Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17870 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17870 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/03/2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
– Relatore –
Sent. n. sez. 1025/2025 CC – 25/03/2025
R.G.N. 42958/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 29/10/1952
NOME nato il 09/12/1985
avverso l’ordinanza del 21/11/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
uditi i difensori degli imputati avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo, il Tribunale di Reggio Calabria, adito ai sensi dell’articolo 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto dal
Pubblico ministero avverso il provvedimento, in data 17 giugno 2024, con cui il Giudice per le indagini preliminari, per quel che rileva in questa sede, aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia in carcere:
nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di scambio elettorale politico mafioso contestati nei C) ed F) della provvisoria imputazione;
e nei confronti di NOME COGNOME, oltre che in ordine ai predetti reati, anche in relazione al reato di partecipazione all’articolazio ne territoriale dell’associazione di tipo ‘ndranghetistico denominata ‘Cosca COGNOME‘ , contestato al capo A) (che così descrive la condotta di COGNOME: « In qualità di partecipe e di collaboratore del capo cosca e proprio suocero COGNOME NOME, presenziava ai summit e alle riunioni operative del sodalizio; manteneva i rapporti con i rappresentanti delle istituzioni della politica; raccoglieva voti in occasione delle consultazioni elettorali in favore dei candidati sostenuti dal sodalizio (anche con le modalità descritte nei capi C), D), F) G) stringendo patti elettorali politico mafiosi; agevolava l’infiltrazione della cosca nel tessuto socio economico ed istituzionale del territorio di riferimento: portava ambasciate e veicolava informazioni tra i sodali; forniva suggerimenti agli associati per eludere i controlli delle forze dell’ordine »).
1.1. In risposta alle doglianze sviluppate dall’atto di appello con riferimento al reato associativo, il Tribunale osserva che il complessivo quadro investigativo a carico di COGNOME non raggiunge il livello di gravità indiziaria necessario per ritenere accertata la condotta partecipativa, neanche nelle forme del concorso esterno.
Non ha trovato riscontro l’impostazione accusatoria secondo cui COGNOME ha operato come rappresentante della cosca nell’ambito politico imprenditoriale, raccogliendo voti in occasioni delle consultazioni elettorali, anche con le modalità di cui ai reati scopo contestati ai capi C) e F), nonché stringendo patti elettorali ed agevolando l’infiltrazione della cosca nel tessuto economico sociale ed istituzionale del territorio controllato dal gruppo di ‘ndrangheta.
Non risulta provato che il COGNOME si sia interfacciato con i politici che di volta in volta si candidavano alle diverse tornate elettorali al fine di ottenerne un ritorno utilitaristico per la consorteria.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME secondo cui COGNOME aveva agito in chiave servente rispetto alle esigenze della famiglia COGNOME alla quale era legato da rapporti familiari per essere il genero del capo riconosciuto, operando per conto della cosca in occasione delle competizioni elettorali sono generiche. Il collaboratore non ha fornito dettagli neanche in relazione candidati che sarebbero stati appoggiati nel tempo e comunque sono rimaste prive di riscontri.
Per quanto la figura di COGNOME nell’ambiente sociale di riferimento fosse sicuramente associata alla famiglia COGNOME non risulta, tuttavia, sufficientemente
dimostrato che lo stesso abbia agito in sede politica a vantaggio e nell’interesse della cosca di ndrangheta, quanto piuttosto per soddisfare le proprie ambizioni personali.
Sempre a livello di gravità indiziaria, non è emerso né che la cosca COGNOME perseguisse, mediante l’intermediazione di COGNOME, interessi in attività economiche, finanziarie ed imprenditoriale né che quest’ultimo , anche per il tramite delle figure politiche sostenute elettoralmente, abbia fornito alla cosca un concreto contributo funzionalmente rilevante al perseguimento del programma criminoso.
Non è sufficiente per ritenere dimostrato il contributo partecipativo di COGNOME, rielevante ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen., la sola supposta interferenza elettorale da parte della cosca sulla popolazione del quartiere dove prevalentemente operava, Sambatello, e la conseguente capacità del sodalizio di impedire il libero esercizio del voto sul territorio di competenza
1.2. Non risultano fondati, sul piano indiziario, gli addebiti elevati nei capi C) e F).
Secondo l’impostazione accusatoria, NOME COGNOME candidato per il rinnovo del consiglio regionale n ell’anno 2020 (capo C) e NOMECOGNOME candidato alla carica di consigliere comunale di Reggio Calabria per le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale nell’anno 2020 (capo F), avrebbero accettato la promessa di procurare voti in favore della loro candidatura da parte di appartenenti alla cosca COGNOME al fine di conseguire o assicurare il prodotto ed il profitto del reato di associazione mafiosa.
In particolare, COGNOME avrebbe stretto un accordo con NOME COGNOME che operava su mandato e con la supervisione del suocero NOME COGNOME Sera si sarebbe accordato direttamente con NOME COGNOME oltre che con COGNOME.
L’ordinanza impugnata ha escluso la fondatezza di tale ricostruzione.
Con riferimento al capo C), ha osservato che gli esiti captativi non hanno fornito un riscontro sufficientemente chiaro sulla sussistenza di tutti elementi costitutivi del reato di scambio elettorale politico mafioso come contestato
I contatti tra COGNOME e COGNOME pur dimostrando l’esistenza di una partnership di natura politica tra i due uomini, non forniscono tuttavia elementi concreti in ordine all’intervenuta conclusione di un accordo che avesse stabilito, in epoca precedente alle elezioni, favori o benefici tangibili in cambio del sostegno profuso dalla cosca.
Nessuna conversazione intercettata, neanche quelle intercorse tra COGNOME e COGNOME in cui si discute di strategie elettorali, contiene riferimenti espliciti a vantaggi specifici offerti in cambio del sostegno elettorale.
La semplice menzione di possibili collaborazioni o di contatti fra le parti non può costituire grave indizio di colpevolezza in mancanza di una chiara manifestazione della volontà di scambio reciproco.
Anche con riferimento al capo F) non risultano sufficientemente provati gli elementi costitutivi della fattispecie rappresentati dalla promessa di voti provenienti dall’associazione mafiosa, dalla promessa di erogazione di denaro o di altre utilità da parte del politico, dalla modalità mafiosa di raccolta dei consensi da parte del COGNOME in quanto soggetto esterno al sodalizio e del dolo diretto da parte dei protagonisti della vicenda.
Non vi è prova che COGNOME abbia raccolto voti per Sera nell’adempimento di un patto sinallagmatico, in forza del quale quest’ultimo si sarebbe impegnato a ricompensare il sodalizio attraverso il conferimento di utilità funzionali al rafforzamento del potere sul territorio.
Le azioni di Sera possono essere riferite a dinamiche clientelari o relazioni di favore, ma non al patto previsto dall’art. 416 ter cod. pen.
Non è stato riscontrato il nesso causale tra il presunto sostegno elettorale della cosca e l’elezione di COGNOME
Non risulta, infatti, provato che il presunto impegno a mobilitare voti per NOME avesse effettivamente condizionato l’andamento della campagna elettorale.
Da nessuna conversazione si evince un’ingerenza da parte di NOME COGNOME nella scelta di appoggiare NOME; in particolare non emerge alcuna imposizione o costrizione da parte del boss affinché sul territorio si votasse per quest’ultimo . COGNOME per raccogliere voti in favore di NOME arriva a pianificare e realizzare nel seggio di Sambatello un sistema di brogli elettorali del tutto incompatibile con la raccolta dei voti con modalità mafiose, ma pienamente coerente con il suo progetto personale di appoggio al candidato COGNOME
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, che ha articolato quattro motivi, a ll’esposizione dei quali ha premesso plurime critiche al metodo di valutazione del materiale probatorio raccolto.
Secondo il ricorrente, il Tribunale non si è confrontato criticamente con la prospettazione accusatoria preferendo ‘una certosina atomizzazione del materiale probatorio ‘ , anziché una ‘ sintesi selettiva ‘ unico metodo idoneo ad individuare il risultato dimostrativo più affidabile.
Illuminante esempio dell’approccio erroneo del Tribunale è la valutazione della personalità politica di COGNOME dipinto come una figura politica di lungo corso, autonomamente capace, a prescindere dal l’appoggio del can capeggiato al suocero, di sfruttare una capillare rete di legami e di conoscenze per raccogliere voti in occasione delle competizioni elettorali, senza, però, considerare le prove di segno contrario ampiamente dimostrative della stretto collegamento tra l’ affermazione politica dell’indagato e la capacità intimidatoria della cosca COGNOME.
2.1. Con il primo motivo, è dedotta errata interpretazione ed erronea applicazione dell’art. 416-bis cod. pen.
Secondo il ricorrente il Tribunale, conformandosi all’ordinanza genetica, non ha ritenuto sufficiente, ai fini della consumazione di uno degli scopi tipici delle associazioni di tipo mafioso, dimostrare che il sodalizio abbia impedito o ostacolato il libero esercizio del voto o abbia, comunque, procurato voti in occasione delle consultazioni elettorali in favore dei propri associati o di altri. Sarebbe, invece, sempre necessario individuare e dimostrare lo specifico interesse ad infiltrarsi nella pubblica amministrazione che il gruppo persegue attraverso le attività di procacciamento e raccolta dei voti
Siffatta interpretazione si pone in contrasto con il tenore letterale dell’art. 416 bis, terzo comma, cod. pen., che pone in alternativa tra loro le condotte di interferenza elettorale e quelle di infiltrazione della pubblica amministrazione, con la conseguenza che anche l’accertamento di una sola delle due è sufficiente per la consumazione del reato associativo.
Aggiunge il ricorrente che il Tribunale non si è adeguatamente soffermato su siffatta questione giuridica, pur proposta con l’atto di appello, ritenendo decisivo il contenuto degli imputazione che, addebitando espressamente a COGNOME un’interferenza elettorale finalizzata all’infiltrazione degli specifici interessi economici della cosca nel tessuto istituzionale, rendeva, comunque, necessaria, ai fini della gravità indiziaria, la dimostrazione di un contributo personale di COGNOME avente tali complessive caratteristiche.
In realtà, l’imputazione contiene un’elencazione di condotte alternative: la raccolta del consenso elettorale, i rapporti di scambio mantenuti con i vari candidati e l’infiltrazione economica ed istituzionale della cosca.
In ogni caso, qualora l’interpretazione dell’imputazione fosse quella fatta propria dai giudici del merito cautelare, sarebbe stato sempre necessario verificare, nell’ambito del giudizio relativo alla sussistenza della gravità indiziaria, se la porzione di condotta accertata fosse da sola sufficiente ad integrare la fattispecie incriminatrice.
Anziché dare una lettura manipolativa del capo di imputazione, introducendo artificiosi elementi di fatto che non sono presenti, i giudici avrebbero dovuto affrontare il tema della precisa perimetrazione della fattispecie incriminatrice contestata.
Come si evince dall’ultima parte del terzo comma dell’articolo 416 bis cod. pen., le interferenze elettorali sono una delle condotte di scopo tipiche dell’associazione di stampo mafioso. Esse integrano il reato associativo a prescindere dagli ulteriori obiettivi eventualmente perseguiti dall’associazione mafiosa attraverso l’inquinamento del libero esercizio del voto.
L’accertamento di condotte di interferenza sulle competizioni elettorali realizzate da COGNOME grazie alle relazioni di affinità e solidarietà personale che lo legavano a plurimi associati della cosca COGNOME, a partire dal suo capo indiscusso NOME COGNOME era sufficiente per ritenere sussistente una delle finalità della condotta associativa previste, in via autonoma, dalla norma incriminatrice senza pretendere la dimostrazione degli interessi economici perseguiti dalla cosca attraverso l’interferenza sul libero esercizio del voto e, di conseguenza, per ritenere perfezionatasi una delle condotte tipiche del reato descritto dall’art. 416 bis cod. pen. .
D’altra parte, le condotte di interferenza sul voto non costituiscono solo una finalità associativa ma anche un metodo operativo necessario all’organizzazione per affermare la sua presenza sociale; la capacità di imporre la cittadinanza nel momento più alto rilevante della partecipazione democratica il proprio volere costituisce uno dei modi attraverso cui l’ assoggettamento sociale è coltivato e perpetuato.
Sul piano probatorio, l’intervento mafioso sulla competizione elettorale , come reiteratamente affermato dal GIP e dal Tribunale, si evince dalle numerose conversazioni in cui più soggetti evidenziano la disponibilità ad assecondare le indicazioni elettorali del capo cosca, individuate quali manifestazioni di assoggettamento reverente alla forza di intimidazione promanante direttamente dalle modalità mafiose di accaparramento del voto da parte della cosca COGNOME sul quartiere di Sambatello.
Il Tribunale avrebbe dovuto valorizzare il contributo organizzativo prestato in occasione delle competizioni elettorali da Barillà, ritenendolo un consapevole strumento dell’affermazione mafiosa sul territorio.
2.2. Con il secondo motivo è denunciata erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 110 e 416 bis cod. pen.
Il ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato, conformandosi all’ordinanza genetica, pretende, ai fini della sussistenza del concorso esterno, la prova che il mediatore tra associazione e i candidati politici, una volta ottenuti gli incarichi istituzionali frutto di patti sinallagmatici a base elettorale, se ne serva per rafforzare la capacità operativa dell’associazione.
Utilizza a sostegno l’insegnamento impartito dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento a vicende caratterizzate da relazione bilaterale tra candidato ed associazione.
Trascura che nel caso di specie è stata dimostrata una relazione trilaterale tra associazione, mediatore e candidato in cui il mediatore COGNOME grazie al supporto elettorale garantito dalla cosca, accresceva la sua capacità di interlocuzione mercatale con i candidati politici per ottenere incarichi graditi ed altre prebende,
mentre l’associazione consolidava l’assoggettamento sociale imponendo il voto in favore dei candidati volta per volta selezionati in funzione delle predette esigenze di COGNOME; si è così realizzata una perfetta sinergia di interessi quanto meno rilevante per ritenere configurabile il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
La citata dinamica ha determinato un rafforzamento della cosca la quale, proprio grazie alle condotte di infiltrazione elettorale operate da COGNOME, ha riaffermato la sua forza di assoggettamento sociale, interferendo reiteratamente sul libero esercizio del voto, così raggiungendo uno degli scopi tipici dell’associazione, mentre il COGNOME ha accresciuto la sua individuale capacità di influenzare gli elettori.
2.3. Con il terzo motivo è dedotta erronea interpretazione applicazione dell’articolo 416-ter cod. pen., con riferimento alla nozione di ‘ appartenente ad associazione di tipo mafioso ‘ e a quella di ‘ utilità ‘.
Il provvedimento impugnato, conformandosi all’ordinanza del GIP, ritiene che la nozione di ‘ appartenenti all’associazione di cui all’articolo 416 bis cod. pen.’ prevista dalla norma incriminatrice contestata sia sovrapponibile a quella di ‘ partecipe ‘ delle medesime associazioni .
Trattasi di interpretazione in contrasto con la lettera della norma ed al suo significato sistemico, per come riscontrato dai lavori parlamentari, nonché dalla giurisprudenza di legittimità che distingue con nettezza la categoria del partecipe da quella dell’appartenente – qualità nella fattispecie attribuibile anche a COGNOME qualora non si ritenesse sussistente la gravità indiziaria per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa – sulla base di concreti e verificabili condotte materiali espressione della messa a disposizione degli interessi dell’organizzazione mafiosa.
Il Tribunale, pur riconoscendo la sussistenza di svariate utilità conseguite dai promittenti ed effettivi procacciatori di voti, le ha nella sostanza ritenute irrilevanti in quanto relative ad unità personali o comunque diverse da quelle riferibili a ll’a ssociazione mafiosa
L’opzione ermeneutica non convince perché non conforme alla novella del 2019, che ha ridisegnato la fattispecie prevista dal art. 416 ter in termini estensivi del perimetro di rilevanza penale del fatto anche con riferimento al requisito dell’utilità.
Alla luce dell’ampliamento della fattispecie non è più necessario dimostrare che l’associazione mafiosa abbia ricevuto o potesse ricevere un utilità ma ‘ è sufficiente che la promessa sia coerente con i suoi interessi e le sue esigenze ‘.
2.4. Con il quarto motivo è dedotta mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento alla partecipazione di COGNOME alla ‘ cosca COGNOME ‘
Il ricorrente lamenta la valutazione parcellizzata degli indizi da parte del Tribunale, nonché l’omesso esame di alcuni di essi.
L’esame delle intercettazioni dimostra esaustivamente il contributo partecipativo di COGNOME.
Emblematica è la vicenda dell’intervento della cosca nella elezione al consiglio comunale.
Risulta accertato che NOME COGNOME abbia personalmente deciso di far convergere i voti sul candidato Sera, anziché su quello sostenuto dal COGNOME, al quale il COGNOME aveva promesso un appoggio: la diversa decisione del capo cosca costringe il COGNOME a negare il sostegno al candidato sostenuto dal COGNOME, circostanza che dimostra come egli sia intraneo alla cosca e soggetto alle decisioni assunte dai suoi capi, oltre a confermare la capacità della cosca, e specificamente di NOME COGNOME, di interferire pesantemente sulle competizioni elettorali, alterandone il risultato.
La prova dell’accordo sinallagmatico deriva logicamente dalle molte intercettazioni da cui risulta che la cosca, e per essa COGNOME, spostavano i voti da un candidato all’altro, e da un partito all’altro, solo per ragioni di convenienza, cioè votando il più probabile vincitore, al fine di ottenere da quest ‘ultimo utilità di vario genere.
In questo contesto può tranquillamente affermarsi che tutti i rapporti intessuti dal RAGIONE_SOCIALE hanno alla base la stipula di accordi sinallagmatici.
Il Tribunale erra nell’affermare che difetta la prova della consapevolezza da parte degli interlocutori politici della caratura criminale di NOME COGNOME, perché dalle intercettazioni risulta evidente la conoscenza, da parte del COGNOME e degli altri candidati, del ruolo di tale soggetto quale vero ed unico artefice delle varie decisioni, e non il COGNOME; peraltro in passato additato dalla stampa quale esponente politico vicino alla cosca COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo, il secondo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente perché entrambi relativi al reato di partecipazione ad associazione mafiosa contestata a NOME COGNOME sono privi di pregio.
1.1. Sostiene il pubblico ministero ricorrente che il Tribunale, da una parte, non ha risolto correttamente la principale questione giuridica, sollevata dalla difesa con l’appello – quella relativa alla ‘perimetrazione’ della fattispecie incriminatrice contestata, risolta, in contrasto con la lettera della disposizione di cui all ‘a rt. 416bis cod. pen., necessario ai fini del l’integrazione del reato che alle condotte di interferenza elettorale seguano forme di infiltrazione della pubblica
amministrazione -e, dall’altra, ha dato una ‘lettura manipolativa’ del capo di imputazione in base alla quale a COGNOME è contestato di avere tenuto non solo le condotte di inquinamento del voto ma di averlo fatto al solo fine di garantire gli interessi economici ed imprenditoriali della cosca, attraverso l’infiltrazione nella pubblica amministrazione.
L’assunto non si confronta con il complessivo apparato argomentativo dell’ordina nza impugnata che, con puntuali ed analitici riferimenti al compendio indiziario (le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME) ed a specifici episodi (le vicende relative alla cooperativa agricola Cinque talenti, al chioschetto sul lungomare di Gallico) nonché al contenuto di molte conversazioni intercettate (specie quelle tra COGNOME e il sindaco COGNOME e tra COGNOME ed il candidato COGNOME), ha escluso la gravità della piattaforma accusatoria acquisita a carico di COGNOME non sulla base della contestata interpretazione della fattispecie incriminatrice o del travisamento del capo di imputazione, bensì considerando decisiva la mancata acquisizione di elementi dimostrativi della necessaria correlazione tra l’accertato attivismo in campo politico -elettorale di COGNOME – sviluppatosi principalmente con la raccolta di voti in favore dei candidati portata avanti, quanto meno implicitamente sfruttando il suo noto legame familiare con il capo del sodalizio – e gli interessi della cosca COGNOME.
In quest’ottica , il Tribunale ha evidenziato che non risulta adeguatamente riscontrata né l’ipotesi che la cosca, per il tramite di COGNOME, perseguisse, nel periodo di interesse, l’obiettivo di continuare ad infiltrare i propri interessi nel tessuto economico locale pubbliche amministrazioni, così da essere concretamente interessata all’inquinamento del voto in occasione delle consultazioni popolari per il rinnovo degli organi elettivi degli enti locali, né, soprattutto, la prospettazione che COGNOME, nell’esercizio dell ‘ attività di procacciamento e raccolta dei voti in occasione delle consultazioni elettorali, anziché coltivare ambizioni ed aspirazioni personali, legate all’impegno politico iniziato in epoca precedente rispetto ai rapporti con la cosca COGNOME, perseguisse esigenze associative, anche cercando di infiltrare uomini della cosca nelle strutture politiche e nelle istituzioni pubbliche locali.
1.2. Difettando la prova di una effettiva funzionalizzazione o comunque correlazione tra la partecipazione di COGNOME alla vita politica locale e gli interessi della cosca, l’ ordinanza impugnata ha ritenuto – con valutazione di merito non illogica e, quindi, insindacabile nel giudizio di legittimità, più plausibile la tesi, alternativa a quella accusatoria – che le condotte di inquinamento e raccolta dei voti siano state poste in essere da COGNOME per fini personali e non per conseguire gli interessi della consorteria, in modo da consolidarne il potere sul territorio e che,
più in generale, tali condotte non abbiano costituito, anche solo in termini potenziali, un fattore di rafforzamento dell’operatività del sodalizio.
Aggiunge il Tribunale che tali condotte in quanto dimostrative unicamente del sostegno elettorale manifestato e realizzato in favore dei canditati a lui vicini dal suocero e da vertici della consorteria non rilevano nemmeno ai sensi degli articoli 110 e 416 bis cod. pen., non risultando dimostrato che COGNOME o il candidato favorito, sia pure agendo al di fuori della compagine associativa, si fossero impegnati a fornire un contributo consapevole e volontario alla conservazione o rafforzamento della cosca di ndrangheta sul territorio.
1.3. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tale conclusione, sul piano strettamente giuridico, è in linea con i principi educati in tema di partecipazione all’ associazione mafiosa dalla consolidata giurisprudenza di legittimità
E’ pacifico, infatti che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi’ (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 -01; Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 -01). D’altra parte, la mera “contiguità compiacente”, anche caratterizzata da atteggiamenti di fascinazione verso un determinato apparato mafioso o di ammirazione verso i partecipi o i capi del gruppo, non costituisce comportamento sufficiente a integrare la condotta di partecipazione all’organizzazione, ove non sia dimostrato che la vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria (da ultimo Sez. 5, n. 12753 del 17/01/2024, Marino, Rv. 286120 -01).
Quanto al concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, la giurisprudenza ha precisato che per l’integrazione del reato, nell’ipotesi del “patto di scambio politico-mafioso”, in forza del quale un uomo politico, non inserito stabilmente nel tessuto organizzativo dell’associazione, si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all’esito della verifica probatoria “ex post” della loro efficacia causale, risulti accertato, sulla base di massime di
esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali (Sez. 2, n. 45402 del 02/07/2018, COGNOME, Rv. 275510 01).
Non vi è ragione per non estendere tali principi anche all’ipotesi in cui i rapporti tra il politico candidato e l’ associazione di tipo mafioso siano stati mediati da un extraneus .
Il terzo motivo, relativo ai reati di scambio elettorale politico mafioso contestati a NOME COGNOME e a NOME COGNOME nei capi C) ed F) della provvisoria imputazione, è nel complesso infondato.
2.1. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 43 del 2019, l’art. 416ter, comma primo, cod. pen., incrimina «Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della promessa di soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa è punito con la pena stabilita nel primo comma dell’art. 416-bis».
Come correttamente osservato dal pubblico ministero ricorrente, alla luce de ll’ultima novella , la controprestazione della promessa e non è più limitata al denaro e alle altre utilità, essendosi aggiunta la disponibilità «a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa »
Tale modifica, tuttavia, non ha rilevanza nel caso in esame, avendo il Tribunale considerato decisivo per escludere la configurabilità del reato, con riferimento sia ad Araniti sia a Barillà, l’assenza di univocità indiziaria relativa alla natura delle intese politico-mafiose, finalizzate a sostenere le candidature di NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME in occasione delle elezioni regionali e comunali.
Secondo le valutazioni dell’ ordinanza impugnata, in dettaglio esposte nella parte in fatto (vedi par. 1.2. ), il compendio investigativo acquisito nel corso delle indagini preliminari non permette di ritenere provata la partecipazione di entrambi gli indagati ad accordi politico-mafiosi, rilevanti ex art. 416-ter cod. pen., finalizzati a sostenere le candidature elettorali dei candidati COGNOME e COGNOME
Sotto questo profilo, il ricorrente si è limitato ad opporre una diversa lettura delle medesime conversazioni esaminate dal Tribunale per proporre una diversa ricostruzione, predicata come più plausibile, secondo cui lo spostamento dei pacchetti di voti per le stesse modalità con cui era avvenuto non poteva che
preludere alla futura ma certa fruizione di benefici in esito all’ elezione dei candidati appoggiati.
Trattasi di operazione estranea al giudizio di legittimità.
2.2. Con riferimento alla posizione di COGNOME, va aggiunto che la norma incriminatrice di cui all’art. 416 -ter cod. pen., anche a seguito delle modifiche introdotte nel 2019, sanziona le condotte dei soggetti che accettano la promessa di voti «da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis », subordinando la punibilità di tali comportamenti criminosi a ineludibili indici soggettivi o metodologici.
Sul punto, non si può che richiamare il principio di diritto affermato da Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284583 – 01, secondo cui: «Ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, ove il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi, pur essendo intraneo ad una consorteria mafiosa, operi “uti singulus”, è necessaria la prova che l’accordo contempli l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso».
Tale ultima opzione ermeneutica, del resto, si muove nel solco, condivisibile, di Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, Policastro, Rv. 263845 – 01, che precede la riformulazione dell’art. 416-ter cod. pen. da parte della legge n. 43 del 2019, in cui si affermava il seguente principio di diritto: «Ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, come previsto dall’art. 416-ter cod. pen. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 62 del 2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, terzo comma, cod. pen. può dirsi immanente all’illecita pattuizione».
Tutto questo comporta che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso previsto dall’art. 416-ter cod. pen., nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge n. 43 del 2019, occorre enucleare preliminarmente, sulla base degli elementi probatori acquisiti, il rapporto funzionale esistente tra il procacciatore di voti e la consorteria mafiosa di riferimento.
Infatti, laddove il soggetto che si impegna a procacciare i voti è un associato ad una consorteria mafiosa, nell’interesse della quale opera, non occorre che
l’acquisizione del consenso abbia luogo con le modalità di cui all’art. 416-bis, terzo comma, cod. pen.; viceversa, quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è estraneo a un’organizzazione mafiosa o comunque opera uti singulus è necessaria la prova che l’accordo contempli un’attività di procacciamento svolta con le modalità di cui all’art. 416-bis, terzo comma, cod. pen.
Correttamente, pertanto , l’ordinanza impugnata non ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. contestato a Barillà, oltre che per l’assenza di accordi sinallagmatici con i candidati, per la contestuale presenza di due elementi negativi:
all’epoca dei fatti, l’indagato non era un esponente dell’ associazione mafiosa (vedi precedente paragrafo);
non risulta dimostrato che il sostegno alle candidature elettorali di NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME sia stato fornito con una metodologia mafiosa riconducibile, direttamente o indirettamente, allo stesso sodalizio ‘ndranghetistico.
Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono conclusivamente di rigettare il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria.
P.Q.M.
Rigetta ii ricorso. Così deciso, in Roma 25 marzo 2025. Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME