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Scambio elettorale: quando non basta la promessa di voti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero, confermando che per configurare il reato di scambio elettorale politico-mafioso non è sufficiente una generica promessa di voti, anche se proveniente da un soggetto con legami familiari in ambienti criminali. È necessaria la prova specifica che l’accordo preveda il procacciamento di voti attraverso il metodo mafioso, un elemento che nel caso di specie non è stato dimostrato, data anche l’indeterminatezza della promessa e della contropartita.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio Elettorale Politico-Mafioso: La Cassazione e i Limiti della Prova

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 6565/2025, offre un’importante chiave di lettura sul reato di scambio elettorale politico-mafioso, delineando con precisione i confini tra un accordo penalmente rilevante e una mera promessa di appoggio politico. La Corte ha stabilito che, anche in presenza di un soggetto considerato vicino ad ambienti mafiosi, la genericità della promessa e l’assenza di prova sull’uso del metodo mafioso sono sufficienti a escludere il reato.

Il Caso in Esame: Dalla Richiesta di Arresto al Ricorso in Cassazione

Il procedimento nasce dalla richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo, accusato del delitto di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.). La richiesta era stata respinta sia dal Giudice per le Indagini Preliminari sia, in sede di appello, dal Tribunale della Libertà.

Secondo l’accusa, l’indagato avrebbe promesso a un candidato politico un pacchetto di voti, agendo come rappresentante di una cosca mafiosa. Tuttavia, i giudici di merito avevano ritenuto insussistente la gravità indiziaria, sottolineando diversi punti critici:

* Assenza di appartenenza al clan: Non vi erano prove sufficienti a qualificare l’indagato come membro effettivo dell’associazione mafiosa.
* Spiegazione alternativa: La prudenza manifestata dall’indagato nel promettere il suo appoggio poteva essere interpretata come timore di danneggiare l’immagine del candidato a causa dei precedenti penali del proprio padre, piuttosto che come una trattativa illecita.
* Genericità dell’accordo: Mancava una quantificazione precisa dei voti promessi e, soprattutto, l’identificazione della contropartita che il clan avrebbe ottenuto dal politico.

Il Pubblico Ministero ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse interpretato erroneamente i requisiti del reato.

La Questione Giuridica: Quando una Promessa Elettorale Diventa Reato?

Il cuore della questione giuridica ruota attorno agli elementi necessari per configurare il delitto di scambio elettorale politico-mafioso. È sufficiente la promessa di voti da parte di un soggetto ‘intraneo’ a un clan, o è richiesta una prova ulteriore? Secondo la Procura, il Tribunale avrebbe errato nel pretendere la prova dell’esecuzione dell’accordo, mentre il reato si consuma con la sola promessa.

Le Motivazioni della Suprema Corte sullo scambio elettorale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura, ritenendo la motivazione del Tribunale immune da vizi logici e giuridici. Gli Ermellini hanno chiarito un principio fondamentale, richiamando la propria giurisprudenza consolidata (tra cui le sentenze n. 15425/2023 e n. 43186/2024).

Il punto centrale è che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 416-ter c.p., non basta che il soggetto che si impegna a reclutare i voti sia un appartenente a una consorteria mafiosa. È indispensabile che l’accordo tra il politico e l’intermediario contempli specificamente l’attuazione o la programmazione di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente evidenziato che:

1. Dalle intercettazioni non emergeva né la volontà dell’indagato di operare per conto del clan, né un accordo illecito che avesse ad oggetto l’uso della forza intimidatrice del sodalizio per raccogliere consensi.
2. La genericità delle dichiarazioni dell’indagato e l’impossibilità di identificare una precisa contropartita rendevano l’accordo troppo vago per essere ricondotto al paradigma criminale.
3. La spiegazione alternativa fornita dal Tribunale (il timore di un danno d’immagine per il candidato) non era stata superata da critiche puntuali nel ricorso.

In sostanza, la Corte ha ribadito che l’incriminazione per scambio elettorale politico-mafioso sanziona il patto illecito tra politica e mafia, il cui nucleo è l’impegno a mobilitare il potere dell’associazione per orientare il voto. Se questo elemento non è provato, la condotta non rientra nella fattispecie penale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un orientamento rigoroso e garantista. Per provare il reato di scambio elettorale politico-mafioso non basta dimostrare un contatto o una generica promessa di appoggio tra un candidato e un soggetto legato ad ambienti criminali. L’accusa ha l’onere di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’oggetto specifico del patto fosse il procacciamento di voti attraverso l’intimidazione e la forza del vincolo mafioso. In assenza di tale prova, anche se il contesto può apparire sospetto, non si può raggiungere la soglia della gravità indiziaria necessaria per l’applicazione di misure cautelari e, successivamente, per una condanna.

È sufficiente la promessa di un pacchetto di voti da parte di un soggetto vicino a un clan mafioso per configurare il reato di scambio elettorale politico-mafioso?
No. Secondo la Corte, non basta la generica promessa di voti. È necessario dimostrare che l’accordo prevedeva specificamente l’attuazione o la programmazione di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso.

Per il reato di scambio elettorale, è necessario che il procacciatore di voti sia un membro organico dell’associazione mafiosa?
No, il reato può essere commesso anche da un ‘appartenente’ in senso più ampio. Tuttavia, l’appartenenza da sola non è sufficiente. L’elemento cruciale è la natura dell’accordo, che deve riguardare l’uso del metodo mafioso per ottenere i voti.

La mancata specificazione del numero di voti e del compenso promesso al clan incide sulla configurabilità del reato?
Sì. Nel caso di specie, la genericità delle dichiarazioni dell’indagato e l’impossibilità di identificare una precisa contropartita a favore del clan sono stati elementi decisivi, confermati dalla Cassazione, per escludere la presenza di un accordo illecito penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416-ter c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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