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Scarico non autorizzato: quando è reato ambientale?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di scarico non autorizzato a carico dell’amministratore di una società di trasporti. La sentenza chiarisce che lo sversamento di acque derivanti dal lavaggio di automezzi industriali in fognatura pubblica, senza permesso, costituisce reato ambientale anche se lo scarico è solo periodico o non attivo al momento dell’ispezione. È stato inoltre ribadito che le acque piovane, una volta entrate in contatto con sostanze inquinanti, sono a loro volta considerate reflui industriali e necessitano di autorizzazione per essere scaricate.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scarico non autorizzato: anche se intermittente è reato

Lo scarico non autorizzato di acque reflue industriali in fognatura pubblica costituisce un reato ambientale, anche se avviene in modo discontinuo o non è in atto al momento del controllo. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza n. 688 del 2024, respingendo il ricorso di un imprenditore e fornendo importanti chiarimenti sulla configurabilità dei reati ambientali.

Il caso in esame

Il legale rappresentante di una società operante nel settore del trasporto di rifiuti speciali pericolosi era stato condannato per il reato previsto dall’art. 137 del Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006). L’accusa era quella di aver scaricato, senza autorizzazione, le acque reflue prodotte dal lavaggio degli automezzi aziendali. Tali acque, considerate industriali, venivano immesse in canalizzazioni destinate alle acque meteoriche e, infine, nella fognatura pubblica.

La condanna si basava su accertamenti che avevano rivelato la presenza di un piccolo impianto di depurazione di tipo industriale, attivo e funzionante, collegato a un sistema di canalizzazione che confluiva nella rete fognaria pubblica, il tutto in assenza della prescritta Autorizzazione Unica Ambientale (AUA).

I motivi del ricorso

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a due motivi principali:
1. Vizio di motivazione: Secondo la difesa, la condanna si basava su presunzioni e non su prove concrete. Non sarebbe stata dimostrata un’effettiva attività di scarico illecito, sostenendo inoltre che la società si fosse attivata per adempiere alle normative vigenti.
2. Violazione di legge: La difesa ha sostenuto che l’attività dell’azienda non necessitasse di un impianto di lavaggio, poiché i mezzi, in base alla normativa ADR sul trasporto di merci pericolose, rientrerebbero già puliti e decontaminati. L’esistenza di una griglia di raccolta sul piazzale sarebbe stata interpretata erroneamente dagli inquirenti.

Scarico non autorizzato: l’analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la solidità della decisione del tribunale, basata su elementi oggettivi e non su mere ipotesi.

La natura industriale delle acque di lavaggio

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: le acque provenienti dal lavaggio di automezzi utilizzati per attività industriali, in particolare per il trasporto di rifiuti pericolosi, sono a tutti gli effetti “acque reflue industriali”. Queste non possono essere assimilate alle acque domestiche e, di conseguenza, il loro scarico necessita di una specifica autorizzazione. Anche le acque meteoriche, una volta entrate in contatto con le sostanze inquinanti presenti su un piazzale industriale (come residui di lavorazioni o perdite dai veicoli), perdono la loro natura originaria e vengono classificate come reflui da trattare.

L’irrilevanza della discontinuità dello scarico

Un punto cruciale della sentenza riguarda la natura del reato. Per configurare lo scarico non autorizzato, non è necessario che lo sversamento sia continuo o che venga colto in flagranza. È sufficiente l’esistenza di un sistema di collegamento stabile tra l’impianto di produzione del refluo (in questo caso, l’area di lavaggio) e il corpo recettore finale (la fognatura pubblica). La Corte ha specificato che il reato sussiste anche in presenza di uno scarico “periodico o discontinuo”. L’irrilevanza che l’impianto non fosse in funzione al momento del sopralluogo è stata sottolineata, poiché la presenza di un sistema funzionante e di acque nelle vasche compatibili con l’attività di lavaggio costituiva prova sufficiente di un pregresso versamento.

I limiti del giudizio di Cassazione

Infine, la Corte ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti e le prove, ma di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata. Le argomentazioni della difesa sono state considerate un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di proporre una ricostruzione alternativa dei fatti, già adeguatamente valutati dal giudice di merito.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione netta tra il controllo di legittimità e il giudizio di merito. Il ricorso è stato giudicato generico perché non ha affrontato criticamente le specifiche argomentazioni della sentenza di primo grado, limitandosi a riproporre le stesse doglianze. La sentenza impugnata, al contrario, aveva costruito la propria decisione su elementi di prova oggettivi e non ipotetici, come le annotazioni di polizia giudiziaria e i verbali di accertamento tecnico. La Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente applicato la normativa e la giurisprudenza consolidata, in particolare nel qualificare le acque di lavaggio come reflui industriali e nel ritenere sufficiente, per la configurabilità del reato, la predisposizione di un sistema di scarico abusivo, a prescindere dalla sua operatività al momento del controllo.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce la rigorosa interpretazione della normativa ambientale in materia di scarichi idrici. Per le imprese, emerge un chiaro monito: qualsiasi attività, anche accessoria come il lavaggio di automezzi, che produca acque reflue potenzialmente inquinate, deve essere regolarmente autorizzata. La semplice predisposizione di un sistema di scarico illecito, anche se utilizzato solo occasionalmente, è sufficiente a integrare il reato, con tutte le conseguenze penali e amministrative che ne derivano. È quindi fondamentale per le aziende una mappatura completa di tutti i propri scarichi e la verifica della loro conformità normativa.

Lo scarico di acque di lavaggio di automezzi industriali è considerato uno scarico industriale?
Sì. La sentenza chiarisce che le acque reflue prodotte dal lavaggio di veicoli utilizzati per attività industriali, come il trasporto di rifiuti pericolosi, sono classificate come “acque reflue industriali” e non possono essere assimilate a quelle domestiche. Pertanto, il loro scarico richiede una specifica autorizzazione.

Perché si configuri il reato di scarico non autorizzato, è necessario che lo sversamento sia continuo o in atto al momento del controllo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che per la configurabilità del reato è sufficiente che lo scarico sia anche solo periodico o discontinuo. L’esistenza di un collegamento stabile e funzionante tra la fonte dell’inquinamento e il corpo recettore finale (es. la fognatura) è di per sé sufficiente, rendendo irrilevante che l’impianto sia o meno attivo al momento del sopralluogo.

Le acque piovane che si mescolano con sostanze inquinanti in un piazzale industriale possono essere scaricate liberamente?
No. La sentenza ribadisce il principio secondo cui le acque meteoriche di dilavamento, nel momento in cui entrano in contatto con sostanze inquinanti o pericolose presenti su una superficie, diventano a loro volta un veicolo di inquinamento. Di conseguenza, non possono più essere considerate semplici acque meteoriche e il loro scarico deve essere autorizzato e trattato come un refluo industriale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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