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Scambio elettorale: quando non è reato per la Cassazione

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del PM contro l’ordinanza che negava la custodia cautelare per un indagato di scambio elettorale politico-mafioso. Manca la prova dell’uso del metodo mafioso per raccogliere i voti, requisito essenziale del reato.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio Elettorale Politico-Mafioso: La Cassazione Fissa i Paletti

Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, disciplinato dall’articolo 416-ter del codice penale, rappresenta uno dei punti di contatto più critici tra criminalità organizzata e politica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19412 del 2025, offre un’importante chiave di lettura sui requisiti necessari per configurare tale delitto, sottolineando la necessità di provare l’impiego del ‘metodo mafioso’ nel procacciamento dei voti.

La Vicenda Giudiziaria: Dal Tribunale alla Cassazione

Il caso nasce da un’indagine della Procura della Repubblica presso il Tribunale di una città del Sud Italia, che aveva richiesto l’applicazione della custodia cautelare in carcere per un soggetto indagato per due episodi di scambio elettorale politico-mafioso. Secondo l’accusa, l’indagato avrebbe agito come garante e realizzatore di un patto illecito volto a raccogliere voti per alcuni candidati politici.

Tuttavia, il Tribunale del Riesame aveva rigettato l’appello del Pubblico Ministero, escludendo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. La Procura ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea valutazione degli elementi indiziari e un’illogicità nella motivazione del provvedimento impugnato.

Le Doglianze del Pubblico Ministero

Il Pubblico Ministero ricorrente ha articolato diverse censure contro la decisione del Tribunale. Tra i punti principali, ha sostenuto che:

* La motivazione del Tribunale era solo ‘apparente’, in quanto non aveva adeguatamente considerato la capacità delle cosche di influenzare le competizioni elettorali.
* Era stata erroneamente esclusa l’appartenenza di figure chiave all’associazione mafiosa, svalutando il loro ruolo di mediatori con i candidati.
* Il Tribunale aveva frazionato il materiale probatorio, omettendo di valutare conversazioni intercettate decisive e interpretando in modo alternativo il ruolo degli indagati.
* Infine, era stata erroneamente richiesta la prova che le ‘utilità’ promesse andassero a beneficio dell’intera associazione mafiosa e non solo a vantaggio personale dei singoli.

L’Analisi della Cassazione sullo scambio elettorale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo un tentativo di ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti. Nel farlo, ha però ribadito principi giuridici fondamentali in materia di scambio elettorale politico-mafioso.

Il punto centrale della decisione ruota attorno alla necessità di provare che l’accordo illecito contempli l’uso del metodo mafioso per la raccolta dei consensi. La Corte distingue due scenari:

1. Azione per conto del clan: Se il soggetto che promette i voti agisce per conto e nell’interesse dell’intera consorteria mafiosa, il ricorso al metodo intimidatorio tipico del clan si considera ‘immanente’, cioè implicito nell’accordo stesso. La forza intimidatrice dell’associazione è la vera ‘merce’ di scambio.
2. Azione uti singulus: Se, invece, il soggetto, pur essendo intraneo a un’associazione mafiosa, agisce per un interesse prevalentemente personale (uti singulus), non è sufficiente provare l’accordo. È necessario dimostrare che l’intesa prevedeva specificamente l’attuazione o la programmazione di un’attività di raccolta voti attraverso il metodo mafioso.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva concluso, con una motivazione ritenuta logica dalla Cassazione, che gli indagati avevano agito per perseguire interessi personali e politici, senza che emergesse la prova di un concreto coinvolgimento della cosca e, soprattutto, dell’impiego del suo potere intimidatorio.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha confermato la coerenza della decisione del Tribunale, che aveva escluso i gravi indizi di colpevolezza in assenza di elementi concreti sull’impiego del metodo mafioso. Il semplice impegno di un soggetto, anche se con un passato politico opaco e relazioni personali discutibili, a promuovere un candidato non è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di reato dell’art. 416-ter c.p.

La motivazione del rigetto si fonda sull’indirizzo maggioritario della stessa Corte, secondo cui, soprattutto dopo le modifiche legislative del 2019, per la configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso è indispensabile che il programma illecito includa la promessa di acquisire il consenso tramite le modalità tipiche dell’associazione mafiosa, ossia la forza dell’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: per condannare per scambio elettorale politico-mafioso non basta un patto tra un politico e un soggetto legato a un clan. È necessario che l’oggetto di tale patto sia proprio la ‘vendita’ del potere di intimidazione del clan per orientare il voto. Quando questa prova manca, e l’azione appare mossa da interessi individuali, anche se illeciti, il reato specifico previsto dall’art. 416-ter del codice penale non può dirsi configurato, pur potendo sussistere altre fattispecie criminose. La decisione chiarisce quindi i confini applicativi di una norma cruciale per il contrasto alle infiltrazioni mafiose nella vita democratica del Paese.

Quando un accordo per ottenere voti integra il reato di scambio elettorale politico-mafioso?
Secondo la sentenza, il reato si configura quando l’accordo illecito non si limita alla promessa di voti in cambio di utilità, ma contempla specificamente l’attuazione o la programmazione di una campagna elettorale condotta con ‘metodo mafioso’, ovvero tramite intimidazione.

Se chi promette i voti è un membro di un’associazione mafiosa, l’uso del metodo mafioso è sempre presunto?
No. La Corte chiarisce che il ricorso al metodo mafioso è considerato implicito solo quando il soggetto agisce per conto e nell’interesse dell’intera associazione. Se agisce uti singulus, ovvero per un interesse personale, è necessario provare che l’accordo prevedeva esplicitamente l’uso di tali metodi intimidatori.

Cosa ha stabilito la Corte Suprema riguardo al ricorso del Pubblico Ministero?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e perché le motivazioni del Tribunale che ha escluso i gravi indizi di colpevolezza non erano né illogiche né giuridicamente errate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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