Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15772 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15772 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Ercole COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 157/2025
NOME COGNOME
UP – 04/02/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 18637/2024
NOME COGNOME
Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore generale presso Corte d’appello di Catanzaro
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a Crotone il 04/11/1974
COGNOME NOME nato a Crotone il 03/02/1973
COGNOME NOME nato a Cutro il 01/01/1947
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 18/12/1979
COGNOME NOME nato a Lamezia Terme il 11/01/1967
COGNOME NOME nato a Catanzaro il 26/08/1977
nonché da:
COGNOME NOME nato a Catanzaro il 25/6/1965
COGNOME NOME nato a Crotone il 04/11/1974
COGNOME NOME nato a Crotone il 03/02/1973
COGNOME NOME nata a Torino il 17/12/1972
COGNOME NOME nato a Cutro il 01/01/1947
COGNOME NOME nato a Catanzaro il 28/09/1977
COGNOME NOME nato a Reggio Calabria il 18/12/1979
NOME nato a Crotone il 25/09/1964
COGNOME NOME nato a Lamezia Terme il 11/01/1967
COGNOME NOME nato a Catanzaro il 26/08/1977
12) COGNOME Pino nato a Catanzaro il 17/12/1967
avverso la sentenza emessa il 12 settembre 2023 dalla Corte d’appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo: l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale; l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati o, in subordine il rigetto;
uditi i difensori delle parti civili:
Avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Interno e dell’Agenzia delle Entrate;
Avv. NOME COGNOME per la Regione Calabria,
Avv. NOME COGNOME per Banca Intesa San Paolo,
Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per la Provincia di Catanzaro
Avv. NOME COGNOME per il Comune di Cutro, nonché quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME per il Comune di Catanzaro, i quali si sono riportati alle conclusioni scritte depositate; uditi i difensori degli imputati:
Avv. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME
Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME
Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME, e dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME
Avv. NOME COGNOME per COGNOME
Avv. NOME COGNOME per COGNOME e quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per NOME
Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per Pirrello
Avv. NOME COGNOME per Truglia
Avv. NOME COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi nonché i soli Avv. COGNOME COGNOME e COGNOME anche per l’inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale
RILEVATO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Catanzaro e per quanto rileva in questa Sede, ha così deciso:
-ha assolto NOME COGNOME dal reato ascritto al capo 106) perché il fatto non costituisce reato, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha assolto NOME COGNOME dai reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen. ascritti ai capi 102), 103), 104), 105), 108), 110), 112), 115), 116), 117), 119) e 123) perché il fatto non costituisce reato, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha assolto NOME COGNOME dai reati ascritti ai capi 115) e 119) perché il fatto non costituisce reato, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha assolto NOME COGNOME dal reato ascritto al capo 28) perché il fatto non costituisce reato, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha assolto NOME COGNOME dai reati ascritti ai capi 7) e 9) perché il fatto non sussiste ed ha escluso l’aggravante di cui all’articolo 416bis .1 cod. pen., rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha riqualificato la condotta ascritta a NOME COGNOME ai sensi dell’articolo 416bis , comma primo, cod. pen. ed escluso l’aggravante di cui al quarto comma, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche a NOME COGNOME, rideterminando il trattamento sanzionatorio;
-ha riqualificato la condotta ascritta a COGNOME NOME e COGNOME NOME ai sensi dell’art. 96 d.P.R. n. 361 del 1957, rideterminando la pena loro inflitta;
ha, inoltre, revocato a) la confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME; b) le pene accessorie applicate ad NOME COGNOME e NOME COGNOME; c) le pene accessorie e le statuizioni civili disposte nei confronti di Truglia;
ha infine, ridotto ad anni uno la durata della pena accessoria applicata a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Propongono separati ricorsi per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello Di Catanzaro, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso del Procuratore Generale deduce sei motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione, con i quali attinge esclusivamente taluni dei capi ascritti a COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
3.1. Illogicità e contraddittorietà della motivazione relativa all’assoluzione di COGNOME dai reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen. per carenza dell’elemento psicologico. Sostiene il ricorrente che dalla riconosciuta intraneità di COGNOME all’associazione dedita alla commissione di reati di natura fiscale e, segnatamente, alla emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché di riciclaggio ed autoriciclaggio, con il ruolo di ‘consigliori’ dei promotori ed organizzatori NOME COGNOME e NOME COGNOME può desumersi che
l’imputato fosse consapevole dell’esistenza del meccanismo in forza del quale la compagine sociale, anche grazie al suo contributo qualificato, conseguiva illeciti profitti sfruttando le pieghe della disciplina fiscale. Si sottolinea, al riguardo, che la stessa sentenza impugnata ha valorizzato una conversazione in cui l’imputato e NOME suggerivano di trasferire all’estero la cd. ‘cova’ o ‘bacinella’, ovvero la cassa occulta generata con i profitti illeciti. Si tratta di un suggerimento, sostiene il ricorrente, che può trovare la sua unica giustificazione nella finalità di evitare l’aggressione del patrimonio da parte dello Stato.
Ad ulteriore conferma della illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto indimostrato il dolo specifico richiesto dall’art. 512 -bis cod. pen. e, dunque, che COGNOME avesse agito per la medesima finalità elusiva perseguita da Gallo o che, comunque, ne fosse consapevole, il ricorrente cita altra conversazione intercettata in cui COGNOME evidenziava di non avere ottemperato agli obblighi della disciplina antiriciclaggio.
Si aggiunge, inoltre, che la conclusione cui perviene la sentenza è contraddittoria laddove, in altra parte della motivazione, si riportano le confidenze fatte da COGNOME a COGNOME in merito al possibile coinvolgimento del primo nell’indagine ‘ Borderland ‘ , alle cautele adottate dal primo con la bonifica di locali e autovetture, nonché alle incomprensioni con COGNOME e con la famiglia COGNOME. Ad avviso del ricorrente, infatti, gli elementi emergenti da tali conversazioni sono sintomatici della consapevolezza della caratura criminale di Gallo e della strumentalità della consorteria di cui faceva parte ad ‘alimentare gli interessi economici della ‘ndrangheta’ .
3.2. Vizi della motivazione relativa alla assoluzione di NOME COGNOME dai reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen. ascritti ai capi 115) e 119) per carenza dell’elemento psicologico. Rileva il ricorrente che anche la COGNOME è stata ritenuta intranea al sodalizio (nella veste di socio e amministratore di due società schermo, attraverso le quali attendeva alla emissione di fatture per operazioni inesistenti e al prelievo di denaro), nonché responsabile di alcuni reati fine, movimentando somme pari a milioni di euro (v. capi 77), 78), 89), 90). Ad avviso del ricorrente, il suo inserimento in tale meccanismo consente di ravvisare la sua consapevolezza del possibile intervento ‘repressivo’ dello Stato e della finalità elusiva perseguita dai suoi ‘datori di lavoro’, NOME e NOME
3.3. Vizio di motivazione e violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in ordine alla riqualificazione del reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen. nel reato di corruzione elettorale. Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata si è limitata ad una valutazione frazionata dei singoli indizi, valutando per ciascuno di essi delle ipotesi alternative (ovvero, la conversazione tra COGNOME e COGNOME in cui quest’ultimo diceva che si sarebbero mossi in «trenta-quaranta» e il primo affermava di essersi raccomandato con COGNOME di rispettare i patti altrimenti avrebbe rischiato di «essere ammazzato»; la conversazione del 31/1/18 in cui COGNOME e COGNOME manifestavano le difficoltà a portare
avanti una campagna elettorale in alcune zone permeate da presenza mafiosa e Talarico si dimostrava in ansia; il fatto che COGNOME si sia rivolto a NOME COGNOME, zio dell’ex senatore COGNOME, all’epoca dei fatti arrestato « per reati di ‘ndrangheta »). Ad avviso del ricorrente invece, la valutazione congiunta degli elementi indiziari porta a ritenere che il pattuito procacciamento di voti sarebbe avvenuto con metodica mafiosa, considerando, tra l’altro, che: il riferimento ai ‘trenta -quaranta’ deve intendersi come un pacchetto di voti; il riferimento alla provenienza di detti voti da Archi va letto in relazione alla operatività in quel territorio delle cosche COGNOME, COGNOME e COGNOME, legate ad NOME COGNOME, il quale si interfacciava con COGNOME avvisandolo che, qualora il politico non avesse rispettato i patti, sarebbe «andato da lui» ; COGNOME aveva legami con un soggetto politico all’epoca dei fatti indagato per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. ed aveva minacciato COGNOME di morte se non avesse rispettato i patti.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla assoluzione di COGNOME dai reati di cui ai capi 7) e 9) e alla esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen in relazione al reato di cui al capo 6).
Quanto alla esclusione di tale aggravante, rileva il ricorrente che la sentenza impugnata è contraddittoria in quanto sembra individuare il momento in cui COGNOME acquisì la consapevolezza dei rapporti tra Gallo e membri della ‘ndrangheta (con la partecipazione alla la cena del 4/9/17 unitamente al boss di Mesoraca, NOME COGNOME COGNOME) solo successivamente al perfezionamento del reato, omettendo di considerare che nell’imputazione viene individuato come dies ad quem di tale condotta il 19/2/18, per cu i COGNOME aveva tutto il tempo il tempo di ‘metabolizzare’ il dato relativo al rapporto di conoscenza tra COGNOME e COGNOME. Si rileva, inoltre, che la Corte territoriale ha omesso di valutare alcune conversazioni sintomatiche della conoscenza da parte di COGNOME dei rapporti tra COGNOME e la criminalità organizzata, ovvero: 1) la conversazione del 4/9/17 tra COGNOME e COGNOME in cui il primo faceva riferimento alla cosca COGNOME e COGNOME gli rispondeva che doveva risolvere lui la situazione, facendo riferimento al procedimento ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘; 2) una parte della conversazione avvenuta durante l’incontro conviviale in cui i presenti riferivano dei loro trascorsi giudiziari e COGNOME raccontava di avere aperto una attività in Albania.
Con riferimento, invece, alla assoluzione dal reato di cui al capo 7, si censura la soluzione ermeneutica adottata dalla Corte territoriale in coerenza con uno degli indirizzi espressi in sede di legittimità secondo il quale il reato di cui all’art. 353 -bis cod. pen. non è configurabile in caso di affidamenti diretti. Si insiste, infatti, per la maggiore condivisibilità dell’orientamento opposto che include nella nozione di ‘atto equipollente’ anche le ipotesi di affidamento diretto. A sostegno di tale ultima soluzione ermeneutica, si richiamano gli artt. 30 e 36, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 (applicabile all’epoca d ei fatti), che impongono anche in caso di affidamento diretto di rispettare i principi della libera concorrenza e della rotazione degli inviti e degli affidamenti, nonché l’art. 32 del
d.lgs. cit. che stabilisce che la P.A. può formalizzare la scelta del contraente a trattativa privata mediante una determina a contrarre, che deve considerarsi quale ‘atto equipollente’ al bando, perché funzionale a stabilire i criteri di scelta del contraente.
3.5. Violazione di legge e vizi della motivazione in merito alla riqualificazione della condotta di NOME COGNOME come mero partecipe del sodalizio mafioso e alla esclusione dell’aggravante dell’essere l’associazione armata.
La Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, ha escluso il ruolo apicale di COGNOME non ravvisando elementi probatori della sua autonomia decisionale quale contabile del sodalizio mafioso. Siffatta conclusione, sostiene il ricorrente, contrasta con le parti della motivazione in cui, analizzando il compendio intercettivo, la Corte riferisce del potere di COGNOME e dei suoi rapporti con i vertici delle altre famiglie. Si sottolinea, a tal fine, la rilevanza delle conversazioni da cui risulta che: COGNOME veniva considerato dagli imprenditori collusi come un sodale che aveva il potere di intervenire in questioni rilevanti per il ‘ crimine ‘ e la cosca; la conversazione in cui COGNOME riferiva a COGNOME dell’intervento di COGNOME per bloccare alcune richieste estorsive provenienti da soggetti di Steccato di Cutro; la conversazione in cui COGNOME riferiva che, grazie a COGNOME ed altri, il locale di San Leonardo di Cutro non era stato coinvolto nella guerra di mafia che aveva interessato il territorio del crotonese. Si segnala, inoltre, la rilevanza della identificazione di COGNOME da parte della Polizia Giudiziaria nel corso del controllo del 2013 mentre stava rientrando dall’abitazione di NOME COGNOME, fratello di NOME (punto di riferimento dell’intera ‘ provincia ‘ ), insieme ai vertici delle tre famiglie di San Leonardo di Cutro, COGNOME Giovanni, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed è stato trovato in possesso di 11.000 euro.
Quanto alla esclusione dell’aggravante, rileva il ricorrente che la sentenza impugnata ha fatto riferimento, non al sodalizio nel suo complesso, ma al singolo locale di ‘ndrangheta ed ha omesso di valutare il contenuto della conversazione in cui Falcone riferiva che, successivamente all’operazione ‘ Borderland ‘, in cui COGNOME era rimasto coinvolto per il reato di intestazione fittizia aggravata, a seguito di una ‘imbasciata’, aveva incontrato COGNOME per chiedergli conto delle voci che giravano su una sua possibile collaborazione con la giustizia. Tale conversazione rivela, infatti, che COGNOME era pienamente consapevole del pericolo di vita cui si sarebbe esposto Gallo qualora tale notizia fosse stata vera, e, dunque, è sintomatica della disponibilità di armi da parte del clan COGNOME.
NOME COGNOME ha dedotto con un unico motivo vizi cumulativi della motivazione relativa alla sua responsabilità per il reato di cui all’art. 8 d. lgs. n. 74 del 2000.
Rileva il ricorrente che, a fronte della specifica doglianza relativa alla mancanza del dolo specifico richiesto da tale fattispecie di reato, stante il suo ruolo di mero prestanome quale amministratore di diritto della società, la sentenza impugnata non ha
indicato alcun elemento idoneo a dimostrare che lo stesso fosse consapevole della strumentalità delle condotte al fine di favorire l’evasione da parte di terzi. Nel corpo del motivo si censura, inoltre, la parte della motivazione in cui si afferma che la difesa avrebbe contestato solo genericamente la falsità delle fatture, atteso che con i motivi aggiunti si era lamentato che nel capo di imputazione non erano stati indicati le singole fatture, il loro contenuto, il loro importo e il vantaggio che ne avrebbe tratto il beneficiario, essendosi presunta la fittizietà dell’operazione sulla sola base delle movimentazioni finanziarie.
Si aggiunge, inoltre, che la motivazione è contraddittoria là dove: a) ha duplicato gli importi delle fatture emesse da Alecce in relazione al capo 30) per l’anno 2017, considerandole in due distinte parti dell’imputazione; b) ha reputato come operazioni inesistenti anche i giroconti « da un soggetto all’altro per prelevare il provento » delle fatture per operazioni inesistenti (si cita il capo 38), ovvero gli ‘introiti’ per ‘bonifici oggetto di oneri deducibili e detrazioni’, trattandosi, quest i ultimi, di bonifici effettuati da privati per prestazioni di servizi o fornitura di merci per i quali l’Erario riconosce al cliente una detrazione fiscale e l’emittente consegue una detrazione di imposta; c) per tutti i soggetti considerati emittenti, fatta eccezione per RAGIONE_SOCIALE e NOME, non individua il beneficiario della fattura.
NOME COGNOME ha dedotto due motivi di ricorso di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
5.1 Mancanza assoluta e manifesta illogicità della motivazione relativa alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo 22 ).
Si afferma, in primo luogo, che tale responsabilità è stata desunta da alcune conversazioni tra il ricorrente e COGNOME il cui contenuto avrebbe dovuto essere oggetto di rivalutazione a seguito dell’assoluzione di COGNOME da tutti i reati fine, verificand one la conducenza ai fini della desumibilità del pactum sceleris e del dolo dell’associato.
Si deduce, inoltre, che la sentenza impugnata ha omesso di considerare il contributo dichiarativo del collaboratore di giustizia NOME COGNOME intraneo al medesimo sodalizio mafioso e presunto beneficiario, unitamente a COGNOME, delle operazioni di sovrafatturazione, il quale ha riferito di non avere mai parlato con COGNOME delle aziende «cartiere».
5.2. Mancanza assoluta e manifesta illogicità della motivazione relativa alla aggravante di cui all’a rt. 416bis. 1 cod. pen. in relazione alla ritenuta finalità agevolatrice della consorteria mafiosa, desunta da alcune confidenze che il ricorrente ha ricevuto da Gallo in merito alle sue preoccupazioni per il coinvolgimento nella operazione ‘ Borderland ‘ e a incomprensioni con i Trapasso. Afferma il ricorrente che la conclusione cui sono pervenuti i Giudici di merito è in contrasto con l’affermazione, contenu ta già nella sentenza di primo grado, secondo la quale solo nel presente procedimento è stata
accertata la partecipazione di COGNOME alla ‘ndgrangheta. Tale dato, prosegue il ricorrente, consente di escludere ogni profilo, anche di colpa, non potendo lo stesso rappresentarsi che il proprio contributo potesse andare a favore di un sodalizio mafioso.
NOME COGNOME ha dedotto quattro motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
6.1. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa al giudizio di responsabilità in ordine alla partecipazione della ricorrente all’associazione di cui al capo 22).
Sostiene la ricorrente che gli elementi a suo carico evidenziano, al più, che la stessa ha prestato la propria opera per la commissione di reati che rientrano nel programma associativo senza, tuttavia, avere la consapevolezza di far parte della struttura organizzativa.
6.2. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa al giudizio di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 77) e 89), desunta esclusivamente dal ruolo della ricorrente di amministratore di diritto delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e dalla emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti.
Si deduce, al riguardo, la mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si richiama la sentenza n. 34570 del 2021), non può essere ritenuto sussistente in re ipsa , come ha fatto la Corte territoriale con la sentenza impugnata, una volta accertata la natura fittizia dell’operazione sottesa alla emissione delle singole fatture.
6.3. Violazione di legge e vizio della motivazione, in quanto omessa ed illogica, relativa al giudizio di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 648 -ter .1 cod. pen. ascritto ai capi 78) e 90) con riferimento alla condotta di successivo prelievo del denaro accreditato sui conti delle società a seguito della emissione delle fatture per operazioni inesistenti, dissimulandone la illecita provenienza. Il motivo censura siffatta conclusione sulla ba se dei seguenti rilievi: 1) l’incertezza della inesistenza delle operazioni alla base delle fatture; 2) l’inesistenza dell’intento dissimulatorio della ricorrente.
6.4. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche senza tenere conto, per entrambi i punti, dell’assoluzione dai reati di cui ai capi 115 ) e 119).
NOME COGNOME ha dedotto due motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
7.1. Violazione di legge e apparenza della motivazione relativa al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 416 -bis. 1, comma terzo, cod. pen. senza considerare adeguatamente le dichiarazioni spontanee rese dalla ricorrente all’udienza d el 14/2/2023.
7.2. Violazione degli artt. 62bis e 81 cod. pen., avuto riguardo alla esclusione del giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. e alla determinazione degli aumenti di pena per i reati satellite in modo non proporzionato ai fatti e alla personalità dell’imputata.
NOME COGNOME ha dedotto due motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
8.1 Violazione di legge e vizio della motivazione, in quanto omessa ed illogica, in merito al giudizio di responsabilità in ordine al reato di partecipazione all’associazione mafiosa. In particolare, nel motivo si articolano plurime doglianze lamentandosi:
-omessa motivazione in merito alla dedotta incompatibilità della intraneità del ricorrente con il fatto che lo stesso non era mai stato coinvolto nei processi in cui era stata accertata l’esistenza del sodalizio mafioso e alla irrilevanza dell’episodio accaduto nel 2013 , relativo al controllo dell’autovettura a bordo della quale si trovava il ricorrente unitamente a COGNOME, COGNOME e COGNOME, controllo nel corso del quale venivano rinvenuti 23.000 euro;
-vizio di motivazione e travisamento della prova in merito alle dichiarazioni accusatorie di COGNOME e alla sua intrinseca credibilità. Sostiene il ricorrente che tali dichiarazioni, contrariamente a quanto afferma la sentenza impugnata incorrendo in un travisamento della prova, devono essere considerate de relato , e ciò alla luce del contenuto delle dichiarazioni (riportate nel motivo) rese dal collaboratore di giustizia nei verbali del 23/7/19, dell’11/9/19, del 14/11/19 e del 27/12/19 da cui emerge con c ertezza che lo stesso apprese dal padre del coinvolgimento di COGNOME. Si tratta, dunque, di una informazione che non è frutto di un patrimonio comune di conoscenze, interno al sodalizio, trattandosi di dichiarazioni generiche, riferite a circostanze lontane nel tempo e antecedenti l’ ingresso nel sodalizio. Proprio in ragione di tali peculiarità del caso, si censura l’applicazione da parte della sentenza impugnata del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 17647 del 2020, COGNOME, Rv. 279185. Si aggiunge, inoltre, che, proprio con riferimento al verbale del 23/7/19 la Corte territoriale è incorsa in altro travisamento della prova là dove ha desunto da questo il riferimento al ruolo di COGNOME quale contabile del sodalizio;
-vizio di omessa motivazione in relazione alla dedotta sussistenza dei riscontri alla chiamata de relato in ordine alla intraneità di COGNOME e al ruolo di contabile, atteso che nessuno dei pretesi riscontri considerati dalla sentenza impugnata (la conversazione tra COGNOME e COGNOME; l’incontro del 14 /10/17 tra COGNOME e NOME COGNOME, nipote del ricorrente; il pranzo del 26/3/18 presso il ristorante Kesas; la conversazione tra COGNOME e NOME COGNOME del 16/10/18 e il colloquio intercettato tra Gallo e l’Avv. NOME COGNOME sono dotati di siffatta valenza individualizzante.
Nel corpo del motivo si censurano le argomentazioni relative ai singoli riscontri considerati dalla Corte di appello considerando, tra l’altro, che la sentenza ha omesso di rispondere alle obiezioni difensive e, in particolare, alle seguenti censure: 1) l’interpretazione della conversazione tra COGNOME e COGNOME è frutto di una mera ipotesi ricostruttiva della Corte territoriale (ovvero che COGNOME volesse allontanare COGNOME dalla sua azienda per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine) , sganciata dal tenore letterale della conversazione; 2) manca una motivazione sulla rilevanza, come riscontro della intraneità di COGNOME, della conversazione tra COGNOME e il nipote del ricorrente; 3) vi è stato un travisamento del contenuto della conversazione tra il ricorrente e NOME COGNOME con l’introduzione di un dato, l’incarico di sondare COGNOME in merito alla sua presunta intenzione di collaborare, che non emerge dal contenuto della conversazione; 4) la conversazione tra COGNOME e l’ Avv. COGNOME ha un tenore equivoco che, al più, può rivelare le lamentele di COGNOME per il mancato intervento di COGNOME in suo aiuto. Anche in relazione all’interpretazione di tale conversazione la Corte territoriale ha inserito elementi inesistenti ovvero la contiguità di COGNOME a contesti mafiosi e il fatto che si fosse rivolto a COGNOME per veicolare richieste di subappalti.
Si censura, inoltre, la valutazione di infondatezza della doglianza relativa alla individuazione di COGNOME come il soggetto cui si riferivano COGNOME e COGNOME nella conversazione intercettata il 14/9/17, utilizzata dalla Corte come ulteriore riscontro alla chiamata in reità. Si afferma, infatti, che tale individuazione è frutto di una mera congettura e che, al più, la conversazione potrebbe avere avuto rilevanza quale riscontro ad un fatto estorsivo, non contestato al ricorrente, ma non della sua intraneità al sodalizio e del suo ruolo di contabile addetto alla distribuzione della bacinella comune tra le famiglie di Cutro e San Leonardo e di collettore dei proventi delle estorsioni.
vizio di omessa motivazione della prova a discarico ricavabile dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME che non ha mai menzionato alcun fatto in cui fosse coinvolto COGNOME e ha riferito di non averlo mai incontrato.
8.2. Vizio di motivazione in ordine: a) al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato su mere clausole di stile; b) alla mancata esclusione della recidiva nonostante l’intervenuta assoluzione di COGNOME dall’unico precedente specifico risalente al 1997; c) al trattamento sanzionatorio, determinato con una riduzione di soli due anni rispetto alla pena inizialmente calcolata con riferimento al ruolo apicale e alla ritenuta aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416 -bis cod. pen., entrambi esclusi dalla sentenza impugnata.
NOME COGNOME con due motivi di ricorso tra loro logicamente connessi, censura il punto relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo la mancanza di motivazione in relazione agli elementi di segno positivo, rappresentati dalla sua incensuratezza e dal suo positivo comportamento processuale, essendosi
spontaneamente sottoposto a interrogatorio, nonché in relazione agli elementi da cui la Corte territoriale ha desunto la gravità del fatto, posta a fondamento del diniego del beneficio; si lamenta, inoltre, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione là dove ha valorizzato la vicinanza del ricorrente a circuiti criminali, nonostante sia stato condannato per i soli episodi di cui ai capi 126) e 127) e sia risultato estraneo al sodalizio criminale tanto che è stata esclusa sin dalla sentenza di primo grado la circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen.
NOME COGNOME ha dedotto cinque motivi di ricorso di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
10.1 Inutilizzabilità delle conversazioni intercettate ai sensi degli artt. 266 e 270 cod. proc. pen.
S i rileva che le intercettazioni furono autorizzate in relazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen. nonché, in via del tutto generica, per la diversa ipotesi del reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen., poi riqualificato in quello di corruzione elettorale per il quale non è consentito tale mezzo di ricerca della prova. Si aggiunge, inoltre, che con riferimento all’iniziale imputazione provvisoria a carico del ricorrente, di promotore dell’associazione per delinquere aggravata, sin dalla fase dell’incidente cautelare è stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, per cui deve ritenersi che, nei suoi confronti, le intercettazioni sono state disposte in assenza di qualsiasi elemento anche di natura indiziaria. Si eccepisce, inoltre, che non vi è alcuna connessione sostanziale, secondo i canoni di giudizio indicati dalle Sezioni Unite COGNOME, tra i reati per cui furono autorizzate le intercettazioni e quello contestato al COGNOME.
10.2. Con il secondo e terzo motivo, tra loro logicamente connessi, si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di corruzione elettorale rispetto al quale la motivazione è carente con riferimento agli elementi costitutivi del reato, ovvero: 1) la prestazione offerta da COGNOME al politico, non coincidente con una promessa di voto; 2) la promessa di utilità da parte del politico. Quanto al primo profilo, si rileva che dalle conversazioni intercettate è emerso il ruolo di COGNOME quale consigliere del politico che, provenendo da altra parte della Calabria, aveva bisogno di essere indirizzati dai personaggi di maggiori rilevo, limitandosi COGNOME, dunque, a dare indicazioni a COGNOME, ad esempio, sulla possibilità di disporre i volantini nei locali di una società di cui era amministratore senza mai fare riferimento a bacini di voti o a promesse di voto. Quanto al secondo profilo, si deduce che, non risultando dalle conversazioni intercettate specifiche richieste di COGNOME si è fatto ricorso ad una congettura, individuando l’utilità promessa dal politico nel futuro appoggio nel dialogo con la RAGIONE_SOCIALE.
10.3. Con il quarto motivo si deduce l’insufficienza della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio, connotata da formule di stile e, quanto al diniego delle
circostanza attenuanti generiche, dalla omessa valutazione della personalità di COGNOME, della gravità delle sue condotte, del ruolo svolto e, tra l’altro, dell’inserimento della sua impresa nella white list della Prefettura di Reggio Calabria.
10.4. Con il quinto motivo si deducono vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione alla conferma della condanna al risarcimento dei danni subiti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Interno, conferma che non ha tenuto conto della riqualificazione della condotta ascritta a COGNOME, del diverso bene giuridico tutelato dal reato di corruzione elettorale e della circostanza che, non essendo stato eletto COGNOME, alcun danno è derivato dalle condotte del ricorrente.
NOME COGNOME con un unico motivo di ricorso, deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle generiche nella loro massima estensione, stante il suo comportamento processuale, la dissociazione dal sodalizio e la condotta post delictum, elementi idonei a bilanciare la valenza dei precedenti penali del ricorrente.
NOME COGNOME ha dedotto cinque motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
12.1 Inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto: a) autorizzate, come emerge dallo schema illustrativo dei decreti autorizzativi contenuto nel motivo, in relazione al reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. e, solo in alcuni casi, erroneamente, anche in relazione al reato di corruzione elettorale; b) mancanza di alcuna connessione sostanziale tra il reato di corruzione elettorale ascritto al ricorrente e quello di cui all’art. 416 -bis cod. pen.; c) insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 270 cod. proc. pen., nella versione all’epoca vigente, come interpretato dalle Sezioni Unite ‘ Cavallo ‘, per l’utilizzabilità delle conversazioni intercettate in altro procedimento, ai fini dell’accertamento del reato ascritto al ricorrente.
12.2. Vizio di omessa motivazione in relazione allo specifico impegno che COGNOME avrebbe assunto nei confronti di NOME COGNOME di aiutarlo nell’ottenimento di un incarico societario quale componente di un organismo di vigilanza, in relazione al quale già con l’atto di appe llo si era dedotta la mancanza di alcuna prova, non potendosi considerare tale la conversazione del 7/2/18, alla quale non partecipava COGNOME, in cui COGNOME si limitava ad esternare a Gallo un suo proposito o una mera aspettativa. Sempre in relazione a d etta conversazione si deduce l’illogicità e la carenza della motivazione in merito alla successiva comunicazione di tale aspettativa di NOME a Talarico, nonché alla disponibilità del ricorrente a garantire il proprio impegno.
12.3. Vizio di violazione di legge in relazione alla intrinseca inidoneità delle condotte accertate in sentenza ad integrare gli estremi del reato di cui all’art. 96 d.P.R. n. 361 del 1957.
Una volta esclusa la connotazione mafiosa dei rapporti tra COGNOME e i suoi ‘ sponsor ‘, COGNOME, COGNOME e COGNOME, si deduce che, a fronte della indimostrata sussistenza di una promessa a favore di COGNOME, dalle conversazioni intercettate è emersa la sola generica disponibilità pro futuro di COGNOME a favore di COGNOME, COGNOME e COGNOME, nel perseguimento di interessi connessi alle loro attività economica o professionale. Tali accordi, dunque non contemplavano in alcun modo il compimento di atti illeciti, essendo peraltro frutto di un travisamento il riferimento, contenuto a p. 139 della sentenza, non rinvenibile nelle conversazioni intercettate, ad un intervento volto a ‘disincagliare’ pratiche. Sostiene il ricorrente che tali rapporti, non dissimili dalla ordinaria e non illecita attività di lobbying , non sono sussumibili nel paradigma della corruzione elettorale per la cui configurabilità, stante la diversità del bene giuridico tutelato rispetto al reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen. (la regolarità della competizione elettorale) e la diversità delle condotte incriminate , è necessario che l’utilità promessa consista in un beneficio intrinsecamente illecito o, quantomeno, suscettibile di configurare un vantaggio ingiusto per il suo destinatario.
Si aggiunge, inoltre, che nella fattispecie in esame, oltre alla carenza di una promessa di utilità nell’accezione prospettata dal ricorrente, il sinallagma contrattuale difetta anche dei requisiti di intrinseca serietà e sufficiente determinatezza, come emerge dalla stessa sentenza impugnata.
Infine, quale ulteriore elemento incidente sulla non configurabilità del reato di corruzione elettorale, si deduce che, come dedotto nella memoria ritenuta tardiva dalla Corte territoriale, al momento degli accordi (il pranzo del 7/7/2017) vi era una situazione di assoluta incertezza in ordine alla candidatura di COGNOME nelle liste elettorali di Reggio Calabria, atteso che tali liste furono depositate solo il 29/1/2018.
12.4. Vizio della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della non menzione, nonché in ordine al trattamento sanzionatorio.
Si rileva, infatti, che nell’atto di appello erano stati indicati gli elementi favorevoli al ricorrente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche ovvero: il fatto che non ricopriva cariche pubbliche, l’incensuratezza , la condotta processuale e l’assenza di attività del ricorrente a favore di COGNOME e COGNOME. Si aggiunge, inoltre, che la non menzione è stata negata in termini apodittici, mentre il trattamento sanzionatorio è stato determinato in misura doppia rispetto al minimo edittale sulla base della sola considerazione della gravità del fatto, senza alcuna motivazione sui parametri utilizzati.
12.5 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma della condanna al risarcimento del danno in favore della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Interno, senza tenere conto della riqualificazione in appello della condotta ascritta e della mancata elezione di COGNOME.
NOME COGNOME ha dedotto otto motivi di ricorso di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
13.1. Violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza in quanto la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 353 cod. pen. è stata affermata sin dalla sentenza di primo grado in relazione ad una condotta diversa da quella contestata nel capo di imputazione, consistita nell’aver comunicato a Gallo gli esiti provvisori della gara prima dell’apertura delle buste recanti le offerte economiche e prima che la commissione giudicatrice trasmettesse al R.U.P. la graduatoria provvisoria. Tale modifica ha determinato un pregiudizio del diritto di difesa in quanto, ove nota, avrebbe comportato la produzione, prima della richiesta di giudizio abbreviato della documentazione volta a dimostrare che l’orario di apertura delle buste era antecedente rispetto all’orario in cui avvenivano le conversazioni tra Tr uglia e Gallo. Si aggiunge, inoltre, che quanto sostenuto dai Giudici di merito risulta confutato dalla determinazione n. 12 del 19/2/2018, presente nel fascicolo processuale, da cui risulta che la commissione giudicatrice aveva trasmesso al R.U.P. la graduatoria provvisoria già il 24/08/2017.
13.2. Inutilizzabilità delle intercettazioni ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen.
Si deduce, infatti, che dette intercettazioni (RIT 1273/2017) furono autorizzate in relazione al reato di associazione di stampo mafioso, nonché in relazione a reati concernenti turbative di appalti in Albania o indetti da specifici enti nazionali italiani e non anche in relazione al reato di cui al capo 6) ascritto al ricorrente, per il quale, esclusa l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, non è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza. Si aggiunge, inoltre, che tale reato non risulta connesso con i reati per i quali sono state autorizzate le intercettazioni in quanto: a) deve escludersi, quanto meno per COGNOME, la ravvisabilità di un unico disegno criminoso, ipotizzabile, semmai, per il solo COGNOME NOME; b) al momento della costituzione del sodalizio criminoso di cui al capo 1), né COGNOME, né gli altri coimputati avevano già individuato il fatto di reato concernente la turbativa della gara cui si riferisce il capo 6).
Con i motivi aggiunti, si è inoltre dedotto, ai fini della prova di resistenza, che la responsabilità del ricorrente in ordine al capo 6) si fonda esclusivamente sulle risultanze delle intercettazioni di cui al RIT 1273/17, cosicché la loro inutilizzabilità dovrebbe necessariamente travolgere la pronuncia di condanna. Sempre nei motivi aggiunti, richiamando il principio affermato da Sez. U, n. 36764 del 2024 sul regime intertemporale applicabile alla disciplina di cui all’art. 270 c od. proc. pen., si precisa che il presente procedimento è stato iscritto prima del 31 agosto 2020, cosicché dovrà applicarsi la antecedente versione del primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen. alla luce dei principi affermati da lle Sezioni Unite ‘ Cavallo ‘ . Pertanto, si ribadisce l’eccezione di inutilizzabilità atteso che il reato di cui al capo 6) non rientra tra quelli per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza e non è connesso con quelli (di natura associativa) per cui sono state autorizzate le intercettazioni, dovendosi escludere, quanto al profilo della unicità del
disegno criminoso, come interpretato da recenti sentenze di questa Corte (Sez. 5, n. 37697 del 2021), che tale disegno criminoso possa essere ravvisato anche solo con riferimento alla posizione di Gallo. Si esclude, infine, la possibilità di ravvisare una continuazione ai sensi della lett. c) dell’art. 12 cod. proc. pen., sottolineandosi, anche alla luce dei diversi indirizzi della giurisprudenza di legittimità, che la presunta partecipazione di Gallo ai due sodalizi, uno mafioso e l’altro finalizzato al conseguimento di appalti presso enti pubblici specificamente indicati al capo 2), risale agli inizi del 2017, mentre il reato di cui al capo 6) sarebbe stato commesso a luglio 2017, cosicché tale ultimo reato non poteva ritenersi in alcun modo programmato al momento della commissione dei primi reati, né, tantomeno, vi sono elementi per affermare che tale reato, anche per l’esiguità del provento, sia stato commesso al fine di consentire il mantenimento o la sopravvivenza di uno dei due sodalizi.
13.3. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui afferma che il ricorrente era l’interlocutore di Gallo nelle conversazioni specificamente indicate nel motivo. Al riguardo, la motivazione risulta mancante e manifestamente illogica sia nella parte in cui afferma che l’interlocutore andava identificato nel ricorrente, sia nella parte in cui afferma che l’ascolto diretto del giudice è sufficiente per tale identificazione. Si aggiunge, peraltro, che nella motivazione della sentenza impugnata non vengono indicati i progressivi delle conversazioni utilizzate quale termine di confronto al fine di pervenire alla identificazione del ricorrente. La sentenza impugnata ha inoltre omesso di confrontarsi con lo specifico rilievo dedotto in appello in merito al fatto che nel corso della conversazione avvenuta durante la cena del 04/09/2017, l’interlocutore di COGNOME, erroneamente identificato in Truglia, affermava di essere di Santa Venerina, elemento, questo, in contrasto con la circostanza certa che il paese di origine di Truglia è, invece, Vallefiorita. La motivazione è, inoltre, mancante e manifestamente illogica là dove afferma che i criteri di identificazione compendiati nella nota della D.I.A. dell’8/2/2021, riferibili alle sole conversazione avvenute nel pomeriggio e nella sera del 04/09/2017, valgono per attribuire a Truglia tutte le conversazioni che originariamente erano state attribuite a NOME COGNOME, conversazioni che si sono svolte proprio nei giorni in cui l’interlocutore di COGNOME avrebbe consumato la condotta di cui al capo 6 ). Tali conversazioni, peraltro, come già dedotto in appello, sono state intercettate grazie al captatore informatico inoculato nel telefoni in uso a Gallo e non in relazione al telefono in uso a Truglia.
13.4. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui afferma la sussistenza del contributo di COGNOME alla realizzazione del reato di cui al capo 6).
Si rileva al riguardo che la motivazione è illogica e contraddittoria in relazione ai seguenti punti:
1) nella parte in cui afferma che COGNOME avrebbe comunicato a Gallo gli esiti provvisori della gara prima dell’apertura delle buste recanti le offerte economiche e prima che la
commissione giudicatrice trasmettesse al R.U.P. la graduatoria provvisoria. Tale assunto, infatti, è smentito dall’avviso di pubblicazione della graduatoria provvisoria prodotto all’esito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. Da tale avviso risulta , infatti, che l’apertura delle buste è avvenuta il 04/09/2017 alle ore 10:00, mentre le conversazioni hanno avuto luogo in orari successivi;
2) nella parte in cui afferma che la mancanza agli atti del verbale della commissione giudicatrice determina l’impossibilità di verificare se la seduta di apertura delle buste si sia effettivamente svolta alle ore 10:00. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale ha commesso un errore in quanto l’organo deputato a valutare le offerte economiche non è la commissione giudicatrice, ma il seggio di gara, il quale si riuniva nella seduta pubblica del 4/9/2017, come risulta dalla determinazione n. 12 del 19/02/2018. Ne consegue, pertanto, che, avendo il seggio di gara stilato la graduatoria finale all’esito della seduta pubblica, Gallo era stato posto in condizione di conoscere sia le offerte economiche presentate dagli altri concorrenti che la graduatoria finale;
3) nella parte in cui afferma che COGNOME avrebbe consigliato a Gallo mezzi fraudolenti per turbare la gara, atteso che il ricorrente si è limitato ad illustrare semplicemente la portata di alcune norme del codice dei contratti pubblici in relazione, tra l’altro, al ruolo e funzioni del R.U.P., ai casi in cui la stazione appaltante può procedere all’affidamento diretto dei lavori e al diritto di accesso spettante ad ogni operatore economico che partecipi a una gara pubblica;
4) nella parte in cui afferma che la gara relativa a fornitura di materiali e dispositivi antinfortunistici – programma di forestazione 2017 – avesse un oggetto completamente diverso rispetto alla gara relativa alla fornitura di materiali e dispositivi antinfortunistici programma di forestazione 2018 – indetta dal medesimo consorzio. Si rileva, al riguardo, che, essendo andata deserta la gara relativa al 2017, il consorzio aveva indetto la successiva gara per procurarsi i medesimi beni. Ciò emerge dalla quasi integrale corrispondenza dei prodotti indicati nei rispettivi capitolati, rispondendo le aggiunte di ulteriori prodotti inserite nel programma dell’anno 2018 a sopravvenute esigenze di magazzino del consorzio di bonifica Ionio Crotonese;
5) nella parte in cui afferma che il ricorrente si faceva consegnare i verbali da tal COGNOME e li dava a NOMECOGNOME atteso che tali circostanze non emergono dalle conversazioni intercettate.
Si aggiunge, inoltre, che la condotta ascritta al ricorrente non ha determinato alcuna lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 353 cod. pen. in quanto, come risulta dalla citata determinazione n. 12, i prodotti offerti dalle ditte partecipanti non erano conformi al capitolato di gara, sicché la condotta ascritta ha in realtà tutelato gli interessi del consorzio di bonifica.
13.5. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui afferma che le condotte di COGNOME e COGNOME sono state idonee a mettere in pericolo la gara.
Ad avviso del ricorrente la motivazione è manifestamente illogica laddove: i) valorizza la richiesta da parte di COGNOME a Gallo dei codici corretti dei materiali infortunistici; ii) nella parte in cui afferma che Volpe concordava con Gallo la motivazione del verbale di esclusione dalla gara delle altre ditte partecipanti mentre stava redigendo detto verbale e che, dunque, Volpe non avrebbe valutato in autonomia la conformità dei prodotti offerti; iii) nella parte in cui afferma che a seguito dell’annullam ento della gara, non fu bandita una seconda gara ma si procedeva ad affidamenti diretti; iv) nella parte in cui considera la richiesta di accesso agli atti come mezzo fraudolento.
Ciò in quanto: a) dalla citata determinazione n. 12 risulta che la verifica della conformità dei materiali e il relativo verbale veniva effettuata alla presenza dal Presidente della Commissione Giudicatrice e, dunque, non dal solo R.U.P., NOME COGNOME; b) nessuna delle ditte escluse adiva il giudice amministrativo per lamentare irregolarità della gara; c) come già dedotto nel precedente motivo, fu indetta una seconda gara relativa al Programma di Forestazione per il 2018 avente ad oggetto gli stessi prodotti di quella andata deserta, procedendo a due soli affidamenti diretti che non hanno riguardato i materiali oggetto della gara; d) ogni partecipante aveva il diritto di accesso agli atti.
13.6. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui ritiene sussistente il dolo in capo al ricorrente. Si rileva al riguardo che: non vi è alcuna conversazione da cui emerga che COGNOME intendesse annullare la gara al fine di procedere a affidamenti diretti a Gallo; non vi è alcuna prova che il ricorrente fosse a conoscenza delle conversazioni intercorse tra Gallo e Volpe.
13.7. Violazione di legge e vizio della motivazione relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio determinato nella medesima misura di Volpe, nonostante il ricorrente non ricopra alcuna qualifica, mentre COGNOME era il R.U.P. della gara, investito della quasi totalità dei poteri istruttori e decisionali.
13.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si formula la richiesta di correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza, nel quale non è ricompreso il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, beneficio che è stato, invece, concesso in motivazione.
13.9. I difensori di Truglia hanno, inoltre, depositato una memoria con cui hanno eccepito l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso del Procuratore Generale, rilevando che: 1) a dispetto di quanto indicato nella rubrica del motivo concernente il ricorrente, il ricorso non contiene alcuna argomentazione in ordine alla assoluzione del ricorrente dal capo 9), che deve, dunque, ritenersi passata in giudicato; 2) gli argomenti relativi alla contestata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1. cod. pen. sono di contenuto rivalutativo; 3) gli argomenti relativi al capo 7) sono manifestamente infondati ed aspecifici; 4) sempre in relazione al capo 7), il ricorso omette ogni confronto con il punto della decisione in cui si afferma la piena legittimità degli affidamenti diretti relativi agli anni 20172018, cosicché, dovendo ritenersi devoluta solo l’assoluzione per
gli affidamenti relativi agli anni 2015 e 2016 si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato.
NOME COGNOME ha dedotto tre motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
14.1. Inutilizzabilità delle intercettazioni sulla base di argomenti analoghi a quelli dedotti da COGNOME.
14.2. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa alla ritenuta sussistenza dell’evento naturalistico del reato di cui al capo 6 ). Si afferma, al riguardo, che i comportamenti tenuti dal ricorrente, quale R.U.P. della gara, integrano delle mere irregolarità formali, inoffensive ed inidonee a turbare la gara. Volpe, infatti, si è limitato a una informale consulenza in favore di Gallo e a chiedergli i codici dei prodotti che al momento dell’indizione del bando erano stati erroneamente indicati. Tali condotte non hanno inciso sulla regolarità della gara, che si è, invece, svolta correttamente fino all’affidamento dell’incarico ad una ditta diversa da quella di Gallo. Quest’ultimo, inoltre, si è limitato ad esercitare un rimedio legittimo, ovvero l’accesso agli atti per eccepire la difformità dei prodotti offerti dalle altre ditte rispetto al capitolato di gara. Parimenti legittimo è stato il provvedimento di esclusione delle ditte partecipanti, a seguito della verifica, da parte del R.U.P. Volpe, alla presenza del presidente della commissione giudicatrice, della difformità dei prodotti.
Si aggiunge inoltre che le condotte di COGNOME, COGNOME e COGNOME sono rimaste ad uno stadio meramente preparatorio, inidoneo a configurare un tentativo punibile (si richiama Sez. 6, n. 6605 del 2020).
Nel corpo del motivo, inoltre, si deducono vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza in relazione ai medesimi punti censurati anche da COGNOME e sulla base di argomentazioni sovrapponibili, avuto riguardo:
alla concertazione tra COGNOME e COGNOME del contenuto del verbale di esclusione;
ii) alla omessa valutazione in autonomia da parte di COGNOME della conformità dei prodotti ed alla possibilità di rigettare i rilievi mossi da COGNOME costringendolo ad adire il giudice amministrativo;
iii) al fatto che le ditte partecipati sarebbero state private di un esame obiettivo della conformità dei loro prodotti. Si rileva, al riguardo, che l’esclusione di tali ditte è avvenuta dopo l’attivazione di un contraddittorio con ciascuna ditta , che ha presentato le proprie controdeduzioni in merito alla rilevata difformità dei prodotti;
iv) al mancato espletamento della seconda gara;
alla considerazione della richiesta di accesso agli atti come mezzo fraudolento.
14.3. Violazione di legge, vizio di motivazione ed erronea valutazione delle prove in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo. Si rileva, al riguardo, che la commissione interna al consorzio, nominata per valutare i comportamenti dei dipendenti attinti da
misure cautelari, non ha riscontrato irregolarità nelle procedure gestite da Volpe quale R.U.P. La Corte territoriale ha ritenuto tali deduzioni tardive, in quanto formulate dal ricorrente solo con la discussione, e inidonee a disarticolare il quadro probatorio a suo carico. Tale conclusione è inesatta in quanto detto organo di controllo ha rilevato come la procedura di gara era risultata regolare e si era conclusa con la determinazione n. 12 del 19/02/2018 con la quale il R.U.P., constatata la difformità di taluni prodotti offerti dalle ditte, procedeva alla esclusione dei partecipanti, dichiarandola deserta; seguiva poi altra gara conclusasi con la determinazione n. 120 del 05/09/2018 con la quale veniva aggiudicata la fornitura in favore dell’operatore economico RAGIONE_SOCIALE
Nel corso della discussione le parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno , Agenzia delle Entrate, Regione Calabria, Banca Intesa San Paolo, Provincia di Catanzaro, Comune di Cutro e Comune di Catanzaro hanno depositato conclusioni scritte formulando le seguenti richieste:
quanto a Presidenza del Consiglio, Ministero dell’Interno e Agenzia delle Entrate, rigettare i ricorsi proposti da COGNOME, COGNOME, NOMECOGNOME e COGNOME e condannare i predetti alla rifusione delle spese processuali;
quanto alla Regione Calabria condannare gli imputati al risarcimento dei danni patiti e alla rifusione delle spese processuali;
quanto a Banca Intesa San Paolo, dichiarare inammissibile il ricorso di COGNOME con la condanna dello stesso alla rifusione delle spese processuali;
quanto al Comune di Cutro, dichiarare inammissibili o rigettare i ricorsi degli imputati e accogliere il ricorso del Procuratore Generale, con la condanna degli imputati le cui condotte abbiano leso il Comune di Cutro al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali;
quanto al Comune di Catanzaro, dichiarare inammissibili o rigettare i ricorsi degli imputati e accogliere il ricorso del Procuratore Generale, con la condanna degli imputati le cui condotte abbiano leso il Comune di Catanzaro al risarcimento dei danni nella misura indicata nella memoria per ciascun reato, con l’assegnazione di una provvisionale, nonché alla rifusione delle spese processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ragioni di ordine logico impongono di esaminare prima il primo motivo di ricorso di COGNOME per poi procedere all’esame del ricorso presentato dal Procuratore Generale.
