Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35112 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35112 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI NOME nato a MASSA DI SOMMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CERCOLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di questi ultimi
–
– avverso la sentenza del 26/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso del P.G. con l’annullamento con rinvio delle posizioni oggetto del ricorso e l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati;
uditi:
gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME e NOME COGNOME;
l’AVV_NOTAIO, in proprio, quale difensore di NOME COGNOME, e quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME COGNOME;
lAVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME;
l’AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME,
che hanno concluso chiedendo, in accoglimento dei rispettivi ricorsi, l’annullamento della sentenza impugnata e che il ricorso del Pubblico RAGIONE_SOCIALE venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 26 giugno 2023 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del 19 maggio 2022 del Tribunale di Napoli, esclusa la recidiva contestata a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, esclusa l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rideterminava la pena: (i) nei confronti di COGNOME NOME, NOME NOME, COGNOME NOME, e COGNOME NOME, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti comuni, nella misura di sei anni e otto mesi di reclusione ciascuno; (il) nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, previo aumento ex art. 416-bis.1 cod. pen. e la applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti comuni, nella misura di nove anni di reclusione; (iii) nei confronti di COGNOME NOME, previo aumento ex art. 416 bis.1 cod. pen. e la applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti comuni, ritenuta la continuazione con i fatti oggetto di sentenza irrevocabile di condanna della Corte di appello di Napoli del 15 novembre 2016, nella misura di undici anni di reclusione.
Inoltre, escluso il ruolo di capi, riqualificato il reato ascritto a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (cl. DATA_NASCITA) e COGNOME NOME (cl. DATA_NASCITA) nella ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, rideterminava la pena: (i) nei confronti di COGNOME NOME (cl. DATA_NASCITA), previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bís.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con la recidiva e le altre circostanze aggravanti, ritenuta la continuazione con i fatti oggetto di sentenza irrevocabile di condanna della Corte di appello di Napoli del 6 maggio 2020, nella misura di diciannove anni di reclusione; (il) nei confronti di COGNOME NOME (DATA_NASCITA. DATA_NASCITA), previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con la recidiva e le altre circostanze aggravanti, nella misura di diciassette anni e quattro mesi di reclusione; (iii) nei confronti di COGNOME NOME, previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle altre circostanze aggravanti, ritenuta la continuazione con i fatti di cui ai capi 2 e 3 della rubrica, nella misura di dodici anni e nove mesi di reclusione; (iv) nei confronti di COGNOME NOME, previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con
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giudizio di prevalenza sulle altre circostanze aggravanti, ritenuta la continuazione con i fatti di cui al capo 3 della rubrica, nella misura di dodici anni e sei mesi di reclusione; (v) nei confronti di COGNOME NOME, previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle altre circostanze aggravanti, nella misura di undici anni e nove mesi di reclusione; (vi) nei confronti di COGNOME NOME, previa applicazione dell’aumento di cui all’art. 416-bís.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle altre circostanze aggravanti, nella misura di undici anni e nove mesi di reclusione.
Rideterminava la pena nei confronti di COGNOME NOME NOME COGNOME NOME nella misura di un anno e sei mesi di reclusione com concordata con il Pubblico RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Confermava, nel resto, le condanne di tutti gli appellanti per i reati loro rispettivamente ascritti e condannava COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali non avendone accolto, nemmeno in parte, l’appello.
Secondo i Giudici di merito gli imputati sono responsabili, a vario titolo, del reato associativo di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, 416-bis.1 cod. pen., rubricato al capo 1, reato non contestato ai soli COGNOME NOME e COGNOME NOME che, insieme con COGNOME NOME, rispondono esclusivamente del reato di cui agli artt. 110, 416-bis.1 cod. pen., 10, 14, legge n. 497 del 1974, loro ascritto al capo 2. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (detto il NOME) rispondono anche del reato di cui agli artt. 110, 56, 629, comma secondo, 416-bis.1 cod. pen. rubricato al capo 3.
2.Per l’annullamento della sentenza hanno proposto distinti ricorsi il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Napoli, nonché tutti i suddetti imputati, ad eccezione di COGNOME NOME.
3.11 AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha presentato ricorso relativamente alle posizioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME NOME, NOME NOME (cl. DATA_NASCITA) e COGNOME NOME (cl. DATA_NASCITA) e limitatamente alla riqualificazione del reato nella fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e alle rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
3.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione del materiale probatorio.
Lamenta, in estrema sintesi, che la Corte territoriale ha escluso il ruolo apicale dei predetti imputati, figli e nipoti del capo del sodalizio, COGNOME NOME, dei quali ha però contraddittoriamente riconosciuto l’apporto collaborativo fornito al capo durante la detenzione di questi ed, in particolare, la funzione di “reggenti” e
i compiti organizzativi e verticistici disimpegnati all’interno delle piazze di spaccio del Rione Pazzigno da NOME, detto “NOME NOME“, e COGNOME NOME, detto “NOME“, ed il ruolo di organizzatori e supervisori delle piazze svolti da COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME NOME. Non è condivisibile, in particolare, il ragionamento della Corte territoriale che ha escluso il ruolo apicale dei predetti imputati sul rilievo che la gestione e l’organizzazione, pur se indipendenti, venivano comunque svolte in nome e per conto dell’unico ed indiscusso capo del sodalizio, NOME.
Anche a voler ritenere il ruolo preminente di COGNOME NOME, prosegue il ricorrente, non si comprende come questi sia riuscito a dirigere, coordinare ed organizzare le attività del RAGIONE_SOCIALE in maniera del tutto autonoma, soprattutto nei periodi di restrizione in regime detentivo, non registrandosi sul punto alcuna motivazione, incorrendo la Corte territoriale anche nel vizio di omessa motivazione.
