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Scambio elettorale: la nuova definizione di utilità

Un politico viene accusato di scambio elettorale politico-mafioso per aver promesso posti di lavoro e un assessorato in cambio di voti. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13841/2025, stabilisce che l’utilità promessa non deve essere necessariamente monetizzabile, potendo consistere in qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, purché concreto. Nel caso specifico, la Corte annulla l’ordinanza di custodia cautelare perché la promessa era troppo generica, richiedendo al Tribunale una nuova valutazione sulla sua effettiva concretezza.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scambio elettorale politico-mafioso: la Cassazione amplia il concetto di ‘utilità’

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13841 del 2025, interviene nuovamente sul delicato tema dello scambio elettorale politico-mafioso, fornendo un’interpretazione evolutiva e rigorosa del concetto di ‘utilità’. La pronuncia chiarisce che la contropartita promessa dal politico in cambio di voti non deve necessariamente essere un bene economicamente quantificabile, ma può consistere in qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, purché concreto e specifico. Questa decisione segna un punto di svolta nella lotta contro le infiltrazioni mafiose nel tessuto politico.

I fatti del caso: la promessa elettorale

Il caso trae origine dalla richiesta di applicazione di una misura cautelare nei confronti di un soggetto, accusato di aver stretto un patto illecito con un esponente di un’associazione mafiosa. Secondo l’accusa, in vista delle elezioni comunali, l’indagato avrebbe promesso il proprio sostegno elettorale a un candidato sindaco in cambio di specifiche utilità. Tali vantaggi consistevano nella promessa di assunzioni di persone vicine al clan presso la società di raccolta rifiuti e nella nomina di un uomo di fiducia del sodalizio criminale in un ruolo di assessore, considerato strategico per gli interessi economici del clan.

Il Tribunale, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, aveva applicato la misura degli arresti domiciliari, ritenendo sussistenti i gravi indizi del reato di scambio elettorale. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che le promesse in questione non costituissero una ‘utilità suscettiva di immediata monetizzazione’, requisito ritenuto indispensabile per la configurabilità del reato.

L’evoluzione normativa dello scambio elettorale politico-mafioso

La Corte di Cassazione coglie l’occasione per ripercorrere l’evoluzione legislativa dell’art. 416-ter del codice penale. Originariamente, la norma puniva lo scambio tra la promessa di voti e la sola erogazione di ‘denaro’. Questa formulazione si era rivelata inefficace, poiché nella realtà le controprestazioni assumevano forme diverse e più difficili da provare.

Per ovviare a questo limite, il legislatore è intervenuto a più riprese:

1. Legge n. 62/2014: Ha ampliato l’oggetto della controprestazione includendo le ‘altre utilità’.
2. Legge n. 43/2019: Ha ulteriormente esteso il campo di applicazione, specificando che rileva ‘qualunque altra utilità’ e la ‘disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa’.

Queste modifiche, sottolinea la Corte, dimostrano la chiara volontà del legislatore di superare ogni interpretazione restrittiva, mirando a colpire qualsiasi forma di patto illecito che inquini le competizioni elettorali.

La decisione della Corte sul concetto di ‘utilità’

Il Collegio aderisce all’orientamento più recente e rigoroso, affermando che la nozione di ‘qualunque altra utilità’ deve essere interpretata in senso ampio. Essa ricomprende qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dal denaro, che abbia un valore per l’associazione mafiosa.

Oltre la monetizzazione immediata

La Cassazione chiarisce che non è più necessario che l’utilità sia immediatamente traducibile in un valore economico. L’aggiunta dell’aggettivo ‘qualunque’ alla locuzione ‘altra utilità’ ha proprio lo scopo di superare la precedente giurisprudenza che richiedeva la possibilità di una ‘immediata monetizzazione’. Pertanto, anche la promessa di comportamenti vantaggiosi per il clan, come l’assegnazione di appalti, l’assunzione di lavoratori segnalati o la nomina di persone gradite in ruoli chiave dell’amministrazione pubblica, integra pienamente il reato.

La necessità di una promessa concreta

Tuttavia, la Corte introduce un importante correttivo. Se da un lato l’utilità può essere di qualsiasi natura, dall’altro la promessa del politico deve essere sufficientemente concreta e specifica. Una generica e indeterminata promessa di ‘interessarsi’ per l’assunzione di lavoratori non è sufficiente a integrare il reato. Una promessa così vaga, infatti, non implica ancora l’assunzione di un impegno specifico e non si traduce in un vantaggio effettivo per l’associazione mafiosa.

Le motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte spiega che il patto illecito deve avere un contenuto vincolante. La ‘disponibilità a soddisfare gli interessi’ del clan, pur proiettata nel futuro, deve essere un impegno precettivo e certo assunto al momento dell’accordo. Nel caso esaminato, il Tribunale aveva descritto la promessa in termini troppo generici, senza specificare se l’esponente politico avesse assunto un impegno concreto ad attivarsi. Per questo motivo, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando gli atti al Tribunale di Catania per una nuova valutazione. Quest’ultimo dovrà verificare se la promessa contestata fosse sufficientemente determinata da costituire un vantaggio reale per il sodalizio mafioso, applicando il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte.

Le conclusioni

Questa sentenza rappresenta un fondamentale strumento per il contrasto allo scambio elettorale politico-mafioso. Pur ampliando la nozione di ‘utilità’ per includere vantaggi non monetari, la Corte stabilisce un criterio di rigore, richiedendo che la promessa del politico sia concreta e non meramente generica. Viene così tracciato un confine netto: non basta una vaga promessa di interessamento, ma è necessario un impegno specifico e vincolante a favore del clan, che costituisca l’effettiva contropartita per il sostegno elettorale garantito con metodo mafioso.

Qualsiasi tipo di promessa a un clan mafioso integra il reato di scambio elettorale politico-mafioso?
No. Secondo la Corte, la promessa deve essere concreta e determinata, non generica. Una vaga promessa di ‘interessarsi’ a una questione non è sufficiente a configurare il reato, perché non rappresenta un vantaggio effettivo e vincolante per l’associazione mafiosa.

Per configurare lo scambio elettorale politico-mafioso, l’utilità promessa deve essere per forza denaro o un bene economicamente quantificabile?
No. La Corte Suprema ha chiarito che, a seguito delle riforme legislative, il concetto di ‘qualunque altra utilità’ include qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per l’associazione mafiosa, come l’assunzione di persone indicate dal clan o la nomina di un assessore gradito.

Cosa si intende per ‘disponibilità a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa’?
Si intende un impegno vincolante e precettivo, assunto dal politico al momento del patto, di mettersi a disposizione per soddisfare le esigenze future del clan. Anche se la concretizzazione avverrà in futuro, la disponibilità in sé è già un’utilità rilevante ai fini del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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