Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12655 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12655 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
R.G.N. 41617/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE della REPUBBLICA presso TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA nel procedimento a carico di: COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 01/12/1986 avverso l’ordinanza del 08/10/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata udito l’avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’appello presentato dal Pubblico ministero, avverso la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria del 29/05/2024, che aveva disatteso la richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 416ter cod. pen.
Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 416ter cod. pen. L’ordinanza impugnata accede a una interpretazione della nozione di appartenente ad associazione mafiosa, che finisce per sovrapporsi alle nozioni di partecipe e di concorrente esterno; vengono trascurati, in tal modo, gli elementi che avrebbero consentito di attribuire a COGNOME la veste di appartenente alla associazione medesima, quali la effettiva messa a disposizione a tutela degli interessi dell’organizzazione e il sostegno prestato agli interessi del clan. Gli elementi sintomatici dell’intraneità dell’indagato alla cosca COGNOME, invece, vengono ridotti a un solo episodio, nel quale gli esponenti del clan – tra cui NOME COGNOME – si erano prodigati nell’ambiente mafioso, al fine di individuare il responsabile di un episodio di danneggiamento, patito da una delle imprese del Borruto.
Ai fini dell’integrazione del paradigma normativo di cui all’art. 416ter cod. pen., gli appartenenti sono tutti coloro che abbiano assunto, con il sodalizio mafioso, rapporti di collaborazione, che siano funzionali al perseguimento degli scopi associativi. E il materiale probatorio condotto all’attenzione del Tribunale del riesame, infatti, non si esauriva nella sola indicazione dell’episodio inerente all’individuazione del responsabile del danneggiamento sofferto dalla RAGIONE_SOCIALE, ma descriveva una relazione di stabile contiguità che – senza mai raggiungere i canoni necessari a qualificarla in termini partecipativi, o di concorso esterno – davano però conto di una costante disponibilità, da parte del COGNOME, a soddisfare gli interessi della cosca.
La scelta operata dal Tribunale del riesame, inoltre, consistente nell’analizzare partitamente le singole posizioni e poi redigere distinti provvedimenti, ha svilito la prospettiva accusatoria, inibendo la necessaria valutazione di carattere unitario. In particolare, Ł stata trascurata l’importanza della figura di NOME COGNOME, che assume rilievo anche con riferimento alla posizione di COGNOME, stante la storica solidarietà che legava i due. Grazie alle condotte ascritte, COGNOME ha visto crescere il suo peso nelle relazioni con la pubblica amministrazione, mentre COGNOME ha ottenuto agevolazioni personali e imprenditoriali, il tutto sotto la benedizione di NOME COGNOME e con il concreto supporto della cosca, oltre che della sua autorevolezza criminale, nel corso della campagna elettorale.
Il Tribunale del riesame, inoltre, replicando l’errore di diritto già commesso dal Giudice per le indagini preliminari, non considera che – perchØ si possa configurare un concorso nel delitto ex art. 416ter cod. pen., in caso di mancata partecipazione alla fase iniziale dello scambio politicoelettorale – Ł necessario agire con metodo mafioso, restando irrilevante il contributo di procacciamento di voti, nonostante la consapevolezza che la ricerca di consenso elettorale avvenga in attuazione di un accordo politico-mafioso. Al contrario, non Ł necessaria la prova che le azioni illecite – nel caso di specie, riscontrate anche dal Giudice per le indagini preliminari – fossero strumentali a ulteriori interessi riconducibili alla cosca, nØ occorre che i concorrenti agiscano con singoli atti violenti o minacciosi.
L’avvocato NOME COGNOME – quale difensore di NOME COGNOME – ha presentato memoria, chiedendo dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
L’impugnazione, infatti, si risolve in una censura attinente alle valutazioni di merito, tentando di prospettare una visione alternativa e differente, rispetto a quella emergente dai precedenti giudizi. Anche nel merito, comunque, il ricorso Ł palesemente infondato, dato che poggia su una ricostruzione in fatto ed in diritto del tutto differente, rispetto a quanto risultante dalle evidenze versate in atti.
COGNOME Ł soggetto estraneo alla organizzazione di mafia, nØ può sostenersi che abbia instaurato forme di collaborazione con la stessa. La Procura tenta, inoltre, di sostenere che il ricorrente abbia posto in essere una condotta di minaccia, rivolta a due distinti soggetti: NOME COGNOME (presidente provinciale Coldiretti di Reggio Calabria) e NOME COGNOME (titolare di un esercizio di autoscuola). La ipotizzata responsabilità del COGNOME, però, deve ritenersi insussistente, oltre che palesemente smentita dalle evidenze fattuali.
Il Procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
2. Come già sintetizzato in parte espositiva, vi Ł stata una decisione di rigetto di domanda cautelare, relativa al delitto di cui all’art. 416ter cod. pen.; al provvedimento reiettivo ha fatto seguito l’appello al Tribunale del riesame, che ha parimenti disatteso l’impugnazione e,
dunque, oggetto del presente ricorso per cassazione, ad opera del Pubblico ministero, Ł tale ordinanza di rigetto.
Stando all’impianto accusatorio, quindi, l’illecito accordo volto al procacciamento dei voti sarebbe intervenuto direttamente fra NOME COGNOME, esponente della cosca COGNOME e il candidato alle regionali calabresi NOME COGNOME; in esecuzione delle intese in tal modo raggiunte, COGNOME avrebbe incaricato i suoi fidati sodali COGNOME e COGNOME di minacciare i sopra menzionati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sostiene il ricorrente che l’ordinanza impugnata abbia trascurato una serie di elementi, che sarebbero invece dotati di forte valenza dimostrativa; si tratta, segnatamente, delle seguenti evidenze:
la scelta di mettere a disposizione, su sollecitazione del sodale COGNOME, una somma di denaro, destinata al soddisfacimento delle esigenze degli appartenenti al sodalizio;
il riconosciuto ruolo pubblico, quale esponente della cosca;
la prelazione riconosciuta a NOME COGNOME nell’ambito di una compravendita immobiliare;
la mediazione condotta in sede commerciale, al fine di dirimere i contrasti insorti fra NOME COGNOME e alcuni soggetti concorrenti.
Non sarebbe stata adeguatamente valutata la capacità di spostare voti, da parte del trio COGNOME–COGNOME. Il tutto sarebbe indice della confusione esistente nell’impugnata ordinanza, fra i concetti di appartenente ad associazione mafiosa (concetto rilevante ex art. 416ter cod. pen. e da intendersi in senso molto ampio) e di partecipe o concorrente esterno. L’indagato aveva la consapevolezza di dare il proprio supporto a NOME COGNOME – soggetto che agiva su mandato di NOME COGNOME, quale capo della omonima cosca – il quale, traendo la propria forza contrattuale dalla appartenenza a tale associazione, cui segue la direzione del gruppo elettorale al quale appartiene anche COGNOME, poteva promettere e garantire, al candidato COGNOME, il supporto che costituiva oggetto dell’accordo di scambio politico-mafioso.
Con riferimento al momento consumativo del reato, il ricorrente evidenzia come il Tribunale del riesame sia incorso in un errore, laddove ha considerato che la fase di accettazione della promessa illecita di scambio politico-mafioso si componga, necessariamente, di una sola azione che esaurisce la condotta tipica; la dinamica elettorale, al contrario, Ł caratterizzata da un continuo aggiornamento del patto illecito. L’accordo stipulato fra COGNOME e COGNOME si avvaleva – almeno a livello psicologico – del contributo di COGNOME e COGNOME, storici sodali nelle competizioni elettorali, nonchØ nelle imprese economiche e nella comune adesione alla cosca COGNOME (quali appartenenti COGNOME e COGNOME, quale partecipe COGNOME). Occorrerebbe considerare, pertanto, anche l’aspetto attinente al perfezionamento della fattispecie, qualora alla promessa segua l’accordo.
Ulteriore profilo di critica mosso dal ricorrente, poi, attiene all’assenza di prova, circa la consapevolezza della sussistenza dell’accordo politico-mafioso in capo al COGNOME. Dimentica il Tribunale del riesame – secondo la prospettazione sussunta nel ricorso – che COGNOME Ł un elemento di spicco del gruppo coordinato da COGNOME, con il sostegno del capo locale NOME COGNOME per il procacciamento di voti in favore di COGNOME nella piena consapevolezza del sottostante accordo.
3.1. Non vi Ł chi non rilevi come il ricorso del Pubblico ministero, in realtà, non mostri una reale attitudine a incidere sul tema che riveste una importanza centrale, nell’economia della decisione; il rigetto dell’appello, infatti, muove dall’assunto della inattendibilità del narrato di COGNOME (il candidato alle regionali avversario di COGNOME), circa le minacce poste in essere in suo danno, al fine di spostare voti verso il COGNOME stesso.
Il provvedimento di rigetto del gravame, infatti, si fonda anzitutto sul richiamo alle dichiarazioni rese da Bivone e Scoglio (le pretese vittime dell’azione intimidatoria) i quali hanno
recisamente negato di aver subito pressioni, finalizzate a indurli a dirigere il proprio bagaglio di voti in favore di COGNOME, a discapito di COGNOME.
In merito alla credibilità di quest’ultimo, peraltro, il Tribunale del riesame non si Ł limitato a escluderne la credibilità sulla sola base di tali elementi dichiarativi, ma ha addotto una serie di elementi di carattere logico, che vanno a formare un quadro deduttivo lineare e privo di contraddittorietà. Si veda – sul punto specifico – la lettura che il Tribunale del riesame offre, circa la vicenda della assunzione al Consiglio regionale di NOME COGNOME, compagna di NOME COGNOME (rileva, sul punto, il contenuto di una conversazione intercorsa fra lo stesso COGNOME e NOME COGNOME, esponente apicale della omonima cosca di Sinopoli, laddove si trovano riferimenti che il Tribunale del riesame giudica non essere collocabili, sotto il profilo temporale, alle elezioni regionali che ora interessano).
All’esito di una accurata disamina del contenuto di tali colloqui, il Tribunale del riesame ha ritenuto che la conversazione tra COGNOME e COGNOME non potesse dare suffragio alla tesi della sussistenza delle minacce mafiose, propalata dal primo in vista delle elezioni regionali del gennaio 2020.
L’avversato provvedimento, in sostanza, valuta fortemente inaffidabile la ricostruzione di carattere storico e oggettivo, inerente alle intimidazioni perpetrate da COGNOME e COGNOME, in danno dei già citati Bivone e Scoglio; la natura incerta e perplessa della vicenda, quindi, non consentirebbe secondo il Tribunale del riesame – di escludere che COGNOME possa aver inventato le suddette minacce, ovvero anche che abbia colposamente travisato vicende elettorali lecite. Avvalorano tale conclusione, secondo il provvedimento impugnato, le contraddizioni logiche che hanno connotato il narrato di COGNOME e, infine, l’ininfluenza delle ulteriori conversazioni poste a fondamento della tesi di accusa (conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME del 24/01/2020 e conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME).
3.2. Trattasi, evidentemente, di una valutazione di merito, che il Tribunale del riesame compie in maniera accurata e non illogica, priva di spunti di contraddittorietà e della quale, quindi, non Ł consentito a questa Corte farsi nuovamente carico. Nessun vizio argomentativo, infatti, Ł ravvisabile nella motivazione sviluppata, laddove il Tribunale del riesame mostra di non credere al compimento della contestata attività violenta.
3.3. Le censure contenute nell’impugnazione, invece, si sviluppano interamente sul piano del fatto e sono tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso.
Rigetta il ricorso.
Così Ł deciso, 06/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME