (Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, COGNOME, Rv. 279589-01; Sez. 3, n. 20921 del 14/03/2013, Conte, Rv. 255776-01); in tale ottica, anche gli elementi certi relativi alla partecipazione di determinati soggetti ai reati-fine effettivamente realizzati possono essere influenti nel giudizio relativo all’esistenza del vincolo associativo e all’inserimento dei soggetti nell’organizzazione, specie quando ricorrano elementi dimostrativi del tipo di criminalità, della struttura e delle caratteristiche dei sin reati, nonché delle modalità della loro esecuzione (Sez. 5, n. 21919 del 04/05/2010, Procopio, Rv. 247435-01); il dolo del delitto è integrato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente e, sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostri automaticamente l’adesione alla stessa, questa si può desumere in modo fortemente indiziante dalla stessa
realizzazione dell’attività delittuosa in termini conformi al piano associativo (Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276740-01; Sez. 6, n. 50334 del 02/10/2013, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 257845-01; Sez. 6, n. 9117 del 16/12/2011, dep. 2012, Tedesco, Rv. 252388-01); anche le intercettazioni possono costituire fonte diretta di prova della partecipazione all’associazione, finanche quando non vi abbia partecipato l’imputato (Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 26650901).
La Corte di cassazione ha anche affermato – in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ma enunciando un principio che ben può trovare applicazione, attesa l’identità di ratio, anche con riguardo all’associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. – che anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, nel caso in cui le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne rivelino, secondo massime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (Sez. 3, n. 36381 del 09/05/2019, Cruzado Ocaris, Rv. 27670106).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve ritenere che la Corte d’appello di Bari ne abbia fatto un’applicazione pienamente corretta.
La Corte d’appello di Bari ha ritenuto la partecipazione del COGNOME all’associazione per delinquere contestata al capo A) dell’imputazione sulla base, in particolare, del contenuto delle conversazioni intercettate, il quale aveva rivelato: la partecipazione dell’imputato ai due reati-fine di tentato riciclaggi (capo P1) e riciclaggio (capo R1); nel contesto di tale partecipazione, l’affectio societatis dell’imputato e la considerazione che di lui avevano gli altri affiliati; l’assistenza legale che, a seguito del fermo del COGNOME e del sequestro della sua auto, era immediatamente “scattata” da parte dei sodali.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, si deve rammentare come la Corte di cassazione abbia affermato che la prova dell’appartenenza a un sodalizio criminoso può essere desunta anche dall’accertamento dell’assistenza legale fornita a un partecipe e dell’aiuto economico assicurato ai suoi familiari, una volta che costui sia tratto in arresto, consistendo in condotte prestate a vantaggio dell’intera consorteria e non solo della persona assistita (Sez. 3, n. 12705 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 275478-01, con la quale è stato precisato che, al fine del consolidamento dell’organizzazione criminale, assume un’importanza vitale la circostanza che l’associato abbia consapevolezza di poter contare, in caso di arresto, sulla continuità del vincolo associativo e sul rapporto di solidarietà tra gl associati; Sez. 3, n. 18137 del 26/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 26693701).
Ad avviso del Collegio, e diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, tale valorizzato complesso di elementi appare, sia giuridicamente sia logicamente, evidentemente pienamente sintomatico della partecipazione del COGNOME all’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione – nei ricordati termini che sono stati precisati dalla Corte di cassazione -, sicché le censure del ricorrente sul punto si devono ritenere manifestamente infondate, nonché, altresì, aspecifiche, atteso che il COGNOME non risulta neppure essersi compiutamente confrontato con la motivazione della sentenza impugnata sul punto (in particolare, con l’indicata valorizzazione dell’elemento costituito dall’assistenza legale immediatamente “scattata” da parte dell’associazione a seguito del fermo del COGNOME e del sequestro della sua auto).
1.2. Il terzo e il quarto motivo – i quali, attenendo entrambi alla contestazione della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
Come è stato chiarito dalla Corte di cassazione, in tema di associazione per delinquere aggravata ai sensi del quarto comma dell’art. 416 cod. pen., affinché sussista la circostanza aggravante della “scorreria in armi”, è necessario che la condotta si connoti per un aumentato pericolo dell’ordine pubblico e per un particolare allarme sociale. Tali caratteristiche sussistono allorché gli associati “scorrono” in armi le campagne o le pubbliche vie col proposito di realizzare le condotte criminose che si riveleranno possibili, con correlate azioni di depredazione, grassazione e soverchierie, mentre non è sufficiente che essi possiedano stabilmente delle armi, debitamente occultate, e che per la commissione dei singoli reati fine effettuino con esse spostamenti da luogo a luogo (Sez. 5, n. 32439 del 03/05/2001, Madonna, Rv. 219677-01).
La Corte di cassazione ha anche precisato che l’aggravante delle “scorrerie in armi”, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., si differenzia nettamente dall’aggravante di cui all’art. 416-bis, quarto comma, cod. pen., in quanto richiede il trasferimento da un luogo a un altro di associati armati, sicché la semplice disponibilità di armi, al di là dell’eventuale specifica rilevanza penale del fatto, no integra la suddetta circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen.
Quest’ultima richiede il trasferimento da luogo a luogo di associati che, avendo programmato solo genericamente dei delitti, scelgono secondo occasionali circostanze gli oggetti delle loro azioni criminose, avendo la disponibilità di armi più o meno numerose e dotate di potenzialità offensiva (Sez. 2, n. 44153 del 19/09/2014, COGNOME, Rv. 260857-01).
Nel caso in esame, se si può ritenere logicamente argomentato che gli associati possedessero delle armi, non altrettanto si può dire con riguardo alla cosiddetta “scorreria in armi”.
Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che i sodali disponevano del «ferro» (pag. 80, quinto capoverso, e pag. 95, ultimo capoverso), che in un’occasione alcuni “tagliatori” avevano sollecitato di raggiungerli in quanto si trovavano in macchina «con i ferri» (pag. 104, secondo capoverso) e che il COGNOME aveva commesso una rapina con un fucile a canne mozze, oggetto di un separato procedimento (pag. 96, primo paragrafo) (senza che sia stato peraltro chiarito se tale reato fosse stato commesso nell’ambito dell’attività dell’associazione di cui al capo “A” dell’imputazione).
Tale disponibilità di armi, e anche impiego di esse per compiere singoli reati, non risulta tuttavia sufficiente ai fini dell’integrazione dell’aggravante in questione in difetto del requisito della “scorreria in armi”, nel significato di tale locuzione c è stato chiarito con le sentenze delle Corte di cassazione che si sono ricordate sopra.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti del COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., con rinvio, per un nuovo giudizio sul punto, a un’altra sezione della Corte d’appello di Bari.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
Si deve anzitutto rilevare come la Corte d’appello di Bari, in ragione della ricordata parziale rinuncia ai motivi di appello da parte dell’imputato (punto 4 della parte in fatto), abbia riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche, ancorché abbia applicato, per esse, una diminuzione di pena inferiore a quella massima possibile di un terzo.
A tale proposito, la Corte d’appello ha fornito una motivazione del tutto congrua dell’esercizio della propria discrezionalità, avendo fatto riferimento alla gravità dei fatti, «per il numero rilevante di autovetture di varia tipologia oggett di furto, prima, e di riciclaggio dopo, mediante una articolata e collaudata organizzazione a cui l’imputato ha partecipato con un ruolo attivo e di particolare rilievo» (pag. 67 della sentenza impugnata). Motivazione con la quale il COGNOME ha peraltro del tutto omesso di confrontarsi.
Si deve poi rammentare che la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile ne casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di
adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’a 133 cod. pen. (tra le tante: Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01).
Anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolver al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01).
Nel caso di specie: a) la pena base irrogata di quattro anni di reclusione ed C 6.000,00 di multa per il più grave reato di riciclaggio di cui al capo N1) dell’imputazione è, quanto alla pena detentiva, pari al minimo edittale (che è di quattro anni di reclusione) e, quanto a quella pecuniaria, di poco superiore al minimo edittale (che è di C 5.000,00, a fronte di un massimo edittale di C 25.000,00); b) gli aumenti di pena di quattro mesi di reclusione ed C 200,00 di multa per la continuazione con il reato di associazione per delinquere, di due mesi di reclusione ed C 200,00 di multa per la continuazione con ciascuno dei reati di riciclaggio e di un mese di reclusione ed C 50,00 di multa per la continuazione con ciascuno dei reati di tentato riciclaggio, risultano contenuti, tenuto conto delle pene che sono previste per tali reati.
Ne consegue che l’obbligo di motivazione ben può ritenersi adeguatamente assolto dalla Corte d’appello di Bari mediante il riferimento, che si è sopra ricordato, alla gravità dei fatti, per le ragioni, di cui pure si è detto, che sono st esplicitate dalla stessa Corte.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, attesa la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
Si deve anzitutto rilevare come la Corte d’appello di Bari abbia correttamente affermato come l’applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata (specifica e infraquinquennale) ostasse, a norma dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., al richiesto riconoscimento della prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche.
Ciò posto, si deve osservare che, nel caso di specie: a) la pena base irrogata di quattro anni di reclusione ed C 6.000,00 di multa per il più grave reato di riciclaggio di cui al capo Ni) dell’imputazione è, quanto alla pena detentiva, pari al minimo edittale (che è di quattro anni di reclusione) e, quanto a quella
pecuniaria, di poco superiore al minimo edittale (che è di C 5.000,00, a fronte di un massimo edittale di C 25.000,00); b) gli aumenti di pena di due mesi e 15 giorni di reclusione ed C 500,00 di multa per la continuazione con il reato di associazione per delinquere, di due mesi e 15 giorni di reclusione ed C 300,00 di multa per la continuazione con ciascuno dei reati di riciclaggio e di 15 giorni di reclusione ed C 50,00 di multa per la continuazione con ciascuno dei reati di tentato riciclaggio, risultano contenuti, tenuto conto delle pene che sono previste per tali reati.
Ne consegue che, considerati i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di determinazione della misura della pena che si sono rammentati in sede di esame del ricorso di NOME COGNOME (punto 2), l’obbligo di motivazione ben può ritenersi adeguatamente assolto dalla Corte d’appello di Bari mediante il riferimento, da essa operato, alla gravità dei fatti, al grado di coinvolgimento in essi del Perchinunno, alla capacità a delinquere del medesimo Perchinunno – quale risultava dagli indicati suoi numerosi precedenti penali – nonché al fatto che egli aveva commesso i reati mentre era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, attesa l’aspecificità e, comunque, la manifesta infondatezza del suo unico motivo.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di u potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in
concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente t fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Bari ha confermato l’applicazione della recidiva ritenendo che, posto che il COGNOME era già stato condannato per un altro reato di riciclaggio in concorso, commesso in Cerignola il 07/04/2015, i reati sub iudice si dovessero reputare rivelatori di una più accentuata pericolosità sociale, atteso che le contestate condotte di riciclaggio si collocavano in un ambito associativo, il quale si connotava per un’articolata organizzazione di persone e di mezzi e per l’incessante e pressoché quotidiana attività delittuosa.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere del tutto sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Inoltre, il ricorrente ha del tutto omesso di confrontarsi con la stessa motivazione, con la conseguenza che il motivo, prima ancora che manifestamente infondato, si deve ritenere aspecifico e, perciò, non consentito.
5. Il ricorso di NOME COGNOME.
5.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
5.1.1. Quanto alla contestazione che concerne l’esistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione, tenuto anche conto della sostanziale sovrapponibilità delle argomentazioni che sono state prospettate al riguardo dal COGNOME con quelle che sono state sviluppate nel primo e nel secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, la manifesta infondatezza di tale doglianza discende da quanto si è argomentato al punto 1.1.1 a proposito dei suddetti primi due motivi di ricorso del COGNOME Argomentazioni alle quali si fa, pertanto, integrale rinvio.
5.1.2. Quanto alla contestazione che concerne l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al primo comma dell’art. 416 cod. pen., sempre con riguardo all’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione, dalla sentenza impugnata emerge come dagli atti e, in particolare, dal contenuto delle conversazioni intercettate, fosse risultata non solo la partecipazione del COGNOME – che si era reso responsabile di ben 14 reati-fine di furto pluriaggravato di autovetture – alla suddetta associazione per delinquere, ma anche come tale sua partecipazione si dovesse ritenere “qualificata” alla luce del ruolo decisionale che il Di NOME ricopriva nell’organizzazione delle “squadre”, in particolare di quelle dei “tagliatori” (si veda, in specie, il contenuto della conversazione con
NOME COGNOME nt. 211/2021, progr. 201), delle quali aveva anche deciso una riorganizzazione (si veda, in specie, il contenuto della conversazione con NOME COGNOME nt. 211/2021, progr. 1496), nonché del ruolo di coordinamento dei sodali nella realizzazione dei reati-fine che veniva svolto dallo stesso COGNOME.
Tali emergenze, con l’evidenziare il carattere strutturalmente essenziale all’organizzazione dell’associazione della condotta del Di Vincenzo, si devono ritenere costituire un’adeguata motivazione, quanto meno, del ruolo di organizzatore dell’associazione delittuosa rivestito dallo stesso imputato e, quindi, della sua responsabilità per il reato di cui al primo comma dell’art. 416 cod. pen.
A fronte di ciò, il motivo risulta peraltro, sul punto, anche aspecifico, atteso che il ricorrente ha omesso di confrontarsi compiutamente con le indicate emergenze della sentenza impugnata che evidenziavano il ruolo “qualificato” da lui rivestito nell’ambito del sodalizio criminoso.
5.2. Il secondo e il terzo motivo – i quali, attenendo entrambi alla contestazione della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dello scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie, di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
La fondatezza di tali motivi discende da quanto si è argomentato al punto 1.2 a proposito degli analoghi terzo e quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME. Argomentazioni alle quali si fa, pertanto, integrale rinvio.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti del COGNOME NOME limitatamente alla circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., con rinvio, per un nuovo giudizio sul punto, a un’altra sezione della Corte d’appello di Bari.
