Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6565 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6565 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI REGGIO
CALABRIA
nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 23/11/1964
avverso l’ordinanza del 08/10/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale, COGNOME la quale, riportandosi alla requisitoria in atti, conclude per l’annullamento con rinvio dell’impugnato provvedimento.
uditi i difensori:
L’avvocato COGNOME si riporta alle proprie conclusioni, già depositate, e chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria;
L’avvocato COGNOME contesta i motivi di ricorso e chiede che il ricorso venga respinto o dichiarato inammissibile.
I
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 8 ottobre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto dal P.M. avverso l’ordinanza del 29 maggio 2024, con la quale il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME avendo ritenuto insussistente il requisito della gravità indiziaria in relazione al reato di cui all’art. 416-ter cod. pen.
Nel confermare il provvedimento impugnato, il Tribunale ha ritenuto di non ravvisare in capo al COGNOME la qualità di appartenente ad un’associazione di tipo mafioso o di intermediario agente in nome e per conto del sodalizio, tenuto conto dei seguenti elementi: a) non poteva essere valorizzata la risalente condanna del padre del COGNOME per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, atteso che il figlio, l’odierno indagato, non era mai stato neanche rinviato a giudizio per tale reato; d’altra parte, la misura di prevenzione reale applicata nei suoi confronti come terzo interessato era stata revocata, mentre il fratello era stato assolto dall’imputazione associativa; b) la prudenza del COGNOME nel manifestare il proprio appoggio elettorale a NOME COGNOME nel corso della conversazione valorizzata dal pubblico ministero, era spiegabile alternativamente come espressiva del timore che i precedenti del padre potessero pregiudicare, dal punto di vista dell’immagine, il candidato; c) che neppure era ravvisabile un accordo illecito, sia pure nei termini di una mera promessa, dal momento che difettava l’esatta quantificazione dei consensi elettorali che il COGNOME si impegnava a far confluire nei confronti del COGNOME, alla luce della genericità delle dichiarazioni del primo, come pure l’identificazione della contropartita in termini di utilità che il COGNOME avrebbe assicurato al COGNOME, il quale, nella pur diffusa attività captativa successiva alla tornata elettorale del 2020, non era più comparso; d) che proprio la non configurabilità dell’accordo rendeva irrilevante la posizione di NOME COGNOME a carico del quale non si registrava alcuna contestazione accusatoria come partecipe del sodalizio mafioso e che comunque avrebbe operato, secondo la prospettazione provvisoria, come mero intermediario tra il COGNOME e il COGNOME, in ipotesi ritenuto il solo rappresentante della cosca di ‘ndrangheta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione, con il quale lamenta vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che: a) erroneamente l’ordinanza impugnata ha sovrapposto la nozione di appartenente alle associazioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. a quella di partecipe; b) ha confuso la conclusione del patto di scambio con la sua successiva esecuzione, al contrario normativamente irrilevante; c) ha preteso il
puntale accertamento in giudizio del numero dei voti garantiti e delle specifiche utilità promesse alla cosca.
Aggiunge il ricorrente che il Tribunale ha trascurato i dati investigativi, emergenti dalle stesse intercettazioni, che rivelavano come il COGNOME rappresentasse un gruppo di soggetti (la cosca COGNOME – COGNOME) molto ricercato dai candidati nel corso della campagna elettorale, come pure i dati allegati alla richiesta cautelare indicativi dell’appartenenza del COGNOME alla ‘ndrangheta, al pari degli elementi prodotti con l’atto di appello e tratti da altro procedimento a carico del COGNOME, che avevano condotto all’iscrizione di quest’ultimo nel registro delle notizie di reato, in relazione all’art. 416-bis cod. pen. Infine, secondo il ricorrente, l’aver trascurato il ruolo di COGNOME avrebbe condotto a non cogliere l’essenza del patto di scambio intercorso con il COGNOME.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alla requisitoria scritta già in atti, ha chiesto pronunciarsi l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. È pervenuta memoria difensiva di replica alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato, per le ragioni di seguito illustrate.
La motivazione dell’impugnato provvedimento resiste all’eccezione secondo cui il Tribunale, sovrapponendo la nozione di appartenente alle associazioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. a quella di partecipe, avrebbe finito per non considerare che il COGNOME doveva ritenersi, appunto, quale mero appartenente al sodalizio mafioso. Pur tenendo in considerazione l’accezione più ampia di appartenente, suggerita dall’ufficio di Procura, il Tribunale ha però rilevato l’assenza di sufficienti allegazioni, da parte ricorrente, dimostrative di un legame qualificato tra il COGNOME e una cosca di ‘ndrangheta. Il motivo -sia nella prima parte, sia nell’ultimaevidenzia ripetutamente che la “preoccupazione manifestata dall’interlocutore del candidato fosse riferibile a un più ampio gruppo di persone” rispetto al gruppo familiare (p. 9 del ricorso); ma tale asserzione non risulta sufficientemente dimostrata, come ragionevolmente obiettato dal Tribunale sulla scorta della ricostruzione dei dati acquisiti nel corso del procedimento, né adeguatamente sostenuta da critiche puntuali sviluppate nel ricorso.
In ogni caso, pur volendo accedere alla tesi del ricorrente, il quale introduce il tema del ruolo, svolto dal Guttuso, di cerniera con la consorteria RAGIONE_SOCIALE, va considerato il principio, posto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui
(-0
«ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, ove il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi, pur essendo intraneo ad una consorteria mafiosa, operi “uti singulus”, è necessaria la prova che l’accordo contempli l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso» (Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, P.m. c. Lombardo, Rv. 284583 – 01).
Il presupposto da cui muove tale giurisprudenza, che deve essere tenuto ben presente nell’analizzare il caso in esame, è che l’incriminazione ai sensi dell’art. 416-ter cod. pen. consiste pur sempre nell’accordo tra il politico e la associazione mafiosa (COGNOME, Rv. 284583 – 01, cit., in motivazione). Si richiedono, pertanto, in capo all’intraneo (ma le stesse considerazioni valgono per l’appartenente), elementi specifici, idonei a dar conto della consapevolezza e della volontà dello stesso di operare a vantaggio del clan in cambio di un ausilio di tipo elettorale (sul punto, v. Sez. 6, n. 29841 del 2021, COGNOME, non mass.). Nel caso in esame -ha chiarito il Tribunale con motivazione che non manifesta alcuna illogicità – dalla dichiarazione intercettata non emerge né siffatta componente soggettiva né un accordo illecito di tal fatta, avente cioè a oggetto l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso; è stata infatti adeguatamente rimarcata la genericità delle dichiarazioni del COGNOME, come pure l’impossibilità di identificare la contropartita in termini di utilità che il COGNOME avrebbe assicurato al COGNOME. La spiegazione alternativa alla conversazione intercettata, valorizzata dal Tribunale (vale a dire il timore che i precedenti del padre del COGNOME potessero pregiudicare, dal punto di vista dell’immagine, il candidato), non è superata dalle eccezioni del ricorrente, che restano generiche. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In disparte quanto appena precisato, l’obiezione maggiore opposta dal Tribunale alla tesi del ricorrente è, a parere del Collegio, la mancata individuazione di elementi dai quali desumere la qualifica di appartenente in capo al COGNOME; ciò che esclude in radice la configurabilità del delitto di scambio elettorale politicomafioso, anche a voler considerare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, non è necessario che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso laddove il procacciatore sia un appartenente ad associazione mafiosa, anche laddove l’agente operi “uti singulus”» (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271 – 01).
Sono altresì infondate le deduzioni relative al ruolo del COGNOME, che il Tribunale avrebbe immotivatamente trascurato, posto che, come osservato in motivazione, quest’ultimo avrebbe operato, secondo la tesi accusatoria stessa,
come mero intermediario tra il COGNOME e il COGNOME per un accordo non avente, per le ragioni sopra indicate, il contenuto di uno scambio di promesse tra sostegno elettorale e indebite utilità, riconducibile al paradigma di cui all’art. 416 ter cod. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14/01/2025
Il consigliere estensore
Il prz
c idente
Ìoolis