Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29469 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Data Udienza: 30/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME CASA
Sent. n. sez. 1935/2025
CC – 30/05/2025
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
nel procedimento a carico di:
avverso l’ordinanza del 12/03/2025 del GIP Tribunale di Milano;
vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
In estrema sintesi, premesso che la pena complessiva da eseguire Ł stata determinata in 4 anni, 7 mesi e 20 giorni, il PM, anche in riferimento al residuo da scontare, ha dato atto della esistenza nel cumulo di un reato ostativo (art. 73 aggravato ex art. 80 d.P.R. n. 309/90), con correlato divieto di sospensione del titolo esecutivo ai sensi dell’art. 659, comma 9, lett. a), cod. proc. pen.
Il G.E. – in sede di incidente di esecuzione introdotto dalla difesa – tuttavia ha osservato che la pena inflitta per il reato ricompreso nell’elenco di cui all’art. 4bis ord. pen. Ł quella di anni uno, in aumento per continuazione, posto che la circostanza aggravante (che comporta l’attrazione del reato nel perimetro applicativo dell’art. 4bis ord. pen.) Ł stata ritenuta sussistente solo per la droga leggera e non anche per la droga cd. pesante.
Dunque, il reato posto a base del reato continuato Ł quello di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309/90, non ostativo.
Da ciò deriva la considerazione del G.E. per cui – in ragione del generale principio dello scioglimento del cumulo nei casi in cui da tale operazione può derivare un effetto favorevole al condannato – la pena ancora da scontare non riguarda piø alcun reato ostativo (essendovi un periodo di fungibilità superiore alla quota imputabile a detto reato).
Viene pertanto ‘imputato’ il periodo di custodia cautelare sofferto al reato-satellite, in
quanto ostativo, con sospensione dell’efficacia dell’ordine di carcerazione.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero territoriale. Il ricorso Ł affidato ad un’ampia premessa in diritto cui fa seguito una deduzione di erronea applicazione di legge e di vizio di motivazione.
Secondo il PM impugnante, in sintesi: a) il principio giurisprudenziale della cd. scindibilità del cumulo, in presenza di una pena articolata e composita, non può trovare applicazione in riferimento alla disciplina di legge di cui all’art. 656 cod. proc. pen., il cui destinatario Ł il Pubblico Ministero e pertanto la presenza nel titolo di un reato ricompreso nell’elenco di cui all’art. 4bis ord. pen. impone di porre in esecuzione il decreto di cumulo in quanto tale, in virtø del principio della pena unica; b) non sarebbe esatta l’affermazione del G.E. secondo cui l’indirizzo interpretativo nomofilattico sarebbe univoco nella opposta direzione, essendovi pronunzie di segno contrario che vengono indicate nell’atto di ricorso (tra cui, in particolare, Sez. 1, n. 23882 del 2021).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato per le ragioni che seguono.
Il collegio in via di principio ritiene di aderire all’orientamento interpretativo espresso da Sez. 1, n. 23902 del 2013, Rv. 256139 (e successive conformi non massimate che verranno citate in seguito), ove si Ł ritenuto che il principio generale della scindibilità del cumulo derivante dall’arresto Sez. Unite Ronga del 1999 – debba trovare applicazione anche nelle ipotesi disciplinate dall’art. 656 cod. proc. pen.
In detto arresto si Ł affermato, con particolare chiarezza, che in linea di principio il cumulo delle pene, materiale o giuridico che sia, da luogo alla determinazione di una pena unica ad ogni effetto giuridico, con la costituzione all’atto dell’espiazione di un rapporto esecutivo unitario perchØ riferito a tutte le condanne riportate e non singolarmente a ciascuna o ad alcune di esse. A mitigare gli effetti pregiudizievoli di tale considerazione Ł intervenuta la giurisprudenza di questa Corte, che sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 14 del 30/6/1999, COGNOME, Rv. 214355, ha risolto la questione in punto di diritto, che aveva dato luogo ad un contrasto fra orientamenti interpretativi differenti, relativa alla possibilità di intervenire in sede esecutiva sul cumulo delle pene, che, sia in caso di cumulo materiale, derivante da provvedimento di unificazione di pene concorrenti ai sensi dell’art. 663 c.p.p., che di cumulo giuridico, effetto dell’applicazione della continuazione o del riconoscimento del concorso formale di reati, pur dando luogo ad un rapporto esecutivo unitario, avente ad oggetto l’espiazione di sanzione divenuta unica, può essere sciolto quando tale operazione sia propedeutica all’applicazione di benefici penitenziari o comunque di istituti che producano effetti a vantaggio del condannato. . La pronuncia delle Sezioni Unite ha recepito quanto affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 361 del 27/7/1994, con la quale, si Ł precisato che la disposizione di cui all’art. 4bis ord. pen. , per essere aderente al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., va interpretata nel senso della concedibilità delle misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla disposizione stessa, se essi abbiano già espiato per intero la pena per detti reati e stiano eseguendo pene per reati meno gravi, il cui titolo non impedisce l’accesso agli istituti penitenziari alternativi alla carcerazione.Si devedunque ritenereche il principio di scindibilità del cumulo debba trovare applicazione, in assenza di precisi argomenti giuridici contrari, anche con riferimento all’istituto della sospensione dell’esecuzione delle pene brevi prevista dall’art. 656 c.p.p., finalizzato ad evitare l’ingresso in carcere del condannato in attesa dell’eventuale richiesta di applicazione di misura alternativa e della relativa
decisione del Tribunale di Sorveglianza, come già affermato da questa Corte in taluni arresti (Cass., sez. 1^, n. 22479 del 16/4/2002, COGNOME, rv. 222524; sez. 1^, n. 24981 del 31/5/2005, COGNOME, rv. 231667), quando dal riscontro sulla già avvenuta espiazione di una pena, ricompresa nel cumulo materiale, e dalla possibilità di riferirla a quella comminata per uno dei reati indicati nell’art. 656 c.p.p., comma 9, discenda l’esclusione dell’impedimento, stabilito dalla stessa disposizione di legge, all’ammissione del condannato della sospensione e la sua immediata liberazione .
