Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6426 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6426 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/11/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che COGNOME NOME – condannato in primo e secondo grado, per il reato di cui all’art. 4, commi 1 e 4-bis, della legge n. 401 del 1989, perché svolgeva attività organizzata al fine di accettare e raccoglieva per via telematica scommesse per conto del bookmaker Virtual Sport Player, pur essendo privo delle necessarie autorizzazioni – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione in relazione al ritenuto svolgimento di attività aperta al pubblico, avendo l’accusa illegittimamente invertito l’onere della prova circa la chiusura o meno dei locali e non essendosi considerate le testimonianze di COGNOME e COGNOME, i quali avevano riferito di lavori in corso, né il fatto che, al momento della verifica, non era entrato alcuno avventore, non era stato ritrovato denaro in cassa e i computer erano spenti;
che, in particolare, la valorizzazione del numero delle ricevute rinvenute costituisce una forzatura, in mancanza di una valutazione del malfunzionamento dell’impianto, tale che dette ricevute fossero riferibili ad una verifica in tal senso e non a scommesse effettivamente riscosse;
che, in secondo luogo, si denunciano la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e il vizio motivazionale in relazione al rinvenimento delle ricevute nel cestino del locale, ribadendo che le stesse avrebbero dovuto costituire un mero indizio, in mancanza di avventori e di apparecchiature accese;
che, in terzo luogo, si lamenta la violazione della norma incriminatrice, non essendosi verificate le ragioni della mancanza di autorizzazione in capo al bookmaker Virtual Sport Player, né la natura di mero Internet point del centro gestito dall’imputato, non ancora operativo ma da avviare con regolare autorizzazione, come ricavabile da quanto dichiarato dal testimone COGNOME;
che, con una quarta censura, si lamenta la violazione dell’art. 131-bis cod. pen., pur in presenza: di locali non aperti al pubblico, dell’esistenza di lavori in corso incompatibili con l’attività, di ricevute quale prodotto di verifiche di funzionalità dell’impianto e non di scommesse, dell’esistenza di una documentazione inerente alla programmata attività di Internet point, del numero ridotto delle ricevute, della natura privatistica del circolo, del rinvenimento al momento del controllo di apparecchiature spente, della mancanza di avventori;
che la difesa ha depositato memoria con la quale ribadisce quanto già dedotto.
Considerato che i primi due motivi di doglianza sono inammissibili, perché riproduttivi di censure già adeguatamente vagliate dalla Corte di appello, basate su una ricostruzione alternativa dei fatti, nonché privi di concreti riferimenti critic alla motivazione impugnata;
che, in ogni caso, la Corte di merito (pagg. 3-4 della sentenza impugnata) ha direttamente smentito la sussistenza o la rilevanza degli elementi dedotti dalla difesa, evidenziando che: a) il locale non era chiuso o interessato da interventi di ristrutturazione, non rilevandosi lavori in corso dalle fotografie scattate in occasione del sopralluogo, nonché in base alle testimonianze di COGNOME e COGNOME; b) sia la documentazione prodotta dalla difesa sia le testimonianze di COGNOME e COGNOME collocano i pretesi lavori in un momento precedente; c) la circostanza che al momento del sopralluogo i computer fossero spenti e non vi fossero avventori è irrilevante, perché l’esercizio di scommesse non autorizzate è provato dalla documentazione in atti e dalla prova testimoniale; d) del tutto congetturale è la giustificazione circa il rinvenimento delle ricevute nei cestini, in presenza di un numero rilevante di esse, assolutamente sproporzionato rispetto alla dedotta esigenza di verifica dell’impianto;
che, quanto al secondo motivo, del tutto congetturali risultano le censure difensive circa la situazione del bookmaker straniero e circa la pretesa volontà di aprire un Internet point, non avendo il ricorrente neanche dedotto di avere richiesto la necessaria autorizzazione per la raccolta di scommesse evidentemente svolta già al momento del sopralluogo;
che, quanto al diniego dell’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., la Corte d’appello correttamente evidenzia la gravità del fatto, in presenza di ben 43 ricevute rilasciate nell’arco di tre giorni, non assumendo rilievo contrario il dato, meramente formale, del fatto che si trattasse di un club riservato ai soci.
che, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.