Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14344 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14344 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Paternò il 20/10/1958;
avverso l’ordinanza emessa il 30/09/2024 dal Tribunale di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
In data 16 gennaio 2024 il Pubblico Ministero del Tribunale di Catania ha chiesto l’applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 416-ter cod. pen. Secondo l’ipotesi di accusa, COGNOME, sindaco di Paternò, agendo in concorso
con NOME COGNOME consigliere comunale e assessore alle politiche agricole e imprenditoriali, politiche del lavoro e sviluppo locale, quale intermediario, in cambio del sostegno elettorale in occasione delle elezioni comunali del 12 giugno 2022, avrebbe promesso a NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponenti di vertice del clan mafioso COGNOME
COGNOME
COGNOME, l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa nella RAGIONE_SOCIALE, società aggiudicataria del servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti del Comune di Paternò, avrebbe fatto assumere da questa società nel mese di luglio 2021 a tempo determinato NOME COGNOME (figlio di NOME COGNOME, affiliato alla medesima associazione mafiosa) e NOME COGNOME (cognato di NOME COGNOME, affiliato alla medesima associazione mafiosa) e, di seguito, avrebbe fatto sì che il loro contratto, in scadenza a marzo del 2022, venisse prorogato.
COGNOME, inoltre, avrebbe nominato, sia nel dicembre 2021 che all’esito della tornata elettorale, NOME COGNOME, uomo di fiducia dell’associazione mafiosa, assessore in un settore reputato strategico per le attività economiche del sodalizio criminoso quale quello delle attività produttive e delle politiche agricole e imprenditoriali, benché fosse privo di specifiche qualifiche e di esperienza politica.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, con ordinanza emessa in data 24 aprile 2024, ha rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti di NOME COGNOME in quanto la promessa dell’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa e la nomina di COGNOME ad assessore non sarebbero «”utilità” suscettibili di essere oggetto di immediata monetizzazione» e, dunque, sarebbero irrilevanti ai sensi del primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Il Pubblico Ministero ha interposto appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc, pen. e con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catania, in accoglimento del gravame, ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME in quanto ritenuto gravemente indiziato del reato di scambio elettorale politico-mafioso contestato al capo 22).
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso avverso questa ordinanza e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo i difensori hanno censurato l’erronea applicazione dell’art. 416-ter cod. pen. e il vizio di manifesta illogicità della motivazione ordine al contenuto del patto di scambio politico elettorale.
Il Tribunale di Catania avrebbe, infatti, illegittimamente ritenuto che il patto
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«non formalizzato in un momento preciso ma nei fatti perseguito dall’aprile 2021 fino al giugno del 2022»; questa motivazione, tuttavia, sarebbe meramente ipotetica e disancorata dalla prova dell’avvenuta conclusione del patto elettorale mediante l’incontro delle volontà dei contraenti.
L’assunzione di COGNOME e COGNOME, peraltro, risalirebbe a un anno e due mesi prima delle elezioni e, dunque, si collocherebbe in un momento di gran lunga anteriore all’apertura del procedimento elettorale, quando il ricorrente COGNOME non rivestiva ancora la posizione di candidato.
Sarebbero, del resto, estranei alla fattispecie di cui all’art. 416 ter cod. pen. accordi conclusi ben prima della competizione elettorale.
L’assunzione dei due lavoratori, peraltro, avrebbe avuto ad oggetto il patto di scambio elettorale politico-mafioso concluso da NOME COGNOME all’epoca assessore, con l’associazione criminale; il Tribunale avrebbe fatto risalire a Naso anche le diverse pattuizioni di COGNOME e COGNOME con il sodalizio criminoso, lasciandosi suggestionare dall’inserimento di questi candidati in liste che appoggiavano la candidatura a sindaco del ricorrente.
Il Tribunale di Catania, invece, avrebbe dovuto soffermarsi sul rapporto tra tali distinte intese e sulla loro coesistenza.
