Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22814 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/09/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare con rinvio l’ordinanza; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno chiesto l’annullamento, con o senza rinvio, dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’applicazione degli arresti domiciliari a NOME COGNOME, indagato per concorso nei delitti di scambio elettorale politico-mafioso e corruzione aggravata dalla finalità agevolativa della associazione di tipo mafioso denominata “RAGIONE_SOCIALE“.
Gli si addebita, in estrema sintesi, di essere stato l’intermediario tra NOME COGNOME e NOME COGNOME: il primo, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’RAGIONE_SOCIALE, nonché padre di NOME, futuro candidato alle elezioni del Consiglio regionale che si sarebbero tenute nel gennaio del 2020; l’altro, soggetto con legàmi con esponenti della “RAGIONE_SOCIALE” e titolare occulto della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, con la quale svolgeva l’attività di preparazione pasti per gli ospedali di Tropea e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di fatto ed illegalmente subappaltatagli dalla aggiudicataria “RAGIONE_SOCIALE“, a sèguito della chiusura delle mense di quei nosocomi per carenze strutturali ed igienico sanitarie, disposta tra il 2016 ed il 2017 con atti del COGNOME.
In particolare, COGNOME avrebbe favorito i contatti tra i predetti, fino ad organizzare, nel novembre 2018, all’interno dei locali della sua attività commerciale, un incontro a tre, nel corso del quale COGNOME avrebbe promesso a NOME di procacciare voti per il figlio e l’altro si sarebbe impegnato ad aiutarlo e favorirlo nella sua attività lavorativa, qualora avesse incontrato difficoltà.
Nell’interesse del COGNOME hanno proposto distinti ricorsi due difensori.
Le doglianze riguardano violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento alla configurabilità di entrambi i delitti ipotizzati e dell’aggravante della finalità agevolativa mafiosa, nonché all’esistenza di esigenze cautelari, sulla base degli argomenti di sèguito complessivamente sintetizzati per temi.
2.1. Scambio elettorale politico-mafioso:
manca il coinvolgimento, nel patto, di uno dei soggetti necessari, ovvero il beneficiario della promessa di voto e promittente delle corrispettive utilità: l’ordinanza non delinea alcun ruolo del candidato NOME COGNOME, esaminando esclusivamente la condotta di suo padre;
costituisce una petizione di principio l’affermazione del Tribunale secondo cui COGNOME non avesse reso la sua promessa di procacciamento di voti a titolo individuale ma per conto dei suoi referenti politici di Mileto, suo luogo di residenza; così come non viene spiegato perché questi ultimi dovessero essere necessariamente intranei ad una consorteria mafiosa;
per la configurabilità del delitto, quanto meno nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, il patto deve avere per oggetto anche l’impiego del metodo mafioso per il procacciamento dei voti: tale profilo può ritenersi implicito, qualora parte dell’accordo sia un elemento di vertice del sodalizio o colui che si qualifichi od agisca apertamente come portavoce di esso, aspetti entrambi assenti nel caso specifico COGNOME in cui COGNOME ha fatto riferimento sernmai a suoi referenti politici, non a mafiosi – e comunque non conosciuti né conoscibili dal semplice intermediario COGNOME;
d) in proposito, l’ordinanza è affetta da travisamento per omissione di una prova decisiva: quella, cioè, dell’affermazione del COGNOME, nel corso di una sua conversazione intercettata, secondo cui la propria forza elettorale gli derivava dal fatto di avere cinquantatrè dipendenti-elettori in quella provincia;
e) quanto al concorso del COGNOME, l’ordinanza valorizza il fatto di aver messo a disposizione il proprio locale per l’incontro tra COGNOME e COGNOME e di aver svolto un ruolo attivo, di supporto e di facilitazione, nel relativo colloquio; ma – obietta la difesa – si tratta di condotte antecedenti al patto di scambio, che segna il momento di perfezionamento del reato, e di una serie di espressioni verbali prive di efficacia causale ai fini della conclusione della promessa illecita, secondo il parametro della condicio sine qua non;
f) contraddittoria si rivela la motivazione, nella parte in cui afferma che COGNOME agisse in rappresentanza di un gruppo mafioso, ma poi assegna al COGNOME il ruolo di garante di costui presso COGNOME, in tal modo ritenendo essenziale il suo contributo: non è logico sostenere, infatti, che, per rafforzare il proposito criminoso suo e della cosca da lui rappresentata, COGNOME avesse bisogno dell’ausilio di un soggetto estraneo a quei circuiti criminali;
g) il Tribunale deduce la consapevolezza del COGNOME di agire in un «contesto di matrice ‘ndranghetista» da una sua conversazione intercettata con COGNOME a settembre 2018 (quindi prima dell’incontro nel suo locale in cui sarebbe avvenuto il patto), nella quale egli riferisce all’altro delle raccomandazioni rassegnategli da COGNOME («digli a questo qua di stare attento che si trova in un giro più grande di lui… che magari rompiamo qualche equilibrio, che magari lui rompe qualche equilibrio e facciamo casini»), e COGNOME, abbassando il tono della voce, lo rassicura, spiegandogli di aver raggiunto un accordo con «quelli di San NOME», che erano coloro che «gestivano questa cosa qua», e di averne parlato con NOME COGNOME, esponente della – ndrina” di un paese vicino; obiettano, però, le difese: che, nei confronti di COGNOME, lo stesso Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare con riferimento al delitto di partecipazione all’associazione mafiosa; che l’ordinanza non spiega perché gli “equilibri” evocati da COGNOME dovessero necessariamente essere di natura mafiosa e non semplicemente clientelare; che l’ostentata capacità di COGNOME di procurare voti non è necessariamente rivelatrice di metodi mafiosi, ben potendo coniugarsi con condizionamenti anch’essi di tipo clientelare; che l’eventuale consapevolezza delle contiguità criminali altrui non vuol dire necessariamente conoscenza anche della specifica finalità agevolativa delle cosche perseguita dal terzo con il reato;
h) la prova della consapevolezza dell’agire di COGNOME all’interno di un contesto mafioso deriverebbe – secondo i giudici territoriali – dal riferimento al successo elettorale da lui procurato nelle precedenti elezioni politiche a tali COGNOME e
COGNOME: tuttavia, l’ordinanza non spiega perché da tale dato debba desumersi che i voti siano stati procurati a favore di costoro con metodo mafioso;
alla data dell’incontro con COGNOME nei locali di NOME, NOME non era più in servizio, perché collocato in quiescenza, ciò che incide sulla serietà della sua promessa, essenziale per la configurabilità di un effettivo scambio: sul punto, il Tribunale non ha motivato.
2.2. Corruzione:
non essendo COGNOME più in servizio alla data del suo incontro con COGNOME nei locali di NOME, manca la necessaria qualifica pubblica dell’agente; il Tribunale si è limitato ad evocare la disposizione dell’art. 360, cod. pen., valorizzando la lunga carriera da costui svolta nell’amministrazione interessata, senza tuttavia spiegare in quale modo quel ruolo pregresso potesse incidere sull’attività di tale ufficio, e senza considerare la conversazione intercettata pochi giorni prima dell’incontro nei locali di COGNOME, nella quale tale COGNOME afferma che «è finito COGNOME… ad ogni cosa c’è un inizio ed una fine.. è caduto COGNOME, è caduto COGNOME, sono caduti tutti…», e COGNOME replica: «quindi la prossima volta non mi può ricattare perché c’è il figlio»;
l’intervento del COGNOME si situa in una fase successiva al perfezionamento del patto corruttivo tra COGNOME e COGNOME, e quindi esula dal paradigma concorsuale; inoltre, viene previsto come solamente eventuale, e non vi è traccia in atti di un suo successivo coinvolgimento nella vicenda.
2.3. Aggravante della finalità agevolativa di un’associazione mafiosa.
La consapevolezza, da parte del COGNOME, della finalità di COGNOME di agevolare le cosche della provincia di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE deriverebbe – secondo il Tribunale dalle richiamate conversazioni oggetto d’intercettazione, rivelatrici delle contiguità criminose di COGNOME, COGNOME e COGNOME, nonché dall’affermazione di quest’ultimo di poter garantire fino a 1.500 voti, giudicata «espressiva della forza di natura politico mafiosa».
Obietta in proposito la difesa: a) che tale motivazione sovrappone finalità e metodo mafiosi; b) che l’eventuale consapevolezza delle contiguità criminali non vuol dire consapevolezza anche della specifica finalità agevolativa delle cosche perseguita dal terzo con il reato, la quale deve rendersi manifesta all’esterno, quanto meno per fatti concludenti; c) che l’ostentata capacità di COGNOME di procurare voti non è necessariamente rivelatrice di metodi mafiosi, ben potendo derivare da relazioni di tipo clientelare; d) che costui, piuttosto, si presentava a COGNOME come soggetto incensurato e concessionario di appalti pubblici, quindi non sospettabile di aderenze mafiose; e) che il Tribunale non tiene conto dell’avvenuto annullamento dell’ordinanza custodiale nei confronti di COGNOME in punto di
partecipazione mafiosa; f) che comunque l’ordinanza non spiega in qual modo si sarebbe palesata al NOME l’eventuale appartenenza di costoro alla “RAGIONE_SOCIALE“.
2.4. Esigenze cautelari:
il Tribunale ha ravvisato il pericolo di recidiva sulla base delle specifiche modalità e circostanze del fatto, della personalità dell’indagato e dei suoi comportamenti ed atti concreti: ma – replica il ricorso – le prime non vengono esplicitate; la seconda non è in alcun modo illustrata; e gli ultimi sono semplicemente asseriti;
l’ordinanza esclude l’allontanamento dell’indagato dagli ambienti criminali, ma egli non è mai stato un intraneo; fa riferimento all’intensità del dolo, senza però spiegare sulla base di quali parametri; parla di fattori causali del comportamento dell’indagato, ma non li indica; COGNOME rileva la «notevole spregiudicatezza» di costui, senza però offrirne alcun riscontro; riferisce di condotte accertate sino a tempi recenti, quando invece risalgono a cinque anni addietro: si tratta perciò, all’evidenza, di una motivazione apparente, composta di formule di stile valide per tutti gli indagati;
per converso, non sono stati tenuti in considerazione lo stato d’incensuratezza dell’indagato, la sua richiesta di presentazione spontanea alla polizia giudiziaria, il lungo arco temporale dai fatti senza alcun comportamento sintomatico di pericolosità, l’intervenuto pensionamento del coindagato COGNOME.
Ha depositato motivi aggiunti un terzo difensore, nominato previa revoca di uno dei precedenti.
Essi possono così sintetizzarsi:
la Corte di cassazione, con sentenza del 7 dicembre scorso, ha annullato l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame nei confronti di COGNOME, rinviando per nuovo giudizio in punto di gravità indiziaria con riferimento ad entrambi i reati addebitati, in concorso con lui, anche a COGNOME: con l’effetto che l’esclusione della sua appartenenza all’associazione mafiosa determina l’impossibilità di configurare lo scambio elettorale politico-mafioso;
tale delitto ha natura di “reato-contratto”, che dunque si perfeziona con la formulazione delle reciproche promesse ed il conseguente raggiungimento dell’accordo, non essendo necessaria, invece, l’attuazione di quest’ultimo;
nello specifico, pertanto, esso si è perfezionato a novembre del 2018, con lo scambio dei reciproci impegni tra NOME e COGNOME in occasione dell’incontro nei locali del negozio di NOME, a nulla rilevando che le elezioni si siano poi svolte nel 2020;
di conseguenza, deve trovare applicazione la disciplina previgente a quella attualmente in vigore, introdotta dalla legge n. 43 del 2019, e – secondo tale testo
normativo precedente – la prestazione corrispettiva all’appoggio elettorale poteva consistere esclusivamente nell’erogazione, effettiva od anche soltanto promessa, di denaro o di altro bene suscettibile di immediata valutazione economica, con esclusione di utilità suscettibili di monetizzazione solo in via mediata;
e) nello specifico, invece, COGNOME si è limitato a promettere a COGNOME la propria disponibilità per l’eventualità che ne avesse avuto necessità, esulando perciò tale condotta dal tipo legale allora esistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va accolto il ricorso, nella parte in cui deduce la non corrispondenza della condotta contestata agli indagati con la fattispecie dello scambio elettorale politico-mafioso, così come descritta dall’art. 416-ter, cod. pen., nella formulazione vigente all’epoca dei fatti e solo successivamente modificata, nel testo attuale, dalla legge 21 maggio 2019, n. 43.
1.1. Il reato – nei termini in cui ipotizzato dall’accusa – si è perfezionato, infatti, con la stipulazione del patto illegale, avvenuta a novembre del 2018. Peraltro, non emergendo dall’ordinanza impugnata comportamenti esecutivi di tale accordo, stretto tra COGNOME e COGNOME con l’essenziale contributo di mediazione del ricorrente COGNOME, non si pone nemmeno il problema di valutare se tali condotte ulteriori potessero determinare un diverso e posteriore momento di “consumazione” del reato rispetto a quello di “perfezione” (coincidendo quest’ultima con l’integrazione del contenuto minimo previsto dalla fattispecie legale, che, pertanto, segna il momento in cui il reato viene ad esistenza, e realizzandosi, invece, l’altra quando l’offesa criminale tipica viene meno e, quindi, il reato cessa di esistere).
Deve, dunque, trovare applicazione il precedente testo normativo dell’art. 416-ter, cod. pen., secondo cui il procacciamento di voti doveva avvenire «mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità».
Questo significa che, secondo tale disposizione normativa, il condizionamento del voto doveva essere attuato attraverso l’impiego del c.d. “metodo mafioso”: vale a dire, se non necessariamente mediante minacce o violenze fisiche, comunque sfruttando la capacità intimidatrice che pronnana dall’esistenza di tale genere di sodalizio e dalla consapevolezza di questa esistenza da parte della comunità sociale del territorio di riferimento.
Si tratta di una circostanza di fatto che, com’è ovvio, può costituire oggetto anche di prova indiretta o logica, ma, in questo caso, la sedimentata giurisprudenza di questa Corte – correttamente richiamata dalla difesa ricorrente
– è nel senso della necessità che il promittente sia un intraneo alla cosca mafiosa ed agisca in rappresentanza e nell’interesse di quella, spendendone il nome presso il politico od i suoi rappresentanti: solo in questo caso, infatti, il ricorso al modalità di acquisizione del consenso tramite le anzidette modalità può dirsi immanente all’illecita pattuizione e la scelta di un simile interlocutore da parte del candidato può razionalmente ritenersi determinata dalla fama criminale dello stesso e dalle modalità che, di conseguenza, egli adotterà per il reclutamento elettorale, occorrendo altrimenti la prova della specifica pattuizione anche di tali modalità di procacciamento del consenso (Sez. 6, n. 16397 del 03/03/2016, COGNOME, Rv. 266738; Sez. 1, n. 19230 del 30/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266794; Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 263845).
Altrettanto consolidata è, poi, la giurisprudenza di legittimità anche con riferimento alla prestazione erogata o promessa dal candidato o dai suoi emissari, che – nella vigenza di quel precedente testo di legge – doveva consistere in denaro o in beni comunque traducibili in valori di scambio immediatamente quantificabili in termini economici, quali i mezzi di pagamento diversi dalla moneta, i preziosi, i titoli o i valori mobiliari, restando invece escluse dal contenuto precettivo della norma eventuali “utilità” suscettibili di monetizzazione solo in via mediata (tra altre: Sez. 2, n. 51659 del 17/11/2023, Bianco, Rv. 285679; Sez. 1, n. 46006 del 01/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 20924 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252788; Sez. 2, n. 46922 del 30/11/2011, COGNOME, Rv. 251374).
1.2. Così delineata la fattispecie incriminatrice, l’impossibilità di ravvisarla nei fatti come ricostruiti dall’ordinanza impugnata risulta di solare evidenza.
COGNOME, infatti, viene ivi descritto come una persona sicuramente avvezza a muoversi in un sottobosco di relazioni illegali, come un soggetto al più contiguo alla criminalità organizzata mafiosa del luogo, ma non certo organico ad essa, al quale non si addebita né di aver speso presso COGNOME il nome di alcuna cosca, né di aver con lui pattuito specificamente modalità di reclutamento del voto mediante pesanti e sistematiche intimidazioni.
Ma, ancor prima, la configurabilità del reato è esclusa dal tipo di prestazione promessa da NOME, quella, cioè, di mettersi a disposizione del proprio interlocutore per la risoluzione dei problemi che eventualmente avesse incontrato nello svolgimento della sua attività imprenditoriale nell’ambito sanitario: nessuna prestazione di denaro, dunque, nessuna utilità immediatamente monetizzabile, ma solo un ausilio di natura personale e di tipo eventuale.
1.3. In relazione a questo capo d’incolpazione, dunque, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata senza rinvio e, con essa, anche quella applicativa della misura per tale reato, senza nemmeno la necessità di esaminare il profilo dell’eventuale concorso in esso del ricorrente COGNOME.
Da tale annullamento consegue la declaratoria d’inefficacia della misura cautelare limitatamente al delitto in questione.
L’ordinanza impugnata dev’essere annullata altresì in relazione all’ipotizzato delitto di corruzione, sebbene con rinvio al giudice di merito per una motivazione supplementare, e quindi senza che, per questa parte, ne consegua l’inefficacia della misura cautelare in atto.
Merita di essere approfondito e meglio argomentato, infatti, il profilo relativo alla qualifica pubblica del COGNOME, una volta dato per indiscusso che egli non fosse più nei ranghi della pubblica amministrazione al momento in cui, alla presenza di COGNOME e con la mediazione di questi, aveva incontrato COGNOME e si era messo a disposizione dello stesso per aiutarlo a risolvere i problemi che avesse eventualmente incontrato nei suoi rapporti con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Sotto questo profilo, infatti, l’ordinanza impugnata si è limitata a valorizzare il disposto dell’art. 360, cod. pen. (secondo il quale, per quanto qui interessa, quando la qualità di pubblico ufficiale è elemento costitutivo di un reato, la cessazione di essa nel momento in cui il reato è commesso non esclude l’esistenza dello stesso), ed a definire «evidente» la connessione delle condotte illecite di NOME con il ruolo istituzionale da lui precedente svolto, in virtù del quale «esplicava ancora influenza nel settore professionale che aveva occupato fino a pochi giorni prima, soprattutto in ragione della lunga carriera svolta» (pag. 6).
Tale professione di “evidenza”, tuttavia, così come la prospettazione di una generica capacità d’influenza dell’altrui operato, non possono bastare.
L’estensione della rilevanza della qualifica pubblica oltre la sua attualità, prevista ai fini penali dal citato art. 360, presuppone, infatti, l’esistenza di un rapporto funzionale tra tale qualità e la commissione del reato, giacché soltanto in questo caso l’interesse pubblico, quale bene giuridico tutelato dalle relative fattispecie incriminatrici, può essere leso o posto in pericolo dall’agente nonostante il venir meno del suo ruolo pubblico.
Questo significa, allora, per rimanere ai delitti di corruzione, che è necessario individuare l’esistenza di specifici elementi di collegamento tra l’attività compiuta dal “corrotto” nell’esercizio della propria funzione pubblica e l’interesse perseguito dal “corruttore”, tale da consentire al primo di soddisfare detto interesse pur non essendo più in servizio. Solo in questo caso, infatti, può trovare giustificazione la “ultrattività” di un presupposto del reato non più esistente, senza che ne derivino tensioni con i princìpi dì legalità e di personalità della responsabilità penale.
Nello specifico, dunque, il compito del Tribunale è quello di individuare e rappresentare le circostanze di fatto, se esistenti, dalle quali poter desumere, secondo un percorso logico razionale, perché NOME, nonostante la cessazione dal
servizio, fosse comunque in grado concretamente di incidere sulle determinazioni dell’amministrazione cui era appartenuto relative alla vicenda oggetto del patto illecito da lui siglato con COGNOME, ovvero l’assegnazione dell’appalto per il servizio mensa degli ospedali od anche la sola prosecuzione del relativo subappalto irregolare di fatto.
Diversamente, se cioè il corrispettivo in voti promesso da COGNOME abbia rappresentato semplicemente la remunerazione dell’impegno assunto da COGNOME di far valere la propria posizione per influenzare i pubblici funzionari competenti, tale patto, in assenza della dimostrazione di un effettivo comportamento esecutivo dello stesso da parte di COGNOME, potrebbe integrare gli estremi del traffico d’influenze illecite (art. 346-bis, cod. pen.), ma non della corruzione.
Un supplemento di motivazione si rende necessario anche in relazione alla ritenuta aggravante della finalità agevolativa mafiosa.
Sotto questo profilo, infatti, l’ordinanza impugnata si presenta assertiva, evocando indici sintomatici nient’affatto concludenti.
Piuttosto rarefatto, in verità, è il collegamento tra COGNOME e “quelli di RAGIONE_SOCIALE NOME“, ai quali quegli si limita a fare riferimento in una conversazione con il ricorrente COGNOME, affermando soltanto di aver con essi raggiunto un accordo: del quale, tuttavia, non si conoscono i termini, se non addirittura con precisione nemmeno l’oggetto; né, per altro verso, viene esplicitato sulla base di quali fatti costoro debbano reputarsi affiliati alla “RAGIONE_SOCIALE“.
Analogamente, il Tribunale deduce uno stretto collegamento tra l’agire di COGNOME e gli interessi della locale cosca mafiosa dal riferimento, da quegli compiuto nel suo colloquio con COGNOME, all’elezione da lui garantita, in precedenti consultazioni elettorali, a tali COGNOME e COGNOME: ma, per quale ragione questi ultimi dovessero reputarsi espressione dei clan mafiosi della zona, o perché debba ritenersi che il reclutamento dei voti per gli stessi fosse avvenuto con metodi mafiosi, l’ordinanza non lo dice.
Sono, dunque, quelli evidenziati dal Tribunale, elementi che non vanno oltre la rappresentazione di una temperie mafiosa e della capacità di COGNOME e di COGNOME di sapersi muovere in simili contesti: ciò che, però, è ben lungi dall’integrare non solo il “metodo mafioso” in precedenza descritto (§ 1.3), ma anche la finalità agevolativa dell’associazione criminale, tanto più ove si consideri che – per giurisprudenza costante di questa Corte – tale agevolazione, perché l’aggravante possa configurarsi, deve costituire lo scopo diretto perseguito dall’agente, ancorché non in via esclusiva (così, fra moltissime altre, Sez. 6, n. 29311 del 03/12/2014, dep. 2015, Cioffo, Rv. 264082).
Anche su questo punto, pertanto, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata con rinvio.
Considerando, infine, quanto sin qui esposto in relazione al quadro indiziario, ne consegue inevitabilmente anche la necessità, per il giudice di meri di una complessiva rivalutazione delle esigenze cautelari e dell’eventuale misur adeguata alla salvaguardia delle stesse, anche alla luce di due aspe completamente trascurati dal provvedimento impugnato, quali il lungo tempo intermedio e l’allontanamento, ormai non più recente, di COGNOME dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Anche in parte qua, pertanto, l’ordinanza del Tribunale dev’essere annullata con rinvio, per un nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro in data 9/6/2023 in relazione al delitto di cui all’art. ter, cod. pen., relativamente al quale dichiara inefficace la misura cautelare corso di esecuzione.
Annulla nel resto l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen..
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626, cod. proc. pen in relazione al delitto di cui all’art. 416-ter, cod. pen..
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024.