Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12986 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12986 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Francica il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la sentenza in data 12/04/2023 della Corte di appello di Roma, quarta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle partii la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
letta la memoria difensiva con replica a firma AVV_NOTAIO in data 05/01/2024;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 12/04/2023, la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Roma in data 12/05/2021, esclusa la contestata recidiva, rideterminava la pena inflitta a NOME COGNOME in relazione a diverse ipotesi di truffa (capi A, B, D ed E), nella misura di mesi otto di reclusione ed euro 400 di multa, con conferma nel resto della sentenza di primo grado.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: mancanza di motivazione in ordine alla richiesta ex art. 129bis cod. proc. pen. al fine di consentire all’imputato l’accesso ai programmi di giustizia riparativa. In data 23/03/2023 il difensore inviava alla Corte territoriale istanza di rinvio per consentire al COGNOME di accedere al percorso di giustizia riparativa (attuabile dal 30/06/2023). Nel silenzio della Corte, la difesa in data 04/04/2023 depositava le conclusioni ai sensi dell’art. 598-bis cod. proc. pen. nelle quali reiterava la richiesta di rinvio al fine di vedersi accordato il beneficio di c all’art. 129-bis cod. proc. pen. L’istanza veniva quindi rinnovata nella presente sede di legittimità.
Secondo motivo: illogicità della motivazione in ordine al diniego del beneficio ex art. 20-bis cod. pen. La Corte territoriale ha erroneamente desunto la capacità a delinquere del COGNOME, basandosi sui criteri deputati alla valutazione della gravità del fatto e non su quelli previsti dal comma 2 dell’art. 133 cod. pen., addetti proprio alla valutazione della capacità a delinquere. I motivi a delinquere sono da rinvenire proprio nello stato di assoluta indigenza in cui versava il COGNOME. Questi, essendo sprovvisto di mezzi economici, ha chiesto alla Corte territoriale di essere ammesso ad un percorso di giustizia riparativa proprio al fine di tentare di porre rimedio alle condotte a lui contestate. Inoltre, la condotta successiva ai fatti tenuta dall’imputato è stata di astensione dalla commissione di nuovo reati, nei ben sette anni trascorsi dalla consumazione dei fatti in contestazione. Risulta evidente come gli indici normativi per stabilire la evocata “capacità a delinquere” depongono per uno scarsissimo profilo criminale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è solo parzialmente fondato con riferimento alla valutazione inerente alla conversione della pena detentiva irrogata all’imputato; nel resto, lo stesso si profila inammissibile.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo.
2.1. Si afferma in giurisprudenza che l’art. 129-bis cod. proc. pen., nel prevedere la possibilità che il giudice disponga d’ufficio l’invio delle parti ad un centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere – essenzialmente discrezionale – riconosciuto al giudice, senza introdurre espressamente un obbligo di attivazione ufficiosa.
A ben vedere, infatti, l’opzione circa la sollecitazione del procedimento riparativo è dettata da una serie di valutazioni che attengono alla tipologia del reato, ai rapporti tra l’autore e la persona offesa, all’idoneità del percorso ripartivo a risolvere le questioni che hanno determinato la commissione del fatto. Si tratta di una valutazione che non impone al giudice di avvalersi del richiamato potere, né di motivare la sua scelta, con la conseguenza che nel caso di mancata attivazione del percorso riparativo non è configurabile alcuna nullità, né speciale, né di ordine generale, non essendo compromesso alcuno dei diritti e facoltà elencati all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen.” (Sez. 6, n. 25367 del 09/05/2023, I., Rv. 285639; Sez. 4, n. 646 del 06/12/2023, dep. 2024, S., Rv. 285764; Sez. 5, n. 31699 del 27/04/2023, Giuca, non mass. in cui si precisa che, a norma dell’art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 150/2022, l’istituto in esame si applica solo nei procedimenti penali e nella fase dell’esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data del 30 dicembre 2022, e quindi a decorrere dal 30 giugno 2023).
2.2. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come il “silenzio” sul punto da parte della Corte di appello ben poteva trovare legittima giustificazione nella non operatività della disposizione in parola sia al momento della proposizione della richiesta difensiva che al momento della decisione; di contro, la Suprema Corte, nella vigenza della norma de qua, non può comunque sindacare il provvedimento (sostanzialmente) reiettivo che presuppone un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere ai programmi di giustizia riparativa, in quanto nessuna disposizione prevede specificamente l’impugnabilità dei provvedimenti che negano al richiedente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa
2.2.1. Invero, il rispetto del principio di tassatività dei mezzi d impugnazione, espresso dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen. (secondo il quale è la legge che “stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti
ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati”), non consente di ritenere impugnabile l’ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di accesso ad un programma di giustizia riparativa mutuando il regime d’impugnabilità di provvedimenti diversi.
