Sanzioni Sostitutive: Quando il Giudice Può Dire di No?
La possibilità di accedere a sanzioni sostitutive rappresenta un aspetto cruciale del sistema penale, offrendo alternative alla detenzione per pene brevi. Tuttavia, la decisione di concederle o meno è rimessa alla valutazione del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 26041/2024) chiarisce i limiti del sindacato su tale decisione, ribadendo un principio consolidato: l’accertamento dei presupposti per la sostituzione della pena è una questione di fatto, non contestabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. L’imputato lamentava la mancata sostituzione della pena detentiva inflittagli con una delle misure alternative previste dalla legge n. 689 del 1981. Il suo unico motivo di ricorso si concentrava proprio su questo punto, ritenendo errata la valutazione dei giudici di merito.
La Valutazione delle Sanzioni Sostitutive
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno richiamato un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui la valutazione sulla sussistenza delle condizioni per applicare le sanzioni sostitutive costituisce un accertamento di fatto. Questo tipo di valutazione, per sua natura, è di competenza esclusiva del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione, il cui ruolo è garantire la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità), non rivedere il merito dei fatti.
L’unico limite a questa insindacabilità è rappresentato dalla motivazione. Se la decisione del giudice di merito fosse basata su una motivazione “manifestamente infondata”, illogica o contraddittoria, allora la Cassazione potrebbe intervenire. Tuttavia, nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse adeguatamente adempiuto al proprio onere motivazionale, facendo riferimento a specifici elementi ritenuti decisivi per negare il beneficio.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha fondato la propria decisione sul principio della insindacabilità dell’accertamento di fatto in sede di legittimità. Citando una precedente sentenza (Cass. n. 35849/2019), ha specificato che l’applicazione delle sanzioni sostitutive previste dall’art. 53 della legge n. 689/1981 richiede un’analisi fattuale delle condizioni del condannato. Tale analisi, se supportata da una motivazione logica e coerente, non può essere messa in discussione davanti alla Cassazione.
Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva assolto il suo “onere argomentativo” facendo “un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti”, come indicato a pagina 5 della sentenza impugnata. Di conseguenza, non sussistendo vizi di legittimità, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Come conseguenza processuale, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma che la discrezionalità del giudice di merito nella concessione delle sanzioni sostitutive è molto ampia. Il ricorso in Cassazione contro un diniego ha scarse probabilità di successo, a meno che non si riesca a dimostrare un vizio palese e grave nella motivazione della sentenza. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che le argomentazioni a favore della sostituzione della pena devono essere presentate in modo solido e convincente già nei primi gradi di giudizio, poiché le possibilità di rimettere in discussione la valutazione dei fatti in sede di legittimità sono estremamente limitate.
È possibile contestare in Cassazione la mancata concessione delle sanzioni sostitutive?
No, non è possibile contestare nel merito la decisione, in quanto la valutazione sulla sussistenza delle condizioni per la concessione delle sanzioni sostitutive è un accertamento di fatto. È possibile contestarla solo se la motivazione del giudice di merito è manifestamente infondata, illogica o contraddittoria.
Cosa si intende per ‘accertamento di fatto’ insindacabile in sede di legittimità?
Significa che la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o le circostanze concrete del caso per giungere a una diversa conclusione rispetto al giudice di merito. Il suo compito è solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la sentenza sia motivata in modo logico.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26041 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26041 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso che contesta la mancata sostituzione della pena detentiva non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, “in tema di sanzioni sostitutive, l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall’art. 53, legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente infondato” (Sez. 1, sentenza n. 35849/2019, COGNOME, Rv. 276716);
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 5 della sentenza impugnata);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2024.