Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20590 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20590 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 25/03/2025 R.G.N. 42961/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA nel procedimento a carico di: NOME nato a WINNIPEG (CANADA) il 05/04/1972 avverso l’ordinanza del 22/10/2024 del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore: L’avvocato COGNOME conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 22 ottobre 2024 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto dalla DDA della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 29 maggio 2024, ha respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere a carico di NOME COGNOME quale indiziato per i delitti di cui agli artt. 110, 416-ter cod. pen. commessi e accertati tra l’ottobre 2019 e il novembre 2020, per avere, quale candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria del 2020 e del 2021, accettato la promessa di esponenti della cosca di ‘ndrangheta denominata COGNOME (capo C) e della locale di Croce Valanidi (capo E) di procurargli voti in cambio della erogazione e della promessa di varie utilità, risultando poi eletto.
Il Tribunale del riesame premette, nell’ordinanza, una lunga esposizione degli elementi indiziari evidenziati dalla pubblica accusa, costituiti da intercettazioni a carico di esponenti della cosca COGNOME, in particolare NOME COGNOME e NOME COGNOME, e di esponenti della locale di Croce Valanidi, in particolare NOME COGNOME. Riporta quindi, separatamente, la motivazione del g.i.p. circa l’insussistenza della necessaria gravità indiziaria con riferimento al reato sub C), in primo luogo per l’insussistenza di gravi indizi di una intraneità del COGNOME nella cosca COGNOME e della finalità a vantaggio di questa del suo interessamento, nonchØ per l’insussistenza di una effettiva contropartita concessa dal COGNOME a vantaggio della cosca e non del solo COGNOME o di altri singoli soggetti, e l’insussistenza di un utilizzo del metodo intimidatorio mafioso nel procacciare voti a favore dell’indagato.
Il Tribunale, richiamato brevemente il contenuto dell’appello proposto dalla Procura quanto alla sussistenza del capo C), lo ha ritenuto infondato. A suo parere, il COGNOME Ł soggetto già inserito da tempo nelle dinamiche politiche locali, essendo componente di un partito politico, circostanza che rende plausibile la tesi del g.i.p. di una sua azione autonoma, in tale settore, rispetto alla cosca degli
COGNOME, pur essendo il genero del capo NOME COGNOME; inoltre appare dubbia la fondatezza della tesi accusatoria, di essere stata la sua nomina quale componente della ‘Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche nell’Area dello Stretto – Ufficio di presidenza’ il corrispettivo per il suo interessamento nel procacciamento di voti a favore del COGNOME, vista la reazione stizzita del medesimo COGNOME all’annuncio di tale nomina e la sua convinzione che tale incarico gli spettasse di diritto. Secondo il Tribunale, in ogni caso non emerge nØ che la raccolta di voti sia stata condotta con metodi mafiosi, nØ che le aspettative di una ricompensa fossero dirette a favore della cosca, anzichØ di tipo solo personale, e che fossero condivise dal COGNOME stesso. Secondo il Tribunale, vi sono anche dubbi sulla consapevolezza del COGNOME circa il ruolo apicale ricoperto da NOME COGNOME nella cosca omonima, non essendo stato questi ancora condannato per reati legati ad attività mafiosa, e circa l’impegno del medesimo nel procacciargli voti, come emergerebbe dalle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME
Sempre con riferimento al reato contestato al capo C), il Tribunale ha respinto l’appello della Procura anche in merito all’accordo intervenuto con NOME COGNOME ritenendo non supportata da gravi indizi sia la sua asserita appartenenza alla ‘ndrangheta, sia la sua contestata partecipazione al patto elettorale intercorso tra il COGNOME e il COGNOME, mancando la prova di un interessamento del COGNOME a far vincere un concorso a tale NOME COGNOME, sia infine ritenendo non provati nØ l’utilizzo, da parte del COGNOME, del metodo mafioso nel procacciamento di voti, nØ il presunto accordo con NOME COGNOME per far ottenere incarichi all’avv. NOME COGNOME anche in questo caso ritenendo mancanti i gravi indizi anche della sussistenza di un accordo che coinvolgesse da un lato il supposto beneficiato, e dall’altro lato il COGNOME.
Il Tribunale ha poi ampiamente valutato l’insussistenza, sempre con riferimento al capo C), di gravi indizi circa l’avere NOME COGNOME e NOME COGNOME procacciato voti a NOME COGNOME mediante l’utilizzo di metodi mafiosi, riesaminando le intercettazioni in cui NOME COGNOME, fratello del candidato NOME COGNOME, aveva riferito di minacce rivolte da soggetti vicini al COGNOME a due persone per indurle a votare quest’ultimo piuttosto che suo fratello, affermazioni che il g.i.p. aveva ritenuto poco attendibili. Il Tribunale ha respinto anche su questo punto l’appello della Procura, rilevando che esso si fonda su una diversa valutazione dell’attendibilità delle affermazioni fatte dal COGNOME in diverse intercettazioni, ma che gli elementi esterni ad esse non danno una sufficiente conferma della veridicità del contenuto di quelle dichiarazioni: in particolare non le confermano le negatorie dei due presunti soggetti minacciati i quali, pur potendo avere mentito per timore di ritorsioni, hanno dichiarato di non avere subito alcuna pressione per dirottare il loro bagaglio elettorale dal Creazzo al Neri.
Infine il Tribunale ha ritenuto mancanti i gravi indizi della sussistenza del delitto contestato al capo E). Anche in ordine a questa imputazione il g.i.p. ha ritenuto non accertata la partecipazione di NOME COGNOME ad un’associazione criminosa, non provato che il COGNOME avesse promesso a questi una utilità in cambio dell’appoggio elettorale, e che si trattasse di una utilità a favore del sodalizio criminale, e non provato neppure che il COGNOME avesse effettivamente ricevuto un apporto dal COGNOME, in termini elettorali. Il Tribunale ha ribadito tale valutazione, in particolare sottolineando la mancanza di elementi da cui dedurre anche solo l’esistenza di un legame qualificato del COGNOME con cosche di ‘ndrangheta, essendo irrilevante la sua mera parentela con il padre, condannato per reato associativo nel 2013, e con il fratello NOME, imputato per analogo reato ma poi assolto, sottolineando l’assenza di elementi da cui dedurre che egli abbia offerto il proprio supporto al COGNOME agendo quale intermediario per una associazione mafiosa, e infine ribadendo l’insussistenza di elementi da cui dedurre che il COGNOME avesse formulato promesse in cambio dell’appoggio alle elezioni, avendo i due rinviato genericamente ad un confronto da tenere dopo le elezioni, senza peraltro che, in seguito, siano state captate altre conversazioni tra di loro.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, con motivi molto articolati relativi al reato contestato al capo C) e, separatamente, a quello contestato al capo E).
Quanto al vizio di violazione di legge, secondo il pubblico ministero l’ordinanza ha erroneamente interpretato l’art. 416-bis cod. pen. sotto un duplice profilo.
In primo luogo ha ritenuto necessario che, per accertare la consumazione di uno degli scopi tipici dell’associazione si debba non solo provare che questa abbia alterato l’esercizio del voto o procurato voti in favore di propri associati o di terzi, ma anche individuare l’interesse ad infiltrarsi nella pubblica amministrazione, mentre l’art. 416-bis, comma 3, cod. pen., pone tali condotte come alternative. Il pubblico ministero appellante, con un approfondito esame della personalità del COGNOME e della condotta da lui tenuta nel corso di tutta la sua attività politica, ha ribadito che Ł provato l’inquinamento elettorale compiuto dalla cosca COGNOME, capace di spostare da un partito all’altro, nel giro di pochi mesi, il voto degli elettori residenti delle zone controllate, e che a tale inquinamento collabora attivamente il COGNOME, prestando alla cosca il proprio contributo organizzativo.
In secondo luogo, ha ritenuto necessaria la prova che l’intermediario tra la cosca e il candidato, una volta ottenuto un incarico istituzionale a seguito dell’accordo elettorale, lo sfrutti per rafforzare l’associazione, mentre in questo caso, stante il rapporto trilaterale, Ł provato che il COGNOME, grazie al supporto elettorale garantito dalla cosca, accresceva la propria capacità di intermediazione al fine di ottenere per sØ incarichi, e che la cosca consolidava il suo potere di assoggettamento del territorio, realizzando una sinergia di interessi che dimostra, a carico del COGNOME, quanto meno il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.
Infine l’ordinanza ha interpretato in modo erroneo l’art. 416-ter cod. pen., perchØ ha equiparato la figura del ‘partecipe’ ad un’associazione mafiosa a quella del mero appartenente, a cui la norma si riferisce rifacendosi alla nozione propria della materia della prevenzione, e a cui deve riportarsi la persona del COGNOME; ha preteso che l’utilità promessa si riferisca all’associazione mafiosa e non anche al singolo pattuente; ha preteso, quanto al capo E), di verificare l’effettiva esecuzione del patto di scambio, mentre per la sussistenza del reato Ł sufficiente la mera promessa reciproca; ha preteso, sempre quanto al capo E), l’esatta quantificazione, in termini di voti, del supporto promesso o fornito, e l’esatta individuazione delle utilità promesse, il tutto in contrasto con il contenuto della norma.
Quanto al dedotto vizio di motivazione, il pubblico ministero ricorrente lamenta la valutazione parcellizzata degli indizi da parte del tribunale, nonchØ l’omesso esame di alcuni di essi.
L’esame delle intercettazioni dimostra, in realtà, non il concorso esterno del COGNOME all’associazione mafiosa, bensì la sua partecipazione, deducibile in particolare dalla vicenda dell’intervento della cosca nella elezione al consiglio comunale, in cui NOME COGNOME decide di far convergere i voti sul candidato Sera anzichØ su quello sostenuto dal COGNOME, al quale il COGNOME aveva promesso un appoggio: la diversa decisione del capo cosca costringe il COGNOME a negare il sostegno al candidato sostenuto dal COGNOME circostanza che dimostra come egli sia intraneo alla cosca stessa e soggetto alle decisioni assunte dai suoi capi, oltre a confermare la capacità di questa, e specificamente di NOME COGNOME, di interferire pesantemente sulle competizioni elettorali, alterandone il risultato.
La prova dell’accordo sinallagmatico deriva logicamente dalle molte intercettazioni da cui risulta che la cosca, e il COGNOME, spostavano i voti da un candidato all’altro, e da un partito all’altro, solo per ragioni di convenienza, cioŁ votando il piø probabile vincitore, al fine di ottenere da questi utilità di vario genere. Tutti i rapporti intessuti dal COGNOME, pertanto, hanno alla base la stipula di accordi sinallagmatici.
Il Tribunale erra nell’affermare che manca la prova della consapevolezza della caratura criminale di NOME COGNOME perchØ dalle intercettazioni risulta evidente la conoscenza, da parte del COGNOME e degli altri candidati, del ruolo di tale soggetto ed anche dell’essere egli il vero artefice delle varie decisioni, e non il COGNOME; peraltro già in anni precedenti la stampa aveva descritto il COGNOME quale esponente politico prossimo alla cosca COGNOME.
Infine, in relazione al capo E), il Tribunale ha omesso di confrontarsi con gli elementi dell’accusa indicativi dell’avere il COGNOME agito quale rappresentante della cosca COGNOME–COGNOME, ed ha omesso di valorizzare il ruolo assunto dal COGNOME, soggetto appartenente alla ‘ndrangheta, sia quale introduttore del COGNOME presso il COGNOME, sia quale garante del patto di scambio, sia quale conoscitore dei metodi attraverso cui il gruppo rappresentato dal COGNOME avrebbe agito. Il Tribunale ha omesso di esaminare i molti elementi dimostrativi dell’appartenenza del commercialista COGNOME alla ‘ndrangheta, oltre che del suo ruolo centrale nella vicenda contestata al capo E). In merito al primo aspetto, il ricorso richiama le condotte descritte anche nell’ordinanza impugnata, che sono oggetto di un diverso procedimento in cui il COGNOME Ł indagato per il reato associativo e per due ipotesi di estorsione aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolazione di una cosca mafiosa. In merito al secondo aspetto, il ricorso evidenzia che, dalle intercettazioni, emerge che il COGNOME viene convocato ad un incontro con il COGNOME proprio dal COGNOME, e che la convocazione ha il solo scopo di formalizzare gli accordi già raggiunti dal COGNOME con il COGNOME, con cui il primo aveva rapporti da tempo, anche in relazione alla vicenda descritta dal Tribunale, in cui emerge la qualità mafiosa del soggetto. Il COGNOME, infatti, riferisce al COGNOME di avere saputo dal COGNOME che egli Ł il loro candidato, e si mostra titubante circa le modalità con cui fare campagna elettorale in suo favore, mentre Ł il COGNOME a intervenire per rassicurare entrambi, dicendo di avere già spiegato al COGNOME le condizioni. Dalle parole del COGNOME, poi, si deduce che, diversamente da quanto interpretato dal Tribunale, egli rappresenta un gruppo che muove un significativo pacchetto di voti, dal momento che molti politici cercano di spostarlo a proprio favore; per la sussistenza del reato, peraltro, Ł irrilevante la precisa individuazione dell’entità di tale pacchetto.
Altrettanto non necessaria, secondo lo stesso art. 416-ter cod. pen., Ł l’individuazione dell’utilità promessa, essendo sufficiente la disponibilità del politico a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa.
L’ordinanza, inoltre, ha omesso di confrontarsi con gli elementi indicati dall’accusa, che individuano il COGNOME come rappresentante della cosca COGNOME–COGNOME: lo stesso COGNOME parla di un gruppo recentemente attenzionato dagli inquirenti, che perciò deve muoversi sotto traccia ma, nonostante ciò, Ł capace di spostare il proprio pacchetto di voti, anche operando solo negli ultimi giorni prima delle elezioni, evidenziando, quindi, di parlare non a titolo personale e neppure come rappresentante del suo solo nucleo familiare, bensì di un gruppo ben piø consistente e radicato sul territorio.
Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, pur molto approfondito e dettagliato, non merita accoglimento.
Il reato di cui all’art. 416-ter cod. pen., contestato al COGNOME, consiste nello scambio elettorale politico-mafioso ed esige che l’indagato accetti la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti ad un’associazione mafiosa o che agiscono con metodo mafioso, ed in cambio eroghi o prometta di erogare utilità, o manifesti la propria disponibilità a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa di riferimento. Questa Corte ha affermato, infatti, sia che «non Ł necessario che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso laddove il procacciatore sia un appartenente ad associazione mafiosa, anche laddove l’agente operi uti singulus», sia che
«l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere costituito da “qualunque altra utilità”, termine che ricomprende qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente» (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, Rv. 287271-01 e Rv. 287271-02). Quanto all’oggetto dello scambio, si Ł anche precisato che «il delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. non richiede una preventiva e puntuale individuazione dei favori da elargire, essendo sufficiente la generica disponibilità a sostenere le esigenze e gli interessi dell’associazione criminale» (Sez. 5, n. 42651 del 03/10/2024, Rv. 287238).
L’ordinanza impugnata risulta essersi conformata a tali principi, e ad un’interpretazione corretta della norma, valutando, per entrambe le contestazioni di cui all’imputazione provvisoria, l’insussistenza di gravi indizi sia della provenienza della promessa di voti da un soggetto appartenente ad una cosca mafiosa, sia dell’essere stato attuato o anche solo ipotizzato l’uso di metodi mafiosi nel procacciamento dei voti, sia dell’essere stata erogata almeno una promessa di disponibilità in favore dell’associazione mafiosa, e non del singolo promittente i voti.
Con riferimento al reato di cui al capo C) il Tribunale ha valutato, pertanto, la sussistenza dei gravi indizi di reato in relazione all’elemento della provenienza dall’associazione mafiosa degli COGNOME della promessa di procurare voti all’indagato COGNOME per l’appartenenza a tale cosca del promittente COGNOME o per avere questi agito a nome della stessa, in relazione all’elemento dell’essere stata promessa una raccolta di voti con metodo mafioso, e infine in relazione all’elemento dell’avere il COGNOME promesso, in cambio, una utilità o una disponibilità ad erogare utilità in favore della cosca.
Tale iter argomentativo appare logico e coerente con l’oggetto dell’appello proposto dal pubblico ministero: al di là della correttezza o meno dell’interpretazione dell’art. 416-bis, comma 3, cod. pen. da parte del g.i.p. e del Tribunale del riesame, argomento su cui il ricorso si dilunga, ciò che rileva al fine di valutare l’applicabilità all’indagato Neri della misura cautelare richiesta Ł la sussistenza dei gravi indizi sia della provenienza da un soggetto ‘appartenente’ all’associazione mafiosa della promessa di procurargli voti, sia dell’esistenza di una contro-promessa sufficientemente concreta di erogare utilità, che configuri il verificarsi dello scambio elettorale. L’affermazione dell’ordinanza impugnata della mancanza della necessaria gravità indiziaria, perchØ non vi sono elementi sufficienti per ritenere che il sostegno promesso dal COGNOME provenisse dalla cosca ovvero che egli agisse quale appartenente ad essa, e per ritenere che il COGNOME abbia concretamente promesso utilità, in particolare in favore della cosca, non essendo invece oggetto di impugnazione l’assenza di gravi indizi circa l’uso del metodo mafioso, Ł sufficientemente motivata, ed il ricorso non la contrasta efficacemente.
Quanto al primo elemento, il Tribunale ha ritenuto insussistenti i gravi indizi, necessari per l’applicazione di una misura cautelare, dell’appartenenza di NOME COGNOME, autore della promessa di sostegno elettorale al COGNOME, alla cosca COGNOME, benchØ essa sia guidata da suo suocero. Il Tribunale, ribadendo la valutazione già effettuata dal giudice per le indagini preliminari, ha valorizzato il fatto che NOME COGNOME Ł un esponente politico di un preciso partito, già da tempo stabilmente inserito nelle dinamiche politiche locali, ed ha ritenuto che, in assenza di elementi per affermare che egli sia un partecipe dell’associazione mafiosa indicata, non si può escludere che egli intessa accordi elettorali con altri esponenti politici per una sua personale utilità, soprattutto di rafforzamento della propria carriera politica, e sulla base di una strategia elaborata personalmente, diretta ad appoggiare, di volta in volta, i candidati che hanno maggiore possibilità di vittoria e possono favorirgli l’ottenimento di un ruolo politico di maggior peso, ovvero di cariche politiche e amministrative di maggiore importanza e visibilità.
La valutazione della mancanza di gravi indizi dell’appartenenza del COGNOME alla cosca COGNOME, e della provenienza da questa della promessa di procurare voti al COGNOME, non Ł del tutto convincente, in quanto emerge, dalla stessa ordinanza, che nella vicenda delle elezioni al consiglio comunale del
2020 il COGNOME, dopo avere assicurato sostegno al candidato appoggiato dal COGNOME, sostenne invece il diverso candidato scelto dal suocero NOME COGNOME e si giustificò con il COGNOME affermando di dover rispettare tale scelta. Questa vicenda, come affermato nel ricorso, dimostra la capacità della predetta associazione di inquinare il confronto elettorale spostando i voti da un candidato all’altro a seconda della propria convenienza, e l’assoggettamento del COGNOME alle dinamiche della cosca. Appare però logica ed altrettanto plausibile la valutazione del Tribunale, secondo cui questa vicenda dimostra anche l’esistenza di una certa autonomia del COGNOME, che stringe accordi elettorali secondo logiche personali e senza consultarsi con la cosca ovvero con il suo capo, salvo dover poi modificare le proprie scelte, al punto che il COGNOME, in un colloquio con tale NOME COGNOME ipotizzò che il voltafaccia del COGNOME derivasse dalla sua personale decisione di sostenere l’altro candidato, e la giustificazione di aver dovuto adeguarsi alla diversa decisione del suocero fosse soltanto una scusa (pag. 18 dell’ordinanza impugnata). La vicenda, pertanto, rimane di dubbia interpretazione, e non apporta elementi indiziari certi e gravi che confortino la valutazione della figura del COGNOME quale soggetto intraneo alla cosca, o quanto meno esecutore delle strategie elettorali da questa elaborate, come ritenuto dal pubblico ministero ricorrente, apparendo allo stato altrettanto plausibile la sua descrizione quale soggetto estraneo ad essa, ed elaboratore delle strategie elettorali soprattutto sulla base del proprio interesse per la sua carriera politica.
4.1. Il pubblico ministero ricorrente afferma l’erroneità della valutazione della figura del COGNOME, compiuta prima dal g.i.p. e poi dal Tribunale, sostenendo che egli collabora attivamente al condizionamento del voto da parte della cosca COGNOME, prestando ad essa il proprio contributo organizzativo, e che tale condotta Ł dimostrativa di un suo ruolo, se non di partecipe all’associazione, quanto meno di concorrente esterno, in quanto il fatto di agire per l’interesse personale di favorire la propria carriera politica non esclude, ed anzi supporta, il contestuale interesse della cosca che, tramite tale condizionamento elettorale, accresce il proprio potere di controllo sul territorio. Rispetto a questa tesi della pubblica accusa, il Tribunale ha ritenuto piø fondata la tesi alternativa di un attivismo del Barillà separato dagli interessi e dalle strategie dell’associazione mafiosa, o quanto meno ha ritenuto non sussistenti elementi idonei per ritenere piø convincente la tesi del pubblico ministero, evidenziando la mancanza di prova di un collegamento tra l’attività del RAGIONE_SOCIALE e gli interessi della cosca, collegamento ritenuto essenziale per qualificare la condotta di questi come quella di un appartenente alla cosca, anche solo come concorrente esterno o intermediario della stessa.
Il ricorso contesta tale valutazione anche affermando che la figura di ‘appartenente’ ad un’associazione mafiosa, prevista dall’art. 416-ter cod. pen., deve intendersi quella di un soggetto che presta un’attività di collaborazione, anche non continuativa, con l’associazione, secondo il concetto elaborato in tema di misure di prevenzione, in particolare dalla sentenza Sez. U, n. 11/2018, Gattuso. Questa affermazione non Ł condivisibile. In primo luogo proprio la sentenza delle Sezioni Unite sopra citata sostiene che «Il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa … comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale», mentre il Tribunale ha specificamente ritenuto carenti i gravi indizi di un collegamento tra l’azione del COGNOME e gli interessi della cosca, e quindi mancanti i gravi indizi di un’azione volutamente funzionale agli scopi associativi. In secondo luogo, il ricorso stesso ricorda che, nei lavori preparatori, il legislatore ha consapevolmente utilizzato il termine ‘appartenente’, lasciando all’interprete il compito di chiarirne il contenuto, ma solo nel senso di poter ritenere sufficiente, per dimostrare tale appartenenza, oltre alla condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche la sola applicazione di una misura di prevenzione, elementi del tutto assenti a carico del COGNOME.
4.2. L’ordinanza impugnata ha valutato l’insussistenza dei gravi indizi di reato anche sotto il profilo della consapevolezza, da parte del COGNOME, che la promessa di sostegno elettorale pronunciata dal COGNOME provenisse dal clan COGNOME. Anche qualora vi fossero indizi gravi di tale provenienza, il Tribunale ha evidenziato che non vi Ł la certezza che il COGNOME fosse a conoscenza dell’appartenenza del COGNOME alla cosca di NOME COGNOME, di cui Ł il genero, o comunque fosse a conoscenza di un rapporto di sudditanza tra questi e il suocero, dal momento che, in occasione della vicenda sopra descritta, della sconfessione dell’accordo stretto tra COGNOME e COGNOME per il sostegno al candidato di quest’ultimo, per sostenere invece il candidato scelto dalla cosca, il COGNOME, come detto, ipotizzò che la giustificazione addotta dal COGNOME, di dover seguire le direttive del suocero, fosse solo una scusa, e che il mutamento del sostegno elettorale fosse una strategia elaborata dal COGNOME per altre ragioni. L’affermazione del COGNOME, captata attraverso una intercettazione, Ł stata logicamente interpretata come una sua convinzione dell’autonomia del COGNOME in merito all’elaborazione delle proprie strategie elettorali, e il ricorso non ha contestato come viziata tale interpretazione.
4.3. Si deve pertanto concludere che, per questi vari argomenti, l’affermazione del Tribunale della mancanza di gravi indizi circa la provenienza della promessa di sostegno elettorale dalla cosca COGNOME, e non dal solo COGNOME, del quale non Ł provata l’appartenenza alla predetta cosca, Ł sufficientemente motivata.
L’ordinanza stessa sottolinea l’opacità dell’attività politica del COGNOME e il suo non chiarito rapporto con la cosca COGNOME, la cui capacità di condizionare il confronto elettorale Ł emersa con evidenza, ma essa applica correttamente la norma dell’art. 273 cod. proc. pen., circa la necessità che gli indizi di colpevolezza siano gravi. La sua valutazione della presenza di indizi, circa la sussistenza di questo elemento del reato, che non possono essere ritenuti ‘gravi’, Ł logica e approfondita, e si sottrae perciò alla censura da parte del giudice di legittimità. Questa Corte ha stabilito, infatti, che «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei graviindizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976; Sez. U, n. 110 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
I gravi indizi della sussistenza del reato di cui al capo C) vengono esclusi, nell’ordinanza impugnata, anche con riferimento alla promessa di una erogazione di utilità o di una disponibilità in favore della cosca mafiosa.
Il Tribunale ha ritenuto assenti i gravi indizi di una simile promessa, formulata da parte del COGNOME, in quanto ha esaminato singolarmente le varie promesse indicate nell’imputazione provvisoria, ed ha concluso che di queste solo la nomina di COGNOME a componente della ‘Conferenza permanente interregionale per il coordinamento delle politiche nell’Area dello Stretto – Ufficio di presidenza’ si Ł concretizzata, consentendo così di ritenerla effettivamente formulata. Ha però rilevato che essa non Ł risultata particolarmente gradita al COGNOME, che in una intercettazione afferma che si trattava di un incarico che gli era comunque dovuto, ed ha altresì ritenuto che si era trattato, in ogni caso, di una utilità solo personale del COGNOME, che non risultava apportare effetti favorevoli alla cosca COGNOME. Anche in ordine alle altre promesse elencate nell’imputazione provvisoria il Tribunale, oltre a valutarne la scarsa gravità indiziaria, che nella vicenda relativa a tale NOME COGNOME riguarda anche l’effettivo coinvolgimento del COGNOME ne ha rilevato la natura solo personale, ribadendo quindi l’affermazione del g.i.p. circa la mancanza di gravi indizi dell’avere il COGNOME promesso iniziative
favorevoli all’associazione mafiosa, in cambio del suo sostegno elettorale.
Il pubblico ministero ricorrente contesta tale valutazione sostenendo che il testo della norma non collega necessariamente l”utilità’ all’associazione mafiosa, potendo trattarsi anche di una utilità di natura solo personale, ma non si confronta con l’ordinanza che, come detto, ha ritenuto del tutto assenti i gravi indizi della sussistenza delle promesse che, secondo l’imputazione provvisoria, il COGNOME avrebbe fatto in favore di tale avv. NOME COGNOME e del predetto COGNOME, e della natura di promessa collegata al sostegno elettorale, quanto alla sopra indicata nomina di COGNOME. Non vi Ł dubbio che la promessa che costituisce lo scambio elettorale possa consistere anche in una utilità personale, potendo comportare un interesse, per l’associazione mafiosa, anche lo stipulare un accordo in favore di un singolo soggetto al fine di dimostrare il proprio potere, mediante il soddisfacimento delle esigenze personali del privato che si rivolge ad essa. In questo caso, però, mancando indizi gravi circa la provenienza dalla cosca della promessa di sostegno elettorale, la natura strettamente personale delle singole utilità elencate nell’imputazione provvisoria impedisce di ipotizzare che esse rivestissero un qualche interesse per la cosca, interesse che, se sussistente, avrebbe potuto costituire un indizio della provenienza da quest’ultima della promessa di sostegno elettorale, o comunque un indizio del coinvolgimento in essa della cosca stessa.
Il ricorso, inoltre, non menziona alcun indizio relativo ad una manifestata disponibilità, da parte del COGNOME, a soddisfare le esigenze dell’associazione mafiosa, indizio che non può certamente essere dedotto dalla decisione della cosca di sostenere l’uno o l’altro candidato a seconda di tali esigenze, evidentemente indirizzando i voti sul candidato ritenuto piø pronto a soddisfarle, dal momento che l’art. 416-ter cod. pen. impone l’accertamento di un concreto scambio di promesse, ed Ł irrilevante la mera valutazione, fatta dall’associazione stessa, della propria ‘convenienza’ a convogliare i voti verso un certo candidato, senza avere stipulato con questi un preciso accordo.
La valutazione della mancanza dei gravi indizi di colpevolezza per l’assenza di elementi circa l’effettiva e concreta formulazione di promesse di utilità da parte del COGNOME, pertanto, non Ł contrastata dal ricorso, ed Ł sufficiente per ritenere quest’ultimo infondato, anche sotto tale profilo, con riferimento al reato contestato al capo C).
Anche in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui al capo E), il ricorso non si confronta adeguatamente con l’ordinanza impugnata.
Il pubblico ministero ricorrente lamenta che il Tribunale ha obliterato la figura del COGNOME, soggetto di cui afferma essere certa l’appartenenza alla ‘ndrangheta, e il ruolo da lui assunto di intermediario e garante dell’accordo stipulato dal COGNOME con il COGNOME, e afferma che ha altresì travisato, omettendoli in parte, gli elementi idonei a dimostrare che quest’ultimo ha promesso i voti per conto della cosca COGNOME, ovvero della locale di Croce Valanidi, come contestato nell’imputazione provvisoria.
La ricostruzione della vicenda contenuta nel ricorso appare forzata, e non tale da dimostrare la gravità del quadro indiziario: secondo il pubblico ministero, l’accordo elettorale con il COGNOME sarebbe stato raggiunto, in realtà, dal COGNOME, che avrebbe presentato il COGNOME al COGNOME solo dopo avere già stipulato il patto elettorale, addirittura persuadendo egli stesso il COGNOME a spostare i voti della cosca sul COGNOME. Il COGNOME, quindi, avrebbe promesso al COGNOME i voti della cosca solo perchØ convinto dal COGNOME e il COGNOME avrebbe accettato la promessa per la presenza della garanzia fornita dal COGNOME stesso circa la capacità del promittente di raccogliere i consensi e indirizzarli verso il candidato prescelto.
Questa ricostruzione appare dettata dalla necessità di attribuire al promittente i voti la qualità di appartenente all’associazione mafiosa, dal momento che lo stesso pubblico ministero ricorrente non ha censurato la motivazione dell’ordinanza che esclude l’attribuibilità di tale qualità al COGNOME. Essa, però, non corrisponde alla fattispecie sanzionata dall’art. 416-ter cod. pen., dal momento che la
promessa di procurare voti viene formulata da un soggetto non appartenente ad una cosca, cioŁ il COGNOME, mentre colui che il pubblico ministero indica come appartenente, e forse partecipe, della ‘ndrangheta non ha, evidentemente, alcuna personale capacità di influenzare il confronto elettorale dal momento che, nonostante si affermi che egli ha già stipulato l’accordo di scambio elettorale, Ł necessario un incontro diretto con il soggetto che, secondo la ricostruzione accusatoria, rappresenta la cosca mafiosa promittente il voto, affinchØ tale accordo si concretizzi. L’intervento del COGNOME, pertanto, per quanto affermato dallo stesso ricorrente, pur se fondamentale, non ha comportato il raggiungimento dell’accordo: egli, per quanto risulta, ha solo acquisito la disponibilità del gruppo rappresentato dal COGNOME ad incontrare il COGNOME e a promettergli il proprio voto, dal momento che la promessa si Ł concretizzata solo durante tale incontro.
La provenienza della promessa di procurare voti da un soggetto che non appartiene ad un’associazione mafiosa, però, impone che, per ritenere sussistente il reato contestato, la promessa riguardi anche l’uso del metodo mafioso, uso che in questo caso non Ł supportato da alcun indizio, non essendo tale la generica affermazione del Gattuso di essere il suo gruppo capace di spostare i voti anche operando in modo occulto e di concentrare la raccolta di voti negli ultimi giorni prima delle elezioni.
Anche la natura mafiosa del gruppo rappresentato dal COGNOME, peraltro, Ł stata ritenuta dal Tribunale non sufficientemente accertata, sulla base di un’argomentazione che non presenta vizi logici: non vi sono i presupposti per considerare l’indagato COGNOME intraneo ad un’associazione mafiosa e neppure appartenente ad essa, essendo stato indicato, quale elemento significativo, solo il fatto che suo padre Ł stato condannato nel 2013 per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.; anche la necessità, dichiarata dal predetto, di operare rimanendo ‘dietro le quinte’ non costituisce un indizio grave, potendo esservi altre spiegazioni per tale affermazione, come quella ipotizzata dal g.i.p. Pertanto non può escludersi, secondo la valutazione del Tribunale, che i voti da lui promessi provengano da un gruppo privo di connotazione mafiosa. Inoltre l’estrema genericità della sua offerta, affermando il COGNOME di non voler dire al COGNOME nØ quanti voti Ł in grado di portargli nØ in quali sezioni elettorali, non Ł tipica di una promessa di sostegno da parte di un’associazione mafiosa che, utilizzando anche il controllo del voto degli elettori come forma di controllo del territorio, conosce l’entità del pacchetto di voti che Ł in grado di condizionare, e sa collocarlo nei singoli seggi ricompresi nella propria zona di influenza: anche questo elemento, pertanto, fa ritenere non illogica la conclusione dell’ordinanza impugnata, circa la mancanza di gravità indiziaria in merito alla provenienza di quella promessa di voto da una cosca mafiosa.
Il ricorso non si confronta, poi, con la valutazione della mancanza della contro-promessa, da parte del COGNOME, di erogare una qualunque utilità. Correttamente il pubblico ministero ricorrente ricorda che, per la sussistenza del reato di scambio, non Ł necessario che la promessa di erogazione dell’utilità sia concretizzata in un atto specifico, essendo sufficiente anche solo la manifestazione di una disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa, come affermato dalla pronuncia Sez. 5, n. 42651 del 03/10/2024, Rv. 287238, richiamata al paragrafo 2. Nel presente caso, però, il Tribunale ha evidenziato la totale assenza di qualunque promessa ed anche di una manifestazione di disponibilità, e l’ha logicamente valutata come la mancanza di un grave indizio circa l’esistenza dello scambio richiesto dall’art. 416-ter cod. pen. Il Gattuso, infatti, rinvia esplicitamente eventuali accordi all’esito dell’elezione, senza che la stessa pubblica accusa abbia indicato, in particolare nel ricorso, quali interessi abbia la cosca COGNOME–COGNOME, ovvero la locale di Croce Valanidi, in quali settori operi, quale utilità potesse richiedere al COGNOME; l’ordinanza impugnata segnala, inoltre, che le intercettazioni, proseguite dopo l’elezione del 2020, non hanno accertato alcuna successiva richiesta da parte della cosca, nØ alcuna azione del COGNOME rispondente ad esigenze o utilità della stessa. La totale assenza di indicazioni di una concreta promessa di utilità, o di messa
a disposizione dell’associazione criminosa, Ł stata logicamente ritenuta inidonea per affermare la sussistenza del delitto di scambio politico-mafioso, non essendo stata manifestata dal candidato alcuna disponibilità a soddisfare le esigenze della cosca.
Il ricorso, pertanto, risulta infondato anche sotto questo profilo.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve pertanto essere respinto. La natura pubblica della parte ricorrente osta alla condanna alle spese processuali, in deroga agli ordinari principi in materia di soccombenza (vedi Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271650)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così Ł deciso, 25/03/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME