Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1673 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1673 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VITERBO il 06/02/1965
avverso la sentenza del 23/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla possibilità di applicare una sanzione sostitutiva, e di dichiarare inammissibile nel resto il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 23 febbraio 2024 dalla Corte di appello di Roma, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma, che aveva condannato NOME alla pena di anni tre di reclusione, per diverse
fattispecie di bancarotta, in relazione alla società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 9 marzo 2017.
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, in qualità di amministratore unico, avrebbe distratto crediti per un valore complessivo di euro 184.636,00 e tenuto le scritture contabili in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. L’imputato, inoltre, avrebbe cagionato il fallimento della società, con dolo e per effetto di operazioni dolose, consistite nell’aver gestito la società in maniera impropria e al di fuori di logiche imprenditoriali, inserendola in un più ampio reticolo societario, finalizzato a effettuare rimesse finanziarie tra società de gruppo, formalmente giustificate con causali generiche, ma di fatto completamente avulse dalle dinamiche produttive aziendali, accumulando debiti erariali per oltre euro 380.000,00, così determinando lo stato di decozione e il successivo fallimento.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa al reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose, sostenendo che essa sarebbe basata su «deboli dati indiziari», ai quali la Corte di appello avrebbe attribuito «valenza … tramite una doppia presunzione». Il «ragionamento» della Corte di appello sarebbe «vago» e sulla base di esso non si sarebbe potuti pervenire a «una pronuncia in ordine alla colpevolezza, oltre ogni ragionevole dubbio».
Il ricorrente contesta anche l’argomentazione con la quale la Corte di appello ha risposto alla censura difensiva con la quale era stata contestata la mancata «produzione e allegazione delle intercettazioni indicate nel processo verbale di constatazione».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 56 legge n. 689 del 1981 e 545-bis cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta la mancata applicazione di una sanzione sostitutiva della pena detentiva.
Sostiene che il giudice di secondo grado, a fronte dell’istanza ritualmente presentata dall’interessato, avrebbe, in ogni caso, dovuto concretamente valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della pena sostitutiva, fissando a tal fine, eventualmente, anche apposita udienza.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’applicazione della sanzione sostitutiva, e di dichiarare inammissibile nel resto il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata, limitatamente all’applicazione della sanzione sostitutiva, deve essere annullata con rinvio, essendo fondato il secondo motivo di ricorso.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, essendo generico e versato in fatto.
Con esso, il ricorrente ha articolato delle generiche censure, che non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Generica e manifestamente infondata è anche la censura con la quale il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte territoriale ha risposto al motivo di appello con il quale la difesa aveva contestato la mancata «produzione e allegazione delle intercettazioni indicate nel processo verbale di constatazione». La Corte di appello, infatti, ha evidenziato l’irrilevanza di qualsiasi rilievo legato alle intercettazioni, atteso che ricostruzione dei fatti non era in alcun modo basata sul contenuto delle conversazioni captate.
1.2. Il secondo motivo è fondato.
Va rilevato che la Corte d’appello ha rigettato l’istanza ritenendo che essa fosse non specifica e non adeguatamente motivata.
La normativa in materia, tuttavia, non subordina la sostituzione della pena detentiva alla presentazione di un’istanza specifica e particolarmente motivata, ma solo a una valutazione – che peraltro il giudice può effettuare anche d’ufficio – in ordine alla sussistenza di fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. I “fondati motivi” che, ai sensi della dell’art. 58, comma 1, seconda parte, legge 24 novembre 1981, n. 689, come sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non consentono la sostituzione della pena, richiedono un’adeguata e congrua valutazione in merito al
giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare forme sanzionatorie consone alla finalità rieducativa – le pene sostitutive – e l’obiettivo di assicurare effettività alla pena. Valutazione che, nel caso in esame, è completamente mancata, essendosi la Corte di appello limitata a esprimere considerazioni meramente formali sull’istanza presentata dall’interessato.
Ne consegue che la sentenza deve essere annullata, limitatamente all’applicazione della sanzione sostitutiva, con rinvio per un nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’applicazione della sanzione sostitutiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso, 1’8 ottobre 2024.