Si tratta di una motivazione in diritto che il Collegio condivide, sia pure con le precisazioni che seguiranno, correlate alla particolarità del caso oggetto del presente procedimento.
Le ipotizzate decisioni contrarie o sono – in realtà – riferibili ad un tema diverso o sono da ritenersi non condivisibili.
In particolare, la prospettazione del Pubblico Ministero impugnante allude ad una possibile diversità di ambito tra i compiti spettanti al Pubblico Ministero in sede di formazione del cumulo (art. 656 cod. proc. pen.) e quelli spettanti alla autorità giurisdizionale deputata ad applicare le misure alternative alla detenzione.
Solo nel secondo caso si applicherebbe il principio – di origine giurisprudenziale – della scissione del cumulo e non anche nel primo, data la sostanziale natura amministrativa dell’operato del Pubblico Ministero.
La tesi, pur suggestiva, non Ł condivisibile.
Sin dal 2011 questa Corte di legittimità (v. Sez. I n. 36007 del 17.6.2011) ha reso stabile l’orientamento interpretativo, mai piø messo in dubbio e già affacciatosi nell’anno 1999 (orientamento da cui nasce l’odierna decisione del g.e.) per cui sussiste la competenza a provvedere del giudice dell’esecuzione lì dove il condannato intenda formulare doglianze relative alla mancata sospensione dell’ordine di carcerazione emesso dal Pubblico Ministero nelle ipotesi previste dall’art. 656 cod. proc. pen.
Ciò perchØ, in tal caso, il giudice della esecuzione Ł investito esclusivamente della questione concernente l’eventuale transitoria inefficacia del titolo esecutivo (valutabile ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., sia pure in modo atipico perchØ il giudizio riguarda la mera eseguibilità e non la esistenza del titolo) e ferme restando le valutazioni spettanti al Tribunale di Sorveglianza in tema di ammissione o meno alle misure alternative alla detenzione.
Dunque, se il provvedimento di cumulo, pur avendo tendenziale natura amministrativa Ł «giustiziabile» attraverso l’incidente di esecuzione, Ł evidente che il Pubblico Ministero ed il Giudice dell’esecuzione devono parlare la stessa lingua ed applicare i medesimi principi di diritto, dovendosi assicurare la parità di trattamento di situazioni analoghe, cardine del nostro sistema costituzionale.
Del resto, pur se l’ultima decisione oggetto di massimazione sul tema Ł, come si Ł detto, la citata sentenza emessa nel 2013 n. 23902, il principio di diritto per cui anche ai fini di cui all’art. 656 cod. proc. pen. va applicata la regola della cd. scissione del cumulo Ł stato ribadito da decisioni piø recenti, non massimate : a) Sez. 1, n. 35390 del 18/02/2019; b) Sez. 1, n. 10024 del 21/12/2022, dep. 2023; c) Sez. 1, n. 51412 del 2023.
Si tratta di un principio piø volte ribadito da questa Corte di legittimità anche, ad esempio, nella ipotesi della cd. liberazione anticipata speciale, ove pure si Ł posto un problema di identificazione del condannato in espiazione per un delitto di cui all’art. 4bis ord. pen. In tale ambito Ł stato affermato – a partire da Sez. 1 n. 3130/2015 (ud. 19/12/2014, Rv. 262062) che la disciplina dell’art. 4bis della legge di ordinamento penitenziario non ha
creato uno status di “detenuto pericoloso” che permea di sØ l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna, concretamente in esecuzione, per cui la verifica della sussistenza della condizione ostativa alla liberazione anticipata speciale, prevista dall’art. 4 D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni con legge 21 dicembre 2014, n. 10 – costituita dall’essere il richiedente condannato per taluno dei delitti indicati dall’art. 4bis ord. pen., deve essere effettuata individuando il titolo di reato effettivamente in espiazionenel periodo in relazione a cui Ł chiesto il beneficio , con la conseguente necessità, a tal fine, di procedere all’eventuale scioglimento del cumulo materiale o giuridico (in tal senso v. anche Sez. 1, n. 53781/2014, Rv. 261582; Sez. 1 n. 1655/2015, Rv. 261986 ed ulteriori conformi).
In sostanza, sulla scorta della citata decisione della Corte Costituzionale del 1994, le Sezioni Unite di questa Corte con la evidenziata decisione n. 14 del 30/06/1999, COGNOME , hanno elevato il criterio dello ‘scioglimento del cumulo’ a principio generale del sistema della esecuzione della pena – lì dove vengano eseguite pene distinte ma concorrenti ai sensi degli artt. 76 e 80 cod. pen. – posto che tale istituto si fonda sulla necessità di «scomposizione» del provvedimento di determinazione delle pene concorrenti emesso per reati tra loro diversi e consente di realizzare l’accesso ai benefici penitenziari lì dove risulti scontata la «frazione» di pena relativa al cd. «reato ostativo».E’ evidente, infatti, che le disposizioni che limitano l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario o dal codice di rito non possono avere – per quanto sinora detto – portata generalizzante in rapporto all’intera fase esecutiva,ma vanno limitate alla «frazione» del rapporto esecutivo che vede il soggetto in questione in una condizione di espiazione di «quella pena», derivante dal reato ostativo, contenuta nella norma di riferimento.Lì dove la detta frazione di pena sia stata interamente scontata il rapporto esecutivo esiste, ma in riferimento alle frazioni di pena imputabili afattispeciediverse ed in tal caso il soggetto riacquista appieno le facoltà e i benefici che la legge riconosce al condannato, nei limiti della ragionevolezza.
In senso contrario, non risulta condivisibile la indicazione fornita dal PM impugnante dei contenuti di Sez. 1 n. 23882 del 5/05/2021, in chiave antagonista all’orientamento sin qui rievocato. Ed invero in detta sentenza vero Ł che si realizza, in un passaggio argomentativo, una distinzione tra i poteri/doveri del Pubblico Ministero e quelli del Giudice dell’Esecuzione, affermando che soltanto il secondo sarebbe tenuto ad applicare il principio giurisprudenziale dello scioglimento del cumulo,con prevalenza – per il PM – del principio della unicità del rapporto esecutivo, ma si tratta per la verità : a) di un obiter dictum , posto che l’oggetto della decisione riguarda, in realtà, la condizione del latitante, condizione che viene ritenuta ostativa alla sospensione del decreto di cumulo; b) di una affermazione non condivisibile, per le ragioni già esposte in precedenza.
In effetti le altre decisioni di legittimità indicate tanto dal PM ricorrente che dal Procuratore Generale non riguardano il tema specifico ma temi correlati (ad esempio Ł del tutto pacifico che il rinvio di cui al 656, comma 9, riguarda il catalogo dei reati e non anche il meccanismo di applicazione della norma di cui all’art. 4bis ord. pen.).
Dunque va ribadito il principio di diritto secondo cui la disposizione di cui all’articolo 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. nella parte in cui formula il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti dei «condannati per i delitti di cui all’art. 4bis legge n. 354 del 1975» intende affermare che la sospensione non può essere accordata in riferimento alla esistenza – in concreto- di una pena residua che ricomprenda almeno uno dei reati inseriti nell’elenco. Lì dove, tuttavia, la pena inflitta per il reato ricompreso nell’elenco – salve le precisazioni che si diranno – risulti già integralmente espiata, per
effetto della fungibilità, occorre sciogliere il cumulo e ritenere che il condannato sia affrancato dalla ostatività, dunque, la sospensione potrà essere concessa ove l’entità della pena da scontare lo consenta e non sussistano altre ipotesi da cui la legge faccia derivare un divieto di sospensione.
Tutto ciò posto, resta da prendere in esame la particolare condizione del COGNOME, atteso che nel caso concreto il reato ostativo Ł stato «degradato» a reato satellite, con limitata incidenza nella commisurazione della pena.
Ad avviso del Collegio, si tratta di un caso particolare, proprio in ragione della avvenuta configurazione quale reato piø grave commesso dal Pesapane del reato – non ostativo – di detenzione a fini di spaccio di droga pesante. Non vi Ł dubbio che una simile ipotesi – in questo si concorda con il PM ricorrente – la condizione soggettiva di pericolosità del condannato, pur se riferibile ad un reato meno grave, deve essere rapportata – quantomeno ai fini di cui all’art. 656 cod. proc. pen. – anche al reato principale, nel caso in esame rappresentato da quello previsto dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, trattandosi peraltro di fattispecie del tutto omogenee tra loro (entrambi reati in tema di stupefacenti). Sotto tale profilo, può effettivamente ritenersi che il meccanismo sospensivo non possa operare, in ragione del fatto che la pena prevista per il reato ostativo, in questo particolare caso, va intesa come comprensiva di quella inflitta per il reato piø grave, ai fini di cui all’art. 656 cod. proc. pen.
Il provvedimento impugnato va pertanto annullato senza rinvio con restituzione degli atti al Pubblico Ministero.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
Così Ł deciso, 30/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME