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Scarico reflui industriali: quando è reato penale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di scarico reflui industriali nei confronti dei gestori di un’azienda agricola. La sentenza chiarisce che la presenza di un sistema stabile di collettamento per lo smaltimento di deiezioni animali, anche senza prova di un danno ambientale concreto, integra il reato. Il ricorso degli imputati, che sostenevano si trattasse di un mero spandimento per fini agricoli e contestavano il diniego delle attenuanti, è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scarico Reflui Industriali: Quando le Deiezioni Animali Diventano Reato

La gestione delle deiezioni animali in agricoltura rappresenta un confine sottile tra pratica agronomica lecita e illecito penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 9474/2024) ha fornito chiarimenti cruciali su quando lo smaltimento di liquami zootecnici configuri il reato di scarico reflui industriali. La Corte ha stabilito che l’elemento determinante è la presenza di un “sistema stabile di collettamento”, a prescindere dall’effettiva causazione di un danno ambientale. Approfondiamo l’analisi di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna inflitta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a tre soggetti per la contravvenzione prevista dall’art. 137 del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale). Inizialmente, l’accusa era ben più grave: inquinamento ambientale ai sensi dell’art. 452-bis del codice penale. Tuttavia, il Tribunale ha riqualificato il fatto, accertando che la condotta consisteva in uno scarico non autorizzato di reflui provenienti da un’azienda agricola.

Agli imputati veniva contestato di aver smaltito i liquami zootecnici attraverso un sistema che li convogliava in canali e, infine, al mare, senza possedere la necessaria autorizzazione.

I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva sullo Scarico Reflui Industriali

Due degli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, basando le loro difese su argomenti distinti.

Un ricorrente ha sostenuto la totale mancanza di prova del reato. A suo dire, non esisteva un sistema di tubature stabili; lo smaltimento avveniva tramite pompe mobili azionate da trattori per lo spandimento sui terreni a scopo di fertilizzazione. Tale condotta, secondo la difesa, avrebbe potuto al massimo integrare un illecito amministrativo (per aver effettuato lo spandimento in un periodo non consentito), ma non il reato di scarico, che presuppone un sistema fisso di canalizzazione.

L’altro ricorrente ha invece lamentato la contraddittorietà della sentenza nel negargli le circostanze attenuanti generiche. Il Tribunale aveva giustificato il diniego con la gravità della condotta e il pericolo per l’ambiente, pur avendo ammesso, in un’altra parte della sentenza, che non era emersa una prova concreta del danno ambientale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando la condanna.

In primo luogo, i Giudici hanno respinto le argomentazioni relative alla natura dello smaltimento. La Cassazione ha chiarito che la valutazione sull’esistenza di un “sistema stabile di collettamento” è una questione di fatto, già accertata dal Tribunale. Le contestazioni del ricorrente, che insistevano sull’uso di apparecchiature mobili, si risolvevano in un tentativo di riesaminare il merito della prova, inammissibile in sede di legittimità. Il Tribunale aveva correttamente individuato la presenza di un sistema che, senza soluzione di continuità, collegava il ciclo di produzione dei reflui con il corpo recettore finale. Questa caratteristica è sufficiente a qualificare la condotta come scarico reflui industriali ai sensi dell’art. 74 del Testo Unico Ambientale.

In secondo luogo, la Corte ha smontato la presunta contraddizione sul diniego delle attenuanti. La sentenza ha spiegato la differenza fondamentale tra il delitto di inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.), che è un reato di danno e richiede la prova di un deterioramento significativo dell’ambiente, e la contravvenzione di scarico non autorizzato (art. 137 D.Lgs. 152/2006), che è un reato di pericolo. Per quest’ultimo, non è necessario dimostrare un danno effettivo; è sufficiente la messa in pericolo del bene protetto, ovvero l’ambiente. Pertanto, il Tribunale non è stato contraddittorio nell’affermare, da un lato, l’assenza di prova di un danno conclamato e, dall’altro, l’esistenza di un “serio pericolo per l’ambiente” derivante dall’alta concentrazione di sostanze inquinanti, tale da giustificare il diniego delle attenuanti.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale in materia di reati ambientali: la distinzione tra l’attività lecita di fertilizzazione e quella illecita di scarico dipende dalle modalità operative. La presenza di un sistema stabile di canalizzazione che convoglia i reflui verso un corpo recettore trasforma lo smaltimento delle deiezioni animali in un reato di scarico reflui industriali. Inoltre, viene confermato che tale reato, essendo di pericolo, non richiede la prova di un danno ambientale effettivo, essendo sufficiente la potenziale lesività della condotta per l’ecosistema. Questa decisione rappresenta un monito per le aziende del settore agricolo sulla necessità di adottare pratiche di gestione dei reflui pienamente conformi alla normativa, per evitare di incorrere in gravi conseguenze penali.

Quando lo smaltimento di deiezioni animali da un allevamento diventa reato di scarico illecito?
Diventa reato quando viene effettuato tramite un sistema stabile di collettamento che collega, senza soluzione di continuità, il ciclo di produzione dei reflui con il corpo ricettore (acque superficiali, suolo, ecc.), integrando così la definizione di ‘scarico’ prevista dalla legge.

È necessario dimostrare un danno ambientale concreto per essere condannati per scarico di acque reflue industriali?
No. La sentenza chiarisce che si tratta di un ‘reato di pericolo’. Per la condanna è sufficiente l’esistenza di uno scarico non autorizzato che crei un serio pericolo per l’ambiente, anche in assenza di una prova certa di un danno già verificatosi.

Perché la Corte ha negato le attenuanti generiche pur in assenza di un danno ambientale accertato?
La Corte ha ritenuto la decisione del Tribunale corretta perché, pur non essendo stato provato un danno effettivo (necessario per il più grave reato di inquinamento ambientale), era stata rilevata un’alta concentrazione di sostanze potenzialmente inquinanti. Questo ‘serio pericolo per l’ambiente’ è stato considerato sufficiente a giustificare il diniego delle attenuanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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