Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27028 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27028 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a BARI il 16/02/1968 COGNOME nato a BARI il 04/11/1984 COGNOME NOME nato a BARI il 18/01/1971 COGNOMENOME nato a TRIGGIANO il 05/09/1972 COGNOME nato a BARI il 31/01/1968 COGNOME nato a BARI il 04/12/1971 avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE di APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i motivi sul difetto di capacità del giudice e dichiararsi inammissibili tutti i ricorsi.
Uditi i difensori: avv.to NOME COGNOME per COGNOME NOME che conclude per l’accoglimento dei motivi di ricorso e per la correzione della sentenza; avv.to NOME COGNOME per COGNOME NOME il quale chiede l’accoglimento dei motivi; avv.to COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME che si riporta ai motivi di ricorsi per entrambi; avv.to NOME COGNOME per COGNOME NOME che insiste nell’accoglimento dei motivi; avv.to COGNOME per COGNOME NOME che si riporta ai motivi ed avv.to COGNOME per COGNOME che
chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data 5 luglio 2024, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Bari del 23-3-2022, dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine ai reati allo stesso ascritti ai capi B) e B1) e, per l’effetto riduceva la pena allo stesso inflitta ad anni 2 e mesi 2 di reclusione; riduceva la pena inflitta a COGNOME NOME ad anni 4, mesi 6, giorni 15 di reclusione ed € 5400,00 di multa in quanto ritenuto colpevole dei delitti contestati ai capi da D) a D8) nonché da E) ad E3) ed F); dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine ai delitti ascrittigli ai capi G6), G7) e G10) perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena in anni 4, mesi 2, giorni 15 di reclusione; dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME limitatamente ai delitti di cui ai capi H3) ed H4), quest’ultimo limitatamente alle condotte consumate sino al 23-11-2013, per intervenuta prescrizione riducendo la pena inflitta al medesimo ad anni 2, mesi 9 di reclusione; dichiarava non doversi procedere per maturata prescrizione nei confronti di Cellammare Arcangelo in ordine ai reati allo stesso ascritti ai capi D), D3) e D4) per quest’ultimo limitatamente alle condotte consumate sino al 23-112013, riducendo la pena inflitta al predetto ad anni 2, mesi 1 e giorni 15 di reclusione; confermava, infine, la condanna alle pene di legge disposta in primo grado nei confronti di COGNOME NOME nonché le rimanenti statuizioni adottate dal tribunale.
1.1 La sentenza di appello, con valutazione conforme a quella operata in primo grado, ricostruiva le attività di un’associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di delitti di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, di cui erano accusati fare parte COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, nonché le successive attività illecite di autoriciclaggio poste in essere sempre dai medesimi soggetti cui si imputavano, anche, numerosi delitti fiscali di cui agli artt. 2 ed 8 d.lgs 74/2000 portati a termine attraverso la costituzione di società puramente ‘cartiere’.
1.2 Nella trattazione dello svolgimento del processo, la pronuncia di secondo grado, dava atto che gli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME avevano rinunciato ai motivi di appello aventi ad oggetto le responsabilità per i delitti-fine e, gli ultimi due, anche alla doglianza con la quale era stata richiesta la revoca della confisca disposta in primo grado.
Inoltre, si segnalava che all’udienza del 23-11-2023 il difensore dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, anch’essi chiamati a rispondere del delitto
associativo di cui al capo A) della rubrica, aveva depositato un decreto emesso dalla sezione misure di prevenzione della stessa Corte di appello composta anche dal consigliere dott.ssa COGNOME e formulato istanza di ricusazione della predetta giudice per avere assunto, precedentemente al procedimento di cognizione in oggetto, altra decisione pregiudicante in sede di prevenzione.
La Corte di appello di Bari, in diversa composizione, aveva respinto con ordinanza dell’11 gennaio 2024 l’istanza di ricusazione della dott.ssa COGNOME, proposto ricorso avverso detto provvedimento dal solo difensore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, la Corte di cassazione con la sentenza n. 46576 del 16 aprile 2024 aveva annullato con rinvio la decisione di appello; a seguito di tale annullamento la Corte di merito barese disponeva la separazione del procedimento nei confronti COGNOME Giuseppe e COGNOME NOME, con ordinanza assunta all’udienza del 5 luglio 2024, disponendo procedersi oltre in relazione a tutti i rimanenti coimputati.
2. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati tramite i rispettivi difensori; l’avv.to NOME COGNOME per COGNOME, lamentava, con il primo motivo, manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. quanto al riconoscimento del ruolo di promotore dell’associazione di cui al capo A) della rubrica che non risultava adeguatamente ricostruito già in rubrica; deduceva al proposito di avere aderito ad un’associazione già esistente giammai svolgendo ruolo di promozione come già dedotto nei motivi di appello che in parte venivano riportati in ricorso; COGNOME aveva agito esclusivamente seguendo le indicazioni di COGNOME NOME e la motivazione della Corte di appello sul punto, secondo cui l’imputato sfruttando le proprie competenze di legale aveva permesso la trasformazione di una condotta in sistema operativo, era da ritenersi manifestamente illogica dovendosi invece dare rilievo alla circostanza che l’intervento del ricorrente si era inserito in un contesto già operativo e finalizzato sistematicamente a procurarsi denaro contante attraverso il ripetuto utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La tesi sposata dalla corte di merito finiva per attribuire a qualsiasi soggetto di un’associazione divenuto partecipe successivamente la sua costituzione il ruolo di promotore, svilendo la condotta di mera partecipazione; peraltro, l’attività dell’associazione era proseguita anche dopo l’estromissione del COGNOME per almeno altri due anni a dimostrazione della secondarietà del suo apporto.
Con il secondo motivo lamentava manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. con riguardo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.. Sebbene con i motivi di appello fosse stato sottolineato che COGNOME aveva iniziato a collaborare ben prima del giudizio
permettendo di ricostruire il meccanismo illecito, la pronuncia di appello aveva negato l’attenuante invocata in ragione dell’avvenuta concessione delle attenuanti generiche e del contenimento della pena nella misura del minimo edittale, con illegittima valutazione del criterio della duplicazione della medesima circostanza.
Il terzo motivo lamentava violazione di legge quanto alla negazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità posto che la decisione del giudice di appello aveva fatto riferimento ai parametri del ruolo e della moltitudine di reati che non appaiono idonei a fondare un giudizio negativo; la decisione doveva ritenersi confliggere con la disciplina dettata dall’art. 58 legge 689/81 potendo essere esclusa la concessione delle pene sostitutive solo quando risulti in concreto che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato e non anche in relazione al numero dei reati od alla personalità del reo.
