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Scambio elettorale: la prova del patto con la mafia

La Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura in un caso di scambio elettorale politico-mafioso. La Corte ha confermato la decisione del Tribunale del Riesame, ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico di un candidato politico. La motivazione si basa sulla mancanza di prova che la promessa di voti provenisse da un soggetto ‘appartenente’ alla cosca e che il candidato avesse offerto in cambio utilità a favore dell’associazione mafiosa stessa.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio Elettorale Politico-Mafioso: La Cassazione e la Prova del Patto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26431/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema tanto delicato quanto complesso: il reato di scambio elettorale politico-mafioso. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali sui requisiti probatori necessari per dimostrare l’esistenza di un patto illecito tra politica e criminalità organizzata. La decisione analizza in dettaglio la differenza tra un’azione politica spregiudicata, anche se contigua ad ambienti criminali, e la specifica fattispecie di reato prevista dall’art. 416-ter del codice penale, sottolineando la necessità di prove concrete e non mere congetture.

I Fatti del Caso: L’Accusa di Scambio Elettorale

Il caso ha origine da un’indagine della Procura della Repubblica, che accusava un candidato alle elezioni comunali di aver stretto un patto con esponenti di una nota cosca mafiosa. Secondo l’accusa, il politico avrebbe accettato la promessa di un pacchetto di voti, procuratigli da un intermediario strettamente legato al boss del clan (essendone il genero), in cambio della promessa di futuri favori. Tali favori avrebbero incluso l’agevolazione per il trasferimento di un parente del boss e altre utilità personali.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ritenendo non sussistenti i ‘gravi indizi di colpevolezza’. La Procura ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione delle norme e la valutazione delle prove effettuate dal Tribunale.

La Decisione della Cassazione sul Ricorso della Procura

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del Pubblico Ministero, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la motivazione dell’ordinanza impugnata fosse logica, coerente e giuridicamente corretta, e che le prove raccolte non raggiungessero la soglia dei ‘gravi indizi’ richiesti per l’applicazione di una misura cautelare.

Le Motivazioni della Sentenza: L’Interpretazione dello Scambio Elettorale Politico-Mafioso

Il cuore della sentenza risiede nella meticolosa analisi dei due pilastri su cui si fonda il reato di scambio elettorale politico-mafioso: la provenienza della promessa di voti e la natura della controprestazione del politico.

La Nozione di ‘Appartenente’ alla Cosca

La Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’art. 416-ter c.p., la promessa di voti deve provenire da un soggetto ‘appartenente’ a un’associazione mafiosa o che agisce con ‘metodo mafioso’. Il semplice rapporto di parentela (in questo caso, l’intermediario era il genero del boss) non è di per sé sufficiente a dimostrare tale ‘appartenenza’.

La Corte sottolinea che ‘appartenenza’ è un concetto più ampio di ‘partecipazione’ (essere un membro organico), ma richiede comunque la prova di un’azione ‘volutamente funzionale’ agli scopi associativi. Nel caso di specie, il Tribunale ha logicamente ritenuto plausibile una tesi alternativa: che l’intermediario, politico a sua volta, agisse per un proprio interesse personale di carriera, sfruttando la sua influenza e i suoi legami, ma senza agire come un braccio operativo della cosca. Mancava la prova di un collegamento diretto tra la sua attività elettorale e gli interessi strategici del clan.

La Prova della Controprestazione a Favore della Mafia

Il secondo punto cruciale riguarda la controprestazione. Il reato richiede che il politico offra denaro o un’altra ‘utilità’, oppure manifesti la disponibilità a soddisfare gli ‘interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa’.

Nel caso esaminato, le presunte promesse del candidato (facilitazioni per trasferimenti, incarichi, etc.) sono state qualificate come favori a carattere strettamente personale, diretti a singoli individui e non all’associazione nel suo complesso. La Corte ha ritenuto che, in assenza di prove solide sulla provenienza mafiosa della promessa di voti, tali favori fossero più compatibili con pratiche di ‘clientelismo’ che con un patto sinallagmatico con la cosca. Non è emerso alcun indizio che dimostrasse un interesse strategico del clan nel conseguimento di quelle specifiche utilità personali.

L’Insufficienza dei ‘Gravi Indizi’ di Colpevolezza

Infine, la Cassazione ribadisce che il giudizio cautelare richiede una valutazione rigorosa della gravità indiziaria. L’opacità dell’attività politica dell’intermediario e la sua vicinanza al clan, pur essendo elementi di sospetto, non si traducono automaticamente in gravi indizi. La valutazione del giudice deve essere logica, approfondita e deve resistere a interpretazioni alternative plausibili. Poiché nel caso di specie la tesi di un’azione mossa da ambizioni personali e non per conto della cosca era altrettanto credibile, non si poteva raggiungere la soglia di gravità indiziaria richiesta dalla legge.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza è di fondamentale importanza perché traccia una linea netta tra sospetto e prova nel contesto del reato di scambio elettorale politico-mafioso. Stabilisce che per affermare la responsabilità penale non bastano le contiguità, le parentele o le frequentazioni, ma occorrono elementi concreti che dimostrino due aspetti chiave: che il procacciatore di voti agisca come esponente degli interessi della cosca e che la controprestazione del politico sia diretta a beneficiare l’associazione criminale, e non solo singoli individui ad essa vicini. La pronuncia riafferma un principio di garanzia, secondo cui la gravità degli indizi deve essere tale da superare ogni ragionevole dubbio interpretativo, anche in fase cautelare.

Per configurare lo scambio elettorale politico-mafioso è sufficiente che il procacciatore di voti sia parente di un boss?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il solo rapporto di parentela non è sufficiente per dimostrare l’ ‘appartenenza’ all’associazione mafiosa richiesta dalla norma. È necessario provare che il soggetto abbia agito in modo funzionale agli scopi e agli interessi della cosca, e non solo per un interesse politico personale.

La promessa di un favore personale a un singolo individuo legato alla cosca integra il reato di scambio elettorale?
Non necessariamente. La sentenza specifica che se manca la prova certa della provenienza mafiosa della promessa di voti, le utilità promesse a singoli individui, anche se vicini alla cosca, possono essere interpretate come mere pratiche di clientelismo. Per integrare il reato, deve essere dimostrato che la controprestazione sia a favore dell’associazione mafiosa o che rivesta per essa un interesse strategico.

Qual è la differenza tra ‘appartenente’ e ‘partecipe’ a un’associazione mafiosa ai fini dello scambio elettorale?
Il termine ‘partecipe’ indica un membro organico dell’associazione, stabilmente inserito nella sua struttura. Il concetto di ‘appartenente’, utilizzato nell’art. 416-ter c.p., è più ampio e comprende anche chi, pur non essendo un membro, compie un’azione, anche isolata, che è funzionale agli scopi del gruppo criminale. Tuttavia, la sentenza chiarisce che anche per l’ ‘appartenenza’ è necessario un collegamento concreto e provato con gli interessi della cosca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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