Sanzioni Disciplinari Detenuto: Quando è Possibile il Ricorso in Cassazione?
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini molto precisi entro cui è possibile impugnare le sanzioni disciplinari detenuto. La Suprema Corte ha specificato che il ricorso è ammesso solo per violazione di legge, escludendo la possibilità di contestare nel merito le valutazioni del giudice di sorveglianza. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una sanzione disciplinare inflitta a un detenuto: l’esclusione dalle attività in comune per dieci giorni. La sanzione era stata comminata dal Consiglio di disciplina penitenziario perché il soggetto aveva ceduto a un altro recluso un manoscritto contenente alcune preghiere, senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione.
Il detenuto aveva presentato reclamo contro questa decisione, ma il Tribunale di Sorveglianza lo aveva rigettato. Non soddisfatto, aveva proposto ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando vizi nella motivazione del provvedimento del Tribunale.
I Limiti del Ricorso per le Sanzioni Disciplinari Detenuto
Il punto centrale della questione giuridica riguarda i limiti del ricorso in Cassazione in materia di sanzioni disciplinari. La Corte ha richiamato il combinato disposto degli articoli 69, comma 6, lettera a), e 35-bis, comma 4-bis, dell’ordinamento penitenziario.
Queste norme stabiliscono chiaramente che il ricorso contro i provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza in materia disciplinare è consentito esclusivamente per violazione di legge. Ciò significa che non è possibile chiedere alla Cassazione di rivalutare i fatti o di sindacare la logicità della motivazione adottata dal giudice di merito, a meno che questa non sia completamente assente o talmente illogica da essere considerata solo ‘apparente’.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha dichiarato il ricorso del detenuto inammissibile. I giudici hanno osservato che i motivi presentati non denunciavano una vera e propria violazione di legge, ma miravano a contestare la valutazione del Tribunale di Sorveglianza, un’operazione non permessa in sede di legittimità.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che il provvedimento impugnato non era affatto privo di motivazione. Al contrario, il Tribunale di Sorveglianza aveva adeguatamente giustificato la sanzione, non basandosi solo sulla violazione formale della regola, ma anche sulla ‘concreta offensività’ del gesto. Questa offensività era stata desunta sia dalla natura del bene ceduto (il manoscritto) sia dalla finalità della condotta, elementi che il giudice di merito ha il potere di valutare autonomamente.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma un principio consolidato: le sanzioni disciplinari detenuto godono di un regime di impugnazione molto restrittivo. L’obiettivo del legislatore è quello di evitare che la Corte di Cassazione si trasformi in un terzo grado di giudizio sul merito delle decisioni disciplinari, che devono rimanere di competenza dei magistrati di sorveglianza. Di conseguenza, il ricorso è uno strumento eccezionale, da utilizzare solo in caso di palesi errori di diritto. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Per quale motivo un detenuto può fare ricorso in Cassazione contro una sanzione disciplinare?
Secondo la decisione, un ricorso in Cassazione contro una sanzione disciplinare è consentito unicamente per ‘violazione di legge’, ossia per un’errata applicazione o interpretazione di una norma giuridica. Non è possibile contestare la ricostruzione dei fatti o la coerenza della motivazione, a meno che questa non sia totalmente assente o meramente apparente.
Quale sanzione era stata inflitta al detenuto nel caso specifico?
Al detenuto era stata inflitta la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune per dieci giorni, poiché aveva ceduto un manoscritto contenente preghiere a un altro recluso senza la necessaria autorizzazione preventiva.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito nel provvedimento, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36181 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36181 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a POLISTENA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Bologna, a seguito della sentenza di annullamento con rinvio della Sezione Prima di codesta Corte, ha rigettato il reclamo avverso la decisione del Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia del 16 giugno 2022 inerente alla sanzione disciplinare dell’esclusione dalle attività in comune per dieci giorni inflitta dal Consiglio disciplina in data 4 febbraio 2022 nei confronti di NOME COGNOME per avere ceduto, senza preventiva autorizzazione, ad altro detenuto un manoscritto sul quale erano riportate alcune preghiere;
che il motivo di ricorso del detenuto è inammissibile, laddove appare diretto a denunciare vizi di motivazione diversi dalla sua carenza o mera apparenza, in quanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 69, comma 6, lett. a), e 35-bis, comma 4-bis, ord. pen., il ricorso per cassazione in materia di sanzioni disciplinari è consentito solo per violazione di legge;
che il motivo di ricorso è nel resto manifestamente infondato, in quanto nel provvedimento impugnato è presente adeguata motivazione sulla misura della sanzione, la quale non si fonda esclusivamente sul dato formale della avvenuta violazione, ma trova giustificazione nella concreta offensività desunta sia dalla natura del bene ceduto sia dalla finalità della lesione;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/09/2025.