Parimenti il Tribunale non avrebbe considerato che a Comis è stata contestata la messa a disposizione in favore dell’associazione della sua futura attività politica in un momento precedente al preteso accordo di COGNOME con il sodalizio.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe esorbitato i limiti dell’interpretazione consentita in materia penale, in quanto, in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, il sintagma di «altra utilità» deve essere riferito a u vantaggio diretto del soggetto che propone i voti e non già di un terzo; nella disposizione di cui all’art. 416-ter cod. pen., infatti, a differenza di quanto previs nell’analoga fattispecie di corruzione elettorale, non figura l’espressione «per sé o per un terzo».
4.2. Con il secondo motivo di ricorso i difensori hanno dedotto la violazione dell’art. 416-ter cod. pen., in quanto, essendo stata la condotta di scambio elettorale politico mafioso realizzata attraverso l’intermediazione di un soggetto estraneo all’organizzazione, sarebbe necessaria la dimostrazione, anche in via indiziaria, del metodo mafioso.
Posto, dunque, che NOME COGNOME secondo il Tribunale di Catania, non sarebbe un intraneo dell’associazione mafiosa, ma solo un concorrente esterno, l’oggetto della pattuizione avrebbe dovuto ricomprendere anche le «modalità mafiose» di procacciamento dei voti e, dunque, la realizzazione della campagna elettorale mediante il ricorso all’intimidazione.
4.3. Con il terzo motivo, i difensori hanno eccepito il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, relativamente alle modalità di realizzazione dello scambio elettorale politico mafioso attraverso la promessa di COGNOME di “influire” sull’assunzione presso un’azienda privata di soggetti estranei alla consorteria mafiosa.
Il Tribunale avrebbe ritenuto, con motivazione meramente apparente, che l’utilità promessa fosse ravvisabile nella raccomandazione per l’assunzione di due lavoratori, ma la stessa non sarebbe suscettibile di immediata monetizzazione.
Il Tribunale, inoltre, non avrebbe motivato in ordine alle censure mosse sul punto nella memoria depositata nel giudizio di appello; in questa memoria i difensori hanno rilevato la regolarità e la complessa articolazione delle procedure di assunzione dei due lavoratori, la natura dell’attività politica svolta da COGNOME quale sindaco, in ordine alle problematiche sorte tra i sindacati e l’azienda incaricata della raccolta dei rifiuti, e la carenza del nesso di corrispettività tra richiesta di raccomandazione ai mafiosi di uno dei lavoratori e la successiva assunzione.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe travisato il significato dell’intercettazione prog. 99726 del 24 aprile 2021 e non avrebbe tenuto conto della diversa interpretazione fornita dal consulente di parte, senza disporre perizia sul punto.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso i difensori hanno dedotto che, con riferimento alla nomina ad assessore di NOME COGNOME quale oggetto di scambio nel patto elettorale politico mafioso, gli indizi sarebbero del tutto inesistenti.
Le conversazioni poste dal Tribunale a fondamento della propria valutazione sarebbero anteriori di oltre un anno alla competizione elettorale; il Tribunale, ancora una volta, non si sarebbe confrontato con le censure proposte dalla difesa nel procedimento di appello, concretamente idonee a scardinare la motivazione dell’ordinanza impugnata, e con la ricostruzione resa dal ricorrente in sede di interrogatorio.
Con istanze tempestivamente depositate in data 26 novembre i difensori di COGNOME hanno chiesto la trattazione orale del ricorso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 30 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
Con la prima censura proposta nel primo motivo di ricorso i difensori hanno dedotto l’erronea applicazione dell’art. 416-ter cod. pen., in quanto il Tribunale del riesame ha ritenuto che l’accordo politico-mafioso contestato sarebbe stato concluso quando il ricorrente COGNOME non rivestiva ancora la posizione di candidato.
Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, tuttavia, non potrebbe essere consumato a mezzo di accordi conclusi ben prima della competizione elettorale e, comunque, anteriormenteyebTIVocazione dei comizi elettorali, come sarebbe chiarito dal terzo comma dell’art. 416-ter cod. pen., che prevede l’aggravamento della pena in caso di elezione all’esito della «relativa consultazione elettorale».
3. Il motivo è infondato.
La fattispecie di cui al primo comma dell’art. 416-ter cod. pen., nella formulazione vigente, delinea un reato comune, che può essere integrato sia dal candidato alle elezioni, sia da colui che intenda partecipare alla competizione elettorale, prima dell’indizione della stessa; ai fini della integrazione di tale delitt dunque, non è necessaria la qualità effettiva di candidato.
Il reato di cui all’art. 416 ter cod. pen., infatti, postula che l’accordo illecito tra il procacciatore di voti e il candidato sia realizzato in funzione del voto da esprimere in una determinata e prossima competizione elettorale, ma non giàehe il patto illecito intervenga nell’imminenza delle consultazioni elettorali e, segnatamente, dopo la convocazione dei comizi elettorali.
La fattispecie di scambio elettorale politico-mafioso non pone limiti temporali quanto alla sua consumazione, purché l’accordo sia stato effettivamente concluso e la competizione elettorale sia individuata.
Il reato di scambio politico-elettorale è, infatti, integrato per il solo fatto c sia stata raggiunta l’intesa illecita, venendo così anticipata la punibilità, a tutel del regolare svolgimento delle consultazioni elettorali, rispetto alle iniziative che dovessero (o anche non dovessero) essere concretamente adottate per la ricerca e il procacciamento di quei voti (in questo senso, Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, COGNOME, non massimata sul punto).
Principi di diritto analoghi, del resto, sono affermati dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità con riferimento all’analogo delitto di corruzione elettorale.
Ai fini della integrazione del delitto di cui al primo comma dell’art. 86 del d.P.R. n. 570 del 1960, non è, infatti, necessaria la qualità effettiva di candidato, attraverso una corretta esegesi del testo normativo, che descrive un reato comune, che “chiunque” può commettere, non essendo necessaria, diversamente dall’ipotesi di corruzione ordinaria, la presenza attiva di un pubblico ufficiale o di
un soggetto politico candidato alla competizione elettorale (Sez. 1, n. 45152 del 17/03/2016 Rv. 268035; conf. Sez. 5 n. 19922 del 12/04/2021, Rv. 281254; (Sez. 5, n. 1039 del 30/09/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282966 – 01), coerentemente con la duplice ratio legis individuabile nella tutela della libertà di voto, e nella necessità di impedire qualunque interferenza nella formazione o nella manifestazione del voto da parte dell’elettore.
La censura proposta dai difensori è, dunque, infondata, sotto il profilo della violazione di legge, in quanto la circostanza che l’assunzione dei due lavoratori vicini alla cosca sia avvenuta un anno e due mesi prima delle elezioni non elide ex se il reato contestato.
Con la seconda censura proposta nel primo motivo di ricorso, i difensori hanno censurato l’inosservanza dell’art. 416-ter cod. pen., sotto il profilo della mancanza di motivazione in ordine all’espressa pattuizione del ricorso al metodo mafioso.
Posto, infatti, che, secondo il Tribunale, il patto di scambio elettorale politicomafioso sarebbe stato concluso attraverso l’intermediazione di un soggetto non affiliato all’organizzazione criminale, ma solo oth ‘ ‹ un concorrente esterno, sarebbe necessaria la dimostrazione, anche in via indiziaria, che le parti abbiano pattuito che la raccolta dei consensi dovesse essere attuata sfruttando l’assoggettamento e l’intimidazione di cui è portatrice l’associazione mafiosa.
5. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’impegno al procacciamento del consenso elettorale con le “modalità mafiose” è sussistente in re ipsa ove il promittente sia per certo intraneo ad un sodalizio criminale di stampo mafioso ovvero abbia agito in nome e per conto di tale associazione delinquenziale, mentre il ricorso a tali modalità deve essere provate come oggetto della intesa se il promittente abbia operato “a titolo individuale” oppure non risulti affiliato ad un clan di tipo mafioso.
Questa Corte, a più riprese, ha statuito che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, come previsto dall’art. 416-ter cod. pen. nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 62 del 2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, e agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, terzo
comma, cod. pen. può dirsi immanente all’illecita pattuizione. Ed invece, qualora il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi sia una persona estranea alla consorteria di tipo mafioso, ovvero un soggetto intra neo che agisca uti singulus, è necessaria la prova della pattuizione delle modalità di procacciamento del consenso con metodo mafioso (in questo senso, tra le tante: Sez. 5, n. 42651 del 03/10/2024, Ponticelli, Rv. 287238 – 02; Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284583 – 01; Sez. 6, n. 16397 del 03/03/2016, La Rupa, Rv. 266738; Sez. 1, n. 19230/16 del 30/11/2015, COGNOME, Rv. 266794; Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 263845).
Il Tribunale di Catania, nei limiti propri della delibazione cautelare, ha non incongruamente argomentato l’intervenuta pattuizione tra COGNOME e i vertici del clan mafioso sulla base delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite.
Nel caso di specie, tuttavia, nella valutazione non incongrua del Tribunale di Catania, è stato non già NOME COGNOME che non sarebbe un intraneo dell’associazione mafiosa, ma solo un concorrente esterno, a impegnarsi a procacciare i voti, ma gli esponenti apicali del sodalizio NOME COGNOME e NOME COGNOME; correttamente, dunque, il Tribunale di Catania ha ritenuto non necessario dimostrare che la pattuizione illecita abbia avuto per oggetto il procacciamento dei voti a mezzo del metodo mafioso.
Con un’ulteriore censura proposta nel primo motivo di ricorso, i difensori hanno dedotto il vizio di inosservanza dell’art. 416-ter cod. pen., in ordine alla nozione di utilità come definita dal Tribunale di Catania, e al vizio di motivazione sul punto.
Il Tribunale avrebbe, infatti, riferito l’utilità promessa da COGNOME nello scambio politico-elettorale a terzi estranei al patto illecito (i lavoratori, non associat sodalizio, assunti dalla RAGIONE_SOCIALE) e non al promissario dei voti.
Questa interpretazione avrebbe esorbitato i limiti dell’interpretazione consentita al giudice in materia penale, in quanto, il sintagma di «qualunque altra utilità», in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza, deve essere riferito a un vantaggio diretto del soggetto che propone i voti e non già di un terzo, che non ha partecipato all’accordo.
Nella disposizione di cui all’art. 416-ter cod. pen., infatti, non figura l’espressione «per sé o per un terzo» cui il legislatore, come nell’analoga fattispecie di corruzione elettorale, ricorre per riferire la nozione di utilità anche a soggett diversi dall’autore del reato.
Diversamente dal reato di corruzione elettorale, dunque, nello scambio elettorale politico-mafioso i beneficiari dell’utilità pattuita non possono essere i terzi, ma esclusivamente i «soggetti appartenenti alle associazione di cui all’art.
416-bis cod. pen.» o l’associazione mafiosa stessa.
7. Il motivo è infondato.
La circostanza che il sintagma «per sé o per un terzo» non figura nella fattispecie di cui all’art. 416-ter cod. pen. non esclude che in tale fattispecie di reato l’utilità promessa possa essere rivolta ad un soggetto diverso dal procacciatore dei voti.
Il reato di corruzione elettorale e il delitto di scambio elettorale politico mafioso differiscono, infatti, tra loro in quanto nel primo viene punito il candidato che, per ottenere il voto, offre, promette o somministri danaro, valori ovvero qualsiasi altra utilità, mentre nel secondo la promessa di voti viene fatta, in cambio di erogazione di denaro, da un aderente ad associazione mafiosa mediante l’assicurazione dell’intervento di membri della medesima (Sez. 1, n. 27655 del 24/04/2012, Macrì, Rv. 253387 – 01).
Posto che il patto elettorale politico-mafioso è stipulato dal procacciatore di voti nell’interesse dell’associazione mafiosa, il sindacato volto ad accertare la sussistenza dell’utilità deve essere svolto in relazione all’interesse del sodalizio criminoso e non già del mero promittente.
Il Tribunale di Catania, dunque, non ha violato il disposto dell’art. 416-ter cod. pen., nel ritenere che gli associati COGNOME e COGNOME abbiano concordato le assunzioni dei lavoratori nell’interesse dell’associazione di tipo mafioso cui appartenevano, ancorché le stesse avessero beneficiato non associati, ma stretti parenti degli stessi.
Con ulteriore censura i difensori hanno dedotto la violazione dell’art. 416ter cod. pen., in quanto il Tribunale ha affermato che COGNOME ha promesso non già l’assunzione di COGNOME e di COGNOME, ma «di interessarsi per l’assunzione di congiunti dei mafiosi locali», e il vizio di motivazione sul punto.
La mera promessa di esercitare il proprio potere di influenza sugli enti controllati dal Comune, tuttavia, non sarebbe sussumibile nella nozione di «qualunque altra utilità» di cui al primo comma dell’art. 416-ter cod. pen., in quanto sarebbe suscettibile di essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata.
Il motivo è fondato nei limiti che di seguito si precisano.
9.1. Nella formulazione originaria del delitto di scambio elettorale politicomafioso, introdotta dall’art. 11-ter, decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, recante «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa», convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,
il reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. puniva la condotta del soggetto che, aspirando a vincere una competizione elettorale, avesse ottenuto dall’appartenente all’associazione mafiosa la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro.
Il soggetto attivo del reato, dal lato dei soggetti politici, era, dunque, solo i candidato e la controprestazione del patto illecito di procacciamento dei voti era costituitotsolo dalla dazione di danaro.
L’art. 1 della legge 17 aprile 2014, n. 62 iha, tuttavia, riformulato l’art. 416ter cod. pen., ampliando l’oggetto della controprestazione rilevante ai fini della configurazione della fattispecie, sino a ricomprendere la corresponsione o la promessa di «altre utilità» e, dunque, ha eliso il riferimento esclusivo al denaro quale controprestazione per l’associazione mafiosa.
Il legislatore, in questo modo, ha inteso ovviare a uno dei principali difetti dell’originaria formulazione del delitto, che ne frustrava l’efficacia punitiva, i quanto, nella realtà effettuale, la controprestazione da parte dei politici della promessa di procacciamento di voti non sempre e non solo era costituita dalla promessa o dalla dazione di danaro.
Con questa modifica della disposizione, inoltre, il legislatore ha positivizzato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, fortemente criticato dalla dottrina, in quanto ritenuto radicalmente contrastante con il divieto di analogia in malam partem; questo orientamento riteneva che l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti potesse essere costituito non solo dal denaro, ma anche da beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici, quali i mezzi di pagamento diversi dalla moneta, i preziosi, i titoli o i valori mobiliari, restando invece esclu dal contenuto precettivo della norma incriminatrice le altre “utilità”, suscettibili essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata (ex plurimis: Sez. 6, n. 20924 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252788 – 01; Sez. 2, n. 47405 del 30/11/2011, COGNOME, Rv. 251609 – 01; Sez. 2, n. 46922 del 30/11/2011, COGNOME, Rv. 251374 – 01).
Il legislatore, dopo aver elevato la cornice edittale della fattispecie di cui a primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. con l’art. 1, comma 5, della legge 23 giugno 2017, n. 103 («Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario»), è tornato nuovamente sulla formulazione dell’oggetto del reato di scambio elettorale politico-mafioso.
L’art. 1 della legge 21 maggio 2019, n. 43 («Modifica all’articolo 416ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso») ha, infatti, ulteriormente ampliato l’oggetto della controprestazione del reclutatore dei voti, facendo riferimento a «qualunque altra utilità» e alla «disponibilità a soddisfare gli
interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa».
La giurisprudenza di legittimità, anche dopo questo intervento di riforma, ha ribadito il proprio orientamento in ordine alla necessità che l’utilità corrisposta o promessa dal politico sia suscettiva di “immediata monetizzazione” (Sez. 2, n. 51659 del 17/11/2023, Bianco, Rv. 285679 – 01, che ha escluso che l’utilità potesse rinvenirsi nel cambio di destinazione urbanistica di un fondo, finalizzato a consentire alla locale parrocchia la realizzazione di una mensa per poveri, dalla quale non derivava alcun vantaggio economica per l’imputato; più di recente, non massimate sul punto, Sez. 1, n. 46006 del 01/06/2023, COGNOME, Sez. 1, n. 17455 del 30/01/2018, COGNOME).
Secondo una recente sentenza della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, ne testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere costituito da «qualunque altra utilità», termine che ricomprende qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271 – 02, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto nella promessa di un candidato sindaco di promuovere presso un magistrato di sua conoscenza la scarcerazione anticipata di uno dei componenti del clan, in cambio dell’impegno da parte dei membri del gruppo criminale di procacciare voti in suo favore nella competizione elettorale).
In questa sentenza la Corte ha rilevato che, se nella formulazione previgente il legislatore definiva l’utilità oggetto dell’erogazione o della promessa alternativa al danaro quale «altra utilità», nella formulazione attuale il legislatore ha fatto riferimento a «qualunque altra utilità».
Questa interpolazione, altrimenti inutile, non può spiegarsi se non con l’intento del legislatore – in coerenza, del resto, con la ragione dell’intervento normativo di riforma – di ampliare il novero delle condotte penalmente rilevanti, ricomprendendovi qualsiasi effetto vantaggioso e superando, quindi, la precedente giurisprudenza per la quale potevano rilevare, sotto il profilo in esame, soltanto i beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici.
9.2. Il Collegio ritiene di dare continuità a questo ultimo orientamento, ribadendo che la nozione di «qualunque altra utilità» di cui al primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. ricomprende qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dal danaro, che abbia valore per l’associazione di tifo mafioso i cui esponenti abbiano promesso il procacciamento dei voti.
Il legislatore, infatti, anteponendo l’aggettivo indefinito «qualunque» alla locuzione «altra utilità», ha inteso superare ogni distinzione operata dalla
giurisprudenza di legittimità in ordine al carattere patrimoniale o non patrimoniale della stessa, alla sua idoneità a essere “monetizzata” immediatamente o in via solo mediata.
Questa «altra utilità» può, dunque, essere rappresentata anche dalla promessa di comportamenti indebiti e vantaggiosi per l’associazione di tipo mafioso, come l’assegnazione di appalti, l’assunzione di lavoratori e l’adozione di provvedimenti favorevoli (quali la nomina ad assessore in settori nevralgici nella gestione politica del territorio di un soggetto succube ai dettami dell’associazione mafiosa o, comunque, contiguo alla stessa).
Parimenti può integrare la promessa di utilità rilevante ai sensi del primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. la “raccomandazione” o, comunque, l’impegno del politico di spendere il proprio specifico potere di influenza nell’interesse dell’associazione mafiosa (come nel caso deciso da Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271 – 02, sopra citato).
Ritiene, tuttavia, il Collegio che la generica e indeterminata promessa da parte dell’esponente politico “di interessarsi” per l’assunzione di lavoratori, direttamente evocata dal Tribunale di Catania in alcuni punti dell’ordinanza impugnata, non possa integrare la promessa di altra utilità nel significato precisato dal primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Questa promessa, infatti, non implicando ancora l’assunzione di un impegno di specifica attivazione da parte del contraente politico, non può risolversi in alcun effettivo vantaggio per l’associazione mafiosa, né integra, stante la vaghezza del suo contenuto, «la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa», contemplata dalla formulazione vigente dal primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Questa disponibilità, infatti, pur destinata a concretizzarsi in futuro, in relazione alle mutevoli esigenze dell’associazione, è già vincolante e precettiva all’atto della stipulazione del patto illecito e comporta l’onere, per l’attore pubblic di attivare i propri poteri o, comunque, di spendere la propria influenza nell’interesse dell’associazione di tipo mafioso.
9.3. Sul punto della prestazione asseritamente promessa dal ricorrente, il Tribunale di Catania ha, peraltro, motivato contraddittoriamente, in quanto ha individuato, di volta in volta, la stessa nella promessa di interessarsi per l’assunzione di congiunti dei mafiosi locali, nella promessa di influire sull’assunzione di lavoratori subordinati e nella promessa di assunzione dei lavoratori.
Queste espressioni, tuttavia, non sono equivalenti, in quanto designano pattuizioni con un diverso grado di precettività per il promittente e che, come )54) UAP rilevato, nonytutte sussumibili nell’ambito applicativo del primo comma dell’art.
416-ter cod. pen.
10. Più in generale, sono fondate le censure proposte dai difensori quanto al vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine al momento dell’effettiva stipulazione del patto di scambio politico elettorale e al suo contenuto.
Questa Corte ha, infatti, chiarito più volte che, in tema di scambio elettorale politico-mafioso, l’esistenza di un’intesa per il procacciamento di consensi elettorali con modalità mafiose può essere desunta anche in via indiziaria, mediante la valorizzazione di indici fattuali della natura dell’accordo, quali la fama criminale del procacciatore, l’assoggettamento alla forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso e l’utilità del loro apporto per reclutamento elettorale nella zona d’influenza dell’organizzazione criminale (Sez. 5, n. 42651 del 03/10/2024, Ponticelli, Rv. 287238 – 02; Sez. 5, n. 26426 del 07/05/2019, COGNOME, Rv. 275638 – 01; Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275157 – 01).
La possibilità di ricostruire in via indiziaria lo scambio elettorale politico mafioso, tuttavia, non esime il giudice dalla necessità di ricostruirne accuratamente lo specifico contenuto, per verificarne la corrispondenza al tipo delineato dall’art. 416-ter cod. pen. e, dunque, per affermarne o escluderne la punibilità.
Il Tribunale di Catania ha, infatti, rilevato che il patto di scambio elettorale politico-mafioso contestato al capo 22) «non formalizzato in un momento preciso, ma nei fatti perseguito dall’aprile 2021 fino al giugno del 2022».
Con questa motivazione, tuttavia, il Tribunale di Catania ha fatto derivare dalla constatazione della mancata formalizzazione dell’accordo illecito l’incompiuto accertamento del momento della sua stipulazione e del proprio contenuto.
Nell’ordinanza sono, infatti, riportate le intercettazioni ritenute indizianti, ma manca una compiuta definizione dell’accordo, quanto all’assunzione dei lavoratori presso la RAGIONE_SOCIALE e quanto alla nomina ad assessore di NOME COGNOME.
I giudici dell’appello cautelare, inoltre, non hanno motivato in ordine alle specifiche censure mosse dai difensori nella memoria depositata in data 19 settembre 2024 nel giudizio di appello e non si sono confrontati con le dichiarazioni rese dal ricorrente nell’interrogatorio reso all’esito delle indagini preliminari, che hanno opposto argomenti decisivi, in quanto astrattamente idonei a confutare la prospettazione accusatoria.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, del resto, l’omessa valutazione di memorie difensive non determina certo la nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano
state espresse le ragioni difensive (Sez. 6, n. 269 del 05/11/2013, dep.
07/01/2014, COGNOME Rv. 258456; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME Rv.
252713), con la conseguenza che la motivazione risulta indirettamente viziata per la mancata considerazione degli argomenti illustrati nella memoria, in relazione
alle questioni devolute con l’atto di impugnazione (Sez. 1, n. 37531 del
07/10/2010, dep. 20/10/2010, COGNOME, Rv. 248551).
L’accoglimento di questi motivi, in ragione della loro valenza preliminare, determina l’assorbimento delle ulteriori censure proposte da parte del ricorrente.
11. Alla stregua di tali rilievi, l’ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania,
che dovrà nuovamente motivare sull’appello proposto dal Pubblico Ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.