La Corte di appello ha anche travisato per omissione le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, già ritenuti pienamente attendibili in primo grado ma anche dai Giudici distrettuali, dalle quali emerge precisamente e chiaramente il ruolo ricoperto da ciascun imputato e l’apporto conferito da ognuno di essi al sodalizio criminale, dichiarazioni delle quali pure la sentenza dà conto ma che sono state inspiegabilmente tralasciate e non prese in considerazione nella valutazione delle qualifiche dei ruoli degli imputati non sussumibili in quelli di meri partecipi.
3.2.Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, con particolare riferimento alla qualifica di organizzatore per la cui sussistenza non è richiesto che l’agente svolga funzioni verticistiche di capo o promotore, essendo sufficiente il disimpegno di compiti gestori del RAGIONE_SOCIALE.
4.NOME COGNOME articola un solo motivo con il quale deduce l’erronea qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 dovendosi ravvisare nel caso di specie il concorso nel reato continuato di spaccio di sostanze stupefacenti piuttosto che quello di RAGIONE_SOCIALE per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
5.NOME COGNOME deduce due motivi.
5.1.Con il primo, sulla premessa in fatto che la sua ipotetica partecipazione al sodalizio sarebbe durata non più di sessanta giorni durante i quali non aveva mai avuto contatti con i vertici associativi ma solo con la sua ex compagna, COGNOME NOME, assolta dal medesimo reato e con la quale discorreva di questioni
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familiari, deduce, in diritto, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., conclusione frutto della errata valutazione, da parte della Corte di appello, delle risultanze probatorie dalle quali emerge, al contrario, che egli non era consapevole della esistenza di una consorteria delinquenziale organizzata, tantomeno di aderirvi. La motivazione è altresì viziata, afferma, nella parte in cui non ha ritenuto di estendere anche a suo favore le ragioni oggettive della assoluzione di COGNOME NOME.
5.2.Con il secondo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in conseguenza della mancata indicazione delle ragioni per le quali, avuto riguardo alla “buona” personalità del ricorrente e al limitatissimo segmento temporale nel quale è stata tenuta la condotta, la pena applicata a titolo di continuazione esterna con i fatti già oggetto di precedente condanna non è stata contenuta nel minimo.
6.COGNOME NOME propone un solo motivo con il quale contesta la decisione della Corte di appello di non esaminare la richiesta di applicazione della continuazione esterna con i fatti oggetto di precedente condanna sul rilievo della mancata allegazione della relativa sentenza e deduce, al riguardo, la contraddittorietà della motivazione rispetto agli atti acquisiti al procedimento, osservando che, in realtà, la sentenza in questione (n. 7079/2017, pronunciata dalla Corte di appello il 10 luglio 2017, irr. il 17 ottobre 2017) era già presente in atti, in particolare nel faldone contraddistinto con il numero 8/8 (“Atti depositati dalla Procura”).
7.NOME COGNOME lamenta, con unico motivo, la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata (e ritenuta) recidiva e deduce, al riguardo, la violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e la mancanza e illogicità della motivazione sul punto.
8.NOME COGNOME lamenta, con unico motivo, la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata (e ritenuta) recidiva e deduce, al riguardo, la violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e la mancanza e illogicità della motivazione sul punto.
9.NOME COGNOME deduce, con unico motivo, l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. e la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione lamentando l’immotivato discostamento dal minimo della pena-base del reato di cui all’art.
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74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e la mancata applicazione fino a un terzo delle circostanze attenuanti generiche.
10.NOME COGNOME articola due motivi.
10.1.Con il primo deduce la violazione degli artt. 192 e 546, lett. e), cod. proc. pen., lamentando che la Corte di appello lo ha condannato sulla base delle dichiarazioni accusatorie di un solo collaboratore di giustizia, COGNOME NOME, asseritamente riscontrate da intercettazioni e controlli di polizia giudiziaria, ma in realtà in assenza di riscontri specifici e individualizzanti, e con motivazione mancante, apparente ed illogica sul punto.
10.2.Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio di motivazione mancante, illogica e contraddittoria in ordine al mancato riconoscimento della fattispecie associativa di lieve entità.
11.NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono, con ricorsi congiunti a firma del comune difensore, la violazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché il vizio di motivazione mancante o manifestamente illogica in ordine alla sussistenza del reato associativo in mancanza di adeguato compendio probatorio relativo alla effettiva identificazione dell’COGNOME come “NOME” o “NOME” e alla effettiva partecipazione del COGNOME al sodalizio.
12.NOME COGNOME (classe DATA_NASCITA) articola due motivi.
12.1.Con il primo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen. avendo la Corte di appello ritenuto sussistente la recidiva, già applicata in primo grado, senza dare minimamente conto delle ragioni giustificative della conferma, benché la sua applicazione costituisse motivo di impugnazione.
12.2.Con il secondo motivo deduce l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli artt. 133 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione alla applicazione della pena-base per il reato di cui al capo A in misura superiore al minimo edittale in assenza di motivazione specifica pur a fronte di richiesta di applicazione del minimo formulata con l’atto di appello.
13.NOME COGNOME e NOME COGNOME (cl. 1990) deducono, con ricorsi congiunti a firma del comune difensore, la violazione degli artt. 125, comma 1, 533, comma 1, 546, comma 3, cod. proc. pen. in conseguenza della mancanza di motivazione in ordine ai criteri adottati per la determinazione della pena-base del reato associativo di cui all’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990, nella misura
di tredici anni di reclusione, certamente superiore alla media normalmente correlata a reati di questo tipo e comunque al minimo edittale.
Con memoria del 14 maggio 2024, il nuovo difensore di NOME COGNOME (DATA_NASCITA), AVV_NOTAIO, ha ulteriormente illustrato le ragioni a fondamento del ricorso.
14.NOME COGNOME propone quattro motivi.
14.1.Con il primo deduce la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in conseguenza della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, non avendo la Corte di appello motivato adeguatamente in ordine alla ritenuta attendibilità intrinseca ed estrinseca (per mancanza di riscontri) dei collaboratori di giustizia rispetto al fatto da provare ed in particolare rispetto alla sua partecipazione, con qualifica di promotore, al sodalizio di cui al capo 1.
14.2.Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 187 e 192 cod. proc. pen., per mancanza e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, nonché per erronea applicazione degli artt. 530 e 533 cod. proc. pen., non avendo la Corte di appello adeguatamente motivato in ordine alla prova certa della sua partecipazione al reato associativo.
14.3.Con il terzo motivo deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. per aver agevolato il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
14.4.Con il quarto motivo deduce l’illogicità della motivazione nella parte in cui è stata negata l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Afferma al riguardo che: a) nessuna intercettazione telefonica è mai stata effettuata a suo carico; b) a fronte di una contestazione del fatto che va dal 2015 al 2020 egli era stato ristretto in carcere dal 31 maggio 2017 al maggio 2019, con conseguente illogicità della conclusione che lo afferma capo indiscusso ed unico del sodalizio e ulteriore profilo di illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui riconosce che durante la sua detenzione erano i figli e i nipoti a reggere l’RAGIONE_SOCIALE stessa, salvo attribuire loro la sola qualifica di partecipi al sodalizio escludendo ogni profilo apicale; c) quanto alla affidabilità oggettiva dei collaboratori di giustizia, del loro narrato e dei relativi riscontri, la Corte di appello si è limitata a condividere le valutazioni del primo Giudice senza confrontarsi con le censure mosse in sede di impugnazione; d) i collaboratori COGNOME e COGNOME avevano fornito dichiarazioni sul delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. non su quello oggetto di odierna regiudicanda e il Giudice di primo grado aveva omesso ogni valutazione sul punto; e) manca la motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
15.NOME COGNOME deduce, con unico motivo, l’erronea applicazione della · circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata, sotto il profilo della finalizzazione soggettiva (agevolazione della RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso conosciuta con il nome “RAGIONE_SOCIALE“), per il reato rubricato al capo 1 (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990) e il vizio di carenza e illogicità della motivazione sul punto.
Afferma, da un lato, la mancanza di prova della attuale esistenza del RAGIONE_SOCIALE in concomitanza, quantomeno, con il delitto associativo per il quale si procede (le sentenze di condanna risalgono al più tardi ai primi anni 2000, gli ultimi procedimenti che ne attestano l’esistenza risalgono al 2005, le dichiarazioni del più recente collaboratore di giustizia che ne ha parlato risalgono al 2009, nessuno dei coimputati è stato mai condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.), dall’altro la mancanza di prova della sua consapevolezza di agire per agevolare il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fondata solo sulla sua appartenenza alla medesima famiglia.
Aggiunge che la circostanza aggravante in questione mal si concilia con la natura permanente del reato cui si riferisce e che, al più, sarebbe l’RAGIONE_SOCIALE camorristica ad agevolare quella finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e non il contrario.
16.NOME COGNOME deduce, con unico motivo, l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli artt. 133 cod. pen., 192 cod. proc. pen., e il vizio di motivazione assente in ordine alle ragioni della determinazione della pena-base in misura superiore al minimo edittale.
17.NOME COGNOME deduce, con unico motivo, la carenza delle prove indicate a sostegno della conferma della sua partecipazione al sodalizio di cui al capo 1, prove – afferma – fondate solo sulle conversazioni intercettate posto che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non è emerso a suo carico nulla di penalmente rilevante, nemmeno in termini indiziari, poiché nessuno di essi ha mai fatto riferimento alla sua persona o ha dichiarato di conoscerlo.
Quanto alle conversazioni intercettate osserva che in base alle stesse: a) egli non può essere identificato nel tal “COGNOME” intercettato dalla polizia giudiziaria; b) non si può in alcun modo desumere la sua partecipazione materiale o morale al sodalizio di cui al capo 1
18.Con memoria del 13 maggio 2024, il difensore di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, ha chiesto che il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO venga dichiarato inammissibile, per aspecificità e perché sollecita una mera rilettura del compendio probatorio, o che sia comunque rigettato nel merito.
Anche il difensore di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, con memoria trasmessa il 13 maggio 2024 ha chiesto che il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO venga dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato (quanto al presunto ruolo apicale del proprio assistito) e perché sollecita una diversa lettura delle prove, immune, invece, dai dedotti travisamenti (peraltro denunziati in violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso, non essendo stati allegati i verbali delle prove asseritamente travisate).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.E’ ammissibile e fondato il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, sono inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Sono assorbiti, per le ragioni che saranno illustrate, i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA), NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA) con esclusione, quanto a quest’ultimo, del motivo relativo alla applicazione della recidiva che è inammissibile.
2.Deve essere preliminarmente dichiarata la inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali hanno concordato la pena con rinuncia ai motivi ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
Come da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico RAGIONE_SOCIALE sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102 – 01).
E’ stato altresì precisato che è tuttavia proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, COGNOME, Rv. 284481 – 01) o l’illegalità sopravvenuta della pena per effetto di declaratoria di incostituzionalità sulla base di limiti edittali divenuti
illegali (Sez. 6, n. 16192 del 16/03/2021, COGNOME, Rv. 280881 – 01; Sez. 6, n. 43641 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277374 – 01) dividendosi la giurisprudenza di legittimità, in caso di pena illegale, solo sulle conseguenze dell’accoglimento del ricorso (venir meno “in toto” dell’accordo sulla pena, sì che la relativa sentenza, impugnata con ricorso per cassazione, deve essere annullata senza rinvio, secondo Sez. 6, COGNOME, cit.; venir meno del solo accordo sulla pena, mentre rimane intangibile la rinuncia ai motivi di appello, sui quali deve ritenersi formato il giudicato, secondo Sez. 6, COGNOME, cit.).
Nel caso di specie non ricorre nessuna delle predette evenienze, avendo i ricorrenti lamentato esclusivamente la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva (motivo rinunciato) e la mancata applicazione del minino edittale, laddove la pena applicata è conforme alle loro richieste.
3.11 ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
3.1.NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA) e NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA) sono ritenuti dall’editto accusatorio organizzatori e promotori del sodalizio di cui al capo 1, capeggiato da COGNOME NOME, con il compito di sovrintendere e coordinare le attività di spaccio di sostanza stupefacente tenendo i contatti con gli acquirenti, impartendo direttive agli altri appartenenti del gruppo. Per questa ragione il Tribunale li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia parametrata per ciascuno di essi nell’ambito dei limiti edittali fissati dal primo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
3.2.In appello i predetti imputati avevano circoscritto l’originario devolutum alla sola qualificazione del titolo di appartenenza al sodalizio, taluni ribadendo anche la contestazione relativa alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
3.3.La Corte di appello ha ridimensionato il loro ruolo associativo qualificandolo come di partecipazione, escludendo dunque ogni ruolo apicale e rideterminando di conseguenza la pena.
3.4.11 Pubblico RAGIONE_SOCIALE se ne duole ed i suoi rilievi sono fondati in base alla sola lettura del testo della motivazione.
3.5.La sentenza impugnata, infatti, dà conto del ruolo assolutamente centrale di NOME, definito “capo indiscusso del RAGIONE_SOCIALE“, che aveva assunto la direzione delle attività illecite dell’organizzazione criminale anche nel settore degli stupefacenti dopo l’arresto del fratello NOME. Ebbene, affermano i Giudici distrettuali, tale attività è stata personalmente e direttamente svolta dal NOME nel periodo che va dal giugno 2017 al marzo del 2019 durante il quale egli aveva diretto in prima persona le attività di spaccio nel Rione Pazzigno «in ciò
collaborato dai suoi diretti familiari, cui erano attribuiti compiti di organizzazione e gestione delle piazze: i figli COGNOME NOME e COGNOME NOME, i nipoti, COGNOME NOME NOME NOME (figlio di NOME), COGNOME NOME e NOME (figli di NOME), nonché il nipote COGNOME NOME (dopo la rottura dei rapporti criminali con COGNOME NOME il NOME – avvenuta tra la fine dell’anno 2018 e l’inizio dell’anno 2019)» (pag. 21; la sottolineatura è del testo). NOME COGNOME, detto il “NOME“, e NOME COGNOME, detto il “NOME“, hanno nel tempo, alternativamente o, anche congiuntamente, sostituito NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei periodi di rispettiva libertà e, dunque, prosegue la Corte di appello, nel periodo precedente la scarcerazione di NOME COGNOME avvenuta 31 maggio 2017, durante il quale il “NOME” (rimesso in libertà 1’8 maggio 2014) e il “NOME” (rimesso in libertà nel mese di giugno 2015) avevano retto «l’organizzazione, collaborati nella gestione delle piazze, con compiti di organizzazione e supervisione delle attività di spaccio e dei pusher, da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME» (pag. 21). Successivamente al nuovo arresto di NOME COGNOME (13 marzo 2019) il RAGIONE_SOCIALE viene retto da NOME COGNOME, detto il NOME, laddove NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano il compito di gestire e dirigere le piazze di spaccio, e ciò fino al mese di agosto 2019 (la Corte di appello indica a sostegno delle proprie conclusioni le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e gli esiti delle intercettazioni telefoniche).
Sulla base di questi dati la Corte di appello esclude il ruolo apicale dei predetti imputati osservando che le loro mansioni, pur significative, non erano svolte in modo autonomo dal punto di vista decisionale, ribadendo la centralità della figura di NOME COGNOME e la sua indiscussa leadership. Costoro, afferma la Corte territoriale, sono «investiti dal reggente, durante la detenzione di costui, di compiti organizzativi in ordine alla gestione della piazza di spaccio. Gli appellanti non sono “titolari” di una piazza di spaccio ma gestiscono la piazza di spaccio del RAGIONE_SOCIALE di appartenenza senza assumere il ruolo primario all’interno dell’organizzazione, agiscono in nome e per conto del capo durante la detenzione di quest’ultimo» (pag. 22; sottolineatura nel testo). In assenza, del capo, dunque era tutta la famiglia coinvolta nella gestione del traffico di stupefacenti nella piazza di spaccio: «a giudizio della Corte, ciò attesterebbe, valutati anche i dati informativi desumibili dalle chiamate in reità dei collaboranti, che i compiti di costoro, per quanto significativi, non hanno mai raggiunto un livello di supremazia decisionale svolgendo compiti, anche organizzativi, per conto e in nome del capo» (pag. 22; corsivo nel testo).
3.6.Tanto premesso, il ricorso del Pubblico RAGIONE_SOCIALE è – come detto fondato.
3.7.Effettivamente sussiste una logica incompatibilità tra le premesse fattuali del ragionamento e le conclusioni che la Corte di appello ne trae per escludere il ruolo (quantomeno) di organizzatori di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA) e NOME COGNOME (cd. DATA_NASCITA). Frattura logica che si alimenta del malgoverno, in fatto, delle prove dichiarative provenienti dai collaboratori di giustizia (per come risultano sintetizzate dalla stessa Corte di appello) e della errata concezione, in diritto, del ruolo di organizzatore del sodalizio, tutt’altro che incompatibile con quello dell’agire in nome e per conto del capo. Che, anzi, è proprio questa caratteristica che qualifica il ruolo dell’organizzatore diversificandolo rispetto a quello del “capo” e a quella del mero esecutore di ordini semplici che non richiedono margini di autonomia e poteri di gestione.
3.8.In tema di RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il ruolo di organizzatore, spettante a colui che coordina il contributo degli associati, a differenza di quello di promotore e di capo, assume una connotazione esecutiva e non richiede che chi lo rivesta si trovi sullo stesso piano dei capi e dei promotori, essendo compatibile, ove l’organizzazione del sodalizio abbia una struttura verticale, con un’attività svolta in posizione di subalternità rispetto al vertice associativo (Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281736 – 02, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure il riconoscimento, ad opera della sentenza impugnata, del ruolo di organizzatore a carico di colui che coordinava i turni di spaccio sulla “piazza” gestita dal sodalizio).
3.9.La mancanza di autonomia nella gestione di una o più delle attività dell’RAGIONE_SOCIALE è caratteristica della figura dell’organizzatore da sempre affermata dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271256 – 01; Sez. 4, n. 45018 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 242032 – 01; Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 02, secondo cui la qualifica di “organizzatore” spetta a chi coordina l’attività degli associati ed assicura la funzionalità delle strutture del sodalizio, non essendo, peraltro, necessario che tale ruolo sia svolto con riferimento all’RAGIONE_SOCIALE nella sua interezza, potendo risultare sufficiente la gestione di una sua rilevante articolazione territoriale e che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva riconosciuto tale ruolo all’imputato che dirigeva più piazze di spaccio operative in un’ampia zona territoriale di un grande centro urbano, effettuava acquisti di stupefacente attraverso i canali del gruppo criminale da destinare poi ai singoli incaricati della vendita al minuto, versava le somme realizzate al capo RAGIONE_SOCIALE camorristico con il quale condivideva i guadagni, poteva contare su un organico di più soggetti a lui sotNOMEsti in tale specifico settore).
3.10.E’ stato al riguardo precisato che la qualifica di organizzatore in un’RAGIONE_SOCIALE a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti spetta a chi coordina l’attività degli associati ed assicura la funzionalità delle strutture del sodalizio, non essendo peraltro necessario che tale ruolo sia svolto con riferimento all’RAGIONE_SOCIALE nella sua interezza, potendo risultare sufficiente il coordinamento di una sua articolazione territoriale (Sez. 3, n. 40348 del 06/07/2016, Martiello, Rv. 267761 – 01, che ha ritenuto corretta la qualifica, ravvisata dal giudice di merito nei confronti dell’organizzatore dello snodo italiano di una RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di stupefacenti, svolto attraverso lo stabile e controllato invio di corrieri dal Sudannerica).
3.11.0rbene, la figura di organizzatori dei predetti imputati emerge chiara dalle stesse argomentazioni della Corte di appello e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per come sintetizzate in sentenza alle pagg. 14 e 15, ed in particolare, di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
3.12.Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. 1990) e NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA) e limitatamente al ruolo da loro disimpegnato nel sodalizio di cui al capo 1, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
4.11 ricorso di NOME COGNOME.
4.1.NOME COGNOME era stato condannato, in primo grado, alla pena di tredici anni di reclusione perché ritenuto responsabile del reato associativo di cui all’art. 74, commi 2, 3 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ai sensi dell’art. 416-6/5.1 cod. pen.
4.22imputato aveva rinunciato, in appello, a tutti i motivi eccezion fatta per quelli relativi alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche (negate in primo grado) e al trattamento sanzionatorio (ritenuto eccessivamente severo).
4.3.La Corte di appello ha applicato le circostanze attenuanti generiche e rideterminato la pena in nove anni di reclusione.
4.4.Questi, pertanto, non si può dolere della erronea applicazione della fattispecie associativa in luogo di quella di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sollecitando peraltro la Corte di cassazione ad una rivisitazione del fatto, avendo egli espressamente rinunziato a tale motivo di appello.
4.5. La rinuncia parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, onde è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Sez. 2, n. 47698 del 18/09/2019, COGNOME,
Rv. 278006 – 01, che ha ritenuto preclusa la possibilità di proporre o rilevare d’ufficio, in sede di legittimità, questioni attinenti alla qualificazione giuridica dei fatti, avendo l’imputato rinunciato ai motivi di appello relativi all’affermazione della responsabilità penale; nello stesso senso, Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015, COGNOME, Rv. 262448 01).
4.6.11 ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.
5.11 ricorso di NOME COGNOME.
5.1.11 ricorrente è stato condannato in primo grado alla pena di venti anni di reclusione perché ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo 1 con il ruolo di partecipe. La pena è stata determinata dal Tribunale applicando la recidiva qualificata e tenuto conto della continuazione con i fatti di cui alla sentenza del 15 novembre 2016 della Corte di appello di Napoli, irr. il 31 gennaio 2017.
5.2.In appello NOME COGNOME aveva delimitato l’ambito dell’originario devolutum alla esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima espansione e alla richiesta di un trattamento sanzionatorio di maggior favore.
5.3.La Corte di appello, rigettata la prima doglianza, ha applicato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle altre circostanze aggravanti e ha rideterminato la pena nella misura di undici anni di reclusione.
5.4.Incontestata, dunque, la partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1, questi lamenta, con il primo motivo, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e la applicazione alla sua persona.
5.5.11 motivo è generico, manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
5.6.Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante, contestata nella sua forma agevolativa (l’aver, cioè, posto in essere la condotta al fine di agevolare il raggiungimento dei fini propri dell’RAGIONE_SOCIALE di tipo mafioso denominata “RAGIONE_SOCIALE“), la Corte di appello spiega che «l’esame complessivo delle emergenze probatorie esaminate consent di affermare che la organizzazione “RAGIONE_SOCIALE” ha come sua principale, ma non esclusiva finalità, lo spaccio di sostanze stupefacenti e pertanto è logico dedurre che tale illecita attività è direttamente funzionale agli interessi dell’RAGIONE_SOCIALE, nel senso che da essa l’RAGIONE_SOCIALE tra i mezzi, forza e prestigio per esercitare il proprio predominio sul territorio. Avvalora questa conclusione il dato emerso dalle conversazioni captate che il RAGIONE_SOCIALE si occupava anche del sostentamento economico o degli affiliati e delle loro famiglie durante la carcerazione dei primi»
(pag. 17). Con specifico riferimento alla posizione del COGNOME NOME, i Giudici distrettuali precisano che questi «aveva rapporti costanti con COGNOME NOME che poi si è preoccupato di garantirgli la difesa, contattando di persona un avvocato; significativa è la circostanza emersa dai colloqui in carcere tra NOME e la moglie, dai quali si apprende che sia il COGNOME che COGNOME, fidando sul legame del COGNOME al RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto alla di lui moglie di utilizzare la sua casa per attività connesse allo allo spaccio» (pag. 18).
5.7.Da questi elementi di fatto (di cui il ricorrente non deduce il travisamento), la Corte di appello ha tratto il convincimento della sicura consapevolezza (anche) del ricorrente che l’attività di spaccio agevolasse la vita del RAGIONE_SOCIALE, facendo così buon governo del principio secondo il quale la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01).
5.8. Il ricorrente neglige completamente la trama motivazionale della sentenza in parte qua limitandosi a opporre argomenti di natura diversa, assertivi, autoreferenziali ed assolutamente irrilevanti (come, per esempio, il non essere un soggetto mafioso), oltre che inammissibilmente fattuali (come la sotNOMEsizione alla Corte di cassazione dello stralcio di una conversazione intercettata intercorsa con la moglie quando egli era in carcere). Nè spiega dove si annidi, nel ragionamento della Corte territoriale, la manifesta illogicità delle conclusioni tratte dai dati di fatto indicati dalla Corte stessa a sostegno delle contestate conclusioni. E’ opportuno altresì aggiungere che anche l’appello era assolutamente generico sul punto riprendendo l’odierno motivo parti del motivo a suo tempo dedicato alla dedotta insussistenza del reato associativo (argomento rinunziato in appello).
5.9.Non vi è dunque piena correlazione tra la ratio decidendi e il motivo di ricorso.
5.10.1 motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni
concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via AVV_NOTAIO ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilità del ricorso – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sotNOMErli a critica, nei limiti – s’intende – delle censure di legittimità (così, in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014).
5.11.Anche il secondo motivo è generico avendo la Corte di appello sensibilmente ridotto la parte di pena applicata a titolo di continuazione, indicata nella misura di tre anni e due mesi in primo grado e ridotta a due anni in appello, difettando lo stesso atto di appello di una specifica (e autonoma) doglianza circa l’entità della pena applicata a titolo di continuazione e la mancanza di motivazione sul punto.
5.12.Anche il ricorso del COGNOME deve perciò essere dichiarato inammissibile.
6.11 ricorso di NOME COGNOME.
6.1.NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di sedici anni di reclusione perché ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo 1 a lui ascritto in qualità di partecipe. La Corte di appello, esclusa la recidiva e, nei suoi confronti, la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle altre aggravanti, in parziale accoglimento del gravame, ha rideterminato la pena nella misura di sei anni e otto mesi di reclusione, confermando nel resto la condanna per il reato associativo e disattendendo la richiesta di applicazione della continuazione con i fatti accertati con sentenza di condanna n. 3627 del 17 novembre 2016 del Tribunale di Napoli, confermata dalla Corte di appello partenopea con sentenza del 10 luglio 2017, irr. il 17 ottobre 2017, sul rilievo della mancata allegazione della sentenza stessa.
6.2.11 ricorrente deduce che, in realtà, la sentenza era stata prodotta dal Pubblico RAGIONE_SOCIALE ed era comunque a disposizione della Corte territoriale siccome contenuta nel faldone 8/8
6.3.Sennonché l’appello era inammissibile, perché generico, sul punto.
6.4.L’istituto della continuazione, la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel delitto, condividono, sul piano oggettivo, il medesimo presupposto di fatto: la
reiterazione dei delitti nel tempo. L’abitualità presunta per legge presuppone, addirittura, che i reati siano della stessa indole, la professionalità nel reato che il reo viva abitualmente, anche solo in parte, dei proventi del reato.
6.52ambivalenza del dato oggettivo impone un maggiore sforzo deduttivo che non si limiti a proporre come tema di discussione astratta l’individuazione degli indici neutri di sussistenza del reato continuato, ma che indichi quale sia, sia pure a gradi linee, questo disegno criminoso perseguito attraverso le reiterate condotte criminose; ciò affinché il più favorevole trattamento sanzionatorio corrisponda ad un unico atteggiamento antidoveroso realmente esistente e non si trasformi da deroga alla regola del cumulo materiale delle pene in un indiscriminato trattamento premiale di favore, sganciato del tutto dai suoi presupposti applicativi (nel senso che l’art 81, ultimo comma, cod. pen., stabilisce che le diverse violazioni si considerano come un solo reato, e ciò per effetto della finzione giuridica che il legislatore, ispirato dal principio del favor rei, ha inteso creare in omaggio a particolari ragioni di equità, sancendo una eccezione all’istituto del concorso di reati, cfr. Sez. U, n. 19 del 20/12/1969, dep. 1970, COGNOME, Rv. 114067 – 01, secondo cui l’istituto della continuazione non dà luogo né ad una circostanza aggravante né ad una attenuante ma configura semplicemente una unità giuridica, in cui le singole infrazioni sono riannodate a quel prius psicologico, che costituisce il disegno criminoso, quale espressione dell’elemento soggettivo, che si distingue dalla comune nozione del dolo; si veda altresì Sez. U, n. 10928 del 10/10/1981, Cassinari, Rv. 151242 – 01, che ha ribadito che il reato continuato lungi dall’essere un reato unico, costituisce la risultante di reati plurimi aventi distinta autonomia e unificati, solo per determinati effetti giuridici, dall’elemento ideativo agli stessi comune, ossia dall’identità del disegno criminoso).
6.6.Nè l’unicità del disegno criminoso può essere confusa con il generico programma di commettere più reati poiché l’art. 81, cod. pen., necessita sempre di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, COGNOME, Rv. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, Rv. 260896; Sez. 1, n. 6553 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203690, secondo cui la unicità del disegno criminoso necessaria per configurabilità del reato continuato e per l’applicazione della continuazione in fase esecutiva non
può identificarsi con la AVV_NOTAIO tendenza a porre in essere determinati reati o comunque da una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, ma le singole violazioni devono costituire parte integrante di un unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato fine).
6.7.Costituisce declinazione pratica di questi principi l’insegnamento secondo il quale, ai fini del riconoscimento della continuazione in sede di cognizione, incombe sull’interessato l’onere di indicazione e allegazione degli specifici elementi dai quali possa desumersi l’identità del disegno criminoso (Sez. U, n. 6480 del 21/04/1979, COGNOME, Rv. 142536 – 01; Sez. 2, n. 2224 del 05/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271768 – 01, che ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello di disattendere la richiesta volta al riconoscimento della continuazione non avendo l’appellante né prodotto la sentenza, né articolato alcun argomento circa la sussistenza di un unico disegno criminoso, limitandosi a richiedere l’acquisizione della pronunzia al collegio; Sez. 6, n. 43441 del 24/11/2010, COGNOME, Rv. 248962 – 01; Sez. 5, n. 18586 del 04/03/2004, COGNOME, Rv. 229826 – 01; Sez. 1, n. 10077 del 27/96/1995, COGNOME, Rv. 202533 – 01, secondo cui tale onere, in sede d’impugnazioni non totalmente devolutive nelle quali si iscrivono l’appello ed il ricorso per Cassazione, si coniuga con l’obbligo della specifica indicazione degli elementi in fatto, delle ragioni di diritto poste a fondamento delle singole richieste e che si intendono come speculari agli errori “in iudicando” ed “in procedendo” dai quali si assume essere viziata la decisione impugnata; Sez. 1, n. 5518 del 18/11/1994, Montagna, Rv. 200212 – 01).
6.8.Nel caso di specie, il COGNOME si era limitato, in appello, a chiedere un aumento minimo per la continuazione con i fatti oggetto della diversa sentenza di condanna senza però articolare un solo argomento a sostegno della riconduzione di tutti i fatti ad una medesima ideazione criminosa mai nemmeno ipotizzata.
6.9.Ne consegue che anche il ricorso del COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
7.11 ricorso di NOME COGNOME.
7.1.11 ricorrente lamenta la eccessiva severità del trattamento sanzionatorio sennonché, fermo restando che la pena-base applicata per il reato a lui attribuito dalla Corte di appello (art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990) è comunque vicina al minimo edittale e di certo di molto inferiore al medio, la questione posta resta assorbita dalle ragioni dell’annullamento, nei suoi confronti, della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul proprio ruolo associativo.
8.11 ricorso di NOME COGNOME.
8.1.NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione perché ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo 1 con il ruolo di partecipe. La pena è stata diminuita in appello in conseguenza della esclusione, nei suoi confronti, della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo stato comunque confermato il suo ruolo associativo.
8.2.11 primo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
8.3.Nel disattendere i rilievi difensivi, la Corte di appello ha condiviso con il primo Giudice la valutazione di positiva credibilità del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME (che aveva riferito che il COGNOME si occupava della piazza di eroina), alla luce di riscontri ritenuti non individualizzanti dall’odierno ricorrente.
8.4.Secondo i Giudici distrettuali l’accertata (e non contestata) presenza, nell’ottobre del 2015, del ricorrente nello stesso appartamento già da tempo (e successivamente) utilizzato dall’organizzazione quale vera e propria piazza di spaccio, mentre si trovava insieme con COGNOME NOME, COGNOME NOME, detto “COGNOMENOME“, COGNOME NOME, detto “COGNOMENOME“, e NOME COGNOME, costituisce, insieme con le conversazioni successivamente intercorse (e intercettate) tra il COGNOME stesso e il cugino, NOME NOME, valido elemento di riscontro della chiamata in reità dell’unico collaboratore che aveva fatto il suo nome.