2.2.2. D’altro canto, i provvedimenti del tipo di quello de quo non sono all’evidenza riconducibili al novero di quelli in materia di libertà personale, in relazione ai quali l’art. 111, comma settimo, Cost., ammette la ricorribilità per cassazione per violazione di legge (“contro le ::;entenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”).
2.2.3. Come già chiarito da questa Suprema Corte, la garanzia costituzionale riguarda i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritt soggettivo, producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224610).
2.3. Il provvedimento con il quale si rigetta la richiesta di accesso alla giustizia ripartiva manca di tali requisiti, e dunque ad esso non è estensibile il regime di ricorribilità per cassazione per violazione di legge previsto dal citato art. 111, comma settimo, Cost.: «la mancata previsione dell’impugnabilità, nell’ambito del procedimento penale, dell’ordinanza che nega all’indagato/imputato l’accesso ad un programma di giustizia riparativa non pone problemi di legittimità costituzionale, poiché il procedimento riparativo di cui all’art. 129-bis cod. proc. pen. non ha natura giurisdizionale, concretizzandosi in un servizio pubblico di cura relazionale tra persone, disciplinato da regole non mutuabili da quelle del processo penale, che talora risultano incompatibili con queste ultime» (così, Sez. 2, n. 6595 del 12/12/2023, dep. 2024, Baldo, non mass.).
3. Fondato è, invece, il secondo motivo.
La Corte territoriale ha disatteso la richiesta difensiva di applicazione delle sanzioni sostitutive, ed in particolare quella del lavoro sostitutivo di pubblica utilità riconoscendo che “la stessa pena indicata dalla parte appellante non appare sufficiente (secondo i parametri indicati dalla legge 689 del 1981 all’art. 59) a prevenire la reiterazione dei reati da parte del condannato, persona comunque capace di organizzare cinque truffe in poco tempo, ingannando persone apparse non sprovvedute, aprendo anche diversi conti presso differenti uffici postali a dimostrazione di una certa capacità di delinquere”.
3.1. Va osservato in premessa che i poteri discrezionali che il legislatore ha voluto attribuire al giudice in sede di applicazione e scelta delle pene sostitutive,
appaiono pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma, ossia della deflazione delle pene detentive brevi, e, soprattutto del senso rieducativo effettivo dato alle pene sostitutive.
3.2. Come riconosciuto dalla giurisprudenza -l’esigenza di rieducazione si compenetra con quella di tutela della collettività nel senso che questa si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice. L’applicazione delle pene sostitutive non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio, sia pure in un’ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all’applicazione; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l’adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni. Sicché, sebbene la decisione di applicare la pena sostitutiva si muova, in coerenza con la ratio sopra delineata, nell’ottica di individuare una pena che sia la più idonea alla rieducazione del condannato, nell’ambito di tale valutazione trova posto e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di contemperare interessi di pari rango – in una posizione di uguale grado, anche la necessità che essa corredata dalle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati. Risulta evidente allora che il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare dell’applicazione della pena sostitutiva breve è quello della valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull’esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l’esecuzione della pena” (Sez. 5, n. 43622 del 11/07/2023, COGNOME, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.3. Fermi questi condivisibili presupposti, evidenzia il Collegio come la Corte territoriale abbia erroneamente desunto la capacità a delinquere del COGNOME sui soli criteri deputati alla valutazione della gravità d e I fatto (art. 133, primo comma, cod. pen.) e non anche su quelli previsti dal secondo comma dell’art. 133 cod. pen., relativi alla valutazione della capacità a delinquere e del consequenziale giudizio prognostico, solo labialnnente enunciata.
A tal fine, per meglio verificare l’esistenza o meno di una prospettiva rieducativa utilmente praticabile, si rende necessario, in sede di rinvio, “rivalutare”
il sopra indicato giudizio discrezionale, tenendo conto, alla luce degli elementi probatori raccolti, degli specifici notori parametri costituiti:
-dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
-dai suoi precedenti penali e giudiziari (valutando il “peso” dell’avvenuta esclusione della recidiva);
-dalla condotta e dalla vita anteatta dello stesso;
-dalla condotta contemporanea o susseguente ai fatti;
-dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale.
Alla pronuncia di annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente alla conversione della pena detentiva irrogata all’imputato consegue il rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente alla conversione della pena detentiva irrogata all’imputato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazio e di responsabilità. Così deciso in Roma il 01/03/2024.