6. Il ricorso di NOME COGNOME.
6.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, si deve ritenere che la Corte d’appello di Bari abbia del tutto logicamente ritenuto che il soggetto soprannominato “il Vecchio” si dovesse identificare nel Di Trani, atteso che, dopo che, nel corso di una conversazione intercettata, NOME COGNOME aveva invitato NOME COGNOME a radunare «i componenti», chiamando, in particolare “il Vecchio”, e a vedersi poi in un luogo indicato (il distributore di carburante Toil di INDIRIZZO), gli agenti di poli giudiziaria avevano osservato giungere in quel luogo, insieme a NOME COGNOME, proprio il COGNOME Trani, a bordo della sua automobile.
In secondo luogo, quanto al concorso del COGNOME, alias “il Vecchio”, nei reati di riciclaggio a lui contestati, la Corte d’appello di Bari lo ha motivatamente desunto dal contenuto di alcune intercettate conversazioni tra altri sodali, dalle quali ha ritenuto logicamente risultare la partecipazione dello stesso COGNOME al materiale sezionamento delle automobili rubate.
A tale proposito, si deve rammentare che, diversamente da quanto appare ritenere il ricorrente, la Corte di cassazione ha chiarito che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano di ulteriori elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, terzo comma, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714-01).
Con riferimento alle risultanze di intercettazioni di conversazioni tra soggetti diversi dall’imputato, la Corte di cassazione ha affermato che gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192, primo comma, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150-04; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-02; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042-01).
Pertanto, del tutto correttamente la Corte d’appello di Bari ha attribuito alle captate conversazioni tra terzi sodali valenza di fonte probatoria della colpevolezza del Di COGNOME.
Né quest’ultimo ha in alcun modo evidenziato specifici difetti di linearità logica nei quali sarebbe incorsa la Corte d’appello di Bari nel valutare il significato dell suddette conversazioni tra terzi sodali, con la conseguenza che, sul punto, il motivo appare, prima ancora che manifestamente infondato, non consentito, in quanto generico e aspecifico.
6.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Posto che, per quanto si è detto esaminando il primo motivo, l’affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati di riciclaggio in concorso di autovettur rubate di cui ai capi C), I), O), Ci) e Fl) dell’imputazione e di tentato riciclag di un’autovettura rubata di cui al capo R) dell’imputazione appare del tutto esente da vizi logici, si deve rilevare che la Corte d’appello di Bari ha ritenuto la coscient e volontaria partecipazione del COGNOME all’associazione per delinquere (non «mafiosa», come indicato dal ricorrente) di cui al capo A) dell’imputazione sulla scorta non solo del fatto che egli aveva partecipato alla commissione di numerosi reati-fine di tale associazione delittuosa (quelli di riciclaggio e di tentato riciclag che si sono indicati sopra), svolgendo il ruolo di cosiddetto “tagliatore”, ma anche alla luce delle modalità di tale sua partecipazione, le quali avevano evidenziato come egli componesse stabilmente la “squadra” dei “tagliatori” e si mostrasse incondizionatamente disponibile, ogni qual volta veniva convocato, a recarsi nei luoghi dove veniva effettuata la “cannibalizzazione” delle automobili, cioè una delle
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attività delittuose che costituivano l’oggetto dell’indefinito programma delittuoso dell’associazione criminosa di cui al capo A) dell’imputazione.
Tale motivazione della coscienza e volontà dell’imputato di partecipare stabilmente alla realizzazione del programma dell’associazione di cui al capo A) dell’imputazione, in conformità al piano delinquenziale della stessa, e, quindi, dell’affectio societatis del Di Trani, appare in linea con i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di partecipazione a un’associazione per delinquere che si sono rammentati al punto 1.1.2 e risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede, comprese quelle del ricorrente, le quali si appalesano, per di più, anche aspecifiche, difettando di un compiuto confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
7. In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 cod. pen., in relazione al capo A) dell’imputazione, nonché, negli stessi limiti e termini, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, atteso l’effetto estensivo delle impugnazioni proposte dal COGNOME e dal COGNOME, in quanto fondate su dei motivi non esclusivamente personali, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., con rinvio a un’altra sezione della Corte d’appello di Bari per un nuovo giudizio sul punto; b) tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili nel resto.
Quanto all’indicato effetto estensivo delle impugnazioni, è opportuno rammentare come, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, dello stesso possano beneficiare anche gli imputati che non hanno proposto ricorso, che vi abbiano rinunciato o che, come nella specie, abbiano proposto un ricorso inammissibile (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236756-01. Successivamente: Sez. 5, n. 34238 del 28/05/2024, Foti, Rv. 286939-02; Sez. 3, n. 55001 del 18/07/2018, Cante, Rv. 274213-02; Sez. 1, n. 2940 del 17/10/2013, dep. 2014, Del Re, Rv. 258393-01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 416, quarto comma, c.p. in relazione al capo A) e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Bari. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso il 12/09/2025.