Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32027 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32027 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Vieste il 15/11/1969 avverso la sentenza del 08/04/2024 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio, limitatamente alla sostituzione della pena, e il ricorso sia rigettato nel resto udito il difensore, avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 aprile 2024, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia del 9 dicembre 2020, resa all’esito di giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME veniva condannata alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all’art. 4 comma 4-bis, n. 1 della L. n. 401 del 1989, poiché, nella sua qualità di rappresentante legale della società “NOME RAGIONE_SOCIALE“, operante quale centro trasmissione dati per conto della società “RAGIONE_SOCIALE“, svolgeva attività organizzata al fine di accettare e raccogliere scommesse o comunque di favorirne la raccolta o l’accettazione, in assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. n. 773 del 1931).
Avverso la sentenza, l’imputata, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, la difesa denuncia vizi di motivazione e violazione di legge in relazione all’onere della prova, facendo riferimento anche all’art. 25 dello schema di Convenzione del “Bando Monti”. In particolare, la difesa sostiene che l’onere della prova relativo ai motivi che potrebbero rendere non proporzionata la disposizione normativa in questione debba gravare sull’accusa e non, come invece affermato dal giudice di merito, sulla difesa.
Riepilogate poi le vicende normative, amministrative e giudiziarie che hanno interessato nel tempo la disciplina, dell’esercizio della raccolta delle scommesse e ricordato quanto accaduto con riferimento al trattamento discriminatorio operato dell’ attuazione di tale disciplina nei confronti di Stanleybet Malta, la ricorrente afferma, con riguardo all’elemento dell’antieconomicità, di aver prodotto ampia documentazione afferente al danno subito dal concessionario a causa del diniego dell’autorizzazione, derivante dall’illegittima esclusione per la presunta non conformità dei bandi di gara statali rispetto al diritto dell’Unione Europea. Si insiste inoltre, sul fatto che l’onere della prova incombesse sull’accusa, la quale non avrebbe addotto alcun elemento volto a dimostrare la mancanz 4di pregiudizio economico nella partecipazione della società Stanleybet alla gara indetta dal Bando Monti.
La difesa ricorda di avere attribuito un incarico tecnico ad esperti del settore, che hanno redatto pareri al fine di valutare l’entità complessiva del danno che deriverebbe al concessionario qualora fosse adottata nei suoi confronti la misura ablatoria del richiamato art. 25 del Bando Monti e richiama i risultati di tali pareri, che sarebbero favorevoli alla sua prospettazione, quanto all’esistenza del danno in questione.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, in parte sovrapponibile al primo, la ricorrente lamenta vizi di motivazione e violazione dell’art. 4 della legge n. 401 del 1989 e dell’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza anche con riferimento alla legge n. 190 del 2014 e in relazione agli artt. 43 e 49 TFUE.
Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che la legge penale doveva essere disapplicata perché in contrasto con i suddetti articoli, come interpretati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La Corte di appello avrebbe omesso di valorizzare l’adesione alla regolarizzazione fiscale di cui all’art. 1, comma 644, della legge n. 190 del 2014, a cui la ricorrent sarebbe stata costretta ad aderire giacché era preclusa alla Stanleybet la regolarizzazione di cui al comma 643 del medesimo articolo, non potendo la stessa ottenere la autorizzazione ex art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. L’accesso all’autorizzazione era, peraltro, precluso, dai procedimenti penali pendenti a carico del bookmaker straniero.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, la difesa eccepisce la violazione degli artt. 58 della legge n. 689 del 1981 e 131-bis cod. pen., in relazione al diniego di conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria sostitutiva, nonché la violazione degli artt. 163 cod. pen. e 597, comma 5, cod. proc. pen., per l’omessa concessione della sospensione condizionale della pena.
In particolare, la difesa contesta la decisione dei giudici di merito che hanno respinto la richiesta.di sostituzione della p.ena detentiva, sostenendo che tale diniego fosse motivato dal fatto che la ricorrente non avesse regolarizzato la propria posizione fiscale e che, nel casellario giudiziale, risultasse un’archiviazione per particolar tenuità del fatto riguardante una condotta analoga. Secondo la difesa, la mancata regolarizzazione della posizione fiscale non influirebbe sulla responsabilità penale della ricorrente, trattandosi di una questione di natura esclusivamente tributaria.
Quanto al riferimento della Corte al precedente provvedimento di archiviazione per fatto analogo, la·clifesa ritiene che tale elemento non possa avere alcuna incidenza nel giudizio penale, né possa essere considerato un precedente giudiziario rilevante per una negativa valutazione della personalità del reo.
Infine, la difesa si duole della mancata concessione della sospensione condizionale della pena – che avrebbe dovuto essere disposta d’ufficio dalla Corte territoriale – alla luce dell’assenza di precedenti penali a carico dell’imputata e del natura della pena effettivamente applicata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo di doglianza, relativo alla contestata discriminazione a carico di Stanleybet e al consequenziale danno arrecato al centro scommesse della ricorrente, è infondato.
Come correttamente rilevato dalla Corte di appello, l’attività di raccolta di scommesse lecite è subordinata al rilascio di una concessione da parte dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) e, successivamente, alla licenza di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 del TULPS. Ne consegue che la fattispecie di reato prevista dall’art. 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989 si configura in presenza di qualsiasi attività, anche solo intermediaria, svolta in favore di un gestore di scommesse, in assenza della necessaria concessione, autorizzazione o licenza (ex multis, Sez. 3, n. 7129 del 03/12/2020, Rv. 281473; Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Rv. 227726).
Pertanto, in mancanza della licenza prevista dall’art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, la sussistenza del reato può essere esclusa solo qualora venga dimostrato che l’operatore straniero sia stato illegittimamente escluso dalle procedure di gara a causa di condotte discriminatorie riconducibili allo Stato italiano. Ne deriva che l’onere probatorio a carico della pubblica accusa si esaurisce nella dimostrazione della condotta materiale e.della mancanza della Licenza ex art. 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza in capo all’esercente. Spetta invece alla difesa, che intenda invocare la disapplicazione della norma incriminatrice e del regime concessorio interno per contrasto con gli artt. 43 e 49 del trattato UE, come interpretato dalla Corte di giustizia, dimostrare la discriminazione operata a suo carico per effetto dell’illegittim diniego di autorizzazione per mancanza di concessione in capo all’operatore straniero illegittimamente escluso per non conformità, con il diritto dell’Unione, dei bandi di gara (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 15243 del 02/03/2023, Rv. 284326).
Dovendosi fare applicazione di tali principi, come correttamente precisato dalla Corte di appello (pag. 6 del provvedimento), dagli atti non emergono elementi idonei a ritenere antieconomica o discriminatoria la partecipazione della società Stanleybet al c.d. “Bando Monti”. La difesa si limita, infatti, a richiamare giurisprudenza tant pacifica quanto irrilevante nel caso di specie, oltre a pretesi pareri di esperti, in rea non prodotti nel giudizio di secondo grado e certamente non valutabili per la prima volta in questa sede.
Il secondo motivo di doglianza, riferito all’asserita incompatibilità del regime interno con il diritto dell’Unione e alla regolarizzazione fiscale del centro scommesse della ricorrente, è infondato.
In ordine al presunto contrasto con il diritto dell’Unione, va ribadito che l disapplicazione della normativa nazionale può operare solo qualora risulti dimostrato che l’operatore straniero sia stato oggetto di un’esclusione discriminatoria o arbitraria dalle gare pubbliche. Nel caso di specie – come già evidenziato – la doglianza si presenta del tutto generica, giacché priva di concreti elementi atti a dimostrare un effettivo impedimento discriminatorio all’ottenimento delle autorizzazioni da parte dell’operatore Stanleybet.
Quanto al profilo inerente alla non considerata impossibilità di aderire alla “regolarizzazione” di cui all’art. 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014, va evidenziato che la mancanza di domanda di regolarizzazione secondo le procedure previste dalla norma richiamata – domanda che sarebbe pur stata possibile anche a fronte di pregressa contestazione dell’art. 4 cit. essendo la ratio della norma proprio quella di consentire l’attività ai soggetti che “comunque” offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, per conto proprio ovvero di soggetti terzi, anche esteri (v per inciso ricordato che secondo la circolare del 27/01/2015 del Ministero dell’Interno, il procedimento di regolarizzazione in oggetto è testualmente finalizzato al rilascio di titolo abilitativo ai sensi dell’art..88 richiamato; titolo che va rilasciato entro .60 g dal ricevimento dell’istanza di regolarizzazione da parte dell’Agenzia) – preclude qualunque doglianza in punto di asserita discriminazione. Sotto questo profilo, manca la prova – che la difesa avrebbe dovuto fornire – dell’impossibilità di accedere alla regolarizzazione del richiamato comma 643, la quale è comunque necessaria anche per quei bookmaker stranieri che potessero legittimamente lamentare una discriminazione quanto all’accesso al cosiddetto “Bando Monti”.
Quanto poi all’art. 1, comma 644, della citata legge – la cui applicazione, secondo la difesa, dovrebbe avere efficacia scriminante – va ribadito che la licenza è il normale titolo abilitativo necessario ad escludere la responsabilità penale, mentre solo l’adesione, da parte dell’operatore privo di licenza di pubblica sicurezza e di concessione, alla speciale procedura di regolarizzazione prevista dalla legge n. 190 del 2014, art. 1, comma 643, è suscettibile di comportare riflessi sananti sul reato di cui alla legge n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis; nessuna influenza ha, invece, sull’illecito penale la sottoposizione dell’operatore al differente regime previsto da successivo comma 644 del citato art. 1, in quanto tale disposizione, oltre a stabilire
ulteriori obblighi e divieti specificamente sanzionati in via amministrativa, f espressamente salva la norma penale nei confronti di coloro che non aderiscano al sistema di legalizzazione introdotto dal comma precedente (ex multis, Sez. 3, n. 13269 del 25/02/2021, non mass.; Sez. 3, n. 39968 del 16/04/2019, non mass.; Sez. 3, n. 18498 del 25/01/2017, Rv. 269694; Sez. 3, n. 45488 del 15/09/2016, non mass.).
Tanto premesso, nel caso di specie la Corte di appello ha correttamente valutato l’adesione della ricorrente al regime di cui al comma 644 della predetta legge, evidenziando che tale condotta non può ritenersi idonea ad escludere la responsabilità penale, né costituisce una sanatoria che possa retroattivamente legittimare l’attività svolta in assenza di concessione e di licenza. Come visto, la supposta “costrizione” ad aderire alla regolarizzazione prevista dal comma 644, per l’impossibilità della Stanleybet di accedere al regime di cui al comma 643, non è in alcun modo suffragata da elementi concreti, né dimostra l’illegittimità della disciplina interna.
Il terzo motivo di ricorso, relativo al diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sostitutiva e all’omessa concessione della sospensione condizionale, è anch’esso infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte di appello ha esposto in modo chiaro le ragioni alla base della propria decisione, evidenziando che l’imputata ha continuato a svolgere l’attività di raccolta di scommesse per conto della Stanleybet anche dopo il diniego della licenza da parte della questura di Foggia, in data 29 novembre 2016, e, pertanto, in assenza di regolare autorizzazione. Inoltre, il diniego della conversione non si fonda sull’esistenza di un precedente procedimento archiviato per particolare tenuità del fatto, come sostenuto dalla difesa, ma sulla mancata regolarizzazione dell’attività da parte dell’imputata, svolta per lungo tempo; elemento che ha correttamente impedito di formulare una prognosi favorevole.
Quanto alla sospensione condizionale della pena, questa non era stata espressamente richiesta in appello e non è comunque suffragata da concreti elementi, neanche con il ricorso per cassazione, il quale non tiene conto, a tal fine, della lunga durata della violazione.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processua
Così deciso il 5/07/2025.