Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17513 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17513 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CROTONE il 28/12/1999
avverso l’ordinanza del 17/12/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
. udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso
E’ presente l’avvocato COGNOME COGNOME per l’imputato COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 17.12.2024 il Tribunale di Catanzaro, pronunciandosi sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa dal Gip presso il locale Tribunale in data 5 novembre 2024, ha confermato l’ordinanza impugnata.
1.1. Riepilogando in sintesi la vicenda cautelare:
NOME NOME é stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato della partecipazione, in qualità di organizzatore, all’associazione dedita al narcotraffico contestata al capo 1) dell’incolpazione provvisoria ed in relazione ad una serie di reati fine in materia di spaccio di stupefacenti, detenzione e porto illegale d’armi di cui ai capi 4), 22), 34), 68), 90), 104), 198), 203), 204), 205), 209), 245), ritenuta altresì quanto alle esigenze cautelari la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., corroborata dallo specifico modus operandi e dai collegamenti del sodalizio criminos – o;
proposta istanza di riesame, il Tribunale, sulla base del compendio probatorio, costituito da intercettazioni telefoniche e ambientali, attività di perquisizione e sequestro e dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ha confermato la sussistenza del sodalizio criminoso finalizzato alla compravendita di sostanza stupefacente del tipo cocaina ma anche di NOME, hashish ed eroina, contraddistinto da una precisa struttura gerarchia con assegnazione di ruoli all’apice della quale si collocavano COGNOME NOME coadiuvato da NOME COGNOME NOME e dall’odierno ricorrente COGNOME NOME;
con specifico riguardo alla posizione di COGNOME NOMECOGNOME il Tribunale, preso atto che la difesa non aveva contestato la realizzazione dei reati fine, ma unicamente il ruolo attribuito al prevenuto nel sodalizio criminoso di cui al capo 1), ha posto in rilievo come i reati fine fossero indicativi del ruolo apicale ricoperto, ruo peraltro riscontrato da una serie di conversazioni telefoniche da cui risultava che COGNOME NOME si occupava dell’approvvigionamento dello stupefacente, della ripartizioni delle piazze di spaccio, elementi a loro volta fondanti l’affect societatis, essendo invece destituita di fondamento la prospettazione del mero concorso di persone nel reato.
Avverso detta ordinanza l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.
Con il primo chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 125,
comma 3, e 273 cod.proc.pen. con specifico riferimento all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 ed agli artt. 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967 (capi 4), 22), 34), 68), 90) 104), 198), 203), 204), 205) e 209) della rubrica ed agli artt. 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967 (capo 245) della rubrica).
Si assume che l’ordinanza impugnata merita censura laddove ha confermato il provvedimento emesso dal Gip in relazione ai capi 4), 22), 34), 68), 90), 104), 198), 203), 204) e 209), in forza di un ragionamento soltanto presuntivo sprovvisto della motivazione necessaria a dar conto della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990.
In particolare, a fronte del compendio intercettivo, non si é dato conto della destinazione dello stupefacente allo spaccio anziché al consumo personale, né si é riqualificata la condotta ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309 del 1990.
Inoltre si osserva che per alcuni reati fine il Tribunale non ha effettuato alcuna valutazione.
In particolare si contesta che le intercettazioni valorizzate appaiano capaci di lumeggiare un contributo anche solo concorsuale del Laratta al reato di cui al capo 4).
Anche in relazione agli episodi di cui ai capi 68), 203) e 204), difetta una motivazione dotata di autonomia logico-concettuale rispetto al tenore letterale del capo di imputazione.
Quanto poi al reato di cui all’art. 245), non viene motivata né la gravità indiziaria né quale elemento sintomatico dell’associazione.
Con il secondo motivo chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 125 comma 3, 273 cod.proc.pen. con specifico riferimento agli artt. 110 cod.pen., 74, commi 1, 2 , 3 e 6 d.p.r. n. 309 del 1990.
Si censura l’ordinanza impugnata anche laddove ha ravvisato gravi indizi di colpevolezza della partecipazione del Laratta al reato associativo di cui al capo 1), invertendo la sequenza logica che avrebbe dovuto sorreggere la prova indiziaria del predetto reato la cui dimostrazione é stata ricavata dai reati scopo.
In particolare si contesta il ruolo di organizzatore al medesimo attribuito e comunque anche il ruolo di partecipe all’associazione anziché, a tutto volere concedere, di mero concorrente nei reati fine.
Si assume, in particolare, che non vi é prova di quegli indicatori che la costante giurisprudenza ritiene necessari al fine di riempire di contenuti la contestazione associativa.
Con il terzo motivo chiede l’annullamento dell’ordinanza per la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 125, comma 3,
273 cod.proc.pen. con specifico riferimento al comma 1 dell’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990.
Si sostiene che l’attribuzione al Laratta della qualifica di organizzatore sia avvenuta senza alcuna adeguata motivazione in proposito, non rinvenendosi neanche un passaggio in cui si dia conto del ruolo apicale del medesimo.
Con il quarto motivo chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 273 cod.proc.pen. con specifico riferimento al comma 6 dell’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990.
Si censura l’ordinanza impugnata laddove ha escluso che ricorressero le condizioni per la riqualificazione dell’associazione contestata nell’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, d.p.r. n. 309 del 1990.
Con il quinto motivo chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 123, comma 3, e 274 cod.proc.pen.
Si assume che non può ritenersi sussistente in termini di concretezza ed attualità l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. a) e b) cod.proc.pen.. Quanto all lettera c), tutti gli episodi contestati al Laratta risalgono al 2022, il che priv attualità il paventato pericolo di reiterazione, cosicché si ritiene che l valutazione contenuta nell’ordinanza in ordine all’attualità delle esigenze cautelari presenti aspetti di contraddittorietà meritevoli di una rivalutazione dipendente non solo dal c.d. tempo silente ma anche da ulteriori elementi concreti che impongono una rivalutazione del quadro cautelare.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta la gravità indiziaria dei reat fine, é inammissibile.
Ed invero é inammissibile il motivo di ricorso per cassazione riferito alla mancanza di motivazione in ordine ad una questione non proposta con la richiesta di riesame cautelare depositata, essendo precluso in sede di legittimità l’esame di questioni delle quali il giudice dell’impugnazione cautelare non era stato investito.
Giova ribadire che in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, pur nella peculiarità del contesto decisorio del giudizio di riesame resa manifesta dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il ricorrente ha l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sul relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte
adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere chiamata ad esprimersi. Pertanto, in mancanza di tale devoluzione, è inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Rv. 279505).
Nella specie, il tema della gravità indiziaria dei reati fine non era stato posto i sede di riesame, atteso che, dopo aver presentato istanza di riesame con riserva dei motivi, l’istante nella memoria depositata all’udienza aveva contestato la gravità indiziaria solo in relazione al capo 1) ed alla qualifica di organizzatore.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vertono sulla contestazione della fattispecie associativa e sulla partecipazione del COGNOME in veste di organizzatore, sono manifestamente infondati.
A riguardo va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di limiti di sindacabilità dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’Indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito.
Il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’at impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità del argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv.261400; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 251761; Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME ed altro, Rv. 201840).
L’erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. è dunque rilevabile in sede di legittimità Corte di cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Detto controllo, in particolare, non riguarda né la ricostruzione di fatti, n l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 262948; Sez. 6, n. 49153 del
12/11/2015, COGNOME ed altro, Rv. 265244; Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, COGNOME, Rv. 201177).
Nella specie, il Tribunale del riesame ha ricostruito la sussistenza di un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, indicando in modo analitico le fonti di prova costituite essenzialmente da intercettazioni telefoniche ed ambientali, arresti e sequestri di stupefacente.
Per quanto attiene al ruolo attribuito all’indagato nel sodalizio criminoso, su cui si sono incentrate le doglianze difensive, giova ribadire che in tema di reato associativo, il ruolo di organizzatore, spettante a colui che coordina il contributo degli associati, a differenza di quello di promotore e di capo, assume una connotazione esecutiva e non richiede che chi lo rivesta si trovi sullo stesso piano dei capi e dei promotori, essendo compatibile, ove l’organizzazione del sodalizio abbia una struttura verticale, con un’attività svolta in posizione di subalternità rispetto al vertice associativo (Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281736, relativa a fattispecie in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento, ad opera della sentenza impugnata, del ruolo di organizzatore a carico di colui che coordinava i turni di spaccio sulla “piazza” gestita dal sodalizio).
Si è altresì chiarito che, in tema di associazione finalizzata al traffico stupefacenti, riveste la qualifica di organizzatore anche colui che, pur non coordinando l’attività di altri associati, ha il potere di determinare, in autonomia rispetto al “capo” del gruppo, sia le cessioni di droga alle quali quest’ultimo partecipi, sia la gestione di pagamenti e di controversie relative a forniture rilevanti per l’operatività del sodalizio (Sez. 3 n. 18370 del 19/01/2024, Rv. 286272).
Ebbene nella specie il Tribunale del riesame ha valorizzato come dalle conversazioni captate fosse emerso che COGNOME NOME, unitamente a NOME COGNOME e COGNOME NOME, si poneva al vertice di un sodalizio all’apice del quale si collocava NOME NOME, curando in tale veste i settori strategici dell’associazione, ovvero il controllo del territorio e la ripartizione e la gestio dell’attività di rivendita e partecipando anche alle scelte inerenti al sostegno dei sodali in carcere.
Quanto alla desumibilità della prova del reato associativo dai reati scopo (la cui sussistenza non è stata oggetto di contestazione in sede di riesame), se è vero che la commissione di reati di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, non può, da sola ed automaticamente, costituire prova della commissione del reato associativo, costituendo al più indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione (così Sez. 4, n. 23518 del 29/04/2008, COGNOME, Rv. 240843), tuttavia è altrettanto vero che la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al
sodalizio criminoso di reati-fine integra, per ciò stesso, gravi, precisi concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato “de quo”, non può consistere nell’allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Sindyal, Rv. 246441; Sez. 5, n. 6026 del 25/03/1997, Puglia, Rv. 208088).
Inoltre si è ritenuto che anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione (Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015, Policastri, Rv. 265890; Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013, Durand, Rv. 257800; Sez. 4, n. 45128 del 11/11/2008, COGNOME, Rv. 241927, che ha precisato che l’elemento oggettivo del reato d’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente provveduto allo spaccio; nello stesso senso Sez. 5, n. 9457 del 24/09/1997, COGNOME, Rv. 209073, secondo cui la partecipazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti va desunta da una serie di condotte significative che, complessivamente valutate, denotino l’organico inserimento in una struttura criminosa a carattere associativo).
Inammissibile é il quarto motivo di ricorso, sia perché la questione con esso dedotta non è stata sollevata con i motivi di riesame sia perché, in ogni caso, fondato su censure generiche ed aspecifiche.
Manifestamente infondato è il quinto motivo.
Avuto riguardo alle esigenze cautelari, l’ordinanza, senza aporie o vizi logici, ha richiamato la nota presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e in concreto argomentato sul pericolo di recidiva e sulla necessità della custodia in carcere dando conto come la stessa non sia stata superata da elementi di segno positivo.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de
ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti ex art. 94, comma 1 ter, disp.a cod.proc.pen.
Così deciso il 23.4.2025