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Scambio elettorale politico mafioso: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato una misura cautelare per il reato di scambio elettorale politico mafioso. Un candidato, in cambio della promessa di voti da parte di soggetti legati a un’associazione mafiosa, avrebbe accettato la futura nomina a un incarico istituzionale. La Corte ha precisato che, per configurare il reato, non è necessario che il procacciatore di voti sia un affiliato formale, essendo sufficiente che agisca come portavoce del clan. Inoltre, ha ribadito che la promessa di un incarico politico rientra nel concetto di “qualunque altra utilità” previsto dalla norma, in quanto vantaggioso per gli interessi dell’associazione criminale.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio Elettorale Politico Mafioso: La Promessa di un Incarico è Sufficiente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36933/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di cruciale importanza per la democrazia: il reato di scambio elettorale politico mafioso. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali sui requisiti necessari per configurare tale delitto, in particolare sulla figura del procacciatore di voti e sulla natura della “utilità” offerta in cambio del sostegno elettorale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un candidato alle elezioni amministrative, al quale era stata applicata una misura cautelare per il delitto previsto dall’art. 416-ter del codice penale. Secondo l’accusa, il candidato avrebbe beneficiato di un patto illecito con esponenti di un’associazione mafiosa. Questi ultimi si sarebbero impegnati a procurare voti in suo favore. La controprestazione non consisteva in una somma di denaro, ma nella promessa di soddisfare gli interessi del clan una volta eletto, anche attraverso la sua nomina a un’importante carica istituzionale, quale quella di Vicepresidente del Consiglio comunale.

I Motivi del Ricorso

La difesa dell’indagato ha contestato la misura cautelare basandosi su diversi punti. In primo luogo, ha sostenuto che uno degli intermediari non risultava formalmente affiliato al clan mafioso all’epoca della campagna elettorale, e che quindi il candidato non poteva essere consapevole della caratura criminale del suo interlocutore. In secondo luogo, ha argomentato che la promessa di un incarico istituzionale non costituirebbe un’utilità concreta e diretta per l’associazione mafiosa, ma solo per il candidato stesso. Infine, ha contestato la sussistenza delle esigenze cautelari.

L’analisi sullo scambio elettorale politico mafioso della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale del Riesame corretta e ben motivata. L’analisi della Corte si è concentrata su due elementi cardine del reato di scambio elettorale politico mafioso.

La Figura del Promittente e la Consapevolezza del Patto

Uno degli aspetti più interessanti della sentenza riguarda la qualifica di chi promette i voti. La Corte ha chiarito che non è necessario che il soggetto sia un membro formalmente affiliato all’associazione mafiosa. Ciò che rileva è che egli agisca come portavoce del sodalizio, anche se opera uti singuli (come singolo). L’ordinanza impugnata aveva correttamente evidenziato che l’indagato operava in un contesto mafioso palese e riconosciuto. La consapevolezza del patto illecito non richiede quindi la prova di una affiliazione formale, ma la coscienza di interloquire con soggetti che rappresentano gli interessi di un clan.

L’Utilità della Controprestazione

La Corte ha inoltre affrontato il concetto di “utilità” che il politico offre in cambio dei voti. La difesa sosteneva che un incarico politico non rappresentasse un vantaggio diretto per il clan. La Cassazione ha respinto questa interpretazione restrittiva. Richiamando le modifiche legislative del 2019, la Corte ha ribadito che l’oggetto della controprestazione può essere “qualunque altra utilità”. Questo termine ampio include qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente. La promessa di “soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa” rientra pienamente in questa categoria. Un incarico politico-istituzionale, infatti, pone il soggetto in una posizione di preminenza che può essere sfruttata per decisioni strategiche favorevoli al clan, costituendo un’utilità concreta per la consorteria criminale.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i motivi del ricorso, confermando l’impianto accusatorio che aveva portato all’applicazione della misura cautelare. I giudici hanno sottolineato che la prova dell’accordo di scambio elettorale può essere desunta anche da elementi indiziari, come la fama criminale del procacciatore e la natura dei rapporti successivi alle elezioni, che possono illuminare la continuità del legame illecito. La Corte ha specificato che la promessa di un incarico istituzionale non è un mero vantaggio personale per l’eletto, ma uno strumento strategico per l’associazione mafiosa per influenzare le decisioni pubbliche. Infine, anche la motivazione sulla persistenza delle esigenze cautelari è stata giudicata adeguata, poiché la gravità del fatto e la spregiudicatezza dimostrata nel trattare con la criminalità organizzata giustificavano il mantenimento di una misura restrittiva, seppur attenuata (arresti domiciliari) in considerazione delle dimissioni dalla carica.

Le conclusioni

La sentenza consolida un’interpretazione rigorosa del reato di scambio elettorale politico mafioso, in linea con l’obiettivo del legislatore di contrastare le infiltrazioni mafiose nella vita politica. Viene confermato che la lotta a questo fenomeno criminale non può fermarsi di fronte a formalismi, come l’affiliazione ufficiale del mediatore, ma deve guardare alla sostanza dei patti illeciti. La decisione riafferma che qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, che un politico promette a un clan in cambio di sostegno elettorale, come un incarico chiave nell’amministrazione, costituisce una controprestazione penalmente rilevante, perché mina alla base la correttezza delle competizioni elettorali e la trasparenza delle istituzioni democratiche.

Per configurare lo scambio elettorale politico mafioso, chi promette i voti deve essere un affiliato ufficiale alla mafia?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria un’affiliazione formale. È sufficiente che la persona agisca come portavoce del sodalizio mafioso, essendo irrilevante che operi come singolo o non sia ancora stato formalmente integrato nel clan al momento del patto.

La promessa di un incarico politico può essere considerata l'”utilità” richiesta dal reato?
Sì. La Corte ha stabilito che la controprestazione non si limita al denaro ma include “qualunque altra utilità”. Un incarico politico istituzionale che pone il soggetto in una posizione strategica per favorire gli interessi del clan rientra pienamente in questa definizione, in quanto costituisce un vantaggio concreto per l’associazione mafiosa.

La prova di un accordo di scambio elettorale deve essere diretta?
No, la prova può essere anche indiziaria. La Corte ha affermato che l’esistenza di un accordo politico-mafioso può essere desunta da una serie di indicatori fattuali, come la fama criminale del procacciatore di voti, l’assoggettamento alla forza intimidatrice del clan e l’utilità del loro apporto per il reclutamento elettorale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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