Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44091 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44091 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Bari il 04/11/1972
avverso l’ordinanza del 21/03/2024 del Tribunale del riesame di Bari letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore avv. NOME COGNOME che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Bari ha confermato l’ordinanza emessa il 7 febbraio 2024 dal GIP del medesimo Tribunale applicativa della misura degli arresti domiciliari per concorso nel reato di cui all’art. 416 ter cod. pen., in particolare, per aver procurato voti a NOME NOME, candidata come consigliere per il comune di Bari alle elezioni amministrative del 26 maggio
2019 nella lista COGNOME Sindaco, reperendoli nel quartiere San Paolo anche in cambio di denaro per sé e per gli elettori.
Ne chiede l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare, per carenza di motivazione in relazione alla qualifica del promittente, non essendo la COGNOME né indagata per il reato di associazione mafiosa né appartenente ad un sodalizio mafioso, ma solo sorella dei più noti esponenti del gruppo COGNOME, operante in Bari.
L’ordinanza non ha chiarito in quale veste la COGNOME abbia agito, ritenendo sufficiente a provare il ricorso al metodo mafioso la fama criminale della famiglia di origine, facendo ricorso a presunzioni, senza considerare che l’estraneità della stessa al gruppo mafioso, che controllava il territorio interessato alla competizione elettorale, la rendeva priva di capacità operativa in quel contesto, sicché non poteva essere individuata come interlocutrice capace di condizionare mafiosamente il voto. Risalendo i fatti ad epoca anteriore e prossima al maggio 2019, ratione temporis occorre far riferimento alla norma all’epoca vigente, che richiedeva l’impegno a procacciare il consenso elettorale con modalità mafiose, da ritenersi sussistenti in re ipsa quando il promittente era intraneo al sodalizio mafioso o agiva in nome e per conto dello stesso, occorrendo altrimenti la prova, nella specie mancante, della specifica pattuizione di tali modalità di procacciamento dei voti. L’ordinanza si limita a fare riferimento alla partecipazione della promittente a qualificati contesti mafiosi, alla appartenenza ad una famiglia in passato considerata mafiosa, ma di cui si ignora l’attuale operatività e capacità di influenza e di intimidazione nel quartiere San Paolo di Bari. I riferimenti assertivi alla caratura criminale della COGNOME non sono idonei ad integrare la gravità indiziaria, specie alla luce del colloquio del 20 maggio 2019, nel quale la cugina COGNOME NOME riferisce alla figlia della ricorrente dell’inaffidabilità della madre, che aveva addirittura deciso di appoggiare candidati diversi dal duo COGNOME–COGNOME. Si ribadisce la carenza di motivazione sul ruolo della ricorrente, il cui collegamento con la cugina è solo presunto; non vi sono contatti tra la ricorrente e l’COGNOME né vi è prova dell’accordo raggiunto di procacciare voti o della promessa di procacciare voti in cambio di utilità; neppure si è considerato che anche COGNOME NOME, estranea all’associazione mafiosa, aveva raggiunto un accordo con l’COGNOME al fine di trarne una personale utilità e per procacciare voti si era semplicemente rivolta ai parenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con motivi nuovi il difensore ha ribadito la censura di mancanza di motivazione sugli elementi essenziali per la configurabilità del reato contestato, ritenendo al più ravvisabile nel caso di specie il reato di corruzione elettorale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Il ricorso è meramente oppositivo e non tiene conto della congrua motivazione resa dal Tribunale, della chiarezza dei colloqui intercettati, della corretta applicazione della norma incriminatrice nella formulazione precedente alla riforma del 2019 e della interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale il procacciamento del voto con modalità mafiose può desumersi anche da elementi sintomatici, quali la caratura criminale del promittente, la prossimità al clan mafioso operante sul territorio, la forza intimidatrice esercitabile dagli affiliati l’utilità del loro apporto per il procacciamento di voti nella zona di influenza del procacciatore.
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto accertata la promessa di procurare voti alla candidata COGNOME, formulata in nome del clan COGNOME dalla esponente qualificata COGNOME NOME, cugina della ricorrente, all’COGNOME, procacciatore di voti per la moglie candidata e regista della campagna elettorale – ed al COGNOME– candidato insieme alla COGNOME– e la posizione della ricorrente di appartenente alla famiglia mafiosa, impegnatasi ad agire in nome e per conto dell’associazione mafiosa ed a garantire il sostegno elettorale remunerato alla coppia COGNOME essendo pacificamente emersi dai colloqui intercettati la richiesta di controprestazione e chiari riferimenti a somme di denaro ottenute e pretese in cambio del procacciamento di voti.
Chiaramente emersa è anche la consapevolezza dei candidati e dell’COGNOME della caratura criminale dei COGNOME, della capacità di imposizione e della penetrazione del clan COGNOME nel quartiere INDIRIZZO e conseguentemente della capacità di procacciare voti con metodo mafioso.
A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, l’ordinanza valorizza l’appartenenza della ricorrente alla famiglia mafiosa e la riconosciuta capacità di procacciare voti, coinvolgendo anche la figlia e il genero, in forza di tale appartenenza, che costituisce la causale del patto stipulato dal politico o dal suo rappresentante, nel caso di specie, evidentemente indotto ad interloquire con esponenti della famiglia mafiosa influente in una zona della città dalla certezza del loro potere di influenzare l’espressione di voto e di condizionare la competizione elettorale in forza di detta appartenenza.
Pur essendo necessario che l’accordo abbia ad oggetto l’acquisizione del consenso elettorale tramite il metodo mafioso, non è, tuttavia, necessario che il patto sia obbligatoriamente connotato dalla esplicitazione delle modalità di realizzazione dell’impegno assunto nei confronti del candidato, potendo la stessa desumersi, in via inferenziale, da alcuni indici fattuali, sintomatici della natura 322 dell’accordo.
Si è, infatti, affermato che in tema di scambio elettorale politico-mafioso, l’esistenza dell’intesa per il procacciamento di voti con modalità mafiose può desumersi, in via indiziaria, da indicatori sintomatici quali la fama criminale del procacciatore, la forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso reclutati per la raccolta dei consensi e la valutazione di utilità del loro apporto nella zona d’influenza dell’organizzazione criminale, risultando, per converso, irrilevante il “post factum” costituito dal mancato incremento delle preferenze (Sez. 5, n. 26426 del 07/05/2019, COGNOME, Rv. 275638 relativa a fattispecie in cui il procacciatore era stato consapevolmente individuato dal candidato in ragione della sua “prossimità” al clan camorristico operante sul territorio e si era avvalso della collaborazione di soggetti coindagati per il delitto di estorsione commesso in danno di altri candidati; conf. Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, Pm c/ COGNOME, Rv. 275157).
La fattispecie, che ha natura di reato di pericolo e si fonda su consolidate regole di esperienza, non richiede affatto né l’attuazione né l’esplicita programmazione di una campagna elettorale attuata mediante minacce, intimidazioni o comportamenti violenti: la sufficienza dell’assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza del vincolo mafioso costituisce, affinché si determinino alterazioni del libero esercizio individuale e collettivo di diritti e facoltà, uno dei profili essenziali del fenomeno, ed è ampiamente recepita nella legislazione repressiva (Sez. 6, n. 37374 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260167). Ciò che rileva è che l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dal clan e come tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo, costituendo le modalità di acquisizione del consenso tramite la sopraffazione e la intimidazione, connotanti il metodo mafioso, non solo la promessa resa al candidato, ma, soprattutto, la causale effettiva del negozio illecito.
2. A tali principi l’ordinanza impugnata si è attenuta, dando atto del metodo, rivelato da intercettazioni, servizi di osservazione e dichiarazioni di collaboratori, utilizzato dalla coppia COGNOME per ottenere il consenso elettorale, rivolgendosi a diversi gruppi della criminalità organizzata barese, per ottenere voti in cambio di somme di denaro, buoni pasto o buoni benzina, promesse di assunzioni e altre utilità. Tra i collettori di voti di matrice mafiosa veniva individuata anche la ricorrente, coinvolta dalla cugina COGNOME NOME, in posizione qualificata nell’omonimo gruppo mafioso, ingaggiata dall’COGNOME per procacciare voti nel quartiere San Paolo, avvalendosi della forza criminale del gruppo mafioso ivi dominante, come accertato da numerose sentenze indicate nell’ordinanza (pag. 5).
I colloqui riportati nell’ordinanza provano il patto illecito stipulato tra l’COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME l’accordo di abbinare la candidatura del COGNOME a quella della COGNOME e di procacciare voti, procurando normografi con il nome di entrambi da consegnare agli elettori analfabeti della zona, in cambio di somme di denaro, che la COGNOME assicurava di gestire per ungere gli elettori.
Il coinvolgimento della ricorrente, insieme alla figlia e al genero, in quanto appartenenti al clan, risulta dalle conversazioni intercettate, dalle quali emerge il contatto con i candidati e con l’COGNOME, organizzatore della campagna elettorale, e persino il numero di voti che stimavano di procurare nel quartiere, impegnandosi a formare squadre per controllare gli elettori.
Palese è risultato l’impegno della ricorrente nell’attività di procacciamento di voti in cambio di denaro per sé e per gli elettori, emergente dal colloquio con la cugina, alla quale contestava la diversa pattuizione a base dell’accordo, che prevedeva cifre più alte per comprare ogni singolo voto (30 euro anziché 20 euro); espliciti sono anche i riferimenti al regalo atteso dalla ricorrente per l’impegno, ai buoni benzina e alle somme da distribuire agli elettori, valorizzati nell’ordinanza.
Giustificato è, infine, il rilievo attribuito dal Tribunale al ruolo dell ricorrente, nonostante il contrasto con la cugina, che ne riteneva esagerate le pretese economiche, essendone emerso il coinvolgimento anche in campagne elettorali precedenti, sempre ingaggiata dalla cugina e sempre con lo stesso metodo.
Alla luce degli elementi emersi è da escludere la configurabilità nel caso di specie del reato di corruzione elettorale, ipotesi riduttiva che non contempla il coinvolgimento di associazioni mafiose e il ricorso al metodo mafioso per ottenere l’appoggio elettorale in cambio di una controprestazione.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.