Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26431 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26431 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI REGGIO
CALABRIA
nel procedimento a carico di:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 25/09/1965
avverso l’ordinanza del 21/11/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME Ittttfsentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il PG conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore L’avvocato COGNOME conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto dal P.m. presso il Tribunale di Reggio Calabria avverso l’ordinanza con cui il G.i.p dello stesso Tribunale, a fronte della richiesta di applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME COGNOME la rigettava per assenza di sufficienti indizi di colpevolezza a suo carico in ordine al delitto di scambio elettorale politico-mafioso di cui al capo f) dell’imputazione provvisoria. Secondo l’ipotesi accusatoria COGNOME, candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Reggio Calabria del 2020, avrebbe accettato la promessa di voti in suo favore da parte di soggetti appartenenti alla cosca ‘ndranghetista COGNOME, accordandosi col capocosca NOME COGNOME e con suo genero NOME COGNOME che ricevevano l’ausilio di NOME COGNOME.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di Reggio Calabria.
2.1.Con il primo motivo di impugnazione viene dedotta l’erronea qualificazione della condotta rilevante ex art. 416-bis cod. pen.
Il Pubblico ministero si duole della mancata risposta da parte del Tribunale del riesame in merito alle questioni giuridiche proposte con l’appello con cui si criticava la pretesa del G.i.p. di ritenere necessario dimostrare, ai fini di configurare la condotta rilevante ex art. 416-bis cod. pen., non solo l’inquinamento del momento elettorale, ma anche quale fosse l’ulteriore scopo che attraverso ciò l’organizzazione si proponeva.
Rileva il Pubblico ministero che nel capo d’imputazione non vi è alcun riferimento al fatto che Sera avesse agito al fine di garantire gli interessi economicoimprenditoriali della cosca e che, quindi, questi ultimi rappresentano una “superfetazione” pretesa dal G.i.p. prima e dal Tribunale del riesame, poi, per descrivere il perimetro della fattispecie incriminatrice, rispetto alla quale verificare l capacità conformativa del materiale probatorio, ricercato – a suo dire – senza alcuna capacità selettiva critica. Invero, richiama il tema proposto nell’atto di appello relativ all’esatta perimetrazione della fattispecie, ritenendo che il Tribunale sia incorso nel medesimo errore del G.i.p. nell’affermare che per ritenere integrato il suddetto reato non sia sufficiente dimostrare che l’associazione procuri voti in occasione delle consultazioni elettorali in favore dei propri associati o ad altri, ma occorra anche individuare l’interesse che essa persegue con tali attività. A tal proposito, il Pubblico
ministero evidenzia l’inosservanza, da parte dei Giudici, dell’ultima parte del comma 3 dell’art. 416-bis cod. pen., che indica le interferenze elettorali quali condotte d scopo tipiche dell’associazione di stampo mafioso, senza la necessità di dimostrare anche quali obiettivi ulteriori siano perseguiti attraverso tali condotte.
Rileva, poi, il Pubblico ministero l’illogicità della motivazione relativa al mancanza di gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art. 416-bis imputato al coindagato NOME COGNOME nella parte in cui, da un lato, ritiene che non vi siano dubbi in ordine all’avvenuta interferenza mafiosa sulle competizioni elettorali e che ciò sia avvenuto nell’ambito di relazioni di affinità che legavano COGNOME a plurimi associati a partire dal boss della cosca, e, dall’altro, che ciò non sia sufficiente al fine di integra una delle finalità della condotta associativa, dal momento che sarebbe necessario individuare quali interessi economici la cosca intendesse perseguire attraverso l’interferenza sul libero esercizio del voto. Rileva il Pubblico ministero che le condotte di interferenza sul voto rappresentano un metodo operativo necessario all’organizzazione per affermare la propria presenza sociale e coltivare la sua capacità di assoggettamento della cittadinanza, che costituisce il fulcro della fattispecie incriminatrice a prescindere dalle finalità perseguite grazie all’esercizio concreto del metodo mafioso. A tale proposito, osserva che uno dei mezzi illeciti utilizzati per diminuire la libertà degli elettori ed esercitare pressioni sugli stessi è lo sfruttamento della capacità intimidatoria autonoma del sodalizio. In relazione a tale aspetto, il Pubblico ministero rileva ancor di più la illogicità della motivazione dal momento che i Giudici registrano effettivamente condotte di sudditanza manifestate a NOME COGNOME, il boss della cosca, da parte di soggetti che si dimostrano propensi ad assecondarne le indicazioni elettorali, individuate quali manifestazione di assoggettamento reverente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A riprova del concreto impatto della modalità mafiosa di accaparramento del voto da parte della cosca COGNOME sul quartiere di Sambatello, il Pubblico ministero richiama la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME il quale, a sua volta, aveva beneficiato della capacità di interferenza sul voto dell’associazione e per esperienza personale esprimeva una valutazione in merito alla potenza di tale capacità. Ritiene, quindi, il Pubblico ministero che vi sia una piena conformità tra la vicenda specifica dimostrata probatoriamente e quella astratta descritta dalla norma incriminatrice e che, al più, il Tribunale del riesame avrebbe potuto chiedersi se l’inquinamento della raccolta del consenso da parte della cosca fosse elemento sufficiente ad integrare la qualità di sodale in capo a COGNOME. Sul punto, ci si duole dell’utilizzo di un erra metodo e di un’errata sua concreta applicazione, dal momento che erano state indicate una serie di condotte sintomatiche di una solidarietà ad ampio spettro
manifestata da COGNOME che, tuttavia, per il Pubblico ministero, il Tribunale ha frazionato al fine di renderle inadatte allo scopo nella loro valutazione atomistica.
2.2. Con il secondo motivo di impugnazione viene dedotta l’erronea qualificazione della condotta rilevante ex artt. 110, 416-bis cod. pen. sotto altro profilo.
Osserva il Pubblico ministero che, anche a voler escludere Barillà dal novero dei sodali dell’associazione, resta il tema della qualificazione della sua condotta ex artt. 110, 416-bis cod. pen. Si rileva che questa è stata negata dal Tribunale del riesame richiamando sentenze di questa Corte del tutto inconferenti con il caso di specie in quanto riguardanti il rapporto bilaterale tra associazione mafiosa e candidato politico, mentre, nel caso che ci occupa, il rapporto sarebbe trilaterale, essendosi sviluppato tra l’associazione mafiosa, il mediatore che trae beneficio dalla relazione elettorale e il candidato politico. Si evidenzia che non è contestato né dal G.i.p. né dal Tribunale il fatto che il massimo esponente della cosca sia intervenuto per condizionare il libero esercizio del voto a favore di candidati con cui COGNOME manteneva rapporti diretti e che da ciò quest’ultimo abbia tratto benefici. Dalla suddetta ricostruzione, il Pubblico ministero deduce che tale dinamica ha determinato un rafforzamento della cosca, la quale, muovendosi in sinergia con COGNOME e sfruttando il suo operato elettorale, ha riaffermato l’assoggettamento sociale di cui è capace, mentre COGNOME ha accresciuto la sua individuale capacità di influenza nella pubblica amministrazione, il che confermerebbe una relazione sinallagnnatica nella piena consapevolezza dei reciproci vantaggi conseguiti che rientra perfettamente nella nozione di concorso esterno in associazione mafiosa.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione viene dedotta l’erronea qualificazione della condotta rilevante ex art. 416-ter cod. pen.
Si rileva che il Tribunale del riesame, aderendo all’impostazione interpretativa del G.i.p., ritiene che il legislatore, al novellato art. 416-ter cod. pen., nell’individu tra i soggetti procacciatori di voti, insieme agli appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche coloro che agiscono mediante metodo mafioso, abbia inteso restringere il novero dei soggetti attivi. In particolare, il Tribunale giunge questa conclusione sostenendo che il soggetto che agisce con metodo mafioso, evocato dalla norma, sia necessariamente “colui il quale non è intraneo ad una associazione”, sicché sarebbe imposta l’interpretazione secondo cui con la nozione di “appartenente”, il legislatore abbia inteso far riferimento esclusivamente alla figura dell’intraneo o di soggetto organicamente inserito. Rileva il Pubblico ministero che, se questa fosse stata la reale intenzione, il legislatore non avrebbe indicato la qualità di “appartenente”, ma piuttosto quella di “partecipe” e che, in realtà, la distinzione
dicotomica prevista dal legislatore non ha riguardo a categorie omogenee dal momento che la prima attiene alla relazione di un soggetto con un’organizzazione, mentre la seconda al metodo con cui questo soggetto agisce o promette di farlo nella campagna elettorale e che, quindi, la coerenza di tale dicotomia non giustifica interpretazioni abrogative del significato letterale della norma, in riferimento alla nozione di “appartenente” all’associazione, quale soggetto distinto dal “partecipe” per come emergente dalla lettura sistematica delle norme e pacificamente accettato nella giurisprudenza vivente. Infatti, si osserva che tramite la nozione di “appartenente” all’associazione, il legislatore si sia riferito alla nomenclatura tipica in materia del misure di prevenzione, laddove è evocata all’art. 4 co.1 lett. A) d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, e che le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno sottolineato che il concetto di appartenenza è più ampio di quello di partecipazione. Invero, si evidenzia che gli “appartenenti” all’associazione mafiosa non sono necessariamente i partecipi nell’accezione più stringente del termine, né si richiede che siano concorrenti cd. esterni, ma sono tutti coloro che hanno assunto con il sodalizio rapporti di collaborazione, funzionali agli scopi associativi, idonei a legittimare quanto meno l’applicazione di una misura di prevenzione. Il Pubblico ministero richiama anche altri insegnamenti delle Sezioni Unite che hanno consentito di perimetrare e classificare meglio le distinte nozioni di appartenenza e partecipazione. In particolare, evidenzia come, in base alle Sezioni Unite Modaffari, per integrare la condotta di partecipazione sia necessaria una concreta ed effettiva “messa a disposizione” della persona per il perseguimento delle finalità delittuose del sodalizio, il che sembra coerente con il principio di offensività della condotta che è incompatibile con il giudizio prognostico di pericolosità del soggetto che, invece, caratterizza le misure di prevenzione in cui si radica la nozione di “appartenenza”. Si richiama, poi, l’ulteriore giurisprudenza secondo cui la condotta di appartenenza all’associazione non è già dotata dell’offensività che è insita nel prender parte all’organizzazione, ma si arresta all’accertamento di una condotta materiale e verificabile di effettiva messa a disposizione dell’associazione, avente una potenziale idoneità funzionale alla realizzazione degli obiettivi della stessa e per questo sintomatica di trasformarsi in una partecipazione diretta o concorsuale all’associazione mafiosa. Ritiene, quindi, il Pubblico ministero che sia in virtù della prossimità relazionale con gli esponenti dell’associazione, nella logica di ampliare la tutela penale della libertà elettorale, che il legislatore ha utilizzato la nozione di “appartenenza” in luogo di quella di “partecipazione” per definire il quadro di uno degli autori necessari del reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto alla nozione di utilità rilevante ex art. 416-ter cod. pen., il Pubblico ministero osserva che il Tribunale, pur riconoscendo la sussistenza di svariate utilità conseguite dai promittenti ed effettivi procacciatori di voti nelle relazioni con i var candidati, tende a ritenerli irrilevanti in quanto relativi ad utilità personali. Rileva c questa interpretazione non convince alla luce dell’ultima novella del 2019 che ha ridisegnato la fattispecie in maniera estensiva. Invero, osserva che l’indicazione “qualunque altra utilità” è posta in alternativa alle altre ipotesi elencate nella norma attribuendo una decisiva rilevanza autonoma a ciascuna di queste; ne deriva come non sia rilevante né la tipologia, né l’identità del beneficiario della utilità, e come tale proposito sia ancora più significativa la terza condotta richiamata che è quella “della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”. Ritiene il Pubblico ministero che siffatta specificazione sia stata introdotta proprio al fine di ritenere rilevanti anche promesse inerenti potenzialità positive non ancora catalogabili come utilità, in quanto riferibili ad un soggetto collettivo. Da tal ricostruzione deriverebbe una nozione ampia di “qualunque altra utilità”, riferibile a qualunque soggetto individuale o collettivo diverso dall’organizzazione mafiosa, per cui sarà sufficiente che la promessa attenga agli interessi ed esigenze dell’associazione mafiosa, anche se non qualificabili come utili alla stessa.
Inoltre, il Pubblico ministero censura la pretesa del Tribunale di ricavare la prova dell’efficienza causale del contributo elettorale al risultato conseguito dal candidato, osservando che l’elezione costituisce solo un’aggravante e che, trattandosi di un reato-accordo, le dinamiche che ne conseguono sono irrilevanti.
2.4. Con il quarto motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione e/o motivazione apparente.
In relazione alla prova della partecipazione di COGNOME alla cosca COGNOME, il Pubblico ministero ne ribadisce il raggiungimento, a differenza delle conclusioni probatorie cui perviene il Tribunale del riesame che comunque avrebbero autorizzato una qualificazione del fatto in termini di concorso esterno. Evidenzia che, a detta dei Giudici, le prove acquisite escluderebbero che COGNOME potesse strumentalizzare, indirizzandolo a suo piacere il consenso elettorale, ma che, in realtà, tale circostanza è smentita da due conversazioni che vanno lette sinergicamente, e in particolare la conversazione tra NOME COGNOME e il suo uomo di fiducia NOME COGNOME e quella tra lo stesso NOME COGNOME e il “suo” candidato al Consiglio comunale NOME COGNOME. Nella prima, alla vigilia delle elezioni, COGNOME svelava a COGNOME che COGNOME avrebbe sostenuto unicamente il candidato NOME COGNOME e non avrebbe potuto garantire sostegno a COGNOME, che, invece, si era impegnato a prestare, a causa dell’intervento di NOME COGNOME che aveva “imposto” il sostegno elettorale di Sera, facendo intuire che COGNOME
non avrebbe potuto opporsi a tale scelta; nella seconda, invece, ben consapevole delle dinamiche elettorali, COGNOME riferiva a COGNOME che non avrebbe ricevuto voti sull’area di Gallico-Sambatello in conseguenza della scelta di NOME COGNOME.
Osserva il Pubblico ministero che la capacità di controllo del voto da parte della cosca era talmente invadente che un sodale – in seguito alle notizie stampa che avevano enfatizzato il risultato elettorale di Neri nel quartiere di Sambatello come sintomo di un’alleanza con gli COGNOME – ipotizzava che alle prossime elezioni avrebbero dovuto concentrare il voto su un candidato estraneo alle logiche sinallagmatiche, il che confermerebbe l’interferenza sistemica sul voto della cosca. Si duole il Pubblico ministero che tali circostanze siano state frazionate dal Tribunale, impedendone una lettura congiunta.
Ci si duole, inoltre, del fatto che il Tribunale del riesame non sia stato capace di cogliere circostanze significative in merito alla prova dell’accordo sinallagmatico, nonostante i numerosi elementi probatori coerenti con la conclusione che voleva COGNOME come uno scaltro arrampicatore della politica, avvezzo a mercanteggiare i pacchetti di voti accumulati anche grazie al supporto della cosca COGNOME, in cambio dell’acquisizione di posizioni sempre più incidenti nella pubblica amministrazione, benché quasi invisibili all’opinione pubblica. Il Pubblico ministero evidenzia – a fronte dell’affermazione del suddetto Tribunale secondo cui non vi è la prova di una controprestazione definita e concordata in anticipo – che, prendendo in considerazione le scelte dei candidati da parte di COGNOME, è facile intuire che quest’ultimo inseguisse sempre il candidato vincente, che avrebbe potuto assecondare le istanze di benefici che caratterizzavano il suo stile elettorale. Osserva, inoltre, che sussistono numerose evidenze circa le attese di COGNOME e dei suoi sodali di ricevere benefici in esito alle elezioni dei vari candidati, come riscontrato dalle numerose conversazioni intercettate e che il Tribunale del riesame non ha fornito alcuna spiegazione alternativa alla lettura di tali dati probatori, limitandosi ad atomizzarli per negarne la capacità dimostrativa individuale.
Quanto alla prova dell’elemento psicologico in capo ai candidati, rileva il Pubblico ministero che l’affermazione del Tribunale secondo cui la qualità mafiosa di NOME COGNOME era ignota ai candidati che si relazionavano direttamente o indirettamente con lui risulta radicalmente smentita dalle evidenze probatorie, considerando che tutti i candidati erano politici navigati e che già dal 2017 erano state denunciate le qualità soggettive di COGNOME quale esponente politico prossimo agli COGNOME.
Il Pubblico ministero chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
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3. I difensori dell’indagato depositano memoria, nella quale fanno presente che i collegi di varie sezioni di questa Corte, nell’ambito del medesimo procedimento penale, hanno rigettato o dichiarato inammissibili i ricorsi del P.m. riguardanti altre posizioni. Si evidenzia, inoltre, che dalle intercettazioni emerge che la decisione di appoggiare elettoralmente NOME fu presa da COGNOME, in virtù del rapporto con NOME COGNOME, all’interno di dinamiche esclusivamente politiche e fuori da dinamiche criminali locali, in assenza di qualsivoglia riferimento a rapporti di scambio sinallagmatico e a prescindere dai rapporti di affinità con la famiglia COGNOME. Si evidenzia come l’ordinanza impugnata sia fondata su una motivazione compiuta e non contraddittoria circa l’assenza di elementi sufficienti a ritenere la sussistenza di un accordo sinallagmatico, pure ammessa la contiguità tra politica e organizzazioni mafiose, e circa la presenza di interessi personali di COGNOME, senza alcuna imposizione di voto da parte del presunto boss mafioso.
Si rileva, altresì, come il ricorso sembri erroneamente voler sovrapporre i concetti di appartenente tipico del giudizio di prevenzione e di partecipe all’associazione mafiosa, con distorsione del senso del significato giuridico dell’art. 416-ter cod. pen. che riguarda principalmente lo scambio elettorale piuttosto che la partecipazione attiva o meno nell’associazione. E come in esso si parli erroneamente di frazionamento delle prove, mentre gli elementi indiziari vengono meticolosamente analizzati anche nel loro complesso. E si confonda il voto di scambio con un’ipotizzata mera ricezione di supporto elettorale peraltro proveniente da un soggetto da sempre impegnato in politica, ancor prima che divenisse dal 2020 genero di NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Il reato di cui all’art. 416-ter cod. pen., contestato a Sera al capo di imputazione provvisoria f), consiste nello scambio elettorale politico-mafioso ed esige che l’indagato accetti la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti ad un’associazione mafiosa o che agiscono con metodo mafioso, ed in cambio eroghi o prometta di erogare utilità, o manifesti la propria disponibilità a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa di riferimento.
Questa Corte ha affermato, infatti, sia che non è necessario che il procacciamento dei voti avvenga con metodo mafioso laddove il procacciatore sia un appartenente ad associazione mafiosa, anche laddove l’agente operi uti singulus, sia che l’oggetto materiale dell’erogazione
offerta in cambio della promessa di voti può essere costituito da “qualunque altra utilità”, termine che ricomprende qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, Rv. 287271-01 e Rv. 287271-02). Quanto all’oggetto dello scambio, si è anche precisato che il delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. non richiede una preventiva e puntuale individuazione dei favori da elargire, essendo sufficiente la generica disponibilità a sostenere le esigenze e gli interessi dell’associazione criminale (Sez. 5, n. 42651 del 03/10/2024, Rv. 287238).
L’ordinanza impugnata risulta essersi conformata a tali principi, e ad un’interpretazione corretta della norma, valutando, in relazione alla contestazione di cui all’imputazione provvisoria, l’insussistenza di gravi indizi sia della provenienza della promessa di voti da un soggetto appartenente ad una cosca mafiosa, sia dell’essere stato attuato o anche solo ipotizzato l’uso di metodi mafiosi nel procacciamento dei voti, sia dell’essere stata erogata almeno una promessa di disponibilità in favore dell’associazione mafiosa, e non del singolo promittente i voti.
Il Tribunale ha valutato, pertanto, la sussistenza dei gravi indizi di reato in relazione all’elemento della provenienza dall’associazione mafiosa degli COGNOME della promessa di procurare voti all’indagato COGNOME per l’appartenenza a tale cosca del promittente COGNOME o per avere questi agito a nome della stessa, in relazione all’elemento dell’essere stata promessa una raccolta di voti con metodo mafioso, e infine in relazione all’elemento dell’avere COGNOME promesso, in cambio, una utilità o una disponibilità ad erogare utilità in favore della cosca.
Tale iter argomentativo appare logico e coerente con l’oggetto dell’appello proposto dal Pubblico ministero: al di là della correttezza o meno dell’interpretazione dell’art. 416-bis, comma 3, cod. pen. da parte del G.i.p. e del Tribunale del riesame, argomento su cui il ricorso si dilunga, ciò che rileva al fine di valutare l’applicabilità all’indagato Sera della misura cautelare richiesta è la sussistenza dei gravi indizi sia della provenienza da un soggetto “appartenente” all’associazione mafiosa della promessa di procurargli voti, sia dell’esistenza di una contropromessa sufficientemente concreta di erogare utilità, che configuri il verificarsi dello scambio elettorale. L’affermazione dell’ordinanza impugnata della mancanza della necessaria gravità indiziaria, perché non vi sono elementi sufficienti per ritenere che il sostegno promesso da COGNOME provenisse dalla cosca ovvero che egli agisse quale appartenente ad essa, e per ritenere che Sera abbia concretamente promesso utilità, in particolare in favore della cosca, non essendo invece oggetto di impugnazione l’assenza di gravi indizi circa l’uso del metodo mafioso, è sufficientemente motivata, ed il ricorso non la contrasta efficacemente.
Quanto al primo elemento, il Tribunale ha ritenuto insussistenti i gravi indizi, necessari per l’applicazione di una misura cautelare, dell’appartenenza di NOME COGNOME autore della
promessa di sostegno elettorale a NOMECOGNOME alla cosca COGNOME, benché essa sia guidata da suo suocero.
Il Tribunale, ribadendo la valutazione già effettuata dal Giudice per le indagini preliminari, ha valorizzato il fatto che il COGNOME è un esponente politico di un preciso partito, già da tempo stabilmente inserito nelle dinamiche politiche locali, ed ha ritenuto che, in assenza di elementi per affermare che egli sia un partecipe dell’associazione mafiosa indicata, non si può escludere che egli intessa accordi elettorali con altri esponenti politici per una sua personale utilità, soprattutto di rafforzamento della propria carriera politica, e sulla base di una strategia elaborata personalmente, diretta ad appoggiare, di volta in volta, i candidati che hanno maggiore possibilità di vittoria e possono favorirgli l’ottenimento di un ruolo politico di maggior peso, ovvero di cariche politiche e amministrative di maggiore importanza e visibilità.
La valutazione della mancanza di gravi indizi dell’appartenenza di COGNOME alla cosca COGNOME, e della provenienza da questa della promessa di procurare voti a Sera, non è, secondo il ricorrente, del tutto convincente, in quanto emerge, dalla stessa ordinanza, che nella vicenda delle elezioni al consiglio comunale del 2020 COGNOME, dopo avere assicurato sostegno al candidato appoggiato da COGNOME sostenne invece il diverso candidato scelto dal suocero NOME COGNOME e si giustificò con COGNOME affermando di dover rispettare tale scelta. Questa vicenda, come affermato nel ricorso, dimostra la capacità della predetta associazione di inquinare il confronto elettorale spostando i voti da un candidato all’altro a seconda della propria convenienza, e l’assoggettamento di COGNOME alle dinamiche della cosca. Appare però logica ed altrettanto plausibile la valutazione del Tribunale, secondo cui questa vicenda dimostra anche l’esistenza di una certa autonomia di COGNOME, che stringe accordi elettorali secondo logiche personali e senza consultarsi con la cosca ovvero con il suo capo, salvo dover poi modificare le proprie scelte, al punto che COGNOME in un colloquio con tale NOME COGNOME ipotizzò che il voltafaccia di COGNOME derivasse dalla sua personale decisione di sostenere l’altro candidato, e la giustificazione di aver dovuto adeguarsi alla diversa decisione del suocero fosse soltanto una scusa. La vicenda, pertanto, rimane di dubbia interpretazione, e non apporta elementi indiziari certi e gravi che confortino la valutazione della figura di COGNOME quale soggetto intraneo alla cosca, o quanto meno esecutore delle strategie elettorali da questa elaborate, come ritenuto dal Pubblico ministero ricorrente, apparendo allo stato altrettanto plausibile la sua descrizione quale soggetto estraneo ad essa, ed elaboratore delle strategie elettorali soprattutto sulla base del proprio interesse per la sua carriera politica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.1. Il Pubblico ministero ricorrente afferma l’erroneità della valutazione della figura di COGNOME, compiuta prima dal G.i.p. e poi dal Tribunale, sostenendo che egli collabora attivamente al condizionamento del voto da parte della cosca COGNOME, prestando ad essa il proprio contributo organizzativo, e che tale condotta è dimostrativa di un suo ruolo, se non di partecipe all’associazione, quanto meno di concorrente esterno, in quanto il fatto di agire per l’interesse
personale di favorire la propria carriera politica non esclude, ed anzi supporta, il contestuale interesse della cosca che, tramite tale condizionamento elettorale, accresce il proprio potere di controllo sul territorio. Rispetto a questa tesi della pubblica accusa, il Tribunale ha ritenuto più fondata la tesi alternativa di un attivismo di COGNOME separato dagli interessi e dalle strategie dell’associazione mafiosa, o quanto meno ha ritenuto non sussistenti elementi idonei per ritenere più convincente la tesi del Pubblico ministero, evidenziando la mancanza di prova di un collegamento tra l’attività di COGNOME e gli interessi della cosca, collegamento ritenuto essenziale per qualificare la condotta di questi come quella di un appartenente alla cosca, anche solo come concorrente esterno o intermediario della stessa.
Il ricorso contesta tale valutazione anche affermando che la figura di “appartenente” ad un’associazione mafiosa, prevista dall’art. 416-ter cod. pen., deve intendersi quella di un soggetto che presta un’attività di collaborazione, anche non continuativa, con l’associazione, secondo il concetto elaborato in tema di misure di prevenzione, in particolare dalla sentenza Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso. Questa affermazione non è condivisibile. In primo luogo proprio la sentenza delle Sezioni Unite sopra citata sostiene che «Il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa … comprende la condotta che, sebbene non ricondudbile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale», mentre il Tribunale ha specificamente ritenuto carenti i gravi indizi di un collegamento tra l’azione di COGNOME e gli interessi della cosca, e quindi mancanti i gravi indizi di un’azione volutamente funzionale agli scopi associativi. In secondo luogo, il ricorso stesso ricorda che, nei lavori preparatori, il legislatore ha consapevolmente utilizzato il termine “appartenente”, lasciando all’interprete il compito di chiarime il contenuto, ma solo nel senso di poter ritenere sufficiente, per dimostrare tale appartenenza, oltre alla condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., anche la sola applicazione di una misura di prevenzione, elementi del tutto assenti a carico di COGNOME.
4.2. L’ordinanza impugnata ha valutato l’insussistenza dei gravi indizi di reato anche sotto il profilo dell’incertezza della consapevolezza, da parte di NOME, che la promessa di sostegno elettorale pronunciata da COGNOME provenisse dal clan COGNOME. Anche qualora vi fossero indizi gravi di tale provenienza, il Tribunale ha evidenziato che non vi è la certezza che NOME fosse a conoscenza dell’appartenenza di COGNOME alla cosca di NOME COGNOME, di cui è il genero, o comunque fosse a conoscenza di un rapporto di sudditanza tra questi e il suocero, dal momento che, in occasione della vicenda sopra descritta, della sconfessione dell’accordo stretto tra COGNOME e COGNOME per il sostegno al candidato di centro-destra di quest’ultimo, per sostenere invece il candidato del Pd, appunto COGNOME lo stesso COGNOME, come detto, ipotizzò che la giustificazione addotta da COGNOME, di dover seguire le direttive del suocero, fosse solo una scusa,
e che il mutamento del sostegno elettorale fosse una strategia elaborata da COGNOME per altre ragioni.
Evidenzia l’ordinanza che neppure sintomatico della consapevolezza di Sera dell’appoggio elettorale del clan nei suoi confronti è la successiva visita del candidato a NOME COGNOME in quanto il comportamento ossequioso dimostrato dall’indagato nei confronti del capo dan nel portarsi a casa dello stesso non consente di inferire, dalle laconiche parole pronunciate oggetto di intercettazione, la condusione di un patto elettorale politico-mafioso.
4.3. Si deve pertanto concludere che, per questi vari argomenti, l’affermazione del Tribunale della mancanza di gravi indizi circa la provenienza della promessa di sostegno elettorale dalla cosca COGNOME, e non dal solo COGNOME, del quale non è provata l’appartenenza alla predetta cosca, è sufficientemente motivata.
Si sottolinea come il quadro investigativo, composto prevalentemente da intercettazioni, non consenta di ritenere che NOME COGNOME fosse il soggetto per il tramite del quale la cosca di ‘ndrangheta COGNOME si muovesse nel mondo politico ed istituzionale e, quindi, che il predetto rappresentasse l’intermediario con detta famiglia mafiosa, rispetto alla quale non risultano provati né l’intraneità né il concorso esterno dello stesso; e consenta piuttosto di ritenere COGNOME mosso da un interesse personale ad una progressione professionale e politica, slegata tuttavia dalle ambizioni della cosca al controllo del territorio, non essendo provato in che termini i ruoli istituzionali avrebbero potuto giovare ai desiderata del sodalizio in settori nevralgici di controllo della vita cittadina.
L’ordinanza stessa sottolinea l’opacità dell’attività politica di COGNOME e il suo non chiarito rapporto con la cosca COGNOME, la cui capacità di condizionare il confronto elettorale è emersa con evidenza, ma essa applica correttamente la norma dell’art. 273 cod. proc. pen., circa la necessità che gli indizi di colpevolezza siano gravi. La sua valutazione della presenza di indizi, circa la sussistenza di questo elemento del reato, che non possono essere ritenuti “gravi”, è logica e approfondita, e si sottrae perciò alla censura da parte del giudice di legittimità. Questa Corte ha stabilito, infatti, che in tema di misure cautelar -i personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976; Sez. U, n. 110 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
5. I gravi indizi della sussistenza del reato di cui al capo f) vengono esclusi, nell’ordinanza impugnata, anche con riferimento alla promessa di una erogazione di utilità o di una disponibilità in favore della cosca mafiosa.
Il Tribunale ha ritenuto assenti i gravi indizi di una simile promessa, formulata da parte di NOMECOGNOME in quanto ha esaminato singolarmente le promesse indicate nell’imputazione prowisoria, ed ha rilevato, in modo non manifestamente illogico, che i tentativi di NOME per facilitare il trasferimento di NOME COGNOME figlio di NOME, o di evitare il suo licenziamento dal Settore Patrimonio ed ERP del Comune di Reggio Calabria non risultano conseguenza diretta di un accordo di scambio pre-elettorale, che non è documentato dal compendio di intercettazioni, né sono chiaramente collegati al consenso presuntivamente garantito della cosca, ma sembrano più compatibili con pratiche di clientelismo in favore di un supporter in campagna elettore, senza dubbio non tese a soddisfare esigenze associative. Ha, inoltre, evidenziato come i favori che si assumono promessi non si siano in concreto nemmeno realizzati, venendo NOME COGNOME licenziato e non integrato e avendo COGNOME preferito rinunciare alla proposta di liquidatore della NOME, ipotizzata come seconda utilità promessa; e come, comunque, si sia trattato di utilità solo personali dei destinatari.
Il Pubblico ministero ricorrente contesta tale valutazione sostenendo che il testo della norma non collega necessariamente l’utilità” all’associazione mafiosa, potendo trattarsi anche di una utilità di natura solo personale, ma non si confronta con l’ordinanza che, come detto, ha ritenuto del tutto assenti i gravi indizi della sussistenza di promesse collegate al sostegno elettorale. Non vi è dubbio che la promessa che costituisce lo scambio elettorale possa consistere anche in una utilità personale, potendo comportare un interesse, per l’associazione mafiosa, anche lo stipulare un accordo in favore di un singolo soggetto al fine di dimostrare il proprio potere, mediante il soddisfacimento delle esigenze personali del privato che si rivolge ad essa. In questo caso, però, mancando indizi gravi circa la provenienza dalla cosca della promessa di sostegno elettorale, la natura strettamente personale delle singole utilità elencate nell’imputazione prowisoria impedisce di ipotizzare che esse rivestissero un qualche interesse per la cosca, interesse che, se sussistente, avrebbe potuto costituire un indizio della provenienza da quest’ultima della promessa di sostegno elettorale, o comunque un indizio del coinvolgimento in essa della cosca stessa.
Il ricorso, inoltre, non menziona alcun indizio relativo ad una manifestata disponibilità, da parte di Sera, a soddisfare le esigenze dell’associazione mafiosa, indizio che non può certamente essere dedotto dalla decisione della cosca di sostenere l’uno o l’altro candidato a seconda di tali esigenze, evidentemente indirizzando i voti sul candidato ritenuto più pronto a soddisfarle, dal momento che l’art. 416-ter cod. pen. impone l’accertamento di un concreto scambio di promesse, ed è irrilevante la mera valutazione, fatta dall’associazione stessa, della
propria “convenienza” a convogliare i voti verso un certo candidato, senza avere stipulato con questi un preciso accordo.
L’ordinanza ha, di contro, rimarcato come appunto le condotte di COGNOME, COGNOME e COGNOME possano essere ricondotte a pratiche di clientelismo, senza, però, configurare il reato oggetto
di imputazione prowisoria, per il quale mancherebbe la prova di utilità pattuite già in occasione della campagna elettorale, di promesse specifiche di incarichi pubblici, denaro o altri vantaggi
economici riconducibili a uno scambio sinallagmatico, diverso dal mero sostegno elettorale di per sé non sufficiente ai fini della fattispecie per cui si procede.
La valutazione della mancanza dei gravi indizi di colpevolezza per l’assenza di elementi circa l’effettiva e concreta formulazione di promesse di utilità da parte di Sera, pertanto, non
è contrastata dal ricorso, ed è suffidente per ritenere quest’ultimo infondato, anche sotto tale profilo.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve pertanto essere respinto.
La natura pubblica della parte ricorrente osta alla condanna alle spese processuali, in deroga agli ordinari principi in materia di soccombenza (vedi Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271650)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente