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Scommesse senza licenza: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per esercizio di scommesse senza licenza nei confronti della titolare di un centro trasmissione dati collegato a un bookmaker estero. La sentenza ribadisce che l’onere di provare l’eventuale discriminazione da parte dello Stato italiano spetta alla difesa. Inoltre, la Corte ha chiarito che la sola regolarizzazione fiscale non è sufficiente a sanare l’illecito penale. Rigettata anche la richiesta di sostituzione della pena e di sospensione condizionale, a causa della persistenza della condotta illecita.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scommesse senza licenza: quando la regolarizzazione fiscale non basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna a fare luce sul reato di esercizio di scommesse senza licenza, un tema di grande attualità che interseca il diritto penale nazionale con i principi del diritto dell’Unione Europea. Il caso esaminato riguarda la condanna della titolare di un centro trasmissione dati (CTD) che operava per conto di un noto bookmaker estero, priva della necessaria autorizzazione di pubblica sicurezza. La difesa ha tentato di far valere la tesi della discriminazione e l’effetto sanante di una regolarizzazione fiscale, ma la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali sull’onere della prova e sulla portata delle normative speciali.

I fatti di causa

La vicenda processuale ha origine dalla condanna, confermata in appello, di una donna per il reato previsto dall’art. 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989. In qualità di rappresentante legale di una società, gestiva un centro che raccoglieva scommesse per conto di un operatore maltese, senza essere in possesso della licenza richiesta dall’art. 88 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS). L’imputata è stata condannata a sei mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.

I motivi del ricorso: discriminazione e onere della prova

La difesa ha incentrato il proprio ricorso per Cassazione su tre motivi principali. In primo luogo, ha lamentato una violazione di legge riguardo all’onere della prova. Secondo la ricorrente, l’accusa avrebbe dovuto dimostrare l’assenza di un trattamento discriminatorio da parte dello Stato italiano nei confronti del bookmaker estero, che sarebbe stato illegittimamente escluso dai bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni. La difesa sosteneva che tale esclusione rendesse la normativa nazionale inapplicabile per contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

In secondo luogo, è stata eccepita l’errata valutazione dell’adesione a un regime di regolarizzazione fiscale (previsto dalla legge n. 190/2014), che, secondo la tesi difensiva, avrebbe dovuto essere considerato un elemento a favore dell’imputata, costretta a tale scelta a causa dell’impossibilità per il bookmaker estero di ottenere una concessione regolare.

Infine, il ricorso contestava il diniego della sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, motivati dai giudici di merito con la mancata regolarizzazione della posizione e con un precedente provvedimento di archiviazione per un fatto analogo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle scommesse senza licenza

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, respingendo tutte le doglianze della difesa con argomentazioni chiare e precise.

In merito al primo motivo, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’attività di raccolta scommesse è lecita solo se supportata da una concessione statale e dalla successiva licenza di pubblica sicurezza. La responsabilità penale per scommesse senza licenza può essere esclusa solo se la difesa dimostra concretamente che l’operatore straniero è stato illegittimamente escluso dalle gare per motivi discriminatori. L’onere della prova di tale discriminazione, dunque, grava sulla difesa e non sull’accusa, alla quale basta provare la condotta materiale e l’assenza del titolo autorizzativo. Nel caso di specie, la difesa non ha fornito elementi concreti a sostegno della tesi discriminatoria.

Sul secondo punto, relativo alla regolarizzazione fiscale, la Corte ha spiegato che l’adesione al regime previsto dal comma 644 dell’art. 1 della L. 190/2014 non ha alcun effetto sanante sull’illecito penale. Tale norma, infatti, si limita a imporre obblighi fiscali a chi opera senza concessione, ma fa espressamente salva l’applicazione della norma penale. La procedura che avrebbe potuto avere effetti estintivi del reato era quella prevista dal comma 643 dello stesso articolo, che però richiedeva la presentazione di una domanda specifica e l’ottenimento del titolo abilitativo, cosa che non è avvenuta.

Infine, la Corte ha ritenuto legittimo il diniego dei benefici di pena. La decisione non si basava, come sostenuto dalla difesa, su un precedente archiviato, ma sulla valutazione negativa della personalità dell’imputata, desunta dalla lunga durata della violazione e dal fatto che l’attività illecita era proseguita anche dopo il diniego formale della licenza da parte della Questura. Tale persistenza nella condotta illecita ha correttamente impedito una prognosi favorevole sia per la sostituzione della pena che per la concessione della sospensione condizionale.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida l’orientamento della giurisprudenza in materia di scommesse senza licenza. Si conferma che chiunque intenda invocare la disapplicazione della legge penale italiana per contrasto con il diritto UE deve fornire una prova rigorosa della discriminazione subita dall’operatore straniero. Inoltre, viene chiarito una volta per tutte che adempiere agli obblighi fiscali previsti per gli operatori non autorizzati non costituisce una sanatoria e non esclude la responsabilità penale. La decisione sottolinea infine l’importanza della condotta successiva al reato ai fini della valutazione per la concessione dei benefici di legge, come la sospensione condizionale della pena.

Su chi ricade l’onere di provare la discriminazione da parte dello Stato nel settore delle scommesse?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di dimostrare che l’operatore straniero sia stato illegittimamente escluso dalle procedure di gara a causa di condotte discriminatorie riconducibili allo Stato italiano spetta alla difesa. L’accusa deve solo provare la condotta materiale (la raccolta di scommesse) e la mancanza della licenza.

La regolarizzazione fiscale di un centro scommesse sana il reato per l’esercizio dell’attività senza licenza?
No. La Corte ha chiarito che l’adesione al regime fiscale previsto per gli operatori privi di titolo (art. 1, comma 644, L. 190/2014) non ha alcuna efficacia sanante sull’illecito penale. Tale norma fa espressamente salva l’applicazione della sanzione penale per chi opera senza le necessarie autorizzazioni.

Perché la Corte ha negato la sospensione condizionale della pena e la sostituzione con una pena pecuniaria?
La Corte ha ritenuto corretto il diniego perché l’imputata aveva continuato a svolgere l’attività di raccolta scommesse per lungo tempo, anche dopo aver ricevuto un diniego formale della licenza da parte della Questura. Questa persistenza nella condotta illecita ha impedito di formulare una prognosi favorevole necessaria per la concessione di tali benefici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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