Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33823 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33823 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/12/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG GLYPH L”‘” 4 (
~yk
Letta la requisitoria del dott. NOME COGNOME, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, con cui è stato chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha rigettato il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto in data 20/02/2023 di rigetto di reclamo a provvedimento disciplinare ex art. 69, comma 6, lett. a) e 35-bis I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.).
Avverso tale ordinanza COGNOME ricorre, tramite il proprio difensore, per cassazione.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione degli artt. 35bis, 69 Ord. pen., 2, 3, 111, comma 2, Cost., 6 Cedu, 41-bis Ord. pen., 34, comma 2, 178, lett. a) cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Si duole che l’odierna vicenda sia in ordine al merito che alla procedura sanzionatoria fosse già stata vagliata dal medesimo Tribunale di sorveglianza, chiamato a valutare la legittimità del diniego della liberazione anticipata. E rileva che da ciò deriverebbe l’incompatibilità del Magistrato estensore, firmatario di entrambi i provvedimenti.
2.2. Col secondo motivo di ricorso si denunciano violazione e vizio di motivazione in relazione ai suddetti articoli e, in particolare, illegittimit costituzionale dell’art. 69, comma 6, lett. a) Ord. pen. nella misura in cui preclude il vaglio di merito delle sanzioni disciplinari, consentendolo esclusivamente nel caso di isolamento diurno e di esclusione delle attività comuni per un periodo superiore a dieci giorni, rilevando che tale illegittimità era dedotta con memoria difensiva depositata prima dell’udienza.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione si rilevano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli degli artt. 35-bis, 69 Ord. pen., 3 Cost., 6 Cedu, 41-bis Ord. pen. e, in particolare, erronea applicazione della legge regolamentare ed erroneo inquadramento della sanzione nell’alveo dell’art. 77 Reg. es. e carenza motivazionale.
Rileva la difesa che la ritenuta realizzazione a cura del detenuto di un foro nella parte posteriore del telecomando di sua proprietà non poteva essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 77, comma 1, n. 16, d.P.R. n. 230 del 2000, considerato che il bene manomesso apparteneva allo stesso detenuto e che pertanto non si comprende quale inosservanza di ordine e prescrizione vi
sarebbe stata; e che il Tribunale di sorveglianza al riguardo ha reso una motivazione meramente apparente, che non considera che per potersi configurare illecito disciplinare vi deve essere una disposizione regolamentare chiara e precisa, in quanto il potere disciplinare esercitato in presenza di un precetto eccessivamente elastico e oscuro risulterebbe viziato da illegittimità. Rileva che il summenzionato articolo svolge funzione di norma disciplinare in bianco, posto che eleva a presupposto della sanzione disciplinare qualunque inosservanza di ordini e prescrizioni e ciò pone un’esigenza di coordinamento con l’art. 38 Ord. pen., laddove si impone, come regola generale, l’espressa previsione regolamentare. Nel caso in esame manca una norma regolamentare di inibizione della detenzione del telecomando su cui erano stati effettuati i buchi e il laccetto e, quindi, il potere disciplinare sarebbe stato esercitato in modo illegittimo.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denunciano violazione dei suddetti articoli e degli artt. 38 Ord. pen. e 81 d.P.R. n. 230 del 2000 e vizio di motivazione in relazione all’erronea applicazione di detto d.P.R. in materia di sanzioni disciplinari.
Rileva la difesa che non meritevole di pregio appare la valutazione svolta dal Tribunale di sorveglianza in ordine alla legittimità in capo al funzionario contabile del potere autoritativo di sostituire il direttore dell’istituto nel momento dell contestazione dell’addebito, nonché del vice comandante di procedere al medesimo incombente in luogo del comandante di reparto. Si tratta di prerogative che non risultano suffragate da alcuna norma, ancorché di natura regolamentare, esercitate nel caso in esame in violazione del suddetto art. 81, che prevede che il direttore alla presenza del comandante del reparto di polizia penitenziaria contesta l’addebito all’accusato, trattandosi altresì di ruoli infungibili, come rimarcato dalla più recente giurisprudenza di legittimità. La sostituzione operata avrebbe, secondo la difesa, invalidato il procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Erra, sempre secondo la difesa, il Tribunale di sorveglianza laddove afferma che il detenuto non avrebbe specificato il pregiudizio subito, a fronte di un pregiudizio evidente, atteso che il direttore avrebbe potuto, già al momento della contestazione, chiarire al detenuto l’addebito che gli veniva mosso.
2.5. Col quinto motivo di impugnazione la difesa lamenta violazione dei suddetti articoli e vizio di motivazione in ordine all’iter procedimentale di applicazione della sanzione.
Si duole della mancata piena esplicazione dell’attività difensiva da parte di COGNOME e in particolare del fatto che quest’ultimo non ha potuto fruire dell’intero termine di dieci giorni previsto dalla normativa regolamentare e non ha ricevuto
la possibilità di fornire le proprie discolpe già direttamente alla direzione, nella fase antecedente la convocazione del consiglio di disciplina, durante la quale, peraltro, il detenuto chiedeva di poter sottoporre a perizia a proprie spese il telecomando, e tale richiesta era disattesa con conseguente inibizione della difesa tecnica in suo favore.