Il primo motivo dedotto da COGNOME è complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
2.1. In primo luogo, invertendo l’ordine delle questioni dedotte dal ricorrente, ritiene il Collegio che la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato in merito alla natura delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME e, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, le ha legittimamente considerate come dichiarazioni fonte di diretta conoscenza del propalante. Con argomentazioni non manifestamente illogiche, infatti, si è posto l’accento, da un lato, sulla rituale affiliazione del collaboratore a partire dall’anno 2009 e, dall’altro lato, sul fatto che il contenuto delle informazioni rese sono state apprese direttamente dal padre, non in ragione della relazione parentale, ma proprio in virtù della sua intraneità alla cosca in cui quest ‘ultimo rivestiva un ruolo apicale. Si tratta, dunque, di una informazione che apparteneva al comune patrimonio conoscitivo dei sodali del locale di ‘ ndrangheta e, come tale, è stata condivisa dal capo del locale con uno dei suoi componenti.
Va, a tale riguardo, ribadito che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, non sono assimilabili a dichiarazioni ” de relato ” ed assumono rilievo probatorio in presenza di validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa , che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati (Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185-02; Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 256065; Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010, COGNOME, Rv. 247585; Sez. 2, n. 6134 del 20/01/2009, COGNOME, Rv. 243425), elementi che, come si vedrà di seguito, sono stati chiaramente individuati dalla sentenza impugnata allorché ha esaminato il tema dei riscontri alle propalazioni di Mannolo.
2.2. La questione relativa al travisamento delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME il 23/7/2019 è meramente reiterativa della medesima questione dedotta in appello e, comunque, è formulata in termini aspecifici. La Corte territoriale, infatti, rispondendo alla doglianza difensiva, ha ricostruito il contenuto delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia che, nel verbale oggetto di censura, ha descritto il nuovo assetto organizzativo che aveva interessato le famiglie mafiose di San Leonardo di COGNOME a partire dal 2009 ed il ruolo di contabile attribuito a COGNOME ruolo che è stato successivamente tratteggiato nel verbale dell’11/9/2019 e ribadito in quello del 27/12/2019.
2.3. Parimenti immune da vizi è la successiva verifica della credibilità ed attendibilità di tali dichiarazioni, verifica fondata, coerentemente con le indicazioni ermeneutiche di questa Suprema Corte (cfr. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145), in primo luogo, sul rapporto privilegiato del dichiarante con il vertic e del sodalizio, nonché sulla sua lunga militanza all’interno di questo, sul contenuto specifico delle dichiarazioni rese e sull’assenza di ragioni di astio verso il ricorrente.
Quanto ai riscontri alle dichiarazioni rese da COGNOME il ricorrente, con argomentazioni di merito, insiste genericamente sulla irrilevanza dell’episodio del 2013 e sulla inidoneità delle conversazioni valorizzate dalla Corte territoriale.
Si tratta di censure non deducibili in questa Sede sia perché tentano di sottoporre a questa Corte non consentite questioni di merito, soprattutto nella parte in cui propongono alternative interpretazioni delle conversazioni intercettate, sia perché non evidenziano alcun profilo di illegittimità della decisione.
In primo luogo, il ricorrente omette di confrontarsi criticamente con le argomentazioni relative alla rilevanza dell’episodio del 2013, valutato dalla Corte territoriale proprio alla luce del patrimonio conoscitivo offerto da COGNOME a distanza di qualche anno (2019 ). L’episodio in sè, sebbene all’epoca non considerato quale indice di intraneità del ricorrente, è stato, infatti, non illogicamente riletto dalla Corte territoriale alla luce della chiamata in correità di COGNOME e reputato quale significativo riscontro delle dichiarazioni del collaboratore in merito al ruolo di contabile svolto da COGNOME che, nella circostanza, fu fermato proprio a bordo di una vettura con i capi cosca COGNOME, COGNOME e COGNOME, mentre rientrava dall ‘abitazione di NOME COGNOME e trovato in possesso di euro 11.000 in contanti.
L’episodio in questione è stato, quindi, correlato ai numerosi contatti telefonici registrati tra il ricorrente e Gallo e alle conversazioni intercettate, valorizzate alle pagine da 118 a 122 della sentenza – il cui contenuto è stato interpretato non illogicamente dai Giudici di merito ed è pertanto incensurabile in questa Sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715) – dalle quali sono emersi lo spessore criminale ed il ruolo di primo piano di Falcone all’interno del sodalizio .
In particolare, la censura relativa alla individuazione di COGNOME come il soggetto cui si riferivano COGNOME e COGNOME nella conversazione intercettata il 14/9/17, oltre ad avere un contenuto meramente confutativo, omette di confrontarsi criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata. Va, infatti, evidenziato che, a fronte del contrasto tra la perizia disposta in dibattimento, da un lato, e la consulenza disposta dal Pubblico Ministero e i brogliacci della Polizia G iudiziaria, dall’altro, in merito al riferimento in detta conversazione al nome ‘NOME‘ , la Corte territoriale ha proceduto all’ascolto diretto dei file audio dando atto – particolare, questo, completamente trascurato dal ricorrente – che al minuto 4:10 si sente proferire il nome ‘NOME‘. Sulla base di tale conclusione, con argomento non illogico si è ritenuto tale riferimento altamente individualizzante, corrispondendo il nome NOME a quello del figlio del ricorrente, e, unitamente al riferimento in altra parte della conversazione al soggetto di nome NOMECOGNOME si è ritenuto che allorché NOME descriveva il soggetto cui pagava il ‘pizzo’ e al quale si era rivolto per «bloccare alcune richieste provenienti da soggetti di Steccato di Cutro», faceva riferimento al ricorrente.
Così facendo la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione di norma processuale né del diritto al contraddittorio, dovendosi, al riguardo, ribadire che, in tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, sono sempre consentiti al giudice l’ascolto in camera di consiglio delle registrazioni ritualmente acquisite e trascritte, contenute in supporti analogici o digitali e l’utilizzo ai fini della decisione dei risultati dell’ascolto medesimo (Sez. 2, n. 27089 del 17/03/2023, COGNOME, Rv. 284795; Sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, COGNOME, Rv. 259674), e ciò anche nel caso in cui disponga agli atti della relativa trascrizione, senza che questa modalità di apprezzamento della prova documentale debba svolgersi nel contraddittorio (Sez. 2, n. 2409 del 19/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242805). Il principio di libera valutazione della prova concerne, infatti, anche la prova tecnica, cosicché il giudice, quale peritus peritorum , può esprimere il proprio giudizio anche in termini difformi, purché adeguatamente motivati, come accaduto nel caso in esame, rispetto a quello del perito (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Rv. 255196).
2.4. È, inoltre, infondata la censura relativa alla omessa valutazione delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, valutate dalla Corte territoriale a pagina 123 della sentenza impugnata ove, con argomentazioni non manifestamente illogiche, se ne è esclusa la rilevanza in considerazione del diverso patrimonio conoscitivo di NOME, inserito in altra componente associativa, facente capo a Bagnato e alla locale di Roccarbernarda (e non di San Leonardo di Cutro).
Venendo all’esame del ricorso del Procuratore Generale, sono fondati il primo, secondo e quinto motivo, mentre il ricorso va rigettato nel resto per le ragioni di seguito esposte.
3.1. Come anticipato, il primo motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha assolto COGNOME dai reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen. omettendo di considerare il contenuto dei capi di imputazione ove è stata contestata non solo la finalità di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale (esclusa dalla Corte territoriale), ma anche quella di agevolare, attraverso le operazioni contestate, la commissione di reati di riciclaggio e di reimpiego dei proventi generati dai reati tributari.
La sentenza impugnata, dunque, è incorsa in un duplice vizio motivazionale in quanto, da un lato, ha omesso di considerare nella loro globalità le singole contestazioni ai sensi dell’art. 512 -bis cod. pen. e , dall’altro lato, ha ricostruito in termini contraddittori, rispetto alle conclusioni cui è pervenuta, il ruolo svolto da COGNOME, consistito sostanzialmente nel suggerire stratagemmi sia per creare società cartiere che per proseguire con il sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, stratagemmi tra i quali non appare poco significativo quello, su cui insiste il motivo in esame, di trasferire all’estero la cd. ‘cova’ o ‘bacinella’, ovvero la cassa occulta generata con i
profitti illeciti. Si tratta, infatti, di un ruolo strategico all’interno del sodalizio la cui funzionalità, anche sotto il profilo psicologico, alle altre finalità oggetto di contestazione non è stata in alcun modo valutata dalla Corte territoriale.
All’accoglimento del motivo con s egue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame dei capi relativi al reato di cui all’art. 512 -bis cod. pen. contestati a COGNOME
3.2.Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche in relazione al motivo concernente l’assoluzione di NOME COGNOME dai reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen. ascritti ai capi 115) e 119).
Anche in tal caso, infatti, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dell’elemento psicologico, pur ravvisando una piena partecipazione dell’imputata al meccanismo di sovrafatturazione ideato da COGNOME e COGNOME sulla base di una valutazione parziale dei capi di imputazione in cui viene contestata anche la finalità agevolatrice dei reati di riciclaggio e di reimpiego dei proventi derivanti dai reati tributari, finalità quest’ultima completamente trascurata dalla Corte territoriale.
Pertanto, anche in relazione ai capi concernenti il reato di cui all’art. 512 -bis cod. pen. contestati a COGNOME va disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio su detti capi.
3.3 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
3.3.1. Va, innanzitutto, premesso che in base al tempus commissi delicti indicato al capo 5) (dal mese di giugno 2017 al 4 marzo 2018), occorre fare riferimento al testo dell’art. 416 -ter cod. pen. antecedente la modifica apportata dalla legge 21 maggio 2019, n. 43 che ha ampliato l’ambito di applicabilità della fattispecie incriminatrice, prevedendo, ad esempio, tra i soggetti attivi del reato anche gli intermediari, sia del promittente i voti che del politico che accetta detta promessa, ed ha ulteriormente inasprito il trattamento sanzionatorio.
Secondo la formulazione all’epoca vigente, la condotta criminosa sanzionata consisteva nell’accordo avente ad oggetto il procacciamento di voti con l’impiego del metodo mafioso della sopraffazione e dell’intimidazione , descritto all’art. 416 -bis, terzo comma, cod. pen., in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o altra utilità.
Si tratta, dunque, di un reato contratto che si consuma nel momento in cui viene raggiunto l’accordo concernente le reciproche promesse concernenti, da un lato, il procacciamento del consenso elettorale con metodo mafioso e, dall’altro, il denaro o altre utilità (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 32820 del 02/03/2012, Battaglia, Rv. 253740).
Già prima delle modifiche apportate alla norma incriminatrice in esame con l’ultima novella del 2019, la giurisprudenza di questa Corte ha individuato un differente standard probatorio in base alla qualità del soggetto promittente i voti, se estraneo o
intraneo ad una consorteria mafiosa, distinguendo, inoltre, in tale ultima ipotesi, a seconda che agisca o meno in nome e per conto della consorteria.
Si è, infatti, affermato che ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, previsto dall’art. 416ter cod. pen. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 62 del 2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416bis , comma terzo, cod. pen. può dirsi immanente all’illecita pattuizione (Sez. 6, n. 16397 del 03/03/2016, La Rupa, Rv. 266738; Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015 , COGNOME, Rv. 263845).
Qualora, invece, il soggetto, pur intraneo ad una consorteria mafiosa, operi uti singulus , è necessaria la prova che l’accordo contempli l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso. (Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284583; Sez. 1, n. 19230 del 30/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266794).
Analoga prova è infine, necessaria nel caso in cui l’accordo non sia raggiunto con soggetti appartenenti alle associazioni di tipo mafioso.
Specularmente, anche ai fini della configurabilità del dolo del promissario, si è operata una analoga graduazione in base alla qualità del promittente, ritenendosi che se questi è un membro, magari di vertice, della cosca mafiosa, che si presenti quale portavoce della stessa, la parte dell’accordo relativa alle modalità di procacciamento dei voti può sostanzialmente darsi per presunta, in considerazione del fatto che il candidato che si rivolge ad una associazione di stampo mafioso per ottenerne sostegno elettorale conosce il suo modus operandi e vuole che siano esercitati i metodi tipici di pressione posti in essere da questa; si è, invece, richiesta una rigorosa prova del dolo del promissario qualora il promittente sia un intraneus che agisce uti singulus ovvero un extraneus rispetto alla consorteria mafiosa, essendo in tal caso necessaria una dimostrazione chiara e immediata della pattuizione relativa al metodo mafioso di procacciamento del voto (così, da ultimo Sez. 6, n. 15425 del 2023, cit.).
Per completezza, va anche detto che una recente pronuncia di questa Corte è pervenuta ad una diversa soluzione con riferimento all’ipotesi in cui il promittente sia un soggetto appartenente ad un sodalizio mafioso, ritenendo che, anche nell’ipotesi in cui questi agisce uti singulus, non è necessario che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271).
Va, tuttavia, considerato che, in disparte ogni considerazione sulla condivisibilità o meno di tale soluzione, tale pronuncia si riferisce alla attuale formulazione della norma
incriminatrice, come modificata nel 2019 e non è, dunque, rilevante nella fattispecie in esame.
3.3.2. Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie in esame, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata ha legittimamente escluso la configurabilità di reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen., riqualificando la condotta ascritta a COGNOME e COGNOME nel reato di corruzione elettorale, proprio in ragione della mancanza di prove certe che l’accordo illecito contemplasse il procacciamento di voti con metodo mafioso. Ciò, soprattutto, in ragione della qualità soggettiva dei promittenti, non appartenendo COGNOME e COGNOME a cosche mafiose, e non essendovi prova, quanto alla posizione di COGNOME, che questi agisse nel l’interesse del sodalizio mafioso o che COGNOME fosse consapevole della sua intraneità alla cosca di cui al capo 1).
Tali conclusioni, oltre ad essere coerenti con la giurisprudenza di questa Corte, appaiono fondate su una non illogica ricostruzione del contenuto delle conversazioni intercettate, delle quali il motivo in esame tenta di proporre una diversa e non consentita rilettura in relazione a elementi indiziari labili, quale, ad esempio, il legame tra Gallo e un soggetto che all’epoca dei fatti era indagato per il reato di cui all’art. 416 -bis con pen.
3.4. Il quarto motivo di ricorso è complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
3.4.1. Va, innanzitutto, dato atto che a fronte della rubrica in cui si fa riferimento anche all’assoluzione di COGNOME dal reato di cui al capo 9 ), nel corpo del motivo non si formula alcuna censura in relazione a tale capo della sentenza.
3.4.2. Ciò premesso, la doglianza relativa alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis. 1, cod. pen. è generica e manifestamente infondata. La Corte territoriale, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici e coerente con la natura soggettiva dell’aggravante in esame, con riferimento alla contestata finalità agevolatrice della condotta contestata, ha escluso la sussistenza di prove certe che COGNOME e COGNOME avessero agito con tale intento o che fossero consapevoli delle intenzioni di COGNOME
Invero, come affermato dalle Sezioni Unite, la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe. (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734).
Il ricorrente, omettendo di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, si limita ad insistere sulla illegittimità della esclusione dell’aggravante sulla base di vaghi elementi indiziari, ricostruiti da due sole conversazioni riportate nel motivo, sintomatiche, al più, della consapevolezza di Truglia di un coinvolgimento di Gallo in un procedimento penale, senza, tuttavia, evidenziare alcun elemento idoneo a disarticolare la conclusione della Corte territoriale in merito alla sussistenza nella fattispecie
dell’elemento psicologico necessario ai fini della configurabilità della contestata aggravante.
3.4 .3. L’ulteriore censura relativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 353 -bis cod. pen. è infondata.
Secondo l’indirizzo ermeneutico oggi maggioritario, al quale il Collegio intende dare continuità, ai fini della integrazione del reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, la condotta perturbatrice deve essere finalizzata ad inquinare il contenuto del bando di gara o di altro atto equipollente che, dettando i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione, assolva ad analoga funzione, sicché non configura il reato la condotta perturbatrice che, senza condizionare la procedura selettiva del contraente, sia espressione di diffusa mala gestio dell’amministrazione (Sez. 6, n. 17876 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 283155 relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l’affidamento diretto estraneo al perimetro della fattispecie incriminatrice).
In delitto in esame è stato, tuttavia ravvisato anche in caso di affidamento diretto quando la trattativa privata prevede, ai fini della scelta del contraente, una “gara”, sia pure informale, cioè un segmento valutativo concorrenziale, con esclusione, dunque, delle ipotesi in cui il procedimento di scelta sia svincolato da ogni schema concorsuale o in cui la decisione di procedere all’affidamento diretto sia essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte ad evitare la gara (Sez. 5, n. 45709 del 26/10/2022 , COGNOME, Rv. 283890; Sez. 6, n. 5536 del 28/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282902).
Ad avviso del Collegio, infatti, il riferimento al ‘ bando di gara ‘ costituisce un elemento normativo della fattispecie criminosa di cui all’art. 353 -bis cod. pen. che richiama le procedure di scelta del contraente con la pubblica amministrazione connotate, qualunque sia il relativo nomen iuris , da un lato, dalla competizione tra più aspiranti contraenti e, dall’altro, dalla predeterminazione, di regola attraverso la pubblicazione del bando di gara, delle regole che disciplinano l’oggetto, il contenuto del contratto, i requisiti economici o tecnici richiesti agli operatori economici ed i criteri di selezione delle offerte.
Si è, dunque, in presenza di una procedura di gara, anche informale o atipica, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda all’individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l’avviso informale o il bando o, comunque, l’atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272227; Sez. 6, n. 8044 del 21/01/2016, Cereda, Rv. 266118).
L ‘individuazione dell’atto ‘equipollente’ al bando di gara, ovvero dell’atto che ha valore ed efficacia a questo analoghi, non può, pertanto, prescindere dalla considerazione delle sue caratteristiche, di oggetto e finalità, cosicché può ritenersi tale solo quello che ha delle connotazioni a questo assimilabili in quanto predetermina le regole del gioco,
ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare i criteri in base ai quali formulare le offerte e di conoscere i parametri che sovraintendono alla aggiudicazione.
Alla stregua di tale criterio ermeneutico possono, dunque, ritenersi ‘equipollenti’ al bando di gara sia l’avviso di indizione della gara che l’avviso di preinformazione (art. 59 d. lgs. n. 50 del 2016), ma non la mera determina di affidamento diretto dei lavori.
Da ciò consegue, pertanto, che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non è configurabile il reato di turbata libertà degli incanti nel caso in cui la pubblica amministrazione addivenga, come nel caso in esame, alla scelta del contraente tramite procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando.
Il Collegio è consapevole dell’esistenza di altro isolato arresto, richiamato dal ricorrente, che ha incluso nella nozione di atto equipollente del bando di gara anche la deliberazione a contrarre, qualora la stessa, per effetto della illecita turbativa, preveda l’affidamento diretto ad un determinato soggetto (Sez. 6, n. 13431 del 16/02/2017, Imperadore, Rv. 269384). In tale pronuncia la Corte ha ritenuto che, poiché l’art. 353 -bis cod. pen., a differenza dell’art. 353 cod. pen ., non circoscrive il novero delle procedure tutelate, l’atto equipollente deve essere individuato con riferimento ad ogni atto che abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ivi compresa, pertanto, anche la delibera a contrarre.
Siffatta interpretazione omette, tuttavia, di considerare che, a dispetto della rubrica della norma, ove si richiama genericamente il procedimento di scelta del contraente, il precetto delimita tali procedure a quelle in cui la selezione è disciplinata da un bando o da un atto avente il medesimo valore e significato che, altro non può essere, al fine di poter essere considerato ‘equipollente’, che un atto che detti la l ex specialis del procedimento. Equipollente non può, dunque, considerarsi qualunque atto alternativo al bando di gara che abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, ma solo quello che presenta caratteristiche analoghe e risponde alla medesima finalità del bando di gara.
Va, infine, aggiunto che siffatta interpretazione restrittiva della nozione di ‘atto equipollente’ appare coerente con il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, ovvero l’interesse della Pubblica Amministrazione di poter contrarre con il miglio r offerente (si veda in tal senso Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, COGNOME, Rv. 273449).
3.5. Il quinto motivo di ricorso è fondato.
3.5.1. In primo luogo, coglie nel segno la censura del ricorrente allorché denuncia la contraddittorietà della motivazione relativa alla esclusione del ruolo apicale di COGNOME. Siffatta conclusione appare, infatti, in contrasto con la connotazione della condotta specificamente contestata a COGNOME nel capo 1) dell’imputazione ( quale organizzatore del locale di San Leonardo di Cutro addetto non solo al ruolo di contabile, ma anche alle funzioni operative e di coordinamento dell’attività dell’associazione avuto riguardo, in particolare , al potere di controllo nei confronti degli altri associati; all’attività di
risoluzione dei contrasti; alla ricezione di somme di denaro, quale contributo per la organizzazione, relativamente alle attività illecite poste in essere attraverso la creazione di società cartiere), molte delle quali paiono trovare riscontro nelle conversazioni valorizzate dalla stessa Corte territoriale. In disparte la già considerata rilevanza probatoria del fermo del 2012, sintomatico del ruolo di contabile attribuito a COGNOME dal collaboratore di giustizia COGNOME e della sua vicinanza ai vertici del sodalizio, rileva il Collegio che talune delle conversazioni valorizzate dalla Corte territoriale appaiono in contrasto con l’attribuzione a Falcone di un ruolo di mero partecipe del sodalizio mafioso. Ciò, in particolare, in relazione alle seguenti conversazioni: i) la conversazione analizzata a p. 119 della sentenza impugnata, captata nel corso dell’incontro avvenuto presso il ristorante Kesas, nel corso della quale si faceva riferimento al ‘peso ‘ndranghetistico’ di Falcone che, unitamente ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, era riuscito ad impedire il coinvolgimento del locale di San Leonardo di Cutro nella guerra di mafia che aveva interessato il territorio crotonese; ii) la conversazione analizzata alla p. 120 della sentenza, tra COGNOME e l’Avv. COGNOME nella quale si faceva riferimento al fatto che l’imprenditor e COGNOME si era rivolto a COGNOME e al ‘boss di Mesoraca’ , NOME COGNOME, affinché i due intervenissero presso COGNOME convincendolo a subappaltare a COGNOME parte dei lavori che doveva svolgere presso la centrale Edison, richiesta che non veniva accolta da COGNOME in ragione della posizione di COGNOME, definito ‘persona di una linea’ per significarne la ‘vicinanza’ al sodalizio; iii) la conversazione tra COGNOME, COGNOME e NOME, esaminata alle pagine 120 e 121 della sentenza, da cui è emerso che COGNOME era il soggetto cui COGNOME versava il denaro «per la sua tranquillità».
Gli elementi fattuali emergenti da tali conversazioni appaiono, dunque, in evidente contrasto con la riqualificazione della condotta di COGNOME, riqualificazione fondata esclusivamente sulla mancanza di prove che COGNOME svolgesse in autonomia il ruolo di contabile, omettendo, tuttavia di considerare gli altri profili del contestato ruolo di organizzatore rispetto ai quali non appaiono privi di rilevanza i rapporti diretti tra COGNOME e i soggetti apicali del locale di San Leonardo di Cutro e di altri locali, la sua attività volta alla risoluzione, unitamente al vertice del locale, di problematiche attinenti la vita del sodalizio stesso quale, ad esempio, l’averne evitato il coinvolgimento nella guerra che aveva coinvolto altri locali della zona – nonché il suo riconosciuto potere influenza sui soggetti intranei al sodalizio o che, comunque, sono a questo vicini.
Va, tale riguardo, rammentato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, assume il ruolo di “capo” dell’associazione per delinquere non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Serio, Rv. 280890; Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Pugliese, Rv. 267464; Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 255915); la qualifica di organizzatore spetta, invece,
all’affiliato che, sia pure nell’ambito delle direttive impartite dai capi e non necessariamente dalla costituzione del sodalizio criminoso, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti ovvero l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative o di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso (Sez. 5, n. 37370 del 07/06/2011, Bianchi, Rv. 250491; Sez. 6, n. 1793 del 03/06/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198579).
Sulla base di tali indicazioni ermeneutiche, dalle quali il Collegio non intende discostarsi, ai fini dell’attribuzione della qualifica di organizzatore non rileva tanto il potere decisionale, quanto lo svolgimento, in autonomia, delle funzioni sopra indicate sia pure sulla base delle direttive impartite dai vertici.
3.5.2. Parimenti fondata è la censura relativa alla esclusione della circostanza aggravante.
La Corte territoriale, infatti, ha erroneamente fatto riferimento al solo locale di San Leonardo di Cutro, trascurando la struttura unitaria della ‘ndrangheta e la sua articolazione in ‘locali’, avente ognuno una propria sfera di influenza territoriale. A sostegno di tale conclusione si è richiamato un isolato precedente di questa Corte in cui si è affermato che ai fini della configurabilità dell’aggravante della disponibilità di armi a carico dei partecipi di un “locale” di ‘ndrangheta, è necessaria l’effettiva disponibilità delle armi e l’uso delle stesse per il conseguimento delle finalità dell’associazione, non essendo sufficiente il solo riferimento alla notoria dotazione di armi in capo al sodalizio storico (Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021 Ud. (dep. 23/08/2021, Rv. 281811 – 02).
Osserva, al riguardo il Collegio che tale precedente, oltre ad essere isolato, si riferiva ad una cosca che operava secondo una dimensione imprenditoriale, interessandosi soprattut to al settore dell’appalto dei rifiuti . Una cosca, dunque, connotata da peculiari modalità operative, difformi da quelle che hanno connotato, invece, l’operatività del locale di San Leonardo di Cutro.
In ogni caso, anche a prescindere dalle peculiarità della fattispecie esaminata dalla Corte, ritiene il Collegio che il principio affermato non può essere condiviso in quanto appare in contrasto con la struttura unitaria del sodalizio mafioso, ripartito al suo interno in articolazioni strutturate secondo criteri territoriali e gerarchici (cfr. Sez. 2, n. 34126 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286921 – 05). Proprio in ragione di tale struttura complessa ed unitaria del sodalizio mafioso, la valutazione della sussistenza o meno dell’aggravante in esame andava svolta, non con riferimento al singolo locale , ma all’intero sistema nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula “locale” (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831 – 02; Sez. 6, n. 44667 del 12/05/2016, COGNOME, Rv. 268677).
3.6. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, in accoglimento del motivo in esame, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente alla qualificazione della condotta del capo 1) e alla aggravante di
cui all’art. 416 -bis , comma quarto, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio su tale capo e punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
3.7. L’accoglimento del motivo ha, inoltre, una valenza assorbente rispetto all’esame delle doglianze in tema di trattamento sanzionatorio poste con il secondo motivo di ricorso di COGNOME, trattandosi di punti che dovranno essere riesaminati dal Giudice del rinvio.
Il ricorso proposto da NOME è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
In primo luogo la doglianza relativa ai capi 30) e 38), quest’ultimo non contestato al ricorrente, risulta proposta per la prima volta in questa Sede.
E ‘ , invece, generica la doglianza relativa alla omessa specifica indicazione delle singole fatture, doglianza rispetto alla quale la Corte ha motivato puntualmente (cfr. le pagine da 67 a 70), ricostruendo il sistema di triangolazione che connota anche l’associazi one di cui al capo 22), fondato sulla emissione di fatture per operazioni inesistenti, su corrispondenti bonifici a favore delle società cartiere, una delle quali era intestata ad NOME, nonché su successivi prelievi del denaro che poi ritornava nelle mani di NOMECOGNOME
È, infine, manifestamente infondata la doglianza relativa alla mancanza del dolo specifico, prospettata, peraltro, in termini meramente assertivi, potendosi desumere la sua sussistenza dalla complessiva trama argomentativa della sentenza impugnata e, in particolare, dalla parte relativa alla ricostruzione del meccanismo elusivo e dalla motivazione sul dolo di partecipazione al reato di cui al capo 23). La Corte territoriale ha, infatti, sottolineato che: i) Alecce, nella sua qualità di amministratore di diritto della società schermo, aveva emesso consapevolmente le fatture per le operazioni inesistenti benché questa fosse priva di reale autonomia e costituita solo in funzione del meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere le imposte; ii) il ricorrente, inoltre, non si è limitato alla emissione delle fatture per operazioni inesistenti, ma ha anche provveduto alla richiesta di emissione dei vaglia circolari necessari per l’incasso delle somme , apparentemente corrispondenti ai saldi di tali fatture, secondo quanto disposto da COGNOME sulla scorta delle direttive impartite da COGNOME.
Va, a tale riguardo, considerato che la prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5, 8 e 10 del d.lgs n. 74 del 2000 in capo all’amministratore di diritto di una società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Rv. 275830). Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata ha adeguatamente evidenziato gli indici sintomatici del dolo specifico del ricorrent e, ponendo proprio l’accento sulla sua attiva partecipazione al meccanismo elusivo e ai suoi rapporti con l’amministratore di fatto di cui eseguiva le direttive .
Il ricorso proposto da COGNOME è inammissibile, quanto al primo motivo, mentre il secondo motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del ricorso proposto nei suoi confronti dal Procuratore Generale per le ragioni di seguito esposte.
5.1. Il primo motivo è generico in quanto omette di confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata che, con argomentazioni saldamente ancorate al compendio probatorio (si vedano le pagine da 98 a 102) e, in particolare alle conversazioni intercettate, ha ricostruito il ruolo del ricorrente all’interno del sodalizio . Risulta, infatti, che COGNOME, quale ragioniere dello studio COGNOME, rapportandosi con i vertici NOME e NOME, oltre che con altri sodali, partecipava a riunioni operative e, reso pienamente edotto di tutte le problematiche e le esigenze funzionali alla realizzazione degli obiettivi del sodalizio, indicava le strategie operative da adottare per massimizzare i profitti, creare nuove società cartiere, eludere i controlli della Guardia di Finanza e risolvere i problemi relativi alle intestazioni fittizie e al tracciamento del denaro (in una conversazione, già considerata nel punto 3.1., il ricorrente, dinanzi alla richiesta di Gallo di individuare il modo per giustificare il denaro arrivato sui conti correnti della società, suggeriva di fare ‘girare’ il denaro con i bonifici e di spostare all’estero i profitti del sodalizio, indicati come ‘cova’).
La sentenza impugnata ha, in particolare, evidenziato alcune conversazioni (riportate alle pagine 98 e 99) tra COGNOME, COGNOME e COGNOME dalle quali emerge con evidenza non solo la piena consapevolezza di COGNOME della fittizietà delle fatture emesse dalla società cartiere riconducibili a COGNOME, ma anche il suo contributo stabile alle decisioni da assumere e il rapporto di fiducia e confidenza con COGNOME il quale, con riferimento a possibili controlli della Guardia di Finanza dovuti alla presenza nella società di COGNOME, imputato per associazione mafiosa nel processo denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, prospettava di intestare delle società ad un soggetto di nazionalità bulgara, mentre COGNOME suggeriva di spostare la sede legale a Roma o a Milano (cfr. pagina 99).
Risultano, inoltre, stabili rapporti anche tra il ricorrente e NOME. La sentenza impugnata ha richiamato, tra l’altro, una conversazione del 13/10/2017 nel corso della quale COGNOME, Gallo, NOME, NOME e NOME affrontavano la questione della sorte di una delle società cartiere (RAGIONE_SOCIALE) e COGNOME trovava la soluzione fraudolenta; in altra conversazione (riportata a p. 101 della sentenza), NOME e COGNOME, alla presenza di COGNOME e NOME, rappresentavano l’opportunità di con tattare NOME COGNOME marito di NOME COGNOME, intestataria di altra cartiera particolarmente redditizia, per intestare a costui un’altra società e discorrevano di altre questioni relative all’attività del sodalizio (ad esempio , la necessità di trovare ‘coperture’ per giustificare la somma di 20.000 euro ricevuta dal prestanome COGNOME o il denaro incassato da COGNOME e COGNOME, in relazione alla quale sia NOME che COGNOME prospettavano la possibilità di spostare la ‘bacinella’ a San Marino o in Albania) ; nel corso della medesima
conversazione, tra l’altro, COGNOME, dinanzi all’ ulteriore esigenza di NOME e NOME di prelevare mensilmente 100.000 o 200.000 euro da due aziende, rappresentava che lo stesso e Lerose avrebbero dovuto fare le comunicazioni antiriciclaggio, ammettendo così, come afferma la Corte territoriale a p. 101, di non avere adempiuto a tale obbligo di legge. La Corte territoriale ha, inoltre, sottolineato che negli appunti rinvenuti nella disponibilità di NOME erano pedissequamente trascritte le indicazioni fornite da COGNOME ed emergenti dalle conversazioni intercettate.
Si tratta, dunque, di una condotta che, complessivamente valutata, è stata legittimamente qualificata come stabile e consapevole contributo alla realizzazione del programma associativo ed espressione dell’ affectio sociatatis del ricorrente.
5.2. Il secondo motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del motivo di ricorso del Procuratore Generale in relazione alla assoluzione di COGNOME dai reati di cui all’art. 512bis cod. pen. Ciò in quanto la motivazione sulla sussistenza della finalità agevolatrice si fonda, da un lato, sulle confidenze ricevute da COGNOME in merito al suo coinvolgimento nel procedimento ‘ Borderland ‘ e a incomprensioni con i Trapasso, e, dall’altro, sulla conversazione in cui COGNOME avvisava NOME della possibilità di essere accusato di riciclaggio per conto di ‘NOME NOME‘, identificato in NOME COGNOME COGNOME, capo della ‘ndrina di Roccabernarda, soggetto che COGNOME manifestava di conoscere bene definendolo un ‘pesce piccolo’ . Poiché tale secondo profilo costituirà oggetto del giudizio di rinvio, in quanto rilevante ai fini della configurabilità dei reati di cui all’art. 512 -bis cod. pen., in tale Sede, si procederà anche alla valutazione della persistenza o meno delle condizioni per la configurabilità delle contestata aggravante.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
6.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico e meramente reiterativo delle medesime doglianze dedotte in appello. La sentenza impugnata, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, con la quale la ricorrente omette ogni confronto critico, ha adeguatamente argomentato in merito al ruolo stabile assunto da COGNOME all’interno del sodalizio, un ruolo che, contrariamente a quanto assume genericamente la ricorrente, andava al di là del contributo al singolo reato fine, non essendosi limitata a prestarsi alla intestazione di società fittizie. La Corte territoriale, infatti, con argomentazioni solidamente ancorate al quadro probatorio, ha individuato gli ulteriori segmenti idonei a ricondurre la condotta della COGNOME anche al paradigma del reato associativo, avendo la stessa partecipato: i) alle successive operazioni di prelievo del denaro, secondo lo schema operativo del sodalizio già ricostruito in relazione alla posizione di COGNOME; ii) alla riunione operativa del 30/1/18 con COGNOME e altri sodali; iii) al ‘confezionamento’ di un att o pubblico quale cedente di una società, unitamente ad altri sodali . La Corte territoriale ha, inoltre, posto l’accento, oltre che sui rapporti tra COGNOME e
gli altri sodali, anche sul fatto che costei si rapportava con loro e percepiva dal sodalizio uno stipendio fisso mensile di 1000 euro ed è stata riconosciuta dal collaboratore COGNOME NOME come soggetto che ‘lavorava’ con NOME . Trattasi di elementi fattuali che, complessivamente valutati, dimostrano la piena adesione della ricorrente al vincolo associativo ed il suo stabile inserimento nella struttura organizzativa del sodalizio.
6.2. Il secondo motivo è generico e manifestamente infondato. La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, con la quale la ricorrente omette di confrontarsi insistendo genericamente sulle medesime doglianze dedotte in appello, ne ha ricostruito la responsabilità, anche sul piano soggettivo, sulla base delle risultanze delle intercettazioni, degli accertamenti documentali e contabili, nonché delle risultanze della perquisizione eseguita presso l’abitazione di Di Noia, da cui è emerso che: i) COGNOME era titolare e amministratrice formale delle società fittizie che emettevano le fatture per operazioni inesistenti di importi superiori ai tre milioni di euro, partecipando alle operazioni successive all’accredito delle somme con il prelievo di denaro, secondo il meccanismo indistintamente adottato da tutti i sodali; ii) COGNOME riceveva quotidianamente le direttive da NOME e COGNOME NOME; iii) la ricorrente prelevava il denaro agli sportelli e lo consegnava quotidianamente a NOME COGNOME, denaro che poi perveniva al destinatario finale individuato in Gallo.
Si tratta di elementi che, coerentemente con il principio di diritto affermato al punto 4. in relazione alla posizione di Alecce, costituiscono indici altamente significativi del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, avuto riguardo, in particolare, ai rapporti della ricorrente con NOME COGNOME e alla macroscopica fittizietà delle operazioni riconducibili alle società cartiere di cui era intestataria la ricorrente.
6.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato e generico.
La ricorrente, infatti, omette di confrontarsi criticamente con la parte della motivazione in cui la Corte territoriale ha ricostruito l’inesistenza delle operazioni sulla base degli accertamenti contabili effettuati dalla Guardia di Finanza, accertamenti che il motivo nemmeno censura.
Inoltre, la Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica, ha desunto l’intento dissimulatorio sotteso alla condotta tenuta dalla ricorrente (i quotidiani prelievi del denaro che consegnava ai coniugi NOMECOGNOME), dalla contestualità cronologica tra l’accredito conseguente alla emissione della falsa fattura e il prelievo del denaro in contanti che veniva riconsegnato a NOME COGNOME, impedendone, così, la tracciabilità. Così facendo, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio di diritto, condiviso dal Collegio, secondo il quale il pagamento di fatture emesse per operazioni inesistenti, con successiva retrocessione dei relativi importi in contanti, integra il reato di autoriciclaggio, configurandosi un impiego in attività economiche e finanziarie dell’utilità di provenienza illecita (Sez. 2, n. 9755 del 03/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278513).
6.4. Il quarto motivo è generico in quanto meramente reiterativo e privo di confronto critico con la sentenza impugnata che, con argomentazioni non manifestamente illogiche, ha negato le circostanze attenuanti generiche in considerazione della pervicacia dimostrata dalla ricorrente con la propria condotta.
Parimenti non manifestamente illogica è la motivazione sul trattamento sanzionatorio in relazione al quale la Corte territoriale ha rilevato che per i reati da cui COGNOME è stata assolta non era stato calcolato alcun aumento di pena.
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
7.1. Il primo motivo è generico, in quanto omette di confrontarsi criticamente con la argomentazioni della sentenza impugnata che, coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte, ha esclus o l’idoneità delle dichiarazioni confessorie della ricorrente (positivamente valutate ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche) al fine di configurare l’invocata attenuante ad effetto special e. Ciò in quanto la ricorrente si è limitata ad ammettere le proprie responsabilità, tentando di ridimensionarne la portata offensiva, senza apportare alcun contributo ai fini di una più compiuta ricostruzione dei fatti.
Va, a tale riguardo, considerato che la circostanza attenuante della collaborazione, prevista dall’art. 8 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, oggi trasfuso nell’art. 416bis .1, comma terzo, cod. pen. richiede due presupposti normativi: la dissociazione e l’utilità del contributo ricostruttivo fornito «per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati».
Sulla base di tali chiare indicazioni normative, ai fini della configurabilità dell’attenuante ad effetto speciale prevista oggi dall’art. 416 -bis.1, comma terzo, cod. pen. non sono sufficienti un mero atteggiamento di resipiscenza, una confessione delle proprie responsabilità o la descrizione di circostanze di secondaria importanza, richiedendosi, invece, una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato, non ravvisata nel caso di specie, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti (Sez. 1, n. 52513 del 14/06/2018 Rv. 274190; Sez. 1, n. 48646 del 19/06/2015, Marti, Rv. 265851).
7.2. Il secondo motivo è meramente reiterativo della medesima doglianza dedotta in appello, generico e manifestamente infondato.
In primo luogo, rileva il Collegio che la sentenza impugnata ha operato legittimamente il giudizio di bilanciamento, escludendo da questo , in applicazione dell’art.
416bis .1, comma secondo, cod. pen., la circostanza aggravante d i cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
La doglianza sugli aumenti di pena è stata riproposta nei medesimi generici termini con i quali era stata dedotta in appello ed omette di considerare la modesta misura dei singoli aumenti (mesi tre ed euro 800 per ciascuna delle quindici ipotesi di autoriciclaggio; mesi due per ciascuna delle ventuno ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti; mesi due per ognuna della quattro ipotesi di intestazione fittizia e mesi quattro per la partecipazione all ‘associazione di cui al capo 22). Si tratta di porzioni di pena talmente contenute rispetto ai reati ascritti alla ricorrente, da evidenziare ictu oculi il rapporto di proporzione tra le pene e gli illeciti accertati.
Peraltro, va anche considerato che, qualora l’ incremento di pena determinato ai sensi dell’art. 81 cod. pen. sia, come nel caso in esame, di esigua entità, questa Corte ha condivisibilmente affermato che il giudice di merito non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005).
8. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile in quanto, attraverso due motivi che, in quanto attinenti al diniego delle circostanze attenuanti generiche, possono essere esaminati congiuntamente, si limita a dedurre delle censure di merito senza evidenziare alcun omesso vizio di legittimità della decisione.
Va, infatti, considerato che, ferma restando l’irrilevanza della sola incensuratezza dell’imputato, ai fini della concessione o del diniego delle circostanza attenuanti generiche, il giudice di merito non è tenuto ad esprimere una valutazione su ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826). Il giudice può, dunque, limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole, quali i precedenti penali (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826), o l’entità del reato e le modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 -02).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, con motivazione non manifestamente illogica e coerente con i principi sopra affermati, ha negato il beneficio in ragione della rilevanza ostativa sia della gravità dei reati di cui ai capi 126) e 127), relativi al possesso di un’arma con matricola abrasa, che della negativa personalità del ricorrente desunta proprio dalle modalità della condotta.
Il ricorso di NOME COGNOME è parzialmente fondato, quanto alla doglianza dedotta con il quinto motivo di ricorso, mentre, nel resto, va rigettato.
9.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto pone una questione non deducibile in questa Sede per un duplice ordine di ragioni.
Va, infatti, rilevato che la questione relativa alla inutilizzabilità delle intercettazioni era stata posta nel giudizio di primo grado e rigettata dal Giudice dell ‘udienza preliminare. Su tale punto della decisione nessuno degli imputati ha formulato uno specifico motivo di appello. Siffatta condotta processuale ha, dunque, interrotto la catena devolutiva cosicché , proponendo con il ricorso per cassazione l’eccezione ai sensi dell’art 270 cod. proc. pen., si pretende di devolvere a questa Corte il compito di svolgere degli accertamenti in fatto – in merito alla compiuta ricostruzione dei reati per cui sono state autorizzate le intercettazioni, ai reati per cui il ricorrente è stato iscritto nel registro degli indagati e all’esistenza di ragioni di connessione sostanziale – che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 43534 del 24/04/2012, Lubiana, Rv. 253798; Sez. 6, n. 37767 del 21/09/2010, COGNOME, Rv. 248589).
9.2. Il secondo e terzo motivo di ricorso sono infondati.
La Corte territoriale, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha ricostruito i termini del patto elettorale ponendo, in particolare, l’accento sul contenuto delle conversazioni intercettate il 16/1/2018 e il 31/1/2018 che, lette congiuntamente, hanno consentito di ravvisare il sinallagma tra l’appoggio elettorale offerto a COGNOME e l’utilità da questo promessa di fungere per COGNOME e COGNOME da ‘punto di riferimento’ in caso di necessità o di fornire lore ‘entrature istituzionali ‘ . Si tratta di una promessa che, come si dirà nell’analisi della specifica questione posta da COGNOME, configura una utilità idonea a costituire la controprestazione posta a carico del candidato in cambio della promessa di voto.
Inoltre, diversamente da quanto affermato dal difensore nel corso della discussione, gli elementi indicati dalla Corte territoriale, avuto riguardo anche al contesto temporale e alla imminente consultazione elettorale, prevista per i primi giorni del marzo 2018, non consentono di ravvisare una carenza di serietà e di concretezza dell’accordo illecito concluso con COGNOME.
Va, infatti, considerato che , come emerge dall’analisi complessiva e coordinata dei due commi dell’art. 86, d.P.R. n. 570 del 1960, in cui si fa, comunque, riferimento a condotte inerenti una competizione elettorale prossima (firma per la dichiarazione di presentazione della candidatura, voto o astensione dal voto), ai fini della configurazione del delitto di “corruzione elettorale” è necessario e sufficiente che l’accordo illecito tra l’elettore ed il candidato sia realizzato in funzione del voto da esprimere in una determinata e prossima competizione elettorale (Sez. 5, n. 19922 del 12/04/2021, Bambina, Rv. 281254 – 02; Sez. 6, n. 39462 del 20/07/2016, COGNOME, Rv. 268155).
Tale punto sarà ulteriormente sviluppato con l’esame dell’analogo e più dettagliato motivo di ricorso dedotto da COGNOME.
9.3. Il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto, avendo la Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica, negato le circostanze attenuanti generiche in ragione della ritenuta rilevanza ostativa della gravità della condotta ascritta al ricorrente.
9 .4. E’, invece, fondato il quinto motivo di ricorso in quanto la Corte territoriale si è limitata a confermare le statuizioni civili in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e de l Ministero dell’Interno senza considerare l’incidenza della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all’imputato e, in particolare del diverso bene giuridico tutelato dal reato di cui 86, d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, sia sulla legittimazione che sulla configurabilità delle richieste risarcitorie di ciascuna parte civile.
Va, infatti, considerato che i l reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen., inizialmente ascritto al ricorrente, è stato considerato in dottrina quale fattispecie plurioffensiva volta a tutelare , in primo luogo, l’ordine pubblico, messo in pericolo dal «connubio tra mafia e politica», ma anche il principio di legalità democratica e rappresentativa delle istituzioni politiche e la libertà morale, politica ed elettorale dei consociati. Simmetricamente, anche la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che l’art. 416ter cod. pen., nella sua nuova formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 62 del 2014, ha la finalità di proteggere i beni giuridici dell’ordine pubblico e della legalità democratica nelle competizioni elettorali (così, Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275157).
Tali profili di pericolosità della condotta per l’ordine pubblico sono estranei alla fattispecie di cui all’art. 86, d.P.R. n. 570 del 1960 che tutela, invece, l’interesse dello Stato al libero e corretto svolgimento delle consultazioni elettorali e il diritto di ogni elettore alla libera determinazione e manifestazione della propria preferenza elettorale (cfr. Sez. 1, n. 19230 del 30/11/2015, dep.2016, COGNOME, in motivazione).
Ciò emerge chiaramente anche dalla diversità strutturale delle due fattispecie, in quanto, con riferimento al reato di cui all’art. 416 -ter cod. pen., l’interlocutore del candidato è l’esponente di un’organizzazione mafiosa o un soggetto che, comunque, si impegna a procurare voti mediante metodi intimidatori propri della associazione mafiosa, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 86 d.P.R. cit. l’interlocutore è un singolo e potenziale elettore.
Sulla base di tale differente bene giuridico, la Corte territoriale doveva, dunque, rivalutare, ai fini della conferma delle statuizioni civili, se e in che misura l’illecito accordo elettorale avesse cagionato un danno risarcibile alle due parti civili costituite in relazione alla diversa fattispecie di cui all’art. 416 -ter cod. pen.
9 .5. Sulla base di quanto esposto nei punti precedenti, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME, limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo giudizio su tale punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro
che provvederà a rivalutare la legittimazione e le richieste di ciascuna delle parti civili in considerazione del diverso bene giuridico protetto dalla diversa norma incriminatrice ravvisata in luogo della iniziale contestazione del reato di cui al l’art. 416 -ter cod. pen. Il ricorso va rigettato nel resto.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile in quanto generico e meramente reiterativo della medesima doglianza dedotta in appello, esaustivamente valutata dalla sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, con motivazione non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente omette di confrontarsi criticamente, ha negato la riduzione di pena nella massima estensione in considerazione della particolare capacità a delinquere manifestata dall’imputato in relazione ai numerosi reati a lui ascritti nonché delle esigenze di emenda.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è parzialmente fondato, limitatamente al quinto motivo di ricorso, mentre è infondato nel resto.
11.1. Il primo motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte nel punto 9 .1. nell’esaminare l’analoga eccezione dedotta da COGNOME. Alle argomentazioni sopra esposte va, inoltre, aggiunto che il motivo in esame non consente di colmare le carenze di elementi fattuali necessari alla decisione in quanto non può reputarsi sufficiente, a tal fine, la sola allegazione dell’elenco dei decreti autorizzativi con l’indicazione delle norme incriminatrici per cui sono stati emessi . Tale elenco, infatti, oltre a non specificare le condotte per cui è intervenuta la singola autorizzazione, non appare completo in quanto dalle deduzioni di COGNOME che ha sollevato analoga eccezione, risulta che le intercettazioni furono autorizzate anche per il reato di turbata libertà degli incanti, autorizzazione che, tuttavia, non compare nell’elenco in questione.
11.2. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono infondati.
Il tema principale che viene sottoposto all’esame del Collegio con il terzo motivo di ricorso attiene alla nozione di utilità rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 86 d.P.R. 570 del 1960. Secondo la tesi difensiva, detta nozione deve essere circoscritta ai soli benefici connotati da specificità e illiceità o, quanto meno, da ingiustizia. Sulla base di tale premessa, come sostenuto soprattutto nel corso della discussione orale, si pretende di escludere dal sinallagma penalmente rilevante tutte le utilità consistenti, come nel caso di specie, in una generica futura disponibilità del candidato in favore di chi fa mercimonio del suo diritto di voto.
Ad avviso del Collegio, tale tesi, benché suggestiva, non può essere condivisa.
In primo luogo, va considerato il tenore letterale dell ‘art. 86 d.P.R. n. 570 del 1960 in cui non si fa alcun riferimento ad una specifica connotazione della ‘utilità’ , quale, ad esempio, una utilità ingiusta o di contenuto patrimoniale. Al primo comma, infatti, con
riferimento alla condotta del soggetto interessato ad ottenere, anche ad altrui vantaggio, la firma per la presentazione di una candidatura, il voto elettorale o l’ astensione dal voto, si fa riferimento alla dazione, offerta o promessa di ‘qualunque utilità’. Ancora più ampio è il riferimento alla condotta de ll’elett ore, sanzionata dal secondo comma, in cui si fa riferimento a ll’ accettazione di offerte o promesse o alla ricezione di denaro o ‘ altra utilità ‘ .
Tale dato letterale va interpretato alla luce della ratio della disposizione incriminatrice volta a sanzionare qualunque forma di mercimonio di un diritto costituzionalmente garantito, mercimonio i cui effetti si dispiegano ben oltre la sfera individuale per andare a intaccare la stessa tenuta delle istituzioni democratiche fondate sul consenso popolare espresso mediante il voto.
Coordinando il dato letterale con quello teleologico, ritiene il Collegio che la nozione di utilità contemplata dalla norma incriminatrice sia stata correttamente interpretata dalla Corte territoriale con riferimento a qualunque vantaggio di contenuto morale o materiale, anche non implicante una condotta illecita o ingiusta in favore dell’elettore .
La diversa e restrittiva interpretazione proposta dal ricorrente, non solo non trova alcun riferimento nella formulazione della norma, ma, ove accolta, porterebbe ad un irragionevole restringimento della penale rilevanza degli atti di disposizione del diritto costituzionale di voto e della sua libertà (art. 48 Cost.).
Ma occorre aggiungere una ulteriore specificazione.
Dall’analisi delle condotte alternativamente sanzionate dal secondo comma dell’art. 86 (accettazione di offerte o promesse o ricezione di denaro o altra utilità) può desumersi che l’utilità oggetto del patto può anche non essere conseguita immediatamente ed essere condizionata alle sorti della competizione elettorale.
L’utilità, dunque, può essere rappresentata anche da una futura ‘disponibilità’ del candidato ad adoperarsi in funzione degli interessi dell’elettore (cfr. con riferimento al delitto di corruzione, Sez. 6, n. 10084 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281502), come accaduto nel caso in esame, trattandosi, comunque, di un vantaggio significativo e idoneo a ‘far leva’ sulla volontà dell’elettore e ad indurlo a disporre negozialmente del suo voto.
11 .2.1. Sulla base di tale definizione del concetto di ‘utilità’, può dunque, respingersi la doglianza formulata con il secondo motivo di ricorso in relazione al patto intercorso tra il ricorrente e COGNOME, il cui contenuto è stato reputato non illogicamente, al pari di quello del patto intercorso con COGNOME e COGNOME, non meramente ipotetico, ma specifico e inequivoco.
Risulta dalla sentenza impugnata che COGNOME formulò plurime richieste di utilità in suo favore: in un primo incontro del 16/1/2018 con COGNOME, COGNOME e COGNOME, completamente trascurato dal ricorrente, COGNOME chiese, infatti, delle ‘entrature’ nel settore degli appalti, nella sua qualità di consulente aziendale e referente di imprese che
intendeva favorire; nella conversazione del 7/2/2018, COGNOME, rivolgendosi a COGNOME – il quale fungeva da intermediario tra COGNOME da un lato, e COGNOME e COGNOME dall’altro – faceva anche riferimento ad un incarico in un organismo di vigilanza o in una società che gli assicurasse uno stipendio annuo tra i 7000 e i 9.000 euro l’anno.
Con riferimento a tali richieste, la Corte territoriale ha chiarito, con motivazione che non appare affetta da alcun vizio logico o giuridico, che non vi è alcun dubbio sulla consapevolezza da parte di COGNOME dell’utilità richiesta da COGNOME nella prima circostanza dal momento che la richiesta fu formulata nel corso di un incontro cui partecipava anche il ricorrente. Tale argomento consente di superare l’obiezione difensiva relativa alla carenza di prova della effettiva trasmissione a COGNOME della seconda richiesta formulata da NOMECOGNOME trattandosi, in ogni caso, di una utilità, quella inizialmente indicata, suscettibile di assumere rilevanza penale all’interno del mercimoni o del voto in favore di COGNOME.
11.2.2 . Manifestamente infondata è anche l’ulteriore doglianza relativa alla irrilevanza dell’accordo in quanto intervenuto prima che vi fosse la certezza della candidatura di COGNOME.
Va, infatti, considerato che il reato di corruzione elettorale rientra tra gli illeciti di pericolo astratto, in quanto è sufficiente il compimento della condotta incriminata per determinare l’applicazione della sanzione, indipendentemente dall’effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto. La norma, infatti, anticipa la soglia della punibilità incriminando anche la sola promessa di una utilità in cambio del voto o della firma per la candidatura, sanzionando ogni comportamento che possa condizionare la libertà del voto.
Con riferimento alla posizione del promissario, inoltre, si tratta di un delitto comune che, come emerge dal l’impiego del termine “chiunque”, può essere commesso da un qualsiasi cittadino, anche se nella maggior parte dei casi si tratta proprio del soggetto politico candidato alle elezioni che realizza personalmente la condotta criminosa. In tale ultimo caso, il candidato agirà “a proprio vantaggio”, mentre qualora la promessa provenga da un terzo, l’intervento sarà attuato a vantaggio “altrui”.
Come già affermato da Sez. 6 n. 50116 del 11/10/2016 Rv. 269231, la necessità che il pactum sceleris sia finalizzato ad una specifica e prossima espressione di voto, risulta desumibile da un’analisi complessiva e coordinata dei due commi dell’articolo 86 citato: «invero, il primo comma, nel prefigurare il comportamento del corruttore (punibile anche a prescindere dal raggiungimento di un accordo), sanziona la condotta di chi, «per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale, o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori ….”; il secondo comma, invece, tipizza la condotta dell’elettore, come quella di colui “che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità”. In effetti, la qualità di «elettore» assume un significato selettivo coerente con la necessità di un collegamento tra il patto illecito ed una “tornata” elettorale determinata e prossima, trattandosi di una qualità suscettibile
di venir meno per varie ragioni, quali la pronuncia di condanne penali, e, con riferimento alle competizioni locali, anche per la mutevolezza della residenza anagrafica. Inoltre, l’impiego, nel descrivere la condotta dell’«elettore», delle sole parole «dare» o «negare», e non anche della parola «promettere», evoca un’attività da compiere con immediatezza.
Ciò che rileva, dunque, non è tanto c he al momento dell’accordo il soggetto interessato (direttamente o indirettamente) abbia già assunto la veste di candidato, quanto che l ‘accordo sia serio e concreto e la competizione elettorale sia già ben individuata e sia la più prossima rispetto al pactum sceleris (Sez. 5, n. 1039 del 30/09/2021, dep. 2022, Rv. 282966).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tali coordinate ermeneutiche considerando che, a prescindere dalla data di presentazione ufficiale della candidatura di COGNOME, dall’esame complessivo delle conversazioni intercettate , risulta che l’accordo corruttivo fu concluso tra gennaio e febbraio 2018 e, dunque, nell’imminenza delle elezioni che si sarebbero svolte dopo «poco più di un mese».
11.3. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.
Rileva, infatti, il Collegio che la sentenza impugnata, con motivazione non illogica, ha negato le circostanze attenuanti generiche in ragione della rilevanza ostativa attribuita alla particolare gravità del fatto, gravità che, unitamente al ruolo assunto da COGNOME, è stata considerata determinante anche ai fini del diniego del beneficio della non menzione e della determinazione del trattamento sanzionatorio.
In presenza di un esercizio del potere discrezionale fondato su una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, né arbitraria, le censure in esame devono ritenersi non consentite in sede di legittimità.
11.4 Il quinto motivo di ricorso è fondato per le medesime ragioni già esposte nel punto 9.4. in relazione a ll’esame della medesima doglianza formulata da COGNOME.
11.5. Sulla base di quanto esposto nei punti precedenti in merito ai motivi di ricorso di Talarico, va disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio per nuovo giudizio su tale punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro che provvederà, come già indicato al punto 9.4., alla valutazione della legittimazione e delle richieste di ciascuna delle parti civili. Il ricorso va rigettato nel resto.
Il ricorso proposto da COGNOME è parzialmente fondato con riferimento alla doglianza relativa al diniego della non menzione, mentre va rigettato nel resto.
12.1. Il primo motivo è inammissibile in quanto generico e meramente reiterativo della medesima questione già dedotta in appello e rigettata dalla Corte territoriale con motivazione non manifestamente illogica (si veda, in particolare, pagina 161 in cui si considera la dettagliata descrizione delle condotte contenuta nel capo di imputazione,
comprensiva anche del l’incontro del 4/9/17, giorno dell’apertura delle buste contene nti l’offerta economica ).
A tale riguardo, ritiene, inoltre, il Collegio che la Corte territoriale ha adeguatamente valutato la determinazione n. 12 del 19.2.2018, sottolineando, con argomentazione non illogica, che da questa, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, risulta che la commissione giudicatrice aveva trasmesso in data 24/8/2017 al R.U.P. soltanto la valutazione delle offerte tecniche, ma non l’esito delle offerte economiche, la cui apertura è avvenuta il successivo 4/9/2017.
12.2. Anche il secondo motivo è inammissibile per le stesse ragioni già esposte nel punto 9 .1. nell’esaminare l’analoga eccezione dedotta da COGNOME.
12.3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato e aspecifico. La sentenza impugnata, infatti, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici con le quali il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha chiarito le ragioni per cui costui è stato considerato l’interlocutore delle conversazioni oggetto di censura. In primo luogo, si è sottolineata la presenza agli atti di un gruppo di conversazioni pacificamente attribuibili a Truglia, conversazioni che sono state utilizzate quale termine di raffronto per accertare l’identità dell’interlocutore sia da parte del Giudice per le indagini preliminari, che ha proceduto all’ascolto diretto , che da parte della polizia giudiziaria che, peraltro, ha individuato nei dialoghi taluni riferimenti individualizzanti alla vita personale e familiare di Truglia, quali il viaggio con il cognato, il lavoro del padre, l’auto (cfr. pagina 166 della sentenza impugnata).
Anche il particolare relativo del riferimento a ‘Santa Venerina’ , sul quale insiste il motivo in esame, è stato adeguatamente spiegato dalla Corte territoriale in ragione dell’errore commesso nel corso della prima trascrizione della conversazione, errore successivamente emendato e sostituito con le parole ‘Valle f iorita’ (paese di origine di Truglia) a seguito del riascolto del brano da parte della polizia giudiziaria. La sentenza, inoltre, pur prendendo atto della mancanza di assonanza tra le parole ‘ S NOME e NOMEValle NOME , ha sottolineato la aspecificità della censura difensiva che, a fronte del rilevato errore trascrittivo, non ha allegato alcun elemento a sostegno della eventuale fallacità del secondo riascolto.
Tale aspecificità non è superata dal motivo in esame in cui il ricorrente si limita ad insistere sulla non riferibilità della conversazione a Truglia esclusivamente in ragione della presenza nella trascrizione del dialogo del riferimento al paese di Santa Venerina.
12.4. Il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto attinenti alla configurabilità del reato di cui all’art. 353 cod. pen., sono complessivamente infondati.
12.4.1. Va, innanzitutto, premesso che il reato di turbata libertà degli incanti è un reato di pericolo concreto che si configura non solo nel caso di danno effettivo, ma anche nel caso di danno mediato e potenziale, non occorrendo il conseguimento del risultato
perseguito dagli autori dell’illecito, ma la semplice idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara (Sez. 6, n. 10272 del 23/01/2019, COGNOME, Rv. 275163; Sez. 6, n. 12821 del 11/03/2013, COGNOME, Rv. 254906). Il reato è, dunque, integrato in tutti i suoi elementi costitutivi ove le condotte di tipo collusivo, violento o decettivo siano capaci di influenzare l’andamento della gara, e, dunque, idonee a ledere i beni giuridici protetti che si identificano con l’interesse pubblico alla libera concorrenza e alla maggiorazione delle offerte (Sez. 6, n. 6605 del 17/11/2020, dep. 2021, Pani, Rv. 280837) nonché con la libertà di partecipazione alla gara (Sez. 6, n. 17586 del 28/02/2017, Pastore, Rv. 269830), determinando un rischio di alterazione del corso degli incanti (Sez. 6, n. 12333 del 01/03/2023, Valentino, Rv. 284572).
12.4.2. La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha ricostruito puntualmente le condotte collusive poste in essere dall’imputato (responsabile dell’ ufficio appalti del consorzio), Volpe (R.U.P.) e Gallo durante la procedura di gara.
Si è, in primo luogo, posto l’accento su una conversazione avvenuta il 19/7/2017 in cui COGNOME chiamava COGNOME e gli chiedeva aiuto per correggere alcuni errori contenuti nel bando.
Secondo la puntuale ricostruzione cronologica contenuta nella sentenza impugnata, a tale telefonata seguivano un incontro tra i due e, pochi giorni dopo, in data 2/8/2017, COGNOME, dopo avere prestato aiuto a Volpe per ‘correggere’ il contenuto del bando, presentava la propria offerta.
Alla gara venivano ammesse tre imprese e il successivo 24/8/2017 la commissione giudicatrice trasmetteva al R.U.P. Volpe la graduatoria nella quale risultava in prima posizione la ditta RAGIONE_SOCIALE seguita da quella di Gallo.
