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Ruolo di vedetta spaccio: la condanna è legittima

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per concorso in spaccio di stupefacenti con il ruolo di vedetta. Nonostante la sua presenza nei luoghi di spaccio fosse solo occasionale, la Corte ha ritenuto che le sue azioni specifiche, come avvisare i complici dell’arrivo della polizia e dare indicazioni agli acquirenti, dimostrassero una piena consapevolezza e un contributo attivo all’attività illecita, giustificando così la condanna. Il cosiddetto ruolo di vedetta spaccio è stato quindi confermato.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ruolo di Vedetta nello Spaccio: Quando la Presenza Intermittente Configura Concorso nel Reato

Il concorso in spaccio di stupefacenti è un tema complesso, specialmente quando si tratta di definire ruoli apparentemente marginali come quello della vedetta. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce come anche una presenza non continuativa nei luoghi di spaccio possa integrare una piena partecipazione al reato. Analizziamo questo caso per capire quale sia il confine tra mera presenza e un vero e proprio ruolo di vedetta spaccio penalmente rilevante.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per concorso in spaccio di sostanze stupefacenti. Il suo compito, secondo l’accusa, era quello di sorvegliare l’area per avvisare i complici della possibile presenza delle Forze dell’Ordine, garantendo così la sicurezza delle operazioni di cessione della droga. La difesa ha contestato la condanna, sostenendo che l’imputato, a differenza degli altri membri del gruppo, non era costantemente presente sul luogo e la sua partecipazione era limitata a pochi episodi in tre sole giornate, circostanza che, a suo dire, non poteva configurare un ruolo stabile di sentinella.

I Motivi del Ricorso e il ruolo di vedetta spaccio

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Violazione di legge processuale: La difesa ha lamentato che la condanna si fondasse anche su episodi per i quali l’imputato era stato formalmente escluso dalle accuse, avvenuti in date successive a quelle contestate.
2. Vizio di motivazione sul ruolo effettivo: Si contestava la logicità della sentenza d’appello, che non avrebbe spiegato come una presenza così sporadica (otto episodi in tre giorni) potesse essere compatibile con il ruolo di sorveglianza continuativa necessario all’organizzazione.
3. Insufficienza probatoria: Secondo la difesa, mancava la prova della partecipazione attiva dell’imputato in alcuni episodi, con un testimone che non era riuscito a identificarlo con certezza nei filmati.
4. Mancato riconoscimento di attenuanti: L’imputato richiedeva la riqualificazione del fatto in un’ipotesi di minore gravità e la concessione delle attenuanti generiche.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. I giudici hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, non è necessaria una presenza costante, ma è la qualità del contributo a essere determinante.

La Corte ha sottolineato che le sentenze di merito avevano adeguatamente dimostrato la non casualità della presenza dell’imputato. Egli era stato immortalato in momenti cruciali, sempre in concomitanza con le cessioni di droga effettuate dai principali responsabili. Ancor più significativo, il suo comportamento attivo smentiva la tesi di una presenza casuale: in un’occasione, all’avvicinarsi di una volante della Polizia, era stato visto allontanarsi di corsa dal magazzino dove era custodita la droga, per poi rientrare e comunicare all’acquirente, rimasto all’interno, che poteva uscire in sicurezza. In un altro episodio, aveva esplicitamente dato indicazioni a due acquirenti di non sostare in un determinato luogo, dimostrando piena consapevolezza dell’attività illecita e del suo ruolo nel proteggerla.

Per la Corte, queste azioni concrete sono state considerate decisive per dimostrare un contributo consapevole e volontario all’attività di spaccio, superando ogni dubbio sulla sua partecipazione. Il ruolo di vedetta spaccio non richiede necessariamente una permanenza fissa, ma un apporto funzionale, anche se intermittente, alla riuscita dell’operazione criminale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel concorso di reati, ciò che conta è l’efficienza causale del contributo fornito, non la sua durata o continuità. Un singolo gesto, se determinante per la riuscita del piano criminale, è sufficiente a fondare una responsabilità penale. In questo caso, il ruolo di vedetta è stato provato non dalla quantità di tempo trascorso sul posto, ma dalla qualità delle azioni compiute, che erano inequivocabilmente dirette a facilitare e proteggere l’attività di spaccio. Questa decisione serve da monito: anche chi ritiene di avere un ruolo marginale può essere chiamato a rispondere pienamente del reato, se il suo contributo si rivela essenziale per il gruppo criminale.

Una presenza sporadica sul luogo di spaccio è sufficiente per essere condannati per concorso nel reato?
Sì, secondo la sentenza non è la durata o la frequenza della presenza a essere decisiva, ma la qualità del contributo. Se le azioni compiute, anche se isolate, sono funzionali a facilitare l’attività di spaccio (come fare da vedetta), si può essere condannati per concorso.

Quali comportamenti specifici possono qualificare una persona come vedetta?
Azioni come allontanarsi di corsa all’arrivo della polizia, tornare per segnalare che il pericolo è passato, o dare istruzioni agli acquirenti su come comportarsi per non destare sospetti, sono state considerate prove inequivocabili di un ruolo attivo di sorveglianza e protezione dell’attività illecita.

La Corte può considerare fatti per cui l’imputato non è stato condannato?
La Corte ha chiarito che la condanna si deve basare esclusivamente sui capi di imputazione per i quali l’imputato è stato ritenuto colpevole. La menzione in una sentenza di primo grado di altri episodi, per cui non è seguita condanna, è irrilevante ai fini della decisione finale se la condanna si fonda solidamente sui reati effettivamente contestati e provati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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