Alla luce dei suddetti motivi di impugnazione, il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Con successiva memoria, trasmessa con pec nel termine di legge, la difesa ritorna sulla violazione dell’iter procedurale che ha condotto all’applicazione della sanzione disciplinare.
Lamenta che in sede di contestazione dell’infrazione disciplinare al reclamante è stato inibito di esporre quanto ritenuto utile a sua discolpa poiché all’oscuro dell’infrazione concretamente contestata, venendogli immediatamente comunicata la convocazione innanzi al consiglio di disciplina e venendo disattese le richieste istruttorie dal medesimo formulate, che potevano essere disposte invece dalla stessa autorità procedente, che avrebbe dovuto informare in modo specifico il detenuto della contestazione a suo carico.
Insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
A parte l’imprecisione difensiva di lamentare vizi di motivazione in un ambito in cui il ricorso per cassazione, come previsto dall’art. 35-bis, comma 4-bis, Ord. pen. è ammesso solo per violazione di legge, il ricorso va, comunque, disatteso anche laddove prospetta violazioni di legge.
1.1. Manifestamente infondato è il primo motivo di impugnazione.
Invero, le ipotesi di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen. presuppongono che le valutazioni di merito, per assumere valore pregiudicante, appartengano a gradi o fasi diverse dello stesso processo (si veda, sia pure relativa a diversa ipotesi, Sez. 1, n. 42345 del 14/05/2019, Floris, Rv. 277296). Nel caso in esame si tratta di diverse procedure a carico di COGNOME di cui il Tribunale di sorveglianza si è occupato (legittimità del provvedimento disciplinare di ammonizione e antecedente diniego della liberazione anticipata); e, comunque, il ricorrente non risulta avere ricusato i componenti del collegio che afferma essere incompatibile alla decisione (si veda Sez. 1, n. 10075 del 25/06/2014, dep. 2015, Condorelli, Rv. 263179, secondo cui l’esistenza di una causa d’incompatibilità, non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato,
ma costituisce esclusivamente motivo di astensione e ricusazione, da far valutare tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen.: fattispecie relativa a magistrato di sorveglianza che, dopo aver rigettato l’istanza di rinvio della esecuzione della pena e di ammissione alla detenzione domiciliare in via di urgenza, aveva poi concorso a comporre il tribunale collegiale competente a decidere sulla medesima domanda in via ordinaria).
1.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, avendo questa Corte ritenuto più volte manifestamente infondata la questione di legittimità costituzione riproposta in questa sede.
1.3. Infondato è anche il terzo motivo di impugnazione, nel quale ci si duole dell’omessa motivazione sulla questione della verifica delle condizioni di esercizio del potere disciplinare.
Si veda al riguardo, per tutte, Sez. 1, n. 21348 del 31/03/2021, Graviano, Rv. 281227, secondo cui in tema di sanzioni disciplinari ai detenuti, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata per contrasto con gli artt. 3, 113 e 117 Cost. in relazione all’art. 6 Cedu – degli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. a), della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui riservano al magistrato di sorveglianza, investito di un reclamo contro una sanzione disciplinare diversa dall’isolamento e dall’esclusione dalle attività in comune, un sindacato limitato ai profili di legittimità della sanzione stessa e del relativo procedimento e gli inibiscono ogni valutazione di merito, non costituendo tale scelta legislativa per gli illeciti meno gravi fonte di irrazionale disparità di trattamento, concernendo la garanzia costituzionale di cui all’art. 113, comma 2, Cost. il solo controllo giurisdizionale di legittimità degli atti, anche sanzionatori, adottati dalle pubbliche amministrazioni, che le citate disposizioni dell’ordinamento penitenziario non rinnegano, e potendosi considerare penali sotto il profilo contenutistico, ai fini dell’applicazione delle garanzie di cui all’art. 6 Cedu, le sole sanzioni disciplinari carcerarie più severe, interferenti con beni personali primari del detenuto (tra i quali non rientra la mera esclusione temporanea dalle attività ricreative e sportive). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Diversamente da come lamentato dal ricorrente, il Tribunale di sorveglianza di Perugia affronta correttamente detta questione. Invero, afferma che deve condividersi la prospettazione del primo Giudice in relazione ai limiti del sindacato dell’autorità giudiziaria sulla sanzione disciplinare di cui si tratta, poiché la stessa è un’ammonizione e dunque non è ricompresa, secondo il disposto dell’art. 69, comma 6, lett. a), tra quelle in cui ci si può spingere ad un vaglio di merito (consentito soltanto per le ipotesi di cui all’art. 39, comma 1, nn. 4 e 5 Ord. pen.). E verifica la rispondenza della fattispecie concreta (inosservanza di ordine con riferimento alla manipolazione del telecomando)
5
rispetto alla fattispecie astratta di cui all’art. 77, comma 1, n. 16 d.P.R. n. 230 del 2000 (p. 2 dell’ordinanza impugnata).
Nel caso in esame risulta, pertanto, effettuato il controllo di non arbitrarietà nell’individuazione del precetto, avuto riguardo al riferimento ad un ordine preesistente di non manipolazione degli strumenti in dotazione del detenuto (anche di sua proprietà) e alla conseguente astratta corrispondenza della condotta contestata a quella prevista. Il ricorrente – come rimarcato nell’attenta e condivisibile requisitoria del P.g. – d’altro canto non deduce l’assenza della norma regolamentare avente ad oggetto detto divieto di manipolazione, ma si limita ad insistere sull’appartenenza del bene al detenuto (il telecomando sul quale sarebbero stati praticati dei fori).
1.4. Infondate sono le doglianze di cui al quarto e al quinto motivo di ricorso sulla violazione dell’art. 81 d.P.R. n. 230 del 2000 e sulla mancata piena esplicazione dell’attività difensiva da parte di COGNOME, nonché ai motivi aggiunti che insistono sulle censure di cui al quinto motivo.
E ciò sia se si ha riguardo alle argomentazioni del Tribunale di sorveglianza, sia se si ha riguardo alla recente giurisprudenza di legittimità citata dal ricorrente.
Invero, osserva detto Tribunale che alle risalenti pronunce di legittimità citate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto nel suo provvedimento, secondo cui il direttore può delegare la contestazione degli addebiti, sono seguite altre pronunce nelle quali si chiarisce che la ratio della procedura di cui al summenzionato art. 81 è quella di assicurare all’incolpato la piena conoscenza dell’addebito mossogli e la possibilità di discolparsi non solo davanti al responsabile del mantenimento dell’ordine dell’istituto, ma con la garanzia ulteriore della presenza di un secondo funzionario apicale, sì che va affermato il principio secondo cui non può mai rilevarsi una nullità, se non nel caso in cui abbia concretamente danneggiato l’interesse del detenuto nel cui vantaggio è prevista la formalità data. Rileva, sempre il Tribunale, che tale pregiudizio, neppure specificato dall’interessato, non sembra sussistere quando la contestazione dell’addebito da parte di un soggetto delegato dal direttore avvenga con la garanzia della presenza di un secondo funzionario. Sottolinea che, peraltro, in ulteriore giurisprudenza si parli di delega non necessariamente compiuta in favore del comandante di reparto; e che, comunque, nel caso in esame COGNOME, che non specifica quale pregiudizio gli sarebbe derivato dalla presenza di un delegato al posto del direttore, in sede di successivo consiglio di disciplina.ha argomentato le proprie discolpe, che sono state compiutamente verbalizzate, e nulla ha eccepito sul punto. Aggiunge l’ordinanza che una più recente giurisprudenza di legittimità ha d’altra parte chiarito, seppure in materia
6
di compiuta esplicazione del diritto di difesa quando la contestazione non avvenga con sufficiente distanza dalla convocazione del consiglio di disciplina, che è quest’ultima la sede per eccepire tale carenza, evidenziando il pregiudizio subito; e che tale precisazione è pertinente, perché appunto l’interessato nulla ha eccepito con riferimento agli eventuali pregiudizi nell’esercitare la difesa, che gli sarebbero derivati dalla presenza di un delegato, invece, che del direttore o del sostituto del comandante, invece di quest’ultimo.
A tale ultimo riguardo va, invero, osservato che la pronuncia Sez. 1, n. 30038 del 22/09/2020, Corso, Rv. 279733, richiamata dal Tribunale, ha affermato che in tema di procedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, in caso di contestazione dell’infrazione direttamente all’udienza davanti al consiglio di disciplina, la violazione del diritto di difesa del detenuto deve essere eccepita, a pena di decadenza, al momento dell’apertura dell’udienza stessa, trovando applicazione le disposizioni in materia di nullità processuale, tra cui l’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen.
Con tale preclusione i suddetti motivi di ricorso e i motivi aggiunti non si CO nfrontano.
Quanto, infine, agli approfondimenti istruttori, sulla necessità dei quali, secondo la censura difensiva di cui al quinto motivo, nulla il Tribunale specializzato avrebbe motivato, le deduzioni difensive risultano estranee alla cognizione riconosciuta allo stesso, che, come evidenziato, non può involgere il merito della contestazione disciplinare. Si veda a tale riguardo Sez. 1, n. 11308 del 12/10/2017, dep. 2018, COGNOME, secondo cui l’inibizione all’esame del merito riguarda, in tutta evidenza, i profili probatori della condotta concretamente tenuta dalla persona detenuta, ma lì dove sorga un problema di identificazione, esistenza e chiarezza del precetto, nel qual caso sarà compito della giurisdizione verificare il rispetto dei principi di fondo che governano l’irrogazione di una sanzione, verificare il rispetto dei principi di fondo, che governano l’irrogazione di una sanzione, tra cui la conoscibilità del precetto e la sua rispondenza al generale principio di legalità. Né in ogni caso i citati approfondimenti appaiono dirimenti nella prospettiva della verifica della rispondenza alla fattispecie tipica dell’illecito disciplinare rispetto al contestazione della mera manipolazione del telecomando.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2024.