Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1837 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1837 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Siracusa il 16.7.1970
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Sassari del 23.5.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 23.5.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha provveduto su un reclamo proposto ex art. 35 -bis, comma 4, Ord. Pen. dal detenuto NOME avverso un provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Nuoro, emesso il 7.3.2024 a seguito di un reclamo “giurisdizionale” ex art. 35 Ord. Pen. con cui lamentava l’illegittimità delle sanzioni irrogategli nei procedimenti disciplinari del 25.4.2023 (quindici giorni di esclusione dalle attività in comune ex art. 39, comma 1, n. 5, Ord. Pen.), del 31.5.2023 (ammonizione ex art. 39, comma 1, n. 2, Ord. Pen.) e del 22-23.6.2023: il Magistrato di
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Sorveglianza di Nuoro aveva annullato la sanzione relativa al rapporto del 25.4.2023, rigettato il reclamo per la sanzione relativa al rapporto del 31.5.2023 e dichiarato il non luogo a provvedere sui rapporti del 22-23.6.2023.
COGNOME quindi, presentava reclamo, eccependo, riguardo alla contestazione relativa al rapporto del 31.5.2023, la violazione: 1) dell’art. 81, comma 8, d.P.R. n. 230 del 2000, perché la comunicazione deve contenere l’esposizione dei fatti, le fonti di prova e la motivazione della decisione; 2) dell’ar 81, comma 2, d.P.R. n. 230 del 2000, perché non vi era stata contestazione dei fatti; 3) dell’art. 81, comma 2, d.P.R. n. 230 del 2000, perché la contestazione era avvenuta a mezzo del Comandante del reparto e non del Direttore; 4) dell’art. 38, comma 1, Ord. Pen., perché il fatto addebitato (omessa consegna di un accendino) non è incluso tra le infrazioni al Regolamento. Riguardo, poi, alla contestazione di cui al verbale del 5.5.2023 (relativa al rapporto del 25.4.2023), annullata per vizio di forma, ne aveva chiesto l’annullamento nel merito perché il fatto addebitatogli non rientra tra le fattispecie disciplinari previste dall’art. 77 d.P.R. n. 230 del 2000
Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha rigettato il reclamo riguardo alla contestazione di cui al rapporto del 31.5.2023, perché: 1) l’art. 81, comma 8, d.P.R. n. 230 del 2000 non prevede che la comunicazione dell’atto sanzionatorio contenga anche l’enunciazione dei fatti e le ragioni della decisione; 2) il detenuto è stato convocato per la contestazione degli addebiti e ha rifiutato di presentarsi; 3) se non ha partecipato, nulla si può dire sul soggetto che ha proceduto alla contestazione, fermo restando che lo può fare anche il Comandante su delega del Direttore; 4) il fatto è da ricomprendere nell’art. 77, n. 16), Ord. Pen. (inosservanza all’ordine legittimo di restituzione). Riguardo alla contestazione del 5.5.2023 (relativa al rapporto del 25.4.2023), ha pure rigettato il reclamo, perché le espressioni utilizzate nell’istanza per ottenere i moduli per comunicazioni con il difensore hanno palese valenza offensiva e denigratoria.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME COGNOME articolandolo in tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 38, comma 1, Ord. Pen., e 125, comma 3, cod. proc. pen., perché il fatto contestato non costituisce violazione del Regolamento e per mancanza della motivazione sul punto.
Il ricorso evidenzia che l’accendino non è uno degli oggetti indicati dall’art. 6 della Circolare D.A.P. del 2.10.2017 tra quelli che si devono consegnare alla chiusura del blindo. Inoltre, l’art. 77, n. 16, d.P.R. n. 230 del 2000 non può essere richiamato in questo caso, perché l’inosservanza deve riguardare un ordine legittimo e tale non era quello impartito al detenuto.
2.2 Con il secondo motivo, deduce ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 81, comma 2, Ord. Pen. circa la contestazione della violazione ad opera del Comandante.
Si evidenzia che il detenuto non ha partecipato alla convocazione proprio perché la contestazione non era avvenuta ad opera del Direttore, che, peraltro, può delegare solo un civile ai sensi dell’art. 40, comma 2, Ord. Pen.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. la violazione dell’art. 38, comma 1, Ord. Pen., perché il fatto non costituisce infrazione al regolamento.
Le espressioni utilizzate da NOME non avevano valenza offensiva o denigratoria; infatti, non ha usato parolacce o epiteti, tanto è vero che non è stato denunciato per il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen.
Con requisitoria scritta in data 15.7.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto la delega del Direttore al Comandante può influire sulla validità del provvedimento disciplinare solo quando abbia pregiudicato la conoscenza del fatto addebitato, ciò che il detenuto non ha eccepito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e, pertanto, deve essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, il Tribunale di Sorveglianza ha richiamato l’art. 77 n., 16) d.P.R. n. 230 del 2000, norma in bianco che permette l’irrogazione di una sanzione disciplinare per qualunque inosservanza di ordini o prescrizioni ovvero anche solo per l’ingiustificato ritardo nell’esecuzione di essi, purché tale previsione sia espressamente contemplata da una disposizione del regolamento connotata da chiarezza e precisione (Sez. 1, n. 11308 del 12/10/2017, dep. 2018, Rv. 272784 – 01).
Per quello che risulta dal provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Nuoro, COGNOME nella occasione per la quale è stato poi punito in via disciplinare, si era rifiutato di consegnare l’accendino, contravvenendo a quanto previsto dal Decreto attuativo della sorveglianza particolare ex art. 14 -bis Ord. Pen., che lo aveva autorizzato a tenere in camera di detenzione il fornello a gas e l’accendino.
Quanto ai contenuti del regime di sorveglianza particolare, l’art. 14 -quater L. n. 354 del 1975 prevede che il regime comporta “le restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, all’esercizio dei diritti
dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario”.
Si deve, dunque, ritenere, nell’ambito della limitata cognizione del giudizio di legittimità in questa materia, che il potere disciplinare sia stato legittimamente esercitato nei confronti di COGNOME in quanto il relativo provvedimento sanzionatorio indica precisamente la fonte dell’infrazione contestata, così che è stata consentita al detenuto la possibilità di difesa nel merito circa la riconducibilità di un dato comportamento ad un precetto individuato.
Il ricorso, invece, non si confronta con la motivazione della sanzione disciplinare e, dunque, con la motivazione dell’ordinanza che rigetta il reclamo del detenuto, ignorando il riferimento al Decreto attuativo del regime di sorveglianza particolare e concentrandosi sulle previsioni del solo art. 6 della Circolare DAP del 2/10/2017, il quale peraltro pure prevede, in generale, che gli effetti personali per loro natura pericolosi e potenzialmente offensivi vengano consegnati ai detenuti all’apertura della porta blindata della camera e poi ritirati al termine della giornata.
Ma, sotto questo profilo, il ricorso omette di citare il successivo art. 8 della stessa circolare, il quale, con riferimento ai fornelli personali autoalimentati, prevede che “il fornello a gas sarà consegnato al detenuto/internato al momento dell’apertura della porta blindata della camera e sarà ritirato alla chiusura del medesimo”.
Il rapporto disciplinare da cui ha avuto origine la sanzione in questione precisa che l’ordinanza di applicazione del regime di sorveglianza particolare “autorizza il recluso ad avere in camera di detenzione il fornello a gas al bisogno e, di conseguenza, l’accendino per accenderlo”.
Pertanto, appare evidente che l’autorizzazione a detenere l’accendino sia strumentale all’utilizzo del fornello, sicché è del tutto conforme alla logica che la disposizione di restituire il fornello alla chiusura della porta blindata comprenda anche la restituzione dei suoi accessori, a maggior ragione quando siano per loro natura suscettibili di un utilizzo pericoloso.
2. Quanto al secondo motivo, è stato già più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità che, in tema di procedimento per l’applicazione di sanzioni disciplinari a detenuti e internati, la contestazione dell’addebito non è viziata se compiuta, su delega del direttore del carcere, dal comandante di reparto (Sez. 1, n. 8986 del 5/2/2008, Rv. 239512 – 01; Sez. 1, n. 43305 del 14/11/2007, Rv. 238424 – 01; Sez. 1, n. 17643 del 25/1/2005).
Le pronunce sopra citate hanno condivisibilnnente ritenuto che l’indicazione, da parte della legge, della figura del direttore del carcere, sia nel momento della contestazione del fatto, sia in quello di irrogazione della sanzione, non è
ricollegabile a principii di inderogabilità, essendo regola generale che un soggetto amministrativo possa delegare altri, nel medesimo suo ambito.
È certamente necessario che la decisione sull’inizio del procedimento disciplinare, per il carattere di eccezionalità che riveste nell’ordinamento penitenziario, sia attribuita alla competenza del vertice dell’istituto, al qual compete anche la decisione sulla sussistenza dell’infrazione (sanzioni inflitte dal direttore) o la presidenza del consiglio di disciplina (per la irrogazione di tutte l altre sanzioni disciplinari). Tuttavia, il procedimento disciplinare è pur sempre un procedimento amministrativo, nel cui ambito valgono le regole generali circa la possibilità, qualora non espressamente esclusa, di delegare uno o più atti del procedimento ad altre figure amministrative subordinate. Pertanto, il direttore, dopo aver deciso l’inizio dell’azione disciplinare (circostanza non contestata), può delegare la contestazione materiale dell’addebito ad altro operatore penitenziario.
Si consideri, sotto questo profilo, che la ratio della procedura di cui all’art. 81 d.P.R. n. 230 del 2000 è quella di assicurare all’incolpato la piena conoscenza dell’addebito mossogli e la possibilità di discolparsi, cosicché va affermato il principio secondo cui non può mai rilevarsi una nullità se non nel caso in cui sia stato concretamente danneggiato l’interesse del detenuto nel cui vantaggio è prevista la formalità data.
Nel caso di specie, COGNOME ha pregiudizialmente rifiutato di ricevere la contestazione, ma non ha spiegato quale concreto pregiudizio avrebbe subito dal vedersi contestare l’addebito da parte di un soggetto delegato dal direttore, sicché non è dato comprendersi quale menomazione avrebbe subito il suo diritto di difesa.
Peraltro, rifiutando ab initio l’atto di convocazione e scegliendo di non presenziare alla successiva udienza davanti al consiglio di disciplina, il detenuto si è messo consapevolmente nella condizione di non far valere tempestivamente la presunta violazione del suo diritto di difesa, che, nei procedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, deve essere eccepita, a pena di decadenza, al momento dell’apertura dell’udienza, trovando applicazione le disposizioni in materia di nullità processuale, tra cui l’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 30038 del 22/9/2020, Rv. 279733 – 01).
3. Quanto al terzo motivo, risulta dal provvedimento impugnato che il Magistrato di Sorveglianza avesse annullato la sanzione disciplinare inflitta ad Attanasio il 15.5.2023 (con riferimento al rapporto del 25.4.2023) senza affatto ritenere la fondatezza sostanziale della contestazione, bensì arrestandosi alla rilevazione di un difetto formale della motivazione del provvedimento disciplinare, affetto da insufficienza tale da non consentire di cogliere l’iter logico seguito dal Consiglio di disciplina. Nel procedere all’annullamento, il Magistrato di
Sorveglianza aveva richiamato, in particolare, il principio secondo cui il sindacato giurisdizionale deve essere diretto a verificare che la motivazione del provvedimento non sia affetta da vizi tali da rivelare la mancata valutazione di natura e gravità del fatto, del comportamento e delle condizioni personali del soggetto.
Di conseguenza, poiché il provvedimento disciplinare è stato annullato per difetto di motivazione, non si può operare – come richiede il ricorrente – alcuna valutazione del merito della vicenda, che era assente nel provvedimento stesso e, quindi, anche nell’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza.
Si deve ritenere, dunque, che COGNOME non abbia interesse a svolgere motivi su un punto che è ormai precluso dal già avvenuto annullamento della sanzione disciplinare.
Peraltro, non risulta che il detenuto avesse proposto reclamo al Tribunale di Sorveglianza avverso l’accoglimento del suo primo reclamo per vizi formali; egli si era limitato a chiedere l’annullamento del provvedimento disciplinare nel merito, pur senza censurare che fosse stato già annullato per vizi di forma.
Ma l’interesse ad impugnare è legato all’effetto giuridico del provvedimento impugnato, in quanto l’impugnazione serve a rimuovere gli effetti costitutivi del provvedimento stesso. Nel caso di specie, invece, si è già verificata la rimozione del provvedimento disciplinare e dei suoi effetti, sicché nessun pregiudizio concreto (se non quello che eventualmente egli percepisce soggettivamente, il quale tuttavia non rileva per fondare l’interesse ad impugnare) è derivato al ricorrente dal provvedimento impugnato.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’11/10/2024