La Corte territoriale ha reputato altamente significativi degli accordi collusivi intercorsi, un primo incontro tra Gallo e Volpe, avvenuto il giorno successivo alla trasmissione della graduatoria, nel corso del quale COGNOME manifestava il proprio disappunto , ma, soprattutto, l’incontro del 4/9/2017 – secondo la sentenza impugnata avvenuto prima dell’apertura delle buste – tra Truglia, Volpe e Gallo. Risulta, infatti, che nel corso di tale incontro, Truglia si faceva portare i verbali di gara e i tre procedevano al loro esame «ragionando sulle offerte formulate dai concorrenti» e sul fatto che l’offerta della prima delle due concorrenti presentava delle difformità rispetto al bando di gara. In tale contesto, COGNOME spiegava a Gallo quali atti compiere per indurre COGNOME a invalidare la gara, ovvero l’accesso agli atti e la segnalazione di difformità dei prodotti offerti dalle ditte concorrenti, condotta cui avrebbero fatto seguito anche analoghe segnalazioni da parte delle altre ditte. La sentenza impugnata aggiunge, inoltre, riportando il brano della conversazione intercettata nel corso di tale incontro, che COGNOME incoraggiava COGNOME a richiedere l’accesso agli atti, suggerendogli al contempo cautela «per evitare clamore».
Sempre il 4/9/2017 si procedeva all’apertura delle buste, rendendo pubbliche le offerte dei tre partecipanti e la relativa graduatoria frutto della sommatoria tra il punteggio del l’o fferta tecnica e quello dell’offerta economica.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, veniva intercettata altra conversazione in cui COGNOME e COGNOME continuavano a parlare della gara e COGNOME chiedeva al ricorrente di ritardare la pubblicazione della proposta di aggiudicazione.
La Corte territoriale ha, inoltre, considerato l’u lteriore condotta tenuta da COGNOME che, attenendosi alle informazioni ricevute da COGNOME, il successivo 7/9/2017 segnalava la difformità dei prodotti o fferti dalla due ditte concorrenti, chiedendone l’ esclusione dalla gara , condotta, quest’ultima , per la quale COGNOME, nel corso di un incontro avvenuto il successivo 14/9/2017, veniva redarguito da COGNOME. La sentenza segnala, in particolare, che nel corso di tale conversazione, COGNOME rimproverava COGNOME di essere stato troppo frettoloso nel chiedere l’esclusione dalla gara e di non essersi prima consultato con lui; COGNOME, inoltre, continuando a indirizzare la condotta di COGNOME, gli suggeriva di «non esagerare proponendo continue istanze», perché ciò avrebbe potuto indisporre uno dei componenti della commissione giudicatrice, arrivando a prospettare di scrivere egli stesso «quanto necessario, per far sì che COGNOME lo facesse proprio» (cfr. pagina 167).
Le interlocuzioni indebite con il COGNOME proseguivano, inoltre, il successivo 29/9/2017 in quanto, come sottolineato dalla sentenza impugnata, questa volta era COGNOME ad attivarsi per chiamare COGNOME chiedendogli chiarimenti sulle contestazioni formulate e, addirittura, indicazioni su cosa scrivere nel verbale di esclusione delle ditte concorrenti, «specificando di non poter riportare pedissequamente quanto scritto da Gallo, ma di dover modificare le parole». Ciò in ragione del fatto che la commissione giudicatrice aveva già svolto le proprie verifiche e non aveva ravvisato le anomalie segnalate da COGNOME
Il successivo 18/10/2017, COGNOME informava COGNOME che anche le altre due ditte, come già previsto da COGNOME nel corso dell’incontro del 4/9/2017, avevano chiesto l’accesso agli atti e segnalato difformità dei prodotti offerti da COGNOME, cosicché ciò avrebbe potuto portare all’annullamento della gara, notizia, quest’ultima che veniva appresa con favore da COGNOME il quale chiedeva a COGNOME di predisporre per la prossima gara un capitolato più semplice.
Risulta, infine, che a seguito di altro incontro tra Volpe e Gallo in data 7/12/2017, in cui il primo lo informava che la gara sarebbe stata annullata e che nel giro di un mese sarebbe stata bandita una seconda gara, con determina n. 12 del 19/2/2018 Volpe disponeva l’esclusione di tutte le ditte concorrenti e dichiarava deserta la gara.
12.4.3. Sulla base di tale ricostruzione cronologica delle modalità di svolgimento della gara e dei contatti intercorsi tra l’imputato, COGNOME e COGNOME, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata ha legittimamente ravvisato la responsabilità del ricorrente.
A prescindere, infatti, dalla precisa collocazione temporale dell’incontro del 4/9/2017, se prima o dopo la pubblicazione della graduatoria delle offerte, ciò che rileva
ai fini della configurabilità della condotta criminosa è l’evidente accordo collusivo intercorso con COGNOME ed avente ad oggetto l’individuazione degli strumenti per invalidare la gara e procedere agli affidamenti diretti a COGNOME, obiettivo che, come emerge dalla ricostruzione fattuale sopra riassunta, è stato pienamente raggiunto dai concorrenti nel reato.
Va, infatti, considerato che la “collusione”, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 353 cod. pen ., va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte (Sez. 6, n. 12298 del 16/01/2012, Citarella, Rv. 252555 – 01). Rientra, dunque, in tale nozione anche l’accordo attuato mediante la ‘ fornitura di suggerimenti ‘ dal soggetto preposto alla gara, sulla base della propria esperienza e delle proprie competenze professionali, eventualmente avvalendosi di notizie riservate, ad uno dei concorrenti al fine di aiutarlo ad individuare il miglior contenuto dell’offerta per aggiudicarsi la gara (Sez. 6, n. 4113 del 16/05/2019, dep. 2020, Testa, Rv. 278111; Sez. 6, n. 57251 del 09/11/2017, Vigato, Rv. 271728) o, come nel caso in esame, di ottenere l’invalidazione della gara e il successivo affidamento diretto di talune forniture. Si tratta, infatti, di un contributo conoscitivo indebito, offerto da chi dovrebbe garantire la correttezza e quindi la parità di condizioni dei concorrenti, a vantaggio di uno solo di essi, e, quindi, a danno degli altri, con modalità idonee ad influire sul normale svolgimento delle offerte.
12.4.4. Non coglie, inoltre, nel segno l’ulteriore obiezione sollevata nel corso della discussione orale, ovvero la valenza neutralizzante della collocazione temporale della condotta, in quanto avvenuta lo stesso giorno in cui veniva resa pubblica la graduatoria provvisoria delle offerte.
Va, infatti, rammentato che il termine «gara» evoca un procedimento competitivo, anche informale e atipico, mediante il quale la Pubblica Amministrazione proceda all’individuazione del contraente sulla base di un avviso informale di gara, di un bando, o comunque di altro atto equipollente, che pongano i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie offerte (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 9385 del 13/04/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272227). Nell’ambito di tale procedimento, i l termine finale entro il quale assumono rilevanza le condotte descritte dall’art. 353 cod. pen. va individuato nella conclusione della gara, ovvero nell’aggiudicazione definitiva , cosicché il reato in esame è configurabile anche nel caso in cui le condotte siano realizzate nell’intervallo tra l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva, atteso che la prima ha una valenza meramente endoprocedimentale ed è solo con l’aggiudicazione definitiva che il procedimento di scelta del contraente giunge al termine (Sez. 6, n. 57251 del 09/11/2017, Vigato, Rv. 271727).
12.4.5. È inoltre, infondata la doglianza relativa alla inidoneità della condotta tenuta dal ricorrente dovendosi al riguardo ribadire che in tema di turbata libertà degli
incanti, l’evento del reato è integrato anche dal mero turbamento, consistente in una alterazione del regolare svolgimento della gara, come avvenuto nel caso di specie, con evidente pregiudizio per l’interesse pubblico alla libera concorrenza (cfr. Sez. 6, n. 6605 del 17/11/2020, dep. 2021, Pani, Rv. 280837).
12.4.6. È, infine, inammissibile, in quanto generica, la doglianza relativa alla carenza dell’elemento psicologico del reato. Va, infatti, ribadito che ai fini dell’integrazione del reato di turbata libertà degli incanti è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti (Sez. 6, n. 653 del 14/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269526).
La Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha adeguatamente ricostruito il contributo di COGNOME, anche sotto il profilo psicologico, sottolineando che questi, essendo pienamente consapevole della gara in corso, si prestava a dare suggerimenti e colludere con uno dei concorrenti al fine di farla invalidare e procedere ad affidamenti diretti.
12.5. Il settimo motivo è inammissibile in quanto pone a base della censura una non consentita comparazione con il trattamento sanzionatorio comminato a Volpe, senza, tuttavia, evidenziare alcun vizio di legittimità intrinseco alla determinazione del trattamento comminato al ricorrente (si veda pagina 186 della sentenza impugnata in cui la Corte ha argomentato in ordine alla congruità e proporzionalità della pena inflitta al ricorrente, determinata nel medio edittale, in considerazione del ruolo da questi svolto nella consumazione del reato).
12 .6. L’ottavo motivo di ricorso è fondato, risultando dalla motivazione della sentenza impugnata (pagina 168) che la Corte territoriale ha concesso il beneficio della non menzione che, tuttavia, non è stato riportato nel dispositivo.
12 .7. Sulla base di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al beneficio della non menzione della condanna, con la concessione del beneficio in questione; il ricorso va rigettato nel resto.
Il ricorso di COGNOME è complessivamente infondato e va, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito esposte.
13.1. Il primo motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte nel punto 9 .1. nell’esaminare l’analoga eccezione dedotta da COGNOME.
13.2. Il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono infondati.
Richiamate le considerazioni già esposte nel punto 12.4. in ordine alla natura e agli elementi costituivi del reato di turbata libertà degli incanti, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici e saldamente ancorata alle risultanze istruttorie e alla cronologia delle conversazioni e degli incontri
descritta nel punto 12.4.2., ha ineccepibilmente ritenuto la penale responsabilità di COGNOME per le condotte collusive tenute nel suo ruolo di R.U.P. di gara in quanto: 1) quando i partecipanti chiedevano chiarimenti sui codici dei prodotti, si rivolgeva a Gallo chiedendo il suo aiuto per correggere il bando, facendo sì che, di fatto, le risposte alle richieste dei concorrenti venissero fornire da altro soggetto interessato alla gara ; 2) dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche e la valutazione della commissione giudicatrice si incontrava con COGNOME manifestando la volontà di aggiudicargli la gara, mentre COGNOME gli anticipava la sua intenzione di chiedere l’accesso agli atti; 3) successivamente alla segnalazione delle difformità dei prodotti offerti dai concorrenti, effettuata da COGNOME secondo le indicazioni di COGNOME, violando i principi di imparzialità e terzietà, si rivolgeva a COGNOME per la redazione del verbale di esclusione delle ditte concorrenti, senza porsi il problema di verificare la fondatezza dei rilievi, ma solo di evitare che il contenuto di tale verbale fosse identico alla segnalazione di COGNOME
Si tratta di una condotta che, alla luce delle considerazioni già esposte nel punto 12.4., ha turbato l’andamento della gara, ledendo l’interesse della Pubblica Amministrazione al suo regolare svolgimento, formale e sostanziale, attraverso la libera concorrenza tra i partecipi. Non si tratta, dunque, come sostiene il ricorrente, di un comportamento ‘ preparatorio ‘ inidoneo a superare la soglia di configurabilità del tentativo, ma di un atto che, tenuto conto della natura di reato di pericolo della fattispecie in esame, appare idoneo a cagionare l’evento, poi effettivamente realizzatosi, del turbamento della gara ed ad assicurare, violando il dovere di imparzialità e terzietà, la realizzazione degli interessi di Gallo che, successivamente, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, conseguiva l’affidamento diretto sia pure per importo inferiori a quelli oggetto del bando del 2017 (si veda, al riguardo, pagina 159 della sentenza in cui la Corte territoriale afferma che dalla documentazione agli atti risulta che, una volta dichiarata deserta la gara, si è proceduto con affidamenti diretti assegnati a Gallo per assicurare il fabbisogno del Consorzio in relazione ai prodotti oggetto del bando per l’anno 2017, mentre il nuovo bando, sul quale il ricorrente continua ad insistere, riguardava il fabbisogno per l’anno 2018).
13.2.1. L a censura relativa all’elemento psicologico del reato ha un contenuto meramente confutativo, limitandosi il ricorrente ad insistere sulla rilevanza del verbale della commissione interna al consorzio. Rileva, infatti, il Collegio che la Corte territoriale, pur ritenendo tardiva la deduzione difensiva, in quanto formulata solo in sede di discussione, ha evidenziato che si trattava di un rilievo privo di sostegno documentale che, in ogni caso, non appariva idonea a disarticolare il quadro probatorio a carico di COGNOME non risultando che la commissione interna avesse valutato le conversazioni intercorse tra questo e uno degli offerenti, né che si fosse soffermata sulla turbativa contestata.
Tale motivazione è stata completamente trascurata dal ricorrente che si è limitato a insistere sull’omesso rilievo di irregolarità formali da parte della citata commissione.
14. Le richieste risarcitorie formulate con le conclusioni scritte depositate nel corso della discussione dalle parti civili Regione Calabria, Comune di Cutro e Comune di Catanzaro, peraltro già accolte dalla sentenza di primo grado, esulano dal perimetro del presente giudizio di legittimità e, non avendo costituito oggetto di specifico ricorso, non possono essere prese in considerazione.
15. Al rigetto dei ricorsi di COGNOME e COGNOME consegue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali.
Alla inammissibilità dei ricorsi di di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
16. Per quanto attiene alla liquidazione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, poiché non tutte le istanze contengono la specifica indicazione degli imputati nei cui confronti sono formulate, le stesse saranno poste a carico solo di taluni imputati sulla base del seguente criterio: le spese sostenute dalle parti civili costituitesi anche in grado di appello (Comune di Cutro, Provincia di Catanzaro, Comune di Catanzaro, Banca Intesa San Paolo) saranno poste a carico degli imputati nei cui confronti si erano costitute in appello (ovvero COGNOME, COGNOME e COGNOME); le spese sostenute dalle parti civili non costituitesi in grado di appello, ma che hanno rassegnato le proprie conclusioni nel giudizio di legittimità (Regione Calabria, Ministero dell’Interno e Presidenza del Consiglio dei Ministri) saranno poste a carico di tutti gli imputati nei cui confronti risultavano costituite in primo grado, fatta eccezione, per quanto attiene alle spese processuali sostenute dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero dell’interno, di Truglia , il cui nominativo non è indicato nelle conclusioni rassegnate.
Sulla base di tale criterio, dunque, va disposta la condanna alle spese processuali, nella misura indicata in dispositivo, di COGNOME e COGNOME in favore del Comune di Cutro e della Provincia di Catanzaro, nonché, del solo COGNOME, in favore del Comune di Catanzaro; di COGNOME in favore di Banca Intesa San Paolo; di COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME e COGNOME in favore della Regione Calabria e di COGNOME, COGNOME, COGNOME e NOME in favore del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In parziale accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla qualificazione della condotta del capo 1 e alla aggravante dell’art. 416bis , quarto comma, cod. pen., nonché nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti ai sensi dell’art. 512bis cod. pen. e rinvia, per nuovo giudizio su tali capi e punti, ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso del Pubblico Ministero.
Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di COGNOME Giuseppe limitatamente alla non menzione della condanna, beneficio che riconosce al ricorrente. Rigetta nel resto il ricorso del COGNOME.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente alle statuizioni civili e rinvia, per nuovo giudizio su tale punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto i ricorsi del COGNOME e del COGNOME.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Pino che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati sotto elencati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida: a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME in favore del Comune di Cutro in euro 4.500,00 e in favore della Provincia di Catanzaro in euro 3.686,00; a carico di COGNOME NOME in favore del Comune di Catanzaro in euro 4.000,00; a carico di COGNOME Luigi in favore di Banca Intesa San Paolo in euro 3.686,00; a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME in favore della Regione Calabria in euro 3.000,00; a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME in favore del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri in euro 6.000,00, oltre per ciascuna parte civile spese e accessorie di legge. Così deciso il 4 febbraio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME