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Scambio elettorale politico-mafioso: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un ex senatore accusato di scambio elettorale politico-mafioso. La sentenza chiarisce che, dopo la riforma del 2019, il reato si configura anche se il procacciamento di voti non avviene con metodo mafioso, purché promesso da un soggetto appartenente a un’associazione criminale. La Corte ha ritenuto provata la consapevolezza del politico riguardo alla caratura mafiosa del suo interlocutore e ha confermato la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, rigettando il ricorso della difesa.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio Elettorale Politico-Mafioso: La Cassazione Chiarisce l’Art. 416-ter c.p.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di scambio elettorale politico-mafioso, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurabilità del reato ai sensi dell’art. 416-ter del codice penale, soprattutto alla luce delle modifiche normative del 2019. La Corte ha rigettato il ricorso di un ex senatore, confermando la misura della custodia cautelare in carcere e delineando i contorni della consapevolezza richiesta al politico e la non necessità del ‘metodo mafioso’ quando il patto è stretto con un affiliato.

I Fatti del Caso: Il Patto Elettorale

Il caso riguarda un ex senatore, fondatore di un movimento politico, indagato per aver accettato, tramite un intermediario, la promessa di voti da parte di un noto esponente di una famiglia mafiosa locale. In cambio, il politico avrebbe offerto una somma di denaro (2.000 euro) e la disponibilità a soddisfare futuri interessi, anche occupazionali, del clan.
L’accordo era finalizzato a sostenere la candidatura di un esponente del movimento politico alle elezioni regionali. Le indagini, basate su intercettazioni e videosorveglianza, hanno documentato gli incontri tra l’intermediario e il membro del clan, la consegna di un acconto in denaro e le discussioni sulle strategie elettorali.

L’Ordinanza Impugnata e i Motivi del Ricorso

Il Tribunale del Riesame aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza. La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione apparente e illogica. Secondo i legali, non vi erano prove della consapevolezza del politico circa l’appartenenza mafiosa del procacciatore di voti, né dell’utilizzo di un metodo intimidatorio tipico delle associazioni criminali per raccogliere il consenso. Inoltre, veniva contestata la sussistenza delle esigenze cautelari che giustificassero la massima misura restrittiva.

L’analisi della Cassazione sullo scambio elettorale politico-mafioso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, offrendo un’analisi dettagliata della fattispecie di scambio elettorale politico-mafioso.

La Rilevanza dell’Appartenenza Mafiosa

I giudici hanno sottolineato come la riforma dell’art. 416-ter c.p. del 2019 abbia ampliato la portata della norma. Oggi, il reato si configura non solo quando i voti sono ottenuti con le modalità del ‘metodo mafioso’, ma anche quando la promessa proviene direttamente da ‘soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416-bis’.
In questo caso, essendo stato accertato il ruolo di vertice del procacciatore all’interno del clan, il delitto si perfeziona con il solo patto, a prescindere dalle modalità con cui i voti sarebbero stati poi effettivamente raccolti. L’appartenenza del promittente qualifica di per sé l’illiceità dello scambio.

La Consapevolezza del Politico

La Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse adeguatamente motivato sulla consapevolezza dell’indagato. Tale consapevolezza non derivava da una conoscenza diretta, ma da una serie di elementi logici: la scelta di avvalersi di un intermediario per evitare contatti diretti con l’esponente mafioso, la notorietà della caratura criminale di quest’ultimo nell’ambiente locale e le conversazioni intercettate in cui lo stesso indagato dimostrava di conoscere bene le dinamiche mafiose del territorio. L’assenza di rapporti diretti, secondo la Corte, non indebolisce l’accusa, ma al contrario ‘colora ulteriormente di illiceità la triangolazione’, evidenziando la cautela usata dal politico per schermarsi.

La Valutazione sulle Esigenze Cautelari

Infine, la Cassazione ha validato la valutazione del Tribunale sul pericolo di reiterazione del reato. Per il reato di scambio elettorale politico-mafioso opera una presunzione legale di sussistenza delle esigenze cautelari. Tuttavia, i giudici di merito avevano comunque evidenziato elementi concreti, come la fitta rete di relazioni dell’indagato con esponenti della criminalità organizzata e un episodio in cui aveva manifestato l’intenzione di ricorrere a un noto pregiudicato per un’azione violenta contro un avversario politico. Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare un’inclinazione a coltivare rapporti illeciti, rendendo la misura carceraria l’unica idonea a prevenire la commissione di ulteriori reati.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione sulla corretta interpretazione dell’art. 416-ter c.p. post-riforma. La motivazione del provvedimento impugnato è stata giudicata logica e congrua, poiché ha ricostruito in modo coerente la gravità indiziaria a carico dell’indagato. L’analisi non si è limitata a singoli elementi, ma ha valutato il complesso delle risultanze investigative (intercettazioni, video, dichiarazioni), dalle quali emergeva chiaramente il patto illecito e la piena consapevolezza di tutte le parti coinvolte. La scelta di non avere contatti diretti è stata interpretata non come estraneità, ma come una precisa strategia per eludere le indagini, confermando la natura dolosa della condotta.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la lotta alla collusione tra politica e mafia passa attraverso una rigorosa applicazione della legge. Lo scambio elettorale politico-mafioso è un reato di pericolo che inquina la democrazia alla fonte. La decisione della Cassazione conferma che l’accordo stesso è sufficiente a integrare il reato quando una delle parti è un affiliato mafioso, e che la consapevolezza del politico può essere provata anche attraverso elementi indiziari e logici, senza necessità di un contatto diretto. Questa pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale volto a reprimere ogni forma di patto tra rappresentanti delle istituzioni e criminalità organizzata.

Quando si configura il reato di scambio elettorale politico-mafioso secondo l’art. 416-ter c.p.?
Secondo la sentenza, il reato si configura quando un politico accetta la promessa di procurare voti in cambio di denaro o altre utilità, e tale promessa proviene da un soggetto appartenente a un’associazione mafiosa. Dopo la riforma del 2019, non è più necessario che il procacciamento dei voti avvenga con ‘metodo mafioso’ se il promittente è un affiliato.

È necessario che il politico abbia contatti diretti con l’esponente mafioso per commettere il reato?
No. La sentenza chiarisce che l’assenza di rapporti diretti non esclude il reato. Anzi, l’utilizzo di un intermediario per evitare contatti diretti con l’esponente mafioso è stato considerato un elemento che rafforza l’accusa, dimostrando la cautela e la consapevolezza dell’illiceità del patto da parte del politico.

Perché la Cassazione ha confermato la custodia in carcere per l’indagato?
La Corte ha confermato la misura cautelare perché per il reato contestato vige una presunzione di pericolosità sociale. Inoltre, il Tribunale aveva evidenziato elementi concreti che dimostravano un attuale e concreto pericolo di reiterazione del reato, come la rete di relazioni dell’indagato con altri esponenti della criminalità organizzata e la sua propensione a risolvere questioni avvalendosi di tali contatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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