Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 13842 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 13842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME PietroCOGNOME nato a Paternò il 22/01/1965;
avverso l’ordinanza emessa il 30/09/2024 dal Tribunale di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catania, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME, consigliere comunale di Paternò e assessore alle politiche agricole e imprenditoriali, in quanto ritenuto gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416-ter cod. pen.
Secondo il Tribunale di Catania, NOME, imprenditore agrumicolo e consigliere
comunale di Paternò sino al mese di giugno 2022, avrebbe costituito l’elemento di collegamento tra i clan mafiosi e i politici locali.
COGNOME, sindaco di Paternò, agendo in concorso con NOME COGNOME, consigliere comunale e assessore alle politiche agricole e imprenditoriali, politiche del lavoro e sviluppo locale, quale intermediario, in cambio del sostegno elettorale in occasione delle elezioni comunali del 12 giugno 2022, avrebbe promesso a NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponenti di vertice del clan mafioso COGNOME
COGNOME
COGNOME, l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa nella RAGIONE_SOCIALE, società aggiudicataria del servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti del Comune di Paternò, avrebbe fatto assumere da questa società nel mese di luglio 2021 a tempo determinato NOME COGNOME (figlio di NOME COGNOME, affiliato alla medesima associazione mafiosa) e NOME COGNOME (cognato di NOME COGNOME, affiliato alla medesima associazione mafiosa) e, di seguito, avrebbe fatto sì che il loro contratto, in scadenza a marzo del 2022, venisse prorogato.
COGNOME, inoltre, avrebbe nominato, sia nel dicembre 2021 che all’esito della tornata elettorale, NOME COGNOME, uomo di fiducia dell’associazione mafiosa, assessore in un settore reputato strategico per le attività economiche del sodalizio criminoso quale quello delle attività produttive e delle politiche agricole e imprenditoriali, benché fosse privo di specifiche qualifiche e di esperienza politica.
Nel medesimo procedimento il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania ha disposto nei confronti di NOME la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, ritenendolo un concorrente esterno dell’associazione mafiosa COGNOME.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono avverso questa ordinanza e ne chiedono l’annullamento.
Con un unico motivo di ricorso, i difensori impugnano il provvedimento cautelare, ritenendolo illogico e immotivato sia in punto indiziario, che sulle esigenze cautelari, in ragione delle condizioni di salute del ricorrente.
La motivazione relativa ai gravi indizi di colpevolezza sarebbe assente, in quanto i fatti riportati nell’ordinanza impugnata sono quasi integralmente riferiti a soggetti diversi.
Parimenti sarebbe gravemente lacunosa la motivazione dell’ordinanza relativa alle esigenze cautelari; il Tribunale di Catania, peraltro, avrebbe disposto la misura cautelare in assenza di documentate esigenze cautelari.
La condotta contestata, peraltro, integrerebbe il delitto di cui all’art. 416-bi cod. pen., già contestato al ricorrente e, dunque, sarebbe stato violato il divieto del ne bis in idem, come configurato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
200 del 2016.
Il mero interessamento, posto in essere dal ricorrente, quale politico, ai legittimi interessi lavorativi di persone vicine non potrebbe integrare, in assenza di tornaconto personale e di prospettive di utilità per la consorteria mafiosa, la fattispecie di reato contestata.
Le condotte contestate costituirebbero, peraltro, mero esercizio di attività politica.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 30 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
Con il primo motivo il difensore censura l’inosservanza dell’art. 416-ter cod. pen., in quanto non sarebbe configurabile il delitto di scambio elettorale politico-mafioso in assenza della promessa di «una utilità suscettiva di essere oggetto di immediata monetizzazione», e il vizio di motivazione sul punto.
Il motivo è fondato quanto al dedotto vizio di motivazione.
3.1. Nella formulazione originaria del delitto di scambio elettorale politicomafioso, introdotta dall’art. 11-ter, decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, recante «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa», convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, il reato di cui all’art. 416-ter cod. pen. puniva la condotta del soggetto che, aspirando a vincere una competizione elettorale, avesse ottenuto dall’appartenente all’associazione mafiosa la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro.
Il soggetto attivo del reato, dal lato dei soggetti politici, era, dunque, solo candidato e la controprestazione del patto illecito di procacciamento dei voti era costituito solo dalla dazione di danaro.
L’art. 1 della legge 17 aprile 2014, n. 62 ha, tuttavia, riformulato l’art. 416 ter cod. pen., ampliando l’oggetto della controprestazione rilevante ai fini della configurazione della fattispecie, sino a ricomprendere la corresponsione o la promessa di «altre utilità» e, dunque, ha eliso il riferimento esclusivo al denaro quale controprestazione per l’associazione mafiosa.
Il legislatore, in questo modo, ha inteso ovviare a uno dei principali difetti dell’originaria formulazione del delitto, che ne frustrava l’efficacia punitiva, i
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quanto, nella realtà effettuale, la controprestazione da parte dei politici della promessa di procacciamento di voti non sempre e non solo era costituita dalla promessa o dalla dazione di danaro.
Con questa modifica della disposizione, inoltre, il legislatore ha positivizzato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, fortemente criticato dalla dottrina, in quanto ritenuto radicalmente contrastante con il divieto di analogia in malam partem; questo orientamento riteneva che l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti potesse essere costituito non solo dal denaro, ma anche da beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici, quali i mezzi di pagamento diversi dalla moneta, i preziosi, i titoli o i valori mobiliari, restando invece esclu dal contenuto precettivo della norma incriminatrice le altre “utilità”, suscettibili essere oggetto di monetizzazione solo in via mediata (ex plurimis: Sez. 6, n. 20924 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252788 – 01; Sez. 2, n. 47405 del 30/11/2011, COGNOME, Rv. 251609 – 01; Sez. 2, n. 46922 del 30/11/2011, COGNOME, Rv. 251374 – 01).
Il legislatore, dopo aver elevato la cornice edittale della fattispecie di cui a primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. con l’art. 1, comma 5, della legge 23 giugno 2017, n. 103 («Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario»), è tornato nuovamente sulla formulazione dell’oggetto del reato di scambio elettorale politico-mafioso.
L’art. 1 della legge 21 maggio 2019, n. 43 («Modifica all’articolo 416ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso») ha, infatti, ulteriormente ampliato l’oggetto della controprestazione del reclutatore dei voti, facendo riferimento a «qualunque altra utilità» e alla «disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa».
La giurisprudenza di legittimità, anche dopo questo intervento di riforma, ha ribadito il proprio orientamento in ordine alla necessità che l’utilità corrisposta o promessa dal politico sia suscettiva di “immediata monetizzazione” (Sez. 2, n. 51659 del 17/11/2023, Bianco, Rv. 285679 – 01, che ha escluso che l’utilità potesse rinvenirsi nel cambio di destinazione urbanistica di un fondo, finalizzato a consentire alla locale parrocchia la realizzazione di una mensa per poveri, dalla quale non derivava alcun vantaggio economica per l’imputato; più di recente, non massimate sul punto, Sez. 1, n. 46006 del 01/06/2023, COGNOME, Sez. 1, n. 17455 del 30/01/2018, COGNOME).
Secondo una recente sentenza della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti può
essere costituito da «qualunque altra utilità», termine che ricomprende qualsiasi effetto vantaggioso, anche non quantificabile economicamente (Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271 – 02, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto nella promessa di un candidato sindaco di promuovere presso un magistrato di sua conoscenza la scarcerazione anticipata di uno dei componenti del clan, in cambio dell’impegno da parte dei membri del gruppo criminale di procacciare voti in suo favore nella competizione elettorale).
In questa sentenza la Corte ha rilevato che, se nella formulazione previgente il legislatore definiva l’utilità oggetto dell’erogazione o della promessa alternativa al danaro quale «altra utilità», nella formulazione attuale il legislatore ha fatt riferimento a «qualunque altra utilità».
Questa interpolazione, altrimenti inutile, non può spiegarsi se non con l’intento del legislatore – in coerenza, del resto, con la ragione dell’intervent normativo di riforma – di ampliare il novero delle condotte penalmente rilevanti, ricomprendendovi qualsiasi effetto vantaggioso e superando, quindi, la precedente giurisprudenza per la quale potevano rilevare, sotto il profilo in esame, soltanto i beni traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici.
3.2. Il Collegio ritiene di dare continuità a questo ultimo orientamento, ribadendo che la nozione di «qualunque altra utilità» di cui al primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. ricomprende qualsiasi vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dal danaro, che abbia valore per l’associazione di tifo mafioso i cui esponenti abbiano promesso il procacciamento dei voti.
Il legislatore, infatti, anteponendo l’aggettivo indefinito «qualunque» alla locuzione «altra utilità», ha inteso superare ogni distinzione operata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al carattere patrimoniale o non patrimoniale della stessa, alla sua idoneità a essere “monetizzata” immediatamente o in via solo mediata.
Questa «altra utilità» può, dunque, essere rappresentata anche dalla promessa di comportamenti indebiti e vantaggiosi per l’associazione di tipo mafioso, come l’assegnazione di appalti, l’assunzione di lavoratori e l’adozione di provvedimenti favorevoli (quali la nomina ad assessore in settori nevralgici nella gestione politica del territorio di un soggetto succube ai dettami dell’associazione mafiosa o, comunque, contiguo alla stessa).
Parimenti può integrare la promessa di utilità rilevante ai sensi del primo comma dell’art. 416-ter cod. pen. la “raccomandazione” o, comunque, l’impegno del politico di spendere il proprio specifico potere di influenza nell’interesse dell’associazione mafiosa (come nel caso deciso da Sez. 6, n. 43186 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287271 – 02, sopra citato).
Ritiene, tuttavia, il Collegio che la generica e indeterminata promessa da parte dell’esponente politico “di interessarsi” per l’assunzione di lavoratori,
direttamente evocata dal Tribunale di Catania in alcuni punti dell’ordinanza impugnata, non possa integrare la promessa di altra utilità nel significato precisato
dal primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Questa promessa, infatti, non implicando ancora l’assunzione di un impegno di specifica attivazione da parte del contraente politico, non può risolversi in alcun
effettivo vantaggio per l’associazione mafiosa, né integra, stante la vaghezza del suo contenuto, «la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze
dell’associazione mafiosa», contemplata dalla formulazione vigente dal primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Questa disponibilità, infatti, pur destinata a concretizzarsi in futuro, in relazione alle mutevoli esigenze dell’associazione, è già vincolante e precettiva
all’atto della stipulazione del patto illecito e comporta l’onere, per l’attore pubblico di attivare i propri poteri o, comunque, di spendere la propria influenza
nell’interesse dell’associazione di tipo mafioso.
3.3. Sul punto della prestazione asseritamente promessa da COGNOME, il Tribunale di Catania ha, peraltro, motivato contraddittoriamente, in quanto ha individuato, di volta in volta, la stessa nella promessa di interessarsi per l’assunzione di congiunti dei mafiosi locali, nella promessa di influire sull’assunzione di lavoratori subordinati e nella promessa di assunzione dei lavoratori.
Queste espressioni, tuttavia, non sono equivalenti, in quanto designano pattuizioni con un diverso grado di precettività per il promittente e che, come rilevato, non tutte sussumibili nell’ambito applicativo del primo comma dell’art. 416-ter cod. pen.
Alla stregua di tali rilievi l’ordinanza impugnata deve essere annullata e deve essere disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Catania, che dovrà nuovamente motivare sull’appello proposto dal Pubblico Ministero, uniformandosi ai principi stabiliti da questa Suprema Corte.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.