Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2594 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2594 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 03/01/1994 COGNOME NOME, nato nelle Filippine il 25/01/1994 avverso la sentenza del 18/03/2024 della Corte di appello di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 marzo 2024, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania del 22 aprile 2022, con la quale gli imputati erano stati condannati, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione, per il reato di cui agli
artt. 110 cod. pen. e 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989, per avere, in concorso tra loro, abusivamente esercitato l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi per conto di un bookmaker estero senza essere in possesso della prescritta autorizzazione.
Avverso la sentenza COGNOME NOMECOGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità penale, per la mancata considerazione della prospettazione difensiva secondo cui, nonostante il ricorrente fosse il titolare del centro scommesse, le condotte illecite erano state poste in essere da soggetti terzi, essendo l’imputato assente al momento dei controllo. Si sarebbe dovuto considerare che: più soggetti avevano accesso ai sistemi informatici; vi erano turnazioni di lavoro, cosicché altri avrebbero potuto organizzare la raccolta abusiva di scommesse attraverso l’apertura diretta di conti gioco; l’imputato aveva dichiarato di non essere a conoscenza delle operazioni illecite per conto del booknnaker straniero; le scritte pubblicitarie presenti all’interno del locale non si riferivano a tale bookmaker; la paternità delle ricevute e dei quadernoni rinvenuti nell’accertamento non era stata verificata. Sarebbe illegittima la conclusione della Corte d’appello secondo cui le annotazioni sulla gestione dei conti illeciti vanno ricondotte all’imputato per il solo fatto di essere il gestore ed essere l’unico ad avere accesso alla cassa, mentre al momento del controllo era il Bivona a trovarsi presso tale box.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione e la violazione dell’art. 131-bis cod. pen., per l’erronea esclusione della particolare tenuità del fatto, della quale vi sarebbero i presupposti oggettivi e soggettivi.
La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse dell’imputato Bivona, con un unico motivo di doglianza riferito alla violazione dell’art. 157 cod. pen., per la mancata dichiarazione di prescrizione del reato, commesso il 13 dicembre 2014, dovendosi computare il termine massimo complessivo di anni sette e mesi sei, giungendosi così al 13 giugno 2022, data precedente alla pronuncia della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
La prima doglianza formulata nell’interesse del ricorrente COGNOME è inammissibile, perché diretta a sollecitare una rivisitazione del quadro istruttorio, a fronte di una motivazione delle sentenze di primo e secondo grado che deve essere ritenuta pienamente logica e coerente.
La difesa trascura sostanzialmente i dati univoci emergenti dall’accertamento svolto dalla polizia giudiziaria, da cui risulta con chiarezza la piena consapevolezza dell’imputato rispetto all’illiceità dell’attività svolta proprio in relazio bookmaker indicato nell’imputazione, ampiamente pubblicizzato da cartelloni all’interno del locale, con più computer aperti proprio sul sito della piattaforma di tale operatore. Inoltre, sono stati correttamente valorizzati in chiave accusatoria l’unicità del conto-gioco e il rinvenimento di bloc-notes e quadernoni con cifre pagate o da pagare, attraverso la collaborazione di diversi soggetti i cui nominativi sono indicati, e con la sostanziale confessione dell’imputato, il quale ha dichiarato di essere anche in via di fatto il gestore dell’esercizio commerciale e ha confermato che il computato Bivona era un soggetto che si trovava al box cassa per una breve sostituzione. Del tutto inverosimile e, dunque, controproducente sia per Trentuno che per Bivona è la prospettazione difensiva secondo cui quest’ultimo sarebbe un cliente e non un sostanziale dipendente del centro scommesse, trattandosi di un soggetto che aveva accesso alla cassa e che operava, quale collaboratore, sul registro della contabilità illecita.
Generica è la seconda doglianza formulata nell’interesse dell’imputato COGNOME perché basata sulla mera enumerazione delle condizioni teoriche di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., a fronte di una motivazione della sentenza impugnata da cui emerge che la particolare tenuità del fatto deve essere esclusa per la presenza di un’organizzazione di attività particolarmente strutturata, con diversi computer, con una indefinita platea di clienti, con l’istituzione di un contabilità illecita, con la collaborazione di più soggetti.
Manifestamente infondato è il ricorso proposto nell’interesse di Bivona, basato sulla mera asserzione dell’avvenuta prescrizione dell’illecito. A fronte dì un reato commesso il 13 dicembre 2014, deve essere computato il termine complessivo di sette anni e sei mesi, derivante dall’applicazione degli artt. 157 primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., nel testo vigente ratione temporis, giungendosi così alla data del 13 giugno 2022. Devono poi essere aggiunti complessivi 885 giorni di sospensione della prescrizione risultanti dai verbali di udienza – non presi in considerazione dalla difesa neanche a fini di critica – giungendosi così alla data finale del 14 novembre 2024.
Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2024.