L’avv.to NOME COGNOME per COGNOME NOME deduceva con distinti motivi:
violazione e falsa applicazione ex art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 18, 37 e 41 cod. proc. pen. ed all’art. 6 CEDU; si lamentava, in particolare, che era stata violata la disposizione dettata dall’art. 18 cod. proc. pen. essendosi disposta la separazione del processo a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME al di fuori dei casi previsti dalla legge, non potendo detto provvedimento essere assunto in ragione dell’attesa del deposito della motivazione della decisione della Corte di cassazione sull’istanza di ricusazione; inoltre, tale decisione, aveva determinato la delibazione del processo ad opera di un collegio formato da un giudice incompatibile che non avrebbe potuto assumere il provvedimento di separazione; doveva pertanto ritenersi illegittima la decisione di stralcio adottata per aggirare le norme sulla ricusazione; si lamentava, ancora, l’incompatibilità della dott.ssa COGNOME che aveva precedentemente pronunciato provvedimenti nei giudizi di prevenzione nei quali, pur incidentalmente, aveva valutato la pericolosità del Cardone con conseguente nullità della sentenza di appello;
violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 e 159 cod. pen. per avere errato la Corte di appello nel sospendere la prescrizione nei confronti di tutti gli imputati a fronte del rinvio dell’udienza 26 gennaio 2024 (sino al successivo 5 luglio 2024), benché, l’istanza, fosse stata avanzata soltanto nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME che avevano preannunziato ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della Corte di appello, senza che potesse così disporsi la sospensione anche nei riguardi di COGNOME nei cui confronti, di conseguenza, dovevano ritenersi maturati i termini di prescrizione dei reati contestati ai capi B2) e B5);
violazione e falsa applicazione ex art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. nonché difetto di motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla quantificazione della pena non essendo stato svolto alcun argomento a fondamento della decisione di fissare la pena base nella misura di anno 1 e mesi 4 di reclusione superiore al minimo edittale e di disporre aumenti per continuazione nella misura di mesi 2 di reclusione;
violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione all’elemento soggettivo del reato contestato al capo C);
violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione all’assenza del dolo specifico di evasione dei reati di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000.
L’avv.to NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME COGNOME lamentava con unico motivo nullità della sentenza impugnata per violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’assenza dell’elemento soggettivo in ordine al reato associativo; al proposito, deduceva che il ricorrente era stato chiamato a rispondere del fatto illecito benché fosse emerso che le sue condotte erano state poste in essere nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, che non conosceva il carattere delle operazioni finanziarie, ed era del tutto privo della possibilità di sindacare gli ordini ricevuti. Si esponeva ancora che il ruolo di amministratore di fatto non poteva dimostrare la sussistenza del reato in assenza di indicazioni tali da poterlo fare ritenere consapevole della natura delle operazioni; peraltro, in assenza delle scritture contabili, gli accertamenti erano stati operati attraverso il metodo induttivo extracontabile non idoneo a corroborare l’affermazione di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, tanto più che, il suo ruolo di mero prestanome, escludeva che lo stesso potesse deliberare le operazioni da compiere; mancava, pertanto, qualsiasi attività di gestione paritetica tale da potere fare ritenere sussistente l’elemento soggettivo del reato in capo al De Guglielmo.
L’avv.to COGNOME per NOME COGNOME deduceva con distinti motivi:
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 37 comma 2, 42 comma 1 e 178 comma 1 lett. a) cod. proc. pen., nullità della sentenza di appello per difetto di capacità del giudice in ragione del difetto di imparzialità del consigliere relatore ed estensore causata dalla partecipazione ad una precedente decisione pregiudicante; al proposito si lamentava che il provvedimento emesso dalla dott.ssa COGNOME in sede di misura di prevenzione aveva radicato la decisione di accoglimento dell’istanza di ricusazione presentata nell’interesse degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, essendosi ritenuto che in sede di
prevenzione era stato formulato un giudizio avente ad oggetto la commissione dei reati per i quali anche il Cellamare è sottoposto a giudizio; si richiamava la pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui la sentenza emessa dal giudice ricusato è affetta da nullità qualora la decisione di inammissibilità o rigetto pronunciata dalla Corte di appello sia annullata dalla Corte di cassazione ed il difetto di imparzialità accertato dalla stessa Corte di legittimità o nel successivo giudizio di rinvio; doveva evidenziarsi che le posizioni dei COGNOME NOME e NOME, imputati dei capi B) relativi alle attività della società RAGIONE_SOCIALE, erano strettamente connesse alla posizione del COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE che aveva emesso le fatture per operazioni inesistenti poi utilizzate dalla citata RAGIONE_SOCIALE, come risultava anche dalla sentenza impugnata a pagina 53 in cui era stata stigmatizzata proprio la natura di tali rapporti a sostegno del giudizio di colpevolezza, con conseguente nullità della pronuncia ex art. 178 comma 1 lett. a) cod. proc. pen. in ragione del difetto di imparzialità del giudice relatore;
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati tributari, pur essendo stato dedotto che il ricorrente non aveva mai avuto consapevolezza delle azioni criminose poste in essere dal RAGIONE_SOCIALE che operava come amministratore di fatto; il ricorrente, quale amministratore di diritto di RAGIONE_SOCIALE, non poteva essere ritenuto colpevole a titolo di dolo eventuale poiché, secondo l’evoluzione giurisprudenziale più recente che veniva richiamata, per i reati tributari a dolo specifico, al dato obiettivo dell’accettazione della carica devono aggiungersi ulteriori elementi indicativi dell’elemento intenzionale; pertanto, sarebbe stato necessario individuare in capo al Cellamare la piena consapevolezza di un contesto di macroscopica illegalità e non limitarsi al concetto di accettazione del rischio inteso che comportava una banalizzazione dell’elemento soggettivo.
L’avv.to COGNOME per COGNOME NOME deduceva con distinti motivi qui riassunti:
violazione del principio di imparzialità e terzietà del giudicante ovvero del giusto processo e dell’art. 37 comma 2 cod. proc. pen.; ricostruiti fatti che avevano portato alla ricusazione della dott.ssa COGNOME da parte del difensore dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, per incompatibilità determinata dall’avere assunto precedenti provvedimenti nel procedimento di prevenzione, si eccepiva l’illegittimità della ordinanza che aveva disposto la separazione processuale delle posizioni dei predetti coimputati, posto che, rispetto alla natura personalissima della ricusazione, deve prevalere l’interesse di tutte le parti del processo alla verifica della condizione di imparzialità del giudice, dovendo la ricusazione
ripercuotersi anche sulle posizioni dei soggetti differenti da chi ha proposto l’istanza, trattandosi di questioni aventi natura oggettiva estensibili ai coimputati secondo l’orientamento di legittimità delle Sezioni Unite che veniva richiamato (Sez. U, n.13626/2010);
mancata declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi D), D3) e D4) posto che la rinuncia ai motivi di appello non comporta la rinuncia a fare valere la prescrizione già maturata; i fatti commessi sino al 24-12-2013 dovevano ritenersi estinti alla data della sentenza di appello del 5 luglio 2024;
mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai capi E), E1), E2), E3) ed F) non potendo attribuirsi al RAGIONE_SOCIALE il ruolo di amministratore di fatto delle società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE posto che gli amministratori di diritto di tali compagini erano unici e consapevoli artefici delle attività delle stesse e le dichiarazioni eteroaccusatorie del Console non potevano ritenersi riscontrate e validate perché finalizzate evidentemente a ridimensionare il proprio ruolo nella RAGIONE_SOCIALE; era mancata l’individuazione di quelle circostanze sulla base delle quali potere affermare l’inserimento del Melacarne in quelle società con poteri direttivi in modo continuativo e significativo, tali da potere dimostrare l’esercizio in concreto di un’attività gestoria in modo non episodico od occasionale; la sentenza aveva omesso di evidenziare il riferimento a concreti indici individualizzanti del ruolo di amministratore di fatto, quali i rapporti con i dipendenti o il conferimento di deleghe operative ed, inoltre, quanto alla COGNOME la ricostruzione della corte di merito confliggeva con l’intervenuta assoluzione dai reati tributari del Melacarne quale amministratore di fatto di tale società.
L’avv.to COGNOME nell’interesse del COGNOME deduceva, con il primo motivo, la violazione dell’art. 37 comma 2 cod. proc. pen. per ragioni analoghe a quelle spiegate nel primo motivo del ricorso COGNOME Con il secondo motivo lamentava
mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla qualifica di promotore dell’associazione a delinquere di cui al capo A) e travisamento della prova; difatti, la veste di amministratore di fatto del COGNOME di alcune società cartiere, non poteva da sola dimostrare anche il ruolo di promotore dell’organizzazione a delinquere, e, le dichiarazioni del COGNOME sul punto, dovevano ritenersi travisate; questi, invero, non aveva riferito di alcun ruolo del ricorrente nella direzione delle attività criminose e la qualifica professionale di commercialista del medesimo non poteva essere sfruttata quale indice significativo del ruolo di organizzazione delle attività dei sodali, mancando qualsiasi elemento di prova per affermare che lo stesso interferiva nelle attività degli altri coimputati, impartendo ordini o direttive o qualsiasi indicazione operativa di carattere oggettivo.
7.1 L’avv.to NOME COGNOME nell’interesse dello stesso COGNOME deduceva con distinti motivi:
violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento al diniego della trattazione unitaria del processo rispetto alle posizioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME e violazione dell’art. 18 cod. proc. pen. per essere stata disposta la separazione pur in presenza di connessioni oggettive e soggettive;
violazione degli artt. 34, 36, 37, 178 cod. proc. pen., 24, 97, 111 e 117 Cost., 6 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in riferimento al principio di imparzialità del giudice; al proposito, ripercorsi i passaggi della ricusazione avanzata dal difensore dei COGNOME, si lamentava come le valutazioni espresse dalla dott.ssa COGNOME nel separato procedimento di prevenzione avessero efficacia pregiudicante anche nei confronti del ricorrente, posto che gli imputati rispondevano tutti di partecipazione o direzione della medesima associazione a delinquere; sussisteva, quindi, violazione anche degli artt. 6 CEDU e 47 Carta dei diritti dell’Unione;
violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto alla mancata riqualificazione del ruolo di organizzatore dell’associazione in mero partecipe, essendo omessa l’indicazione delle circostanze sulla base delle quali affermare la stabilità del vincolo e l’indeterminatezza del programma delittuoso nonché l’attribuzione al COGNOME di un ruolo organizzativo; erano state valorizzate circostanze semplicemente significative del suo inserimento quale mero partecipe ovvero quale mero concorrente nei reati; infine, si deduceva che la motivazione era illogica e carente nella parte in cui aveva desunto il ruolo direttivo dalle dichiarazioni dei coimputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME posto che il primo aveva proprio negato la sussistenza di una struttura associata, e che, a fronte dell’attività professionale del ricorrente, non ne era stata dimostrata alcuna posizione apicale; difettava, poi, qualsiasi dimostrazione dell’elemento soggettivo sotto il profilo dell’ affectio societatis .
Con nota dell’avv.to COGNOME depositata in cancelleria il 10-7-2025 si chiedeva, nell’interesse di COGNOME COGNOME, la correzione della sentenza di appello relativamente ai beni confiscati lamentando che in relazione agli immobili nulla fosse stato disposto e se ne chiedeva pertanto la restituzione. Inoltre il difensore depositava contestualmente altra nota alla quale allegava l’avviso di fissazione dell’udienza del procedimento di ricusazione dinanzi alla Corte di appello di Bari per l’udienza del 28 ottobre 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve innanzi tutto rilevarsi l’inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi con i quali i difensori degli imputati (ricorso avv.to COGNOME per COGNOME ed avv.to COGNOME per COGNOME) hanno impugnato l’ordinanza di separazione delle posizioni processuali degli originari coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME; con interpretazione costante la giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tema di riunione e separazione dei processi, nel caso di inosservanza degli artt. 17, 18 e 19 cod. proc. pen. non è prevista alcuna sanzione di nullità, né alcun mezzo di impugnazione avverso il relativo provvedimento (Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275945 – 02); e si è anche affermato come i l provvedimento con il quale il giudice di cognizione ordina la separazione dei procedimenti, mediante stralcio o delle posizioni di taluno degli imputati o del procedimento relativo ad alcune delle vittime del reato, ha natura ordinatoria e, per il principio di tassatività delle impugnazioni, è inoppugnabile (Sez. 4, n. 20157 del 03/04/2013, P.o. in proc. COGNOME, Rv. 256392 – 01; nello stesso senso Sez. 6, n. 5193 del 22/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209686 – 01).
L’applicazione dei sopra esposti principi al caso di specie comporta affermare che l’ordinanza assunta dalla Corte di appello di Bari all’udienza del 5 luglio 2024, e con la quale si disponeva la separazione delle posizioni processuali dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME a seguito dell’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione dell’ordinanza che aveva respinto la richiesta di ricusazione, non risulta impugnabile in questa sede ed, in ogni caso, non è affetta da alcun vizio che ne comporti l’invalidità.
I motivi con i quali i difensori degli imputati COGNOME Costantino, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Arcangelo hanno tutti dedotto la nullità della sentenza di appello per difetto di capacità del giudice dott.ssa COGNOME a partecipare al procedimento, sono manifestamente infondati e, anche essi, devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili; i suddetti ricorsi hanno dedotto la nullità della sentenza per violazione del principio di imparzialità del giudice in relazione alla partecipazione della dott.ssa COGNOME ad un procedimento di prevenzione nei confronti dei coimputati del reato associativo COGNOME NOME e COGNOME NOME e sottolineato come, l’originario provvedimento di rigetto dell’istanza di ricusazione del suddetto giudice proposto dai coimputati COGNOME NOME e NOME sia stato annullato con rinvio dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 46576 del 16 aprile 2024.
Al proposito deve però essere sottolineato che costituisce principio
ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l’esistenza di una causa di astensione o ricusazione che non sia stata rilevata attraverso lo specifico rimedio non inficia la validità della sentenza impugnata; a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite D’Avino si è affermato, infatti, come l’esistenza di cause di incompatibilità, non incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, da far valere con la specifica procedura prevista dal codice di rito; ne’ ha incidenza sulla capacità del giudice la violazione del dovere di astensione, che non è causa, pertanto, di nullità generale ed assoluta ai sensi dell’art. 178, lett. a), cod. proc. pen., ma costituisce anch’essa esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi (Sez. U, n. 5 del 17/04/1996, D’Avino, Rv. 204464 – 01); nell’affermare detto principio la Corte ha precisato che il difetto di capacità del giudice di cui all’art. 178, lett. a), cod. proc. pen., deve essere inteso quale mancanza dei requisiti occorrenti per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali e non anche come difetto delle condizioni specifiche per l’esercizio di tali funzioni in un determinato procedimento.
Il suddetto orientamento risulta successivamente essere stato ribadito con assoluta costanza dalle sezioni semplici della Corte di cassazione che hanno anche riaffermato che l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., allorchè non rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, nè tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non dà luogo alla nullità prevista dall’art. 178, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 39174 del 09/09/2015, Rv. 264637 – 01; nello stesso senso: Sez. 6, n. 18707 del 09/02/2016 Rv. 266990 01; Sez. 6, n. 3042 del 04/11/2015 Cc. (dep. 22/01/2016 ) Rv. 266326 – 01; Sez. 2, n. 12896 del 05/03/2015, Rv. 262780 – 01; Sez. 1, n. 10075 del 25/06/2014 Cc. (dep. 10/03/2015 ) Rv. 263179 – 01; Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014 Rv. 262302 – 01).
Tale essendo il principio di riferimento, deve essere affermato che gli imputati avrebbero dovuto eccepire la causa di incompatibilità della dott.ssa COGNOME attraverso il ricorso al rimedio previsto dall’art. 37 cod. proc. pen., in assenza del quale, non essendo stata pronunciata alcuna declaratoria di accoglimento della ricusazione del suddetto giudice nei loro confronti, non possono dedurre con il ricorso per cassazione la nullità della sentenza.
E non sussistendo alcuna sanzione di nullità, la circostanza dell’annullamento con rinvio del rigetto dell’istanza di ricusazione nei confronti dei coimputati COGNOME Giuseppe e COGNOME Domenico, viene a perdere qualsiasi decisività poiché tale circostanza non si ripercuote sulla validità della sentenza adottata dalla Corte
di appello, ma costituiva, al più, elemento sulla base del quale fare valere l’incompatibilità del giudice dott.ssa COGNOME anche nei loro confronti, che pure avrebbero potuto eccepire quando la Corte di appello dava atto della decisione della Cassazione; ne deriva, pertanto, affermarsi che sulla base di un costante orientamento giurisprudenziale l’assenza della ricusazione di un giudice che si assume incompatibile per avere assunto precedenti decisioni pregiudicanti la sussistenza di una associazione a delinquere, non inficia la validità della sentenza di appello deliberata dallo stesso giudice nei confronti di taluni dei coimputati del medesimo gruppo associativo.
2.1 Quanto, poi, al dedotto effetto estensivo, va sottolineato come i ricorsi propongono una lettura della sentenza delle Sezioni Unite COGNOME non condivisibile; chiamata a pronunciarsi sul tema concernente l’efficacia e la conseguente utilizzabilità degli atti compiuti dal giudice prima della dichiarazione di astensione o ricusazione, tale pronuncia (Sez. U, n. 13626 del 16/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249300 – 01), ha affermato che in tema di astensione (e ricusazione), le questioni sollevate da una parte, inerenti all’incompatibilità per precedenti funzioni svolte, hanno natura oggettiva e sono estensibili a tutti i coimputati, poiché le relative norme attuano i principi costituzionali di imparzialità e terzietà del giudice, a garanzia del giusto processo. Tuttavia detta pronuncia non ha voluto derogare ai principi stabiliti dalle già citate Sezioni Unite D’Avino e dalle successive pronunce delle sezioni semplici in tema di insussistenza di cause di nullità delle pronunce assunte da un giudice che si assume incompatibile e la cui causa di ricusazione non sia però mai stata eccepita, bensì, stabilire, che nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione proposta da uno dei coimputati sia stata accolta, l’invalidità degli atti compiuti dal giudice ricusato si ripercuote anche nei confronti degli altri, certamente non potendosi ammettere che in un unico procedimento alcuni atti abbiano efficacia nei confronti di taluni imputati piuttosto che di altri. Tale principio non risulta applicabile al caso in esame perché in nessuno dei motivi di ricorso vengono evidenziati od elencati specifici atti compiuti dal collegio di appello in parte ricusato che sarebbero affetti da invalidità anche nei riguardi degli odierni ricorrenti in virtù di quanto affermato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 13626 del 16/12/2010, dep. 2011 cit.).
Quanto agli altri motivi dedotti nell’interesse dell’imputato COGNOME COGNOME gli stessi si rilevano manifestamente infondati ovvero non deducibili nel giudizio di legittimità posto che:
secondo l’interpretazione giurisprudenziale della corte di legittimità la sospensione del corso della prescrizione si estende a tutti i coimputati del medesimo processo allorchè costoro, ove non abbiano dato causa essi stessi al
differimento, non si siano opposti al rinvio del dibattimento ovvero non abbiano sollecitato (se praticabile) l’eventuale separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili (Sez. 4, n. 50303 del 20/07/2018, M., Rv. 274000 – 01; Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013, Rv. 257649 – 01; Sez. F, n. 34896 del 11/09/2007, Rv. 237586 01); conseguentemente l’ordinanza della corte di merito che all’udienza del 26 gennaio 2024 sospendeva il corso della prescrizione per tutti gli imputati è corretta ed il motivo anche generico nella parte in cui non deduce di essersi, la difesa, opposta;
la quantificazione della pena anche per gli aumenti per continuazione rientra nella discrezionalità del giudice di merito e, nel caso in esame, sia la pena base che gli aumenti ex art. 81 cpv cod. pen. risultano fissati in misura talmente ridotta da non determinare alcun vizio; al proposito, deve ricordarsi l’orientamento delle Sezioni Unite secondo cui il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
3.1 I motivi con i quali si espongono doglianze in relazione all’elemento soggettivo del reato contestato al capo C) e con riguardo all’assenza del dolo specifico di evasione dei reati di cui all’art. 2 d.lgs, attengono a doglianze rinunciate in sede di appello e perciò appaiono manifestamente inammissibili. La pronuncia impugnata, sia nell’esposizione dei fatti (vedi pagine 42-43 della sentenza di appello) che nella esposizione delle ragioni della decisione (vedi pagina 47 della stessa sentenza), ha attestato, con affermazione rispetto alla quale nulla il ricorso ha dedotto, che l’imputato, tramite dichiarazione del proprio difensore e procuratore speciale, ha rinunciato a tutti i motivi sulla responsabilità dei delittifine.
Ne consegue che i motivi rinunciati non possono poi essere riproposti in sede di successivo ricorso per cassazione pena l’inammissibilità del ricorso.
3.2 Infine, manifestamente infondata appare la richiesta di correzione della sentenza impugnata contenuta in una nota pervenuta in cancelleria il giorno antecedente la trattazione del ricorso e con la quale si chiede la revoca della confisca di alcuni beni immobili, trattandosi, invero, di un motivo aggiunto proposto tardivamente ed inammissibile perche’ privo di qualsiasi connessione con le doglianze principali.
Il motivo proposto nell’interesse dell’imputato COGNOME e con il quale si deduce la prescrizione dei reati di cui ai capi D), D3) e D4), maturata
precedentemente la pronuncia di secondo grado, è non deducibile sussistendo in relazione ai predetti reati il giudicato parziale sorto a seguito della omessa presentazione di motivi di appello in relazione ai predetti fatti delittuosi (cfr. Sezioni Unite Aiello); dall’analisi della sentenza di appello e dei motivi di impugnazione proposti avverso la pronuncia di condanna del Tribunale di Bari del 23 marzo 2022 risulta che il Melacarne aveva originariamente impugnato il reato di riciclaggio contestato al capo D8) ed i reati fiscali di cui ai capi E), E1), E2), E3) ed F), senza che invece alcuna doglianza sia stata mai avanzata in relazione ai capi D), D3) e D4) in relazione ai quali, quindi, alcuna statuizione può essere assunta non rivivendo il rapporto processuale dinanzi la Corte di cassazione in assenza di motivi di appello.
4.1 I restanti motivi proposti nell’interesse del Melacarne sono puramente reiterativi di questioni già devolute all’analisi della Corte di appello ed adeguatamente affrontati e risolti e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili; ed invero la doglianza con la quale si lamenta l’avvenuta affermazione di colpevolezza in ordine ai capi E), E1), E2), E3) ed F) in funzione della attribuzione al Melacarne del ruolo di amministratore di fatto delle società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, trova precisa smentita nella motivazione esposta dalla Corte di appello a pagina 48 della sentenza ove viene, innanzi tutto, esposto che proprio il ricorrente era il socio di maggioranza ed amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, e cioè, di quella società, che aveva assunto un ruolo primario nelle operazioni di falsa fatturazione; quanto, poi, alla RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE, oggetto di quelle contestazioni di cui ai capi E), E1), E2), E3) ed F), l’impugnata pronuncia segnala come la RAGIONE_SOCIALE benchè risultasse priva di qualsiasi struttura per quanto risultato all’esito di specifici sopralluoghi presso la sede operativa ove nulla veniva rinvenuto, risultava avere effettuato operazioni di importo rilevante sia acquistando dalla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE oggetti mai consegnati, sia vendendo materiali in verità mai posseduti. Nella ricostruzione dei fatti i giudici di merito, con valutazione conforme, hanno inoltre sottolineato come mensilmente, la stessa società, effettuava bonifici consistenti svuotando tutta la propria provvista in favore proprio di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che, pertanto, ne faceva un uso totalmente personale. A fronte di tali dati ricostruiti documentalmente, l’impugnata pronuncia, a pagina 49 della motivazione, sottolinea come l’attribuzione della effettiva titolarità e gestione al RAGIONE_SOCIALE trovi riscontro anche nelle dichiarazioni del legale rappresentante COGNOME che riferiva il ruolo gestorio del suddetto ricorrente, oltre che nelle accuse provenienti dal coimputato COGNOME, formulate nell’ambito della sua collaborazione.
La sentenza impugnata sottolinea, poi, come, cessate le attività della RAGIONE_SOCIALE, veniva costituita in continuità temporale la RAGIONE_SOCIALE, società risultata anche
essa del tutto priva di mezzi, dipendenti e strutture pur se formalmente dedita alla vendita di materiali da costruzione; anche la Andom rilasciava fatture registrate da RAGIONE_SOCIALE del Melacarne nonché bonifici a favore della stessa a fronte di operazioni però inesistenti. Con gli argomenti esposti a pagina 50 della impugnata sentenza la corte di merito ha sottolineato la totale fittizietà delle attività della Andom, sempre svolte in stretta correlazione con la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, la quale risultava beneficiaria del totale dei pagamenti effettuati a seguito dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE. Deve, pertanto, ritenersi che il ruolo di gestore ed amministratore di fatto delle società indicate, risulta ricostruito dai giudici di merito in forza di un elemento davvero significativo, costituito dalla percezione diretta da parte della società di RAGIONE_SOCIALE di tutte le somme incassate dalle cartiere dallo stesso costituite, con ragionamento che appare privo di qualsiasi illogicità, tanto più manifesta.
4.2 Va, infine, rilevato che il mantenimento di una pena superiore a tre anni esclude la possibilità di applicare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, pure richiesta in appello.
Ne consegue che anche il ricorso Melacarne deve essere dichiarato inammissibile.
Il motivo con il quale COGNOME COGNOME ha contestato la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati tributari allo stesso contestati che si assume affermata sulla sola base della posizione di garanzia rivestita quale amministratore di diritto, è reiterativo e manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ed invero, la sentenza di appello, ed in misura ancora più approfondita quella di primo grado, hanno evidenziato una serie davvero cospicua di circostanze di fatto sulla base delle quali potere affermare che COGNOME, ben lungi dall’operare quale mero prestanome del tutto ignaro delle operazioni illecite svolte dall’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE individuato nel Melacarne, fosse in effetti soggetto pienamente coinvolto in quelle operazioni illecite; e tali considerazioni, in quanto fondate su argomenti di fatto interpretati in assenza di qualsiasi illogicità, non sono censurabili nella presente sede di legittimità.
In particolare, il giudice di appello a pagina 53 della motivazione della impugnata sentenza, ed ancor prima quello di primo grado alle pagine 162 e seguenti della pronuncia, hanno segnalato che era proprio il ricorrente COGNOME ad effettuare le ripetute consegne di denaro contante in favore dei Cardone che costituiva uno dei segmenti essenziali dall’illecita attività permettendo il rientro delle somme pagate precedentemente in relazione alle operazioni inesistenti che venivano fatturate. Inoltre, era sempre il ricorrente incaricato delle consegne di schede telefoniche effettuate a società con ben altro oggetto sociale e tali
circostanze sono elementi che, nella valutazione dei giudici di merito, hanno reso pienamente riscontrata la tesi accusatoria della consapevolezza delle attività illecite in capo al COGNOME, ritenuto colpevole soltanto di alcuni reati fine e non del delitto associativo da cui risulta già assolto in primo grado.
Peraltro, i giudici di merito hanno anche richiamato il principio secondo il quale in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli (nella specie emissione di fatture per operazioni inesistenti) quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02); in precedenza, sullo stesso tema, si era stabilito come l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche quando altri soggetti abbiano agito come amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione o il semplice mantenimento della carica attribuiscono allo stesso specifici doveri di vigilanza e controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. 3, n. 14432 del 19/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258689 – 01).
Nel caso in esame, come già anticipato, benché la difesa reclami l’estraneità del ricorrente ai fatti illeciti, la responsabilità del medesimo risulta fondata non soltanto sulla posizione di diritto assunta all’interno delle società che lo obbligava comunque a penetranti doveri di controllo ma, altresì, in ragione di plurime circostanze di fatto, quali la consegna di denaro contante a seguito del formale pagamento delle fatture per operazioni inesistenti, che hanno fatto in concreto ritenere Cellamare soggetto perfettamente consapevole della natura delle operazioni.
Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
I motivi dei due ricorsi avanzati nell’interesse del COGNOME e con i quali si insiste sulla qualificazione della condotta dello stesso quale mero partecipe dell’associazione a delinquere contestata al capo A) della rubrica piuttosto che di organizzatore, appaiono puramente reiterativi di doglianze già dedotte dinanzi al
giudice di appello e devono essere ritenuti inammissibili; ed invero, con le ampie ed approfondite osservazioni svolte a pagina 51 della motivazione della sentenza impugnata, la Corte di appello ha evidenziato come l’attribuzione del ruolo direttivo al suddetto ricorrente si giustifica, non soltanto in ragione delle capacità professionali di commercialista dello stesso ma, anche, in forza delle dichiarazioni dei coimputati, degli esiti della perquisizione presso lo studio dello stesso ricorrente, oltre che dal contenuto di conversazioni e messaggi captati. Dall’analisi di questi elementi, che correttamente il giudice di secondo grado ha valutato congiuntamente, è emersa la frequente partecipazione del COGNOME ad incontri con gli altri coimputati, l’assunzione di deliberazioni relative alle modalità operative delle società emittenti ed utilizzatrici di fatture per operazioni inesistenti, il coinvolgimento dello stesso nella gestione delle cartiere al cui vertice, quale legale rappresentante, risultava essere stato nominato in ben quattro distinte società un dipendente del COGNOME, il COGNOME.
Correttamente, pertanto, il giudice di secondo grado ha concluso per il ruolo di organizzatore dell’associazione criminosa del ricorrente, stigmatizzando che lo stesso aveva predisposto e perfezionato il sistema delle società cartiere ed individuato le modalità operative a beneficio degli associati; e tale conclusione, lungi dal fondarsi su assiomi privi di riscontro, ha trovato preciso collegamento con l’accertato ruolo di amministratore di fatto delle cartiere, qualificando la sua condotta quale direttivo ed organizzatore dell’organizzazione a delinquere, con giudizio conforme dei giudici di merito fondato su valutazioni esenti da censura.
Anche nei confronti di COGNOME va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione.
Puramente reiterativo di doglianze già devolute all’analisi della Corte di appello ed adeguatamente respinte con ineccepibili riferimenti a vari aspetti del fatto appare il ricorso avanzato nell’interesse di COGNOME che ha insistito sulla assenza dell’elemento soggettivo della partecipazione associativa sottolineando il suo ruolo puramente subordinato.
Orbene, al proposito, la corte di merito, con le diffuse argomentazioni svolte alle pagine 54-55 sulla posizione del ricorrente, ha individuato una serie di circostanze di fatto davvero significative del coinvolgimento punibile del suddetto ricorrente nell’associazione a delinquere; si è in particolare sottolineato come COGNOME, lungi dall’operare quale soggetto privo di qualsiasi autonomia, fosse soggetto incaricato di effettuare i bonifici bancari, autore dell’apertura di nuovi conti correnti ove effettuare operazioni che potessero permettere il superamento del limite massimo di movimentazione anche mediante bonifici all’estero, incaricato dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti della società,
amministratore di fatto delle società cartiere ed in particolare della RAGIONE_SOCIALE. In tale contesto, se è vero che il ricorrente riceveva direttive dagli organi apicali dell’associazione a delinquere identificati in COGNOME, COGNOME e COGNOME, la natura delle plurime operazioni effettuate, tra le quali anche la consegna di rilevanti quantitativi di denaro contante da fare rientrare ai soggetti originari pagatori, denota una piena adesione dello stesso agli scopi illeciti dell’organizzazione e manifesta palesemente la piena consapevolezza dell’illiceità degli stessi scopi.
Del resto a fronte dell’accertata consumazione di molteplici reati fine per i quali non risulta neppure proposto alcun motivo di ricorso, va ricordato come sia stato ripetutamente affermato che in tema di associazione per delinquere, la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, di reatifine integra, per ciò stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato “de quo”, non può consistere nell’allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Syndial, Rv. 246441 – 01; ed anche Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015 Cc. (dep. 21/10/2015 ) Rv. 265346 – 01). Sul tema si è anche affermato che integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilascio di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite e organizzate da un’associazione per delinquere, la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versate dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all’utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole, che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso (Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, COGNOME, Rv. 284201 – 01).
Deve, pertanto, essere escluso che la posizione subordinata del De Guglielmo rispetto ai soggetti apicali possa fare escludere l’ipotesi della partecipazione punibile per difetto di affectio societatis essendo elemento connaturato alla struttura punibile di cui all’art. 416 cod. pen. la distinzione di ruoli all’interno dell’organizzazione e la presenza di soggetti chiamati ad eseguire le direttive altrui che, in quanto coinvolti nella consumazione di una serie di delitti fine protratti nel tempo, assumono certamente un vincolo associativo che risulta punibile ai sensi della citata norma.
7.1 In conclusione, l ‘ impugnazione del COGNOME deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 comma terzo cod. proc. pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del predetto ricorrente e dei coimputati COGNOME Costantino, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Giovanni Antonio al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00 ciascuno.
8. Anche il primo motivo del ricorso COGNOME appare puramente reiterativo di doglianze già vagliate e disattese con argomenti privi di qualsiasi illogicità o travisamento dalla corte di merito; il giudice di appello, con le diffuse argomentazioni esposte alle pagine 45-46 della impugnata sentenza, ha indicato tutti gli elementi sulla base dei quali ritenere che se è pur vero che il ricorrente venne coinvolto nelle attività illecite di emissione sistematica di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere e successiva movimentazione del denaro contante già in corso nel 2012, proprio grazie all’intervento dello stesso il sistema riceveva nuova linfa e si trasformava in un’attività stabile ed organizzata riconducibile al parametro dell’associazione punibile ex art. 416 cod. pen.. In tale contesto la pronuncia di appello sottolinea come proprio al COGNOME vanno ricondotte le attività di costituzione di nuove compagini sociali (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) tutte attivamente coinvolte nelle attività illecite di sistematica emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti ed allo stesso va anche ricondotto il coinvolgimento nella struttura associativa del COGNOME oltre che della compagna COGNOME. Ora, appare evidente che il soggetto che intervenendo in una struttura illecita già operativa ne ampli le capacità di perpetrazione degli illeciti attraverso la predisposizione di nuovi strumenti, quali società coinvolte nel sistema delle false fatturazioni, e ne aumenti anche il numero degli associati o dei soggetti comunque concorrenti nei reati fine, attraverso la cooptazione di nuovi adepti e concorrenti, rientra perfettamente nel parametro punitivo di cui al primo comma dell’art. 416 cod. pen. come correttamente ritenuto dalla Corte di appello.
La possibilità che il ruolo di organizzatore dell’associazione punibile ex art. 416 cod. pen. sia riconosciuto in capo a colui che ne ampli le capacità operative intervenendo dopo la costituzione dell’entità illecita è stata già affermata dalla giurisprudenza di legittimità; con affermazione del tutto condivisibile si è difatti stabilito che in tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambito delle direttive impartite dai capi e non necessariamente dalla costituzione del sodalizio criminoso, esplica con autonomia
la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti ovvero l’impiego razionale delle strutture e delle risorse associative o di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso (Sez. 5, n. 37370 del 07/06/2011, Bianchi, Rv. 250491 -01). E tale pronuncia ha preso in considerazione un caso del tutto analogo a quello oggetto di giudizio trattandosi di fattispecie relativa all’attività esercitata in seno al sodalizio dedito alla commissione di reati fallimentari da parte del professionista impegnatosi nella costituzione di società all’estero strumentali all’occultamento delle risorse finanziarie distratte.
Tale affermazione trova un suo precedente in quella pronuncia che aveva espressamente affermato come in tema di reato associativo il ruolo di organizzatore non compete solo all’iniziatore dell’organizzazione, ma anche a colui che, rispetto al gruppo costituito, provochi ulteriori adesioni, sovrintenda alla complessiva gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Sez. 6, n. 11446 del 10/05/1994, COGNOME, Rv. 200937 – 01).
L’applicazione de i sopra esposti principi al caso in esame comporta affermare che in tema di associazione a delinquere finalizzata ad operazioni di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti spetta il ruolo di organizzatore a colui che, pur intervenendo dopo la cost ituzione dell’entità criminale abbia, attraverso il coinvolgimento di nuove persone fisiche nella consumazione di singoli delitti-fine ovvero la costituzione od utilizzazione di altre persone giuridiche coinvolte nell’illeci to sistema, ampliato le possibilità operative illecite permettendone la prosecuzione sotto le proprie indicazioni. E poiché con duplice accertamento conforme in fatto è emerso che proprio COGNOME ha inserito nuovi soggetti nelle dinamiche dei reati fine ed utilizzato altre società operanti nel sistema di fittizia emissione di fatture, lo stesso deve correttamente rispondere del reato più grave di cui al primo comma dell’art. 416 cod. pen..
8.1 Anche il secondo motivo è reiterativo avendo la corte di merito attestato, nell’ambito dei propri poteri discrezionali, che la collaborazione del ricorrente con l’autorità giudiziaria non ha eliso completamente le conseguenze dei numerosissimi reati fi scali portati a termine dall’associazione e rispetto a tale attestazione il ricorso nulla di specifico deduce.
8.2 Fondato è invece il terzo ed ultimo motivo relativo all’omessa applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sulla base di errati parametri; la Corte di appello, pur a fronte di una pena determinata in anni 2, mesi 9 di reclusione, ha respinto la richiesta in ragione della pluralità dei reati commessi, della gravità degli stessi e del ruolo assunto dal ricorrente nel contesto associativo; e tuttavia, a fronte di una pena edittale che risulta determinata in misura compatibile con l’irrogazione delle pene sostitutive e la cui determinazione sembra
proprio confliggere con tali valutazioni, va fatta applicazione del principio secondo cui in tema di sanzioni sostitutive, il giudice di primo grado, in sede di condanna dell’imputato, ovvero il giudice di appello, chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sono tenuti a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere sia, subito dopo, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, come riformato dal d.lgs. n. 150 del 2022, dovendo esservi tra i due giudizi continuità e non contraddittorietà e favorendosi l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20bis cod. pen. quanto minore risulti la pena in concreto inflitta rispetto ai limiti edittali (Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 – 01). Viziata appare, pertanto, la valutazione operata dal giudice di merito che, pur avendo determinato la sanzione base in misura pari ai minimi per il delitto di cui al capo A) e cioè in anni 3 di reclusione (vedi pag. 46 sentenza di appello) ed operato la riduzione massima di un terzo per le concesse attenuanti generiche, ha, poi, escluso la possibilità di applicare le pene sostitutive in ragione di una elevata gravità del fatto non conciliabile con le altre determinazioni già assunte.
Come già anticipato, appare viziata da intima contraddittorietà la decisione del giudice di merito che neghi la possibilità di concedere le pene sostitutive sulla base di un’asserita gravità dei fatti o della negativa personalità dell’imputato pur a fronte dell’irrogazione della pena nella misura edittale minima o comunque prossima ad essa e delle concessione delle attenuanti generiche.
Ne consegue che la valutazione circa l’applicazione dell a pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità al COGNOME deve essere oggetto di nuovo vaglio in sede di giudizio di rinvio.
8.3.1 L’accoglimento del motivo relativo alla omessa applicazione delle pene sostitutive ha determinato la prosecuzione del rapporto processuale in ordine a tutti i reati contestati al COGNOME e nei suoi confronti ritenuti sussistenti; invero, va ricordato come, con la sentenza delle Sezioni Unite COGNOME, sia stato affermato che poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la “res iudicata”
si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame. Ne consegue che l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01).
Il principio dettato dalle Sezioni Unite COGNOME, e secondo cui la proposizione di motivi non manifestamente infondati anche su aspetti della pena determina la prosecuzione del rapporto processuale con conseguente rilevabilità della prescrizione nelle more maturata, risulta ribadito da successivi e plurimi interventi delle sezioni semplici che ne hanno fatto applicazione in relazione a plurimi aspetti della devoluzione; si è così dapprima affermato che (Sez. 2, n. 50642 del 16/10/2014, Rv. 261716 -01) l’impugnazione della sentenza esclusivamente sul punto riguardante il riconoscimento di una circostanza attenuante e il trattamento sanzionatorio, non impedendo che il relativo capo concernente la definizione del reato acquisti autorità di cosa giudicata, non esime il giudice del gravame dal compito di rilevare eventuali cause di estinzione del reato, per poi affermarsi come in tema di ricorso per cassazione, l’annullamento del “punto” della decisione di merito concernente la pena accessoria irrogata per un determinato reato comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al pertinente “capo” di imputazione, consentendo l’utile decorso del termine di prescrizione del reato fino alla sentenza di legittimità (Sez. 5, n. 26409 del 07/05/2019, COGNOME, Rv. 276995 -01 ed anche Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017, Rv. 271965 – 01).
Con un più recente intervento le Sezioni Unite (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 Ud. (dep. 14/02/2017 ), COGNOME, Rv. 268966 -01) hanno poi chiarito che in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.
8.3.2 L’applicazione de i sopra esposti principi comporta affermare che nei confronti del COGNOME l’accoglimento del motivo relativo alla pena sostitutiva ha determinato la prosecuzione del rapporto processuale relativo a tutti i capi della sentenza pronunciata nei suoi confronti, con necessità di valutare l’eventuale prescrizione maturata nelle more del presente giudizio di cassazione. Invero,
poiché la pena sostitutiva attiene ad aspetti del trattamento sanzionatorio irrogato in relazione a tutti i reati commessi, la fondatezza del motivo vale ad impedire la formazione del giudicato parziale in relazione a tutti i capi della sentenza per cui è intervenuta condanna. Ne consegue che l’annullamento con rinvio disposto sul punto della pena sostitutiva, impone la valutazione dell’eventuale decorso del termine di prescrizione per tutti i reati contestati all’imputato.
8.4.1 Orbene, in tema di prescrizione dei reati fiscali, va ricordato come gli stessi trovino una disciplina particolare nell’art. 17 comma 1bis del d.lgs. 74/2000 secondo il quale i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del predetto d. lgs. sono elevati di un terzo; tale norma, introdotta dal d.l. 138/2011 convertito nella legge 148/2011, risulta ratione temporis applicabile anche ai fatti commessi dall’imputato e da ciò consegue che, avuto riguardo alla pena massima prevista alla data di consumazione dei fatti per i reati fiscali contestati all’imputato, il termine di anni 6 prorogato di un terzo va elevato ad anni 8 sul quale poi va computato un quarto agli effetti dell’interruzione ex art. 161 cod. pen., con conseguente fissazione del termine complessivo di prescrizione in anni 10; a detto termine va aggiunto poi il periodo di sospensione di mesi 7 e giorni 12 disposto nel giudizio di appello (vedi sentenza pagine 42-43) con conseguente fissazione di un termine finale pari ad anni 10, mesi 7 e giorni 12.
Ne consegue che, avuto riguardo alle date di consumazione dei reati fiscali per i quali è intervenuta condanna del COGNOME, e di cui ai capi H1), commesso il 2912-2014, H2) commesso il 20-11-2015, H5) commesso il 31-12-2014, H6) commesso il 22-9-2016 ed H7) commesso sino al 10-12-2015, per nessuno degli stessi risulta maturato il termine complessivo di anni 10, mesi 7 e giorni 12.
Prescritto è invece il reato H4) commesso sino al 30-12-2013 per il quale la prescrizione, già parzialmente dichiarata in appello, è definitivamente maturata l’11 -8-2024; conseguentemente va eliminata la pena inflitta per tale reato in fase di appello e determinata dalla corte di merito nella misura di mesi 1 di reclusione.
8.4.2 Va poi precisato sempre con riguardo alla posizione COGNOME che anche il reato di associazione a delinquere contestato al capo A) non è prescritto perché contestato in permanenza attuale (con attività criminosa in corso) e cioè sino alla data della sentenza di primo grado del 2022; in ogni caso, anche a volere ritenere contestato il fatto sino alla data del decreto che dispone il giudizio, lo stesso è datato 2020 con conseguente applicabilità della differente disciplina della improcedibilità e, comunque, non maturazione del termine di prescrizione.
8.5.1 La statuizione di annullamento senza rinvio per maturata prescrizione del capo H4) comporta, nei confronti del COGNOME, l’applicazione della particolare disciplina in punto di confisca dettata dall’art. 578bis cod. proc. pen.; ed invero, il giudice di primo grado, con statuizione poi confermata in appello (vedi pag. 119
sentenza Tribunale par. 9.1.2), ha disposto la confisca diretta o per equivalente pari al prezzo ed al profitto dei reati fiscali nei confronti di COGNOME, sottolineando come in tema di reati fiscali il profitto del reato va individuato nell’ammontare dell’imposta evasa costituente un vantaggio patrimoniale derivante dalla condotta illecita, stabilendolo, per tutte le operazioni contestate nei vari reati di cui ai capi H), in € 2.265.761,05 per IVA evasa ed in € 4.228.108,40 per IRES ed IRAP. Orbene, con l’introduzione del citato art. 578 bis cod. proc. pen. si è stabilito che:’ Quando e’ stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge (o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale), il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita’ dell’imputato ‘.
Nell’interpretare detta norma le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 – 02) hanno affermato che deve riconoscersi al richiamo contenuto nella norma citata alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge”, formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale; ed in motivazione le Sezioni Unite hanno sottolineato:’ l’esigenza che ha spinto il legislatore a dettare una norma volta, in chiara analogia con la disposizione dell’art. 578 cod. proc. pen. (non a caso immediatamente precedente nella topografia codicistica), ad evitare che la prescrizione del reato, a fronte di un’affermazione di responsabilità che resta, nella sostanza, immutata, vanifichi la confisca di cui all’art. 240bis cit. nel frattempo disposta in primo grado o in grado di appello (a seconda che la prescrizione maturi rispettivamente nel giudizio di appello o in quello di legittimità), in linea con il principio di conservazione degli effetti delle pronunce di merito sul punto non sovvertite nei gradi successivi (così come, con riguardo all’art. 578, si è voluta evitare la dissipazione degli effetti sul piano delle statuizioni civili)’.
L’applicazione del sopra esposto principio comporta affermare che, anche nel caso della confisca prevista dall’art. 12bis D.Lgs 74/2000 avente ad oggetto il prezzo o profitto dei reati tributari, il giudice di appello o di legittimità che dichiari l’estinzione del reato tributario per prescrizione è tenuto a valutare la fondatezza delle ragioni di doglianza al fine di stabilire la revoca della confisca o il mantenimento della stessa e cioè a valutare se, pur essendo il reato estinto per prescrizione, la infondatezza dei motivi sulla responsabilità e, quindi, l’accertamento incidentale della colpevolezza, giustifichi il mantenimento della misura di sicurezza.
8.5.2. Orbene, nel caso in esame, dalla già esposta declaratoria di
infondatezza dei motivi aventi ad oggetto la responsabilità del COGNOME, dipende il mantenimento della confisca diretta disposta dal primo giudice e confermata in appello in relazione al predetto capo H4); invero, nessuno dei motivi avanzati nell’interesse dell’imputato in punto affermazione di responsabilità ha trovato accoglimento, con la conseguenza che la statuizione di confisca disposta nelle fasi di merito in relazione al reato prescritto può certamente trovare conferma proprio ex art. 578bis cod. proc. pen..
Tuttavia, poiché la statuizione del Tribunale di Bari esposta al punto 9.1.2 della decisione di primo grado appare essere stata adottata cumulativamente per i reati fiscali contestati in tutti i capi H) per i quali è intervenuta condanna anche in appello (H1, H2, H5, H6, H7 ed H4), ed in relazione sia alla confisca diretta che a quella per equivalente, su tale ultimo punto va disposto annullamento.
Ed infatti, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022 Ud. (dep. 31/01/2023 ), COGNOME, Rv. 284209 – 01) la disposizione di cui all’art. 578bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore.
Il principio è stato ribadito da successive pronunce secondo cui in tema di confisca “per equivalente”, trova applicazione, per la natura di diritto sostanziale dell’istituto, il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli al reo, sicché risulta preclusa l’applicabilità della previsione dell’art. 578bis cod. proc. pen., relativa alla confisca in caso di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 2, n. 17354 del 08/03/2023, Tine’, Rv. 284529 – 01).
Nel caso in esame, i fatti contestati al capo H4), risultano essere stati posti in essere nel corso dell’anno 2013 e, pertanto, agli stessi, a seguito della declaratoria di prescrizione, è inapplicabile la confisca per equivalente pure disposta in primo grado e confermata in appello, non potendosi fare applicazione dei principi introdotti solo nel 2018 dall’art. 578bis cod. proc.pen..
E pertanto poichè come già anticipato il giudice di primo grado ha affermato, al citato punto 9.1.2 della decisione (pagina 120 sentenza Tribunale), che nei confronti del COGNOME va disposta la confisca del prezzo e del profitto dei reati corrispondente a tutte le operazioni indicate nel capo H) dell’imputazione, in sede di rinvio andrà, innanzi tutto, individuata la frazione di confisca disposta in relazione al solo capo H4) e, successivamente, revocata sempre limitatamente a tale capo di imputazione, quella adottata non in via diretta ma per equivalente, stante la non applicabilità della citata disposizione normativa ai fatti commessi anteriormente la propria introduzione, in applicazione del principio di irretroattività
della norma penale più sfavorevole.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo H4), perché estinto per prescrizione, e, per l’effetto elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione, nonché con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari limitatamente alla applicazione delle pene sostitutive e alla confisca disposta in relazione al capo H4); rigetta nel resto il ricorso di COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi dei restanti ricorrenti, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Roma, 11 luglio 2025