8.5.11 ricorrente lamenta il malgoverno di tali elementi di prova ma si avvale, in primo luogo, di inammissibili richiami al contenuto di prove delle quali nemmeno deduce il travisamento. Sotto altro profilo, è evidente il tentativo di proporre una visione disarticolata e frammentaria dei singoli elementi di riscontro, essendo altrettanto evidente che la Corte di appello non ha mai inteso fondare la responsabilità dell’imputato in base alla sua sola presenza nell’appartamento sopra indicato, bensì perché si tratta di dato che, letto insieme con le conversazioni intercettate, ha una valenza dimostrativa della effettiva e fattiva condivisione del ricorrente con le attività associative che non può essere messa un discussione in questa sede sollecitando una diversa interpretazione delle conversazioni intercettate.
8.6.L’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E’
possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello RAGIONE_SOCIALE, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo è stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (principio ripreso e confermato da Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, Folino, Rv. 267650, e, successivamente, da Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
8.7.E’ sufficiente notare che il ricorrente non deduce affatto il travisamento del contenuto dei dialoghi intercettati ma, astraendo dalla “ratio decidendi” nella sua organicità e completezza, invita questa Corte di cassazione ad una loro rilettura diretta, inammissibilmente non filtrata dal governo che, sul piano della logica e della valutazione della prova, ne hanno fatto i Giudici di merito.
8.8.Nè è chiara la ragione per la quale non possa costituire valido motivo di riscontro un fatto avvenuto tre anni prima della chiamata in correità; è affermazione che, sul piano logico, si fatica a comprendere. Sotto altro profilo, la presenza del ricorrente nell’appartamento in questione accertata in ottobre, prima cioè della data dalla quale la rubrica stessa fa decorrere la nascita dell’RAGIONE_SOCIALE (mese di novembre di quello stesso anno), è circostanza che non sminuisce, sul piano logico, la credibilità del collaboratore ove si consideri che tale riscontro introduce nel processo (e corrobora) l’informazione probatoria dei sicuri rapporti del COGNOME con persone che avrebbero costituito e fatto parte dell’RAGIONE_SOCIALE e alle quali questi avrebbe fatto riferimento nelle conversazioni intercorse (in costanza di operatività del sodalizio) con il cugino che avevano come argomento proprio la gestione della piazza di spaccio, stesso argomento richiamato dal collaboratore che aveva indicato nel COGNOME proprio uno dei gestori.
8.9.11 secondo motivo è manifestamente infondato.
8.10.11 Collegio ribadisce, al riguardo, l’insegnamento secondo il quale, ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle
concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. Ne consegue che non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una “piazza di spaccio”, che è connotata da un’articolata organizzazione di supporto e difesa ed assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529). Si deve perciò escludere che la gestione della cd. “piazza di spaccio” qualifichi l’RAGIONE_SOCIALE che vi è preposta ai sensi dell’RAGIONE_SOCIALE cd. “minore” di cui al sesto comma dell’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, e ciò alla luce dell’insegnamento secondo il quale la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dei singoli autori di diffondere in modo non episodico, nè occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (Sez. 3, n. 6871 del 08/07/1016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269149; nello stesso senso, Sez. 4, n. 40720 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 270767).
8.11.La RAGIONE_SOCIALE che gestisca una piazza di spaccio non può di conseguenza mai essere qualificata come di tipo minore e ciò a prescindere dalla mancanza di sequestri (mai) operati in occasione delle singole cessioni.
8.12.La Corte di appello ha fatto buon governo di questi principi e la sua decisione è insindacabile in questa sede.
9.1 ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
9.1.1 due ricorrenti sono stati giudicati in primo grado colpevoli del reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, e condannati, rispettivamente, alla pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione, l’COGNOME, e di sedici anni e otto mesi di reclusione il COGNOME cui il Tribunale aveva applicato la recidiva.
9.2.La Corte di appello, esclusa la recidiva e la circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. contestate al COGNOME, applicate a entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle (residue) aggravanti comuni, ha diminuito la pena rideterminandola in otto anni
e sei mesi di reclusione nei confronti del COGNOME e in nove anni di reclusione nei confronti dell’COGNOME.
9.3.Con riferimento alla posizione di quest’ultimo, le deduzioni difensive sono generiche e assertive oltre che fondate su dati estranei al perimetro della motivazione della sentenza impugnata dei quali non viene nemmeno dedotto il travisamento. La Corte di appello ha sciolto il dubbio sulla corretta identificazione del ricorrente nella persona dell’odierno imputato (e non di COGNOME NOME, DATA_NASCITA, detto anche egli “NOME‘ NOME“) in base a dati o del tutto negletti (come quello relativo al rapporto di parentela del ricorrente con COGNOME NOME, sicuro componente del RAGIONE_SOCIALE, che ne aveva sposato la sorella) o immotivatamente censurati, come le convergenti dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia non travisate dalla Corte di appello (ma nemmeno dal Tribunale) e della cui credibilità non è fatta questione in questa sede. Non si vede, dunque, in base a quale ragionamento le informazioni probatorie provenienti dalle predette convergenti dichiarazioni accusatorie, unitamente al dato della parentela con un membro del RAGIONE_SOCIALE, debbano essere estromesse dalla platea degli elementi correttamente valutabili (e valutati) per la decisione. Il ricorrente non lo spiega, non potendosi ritenere dirimente la circostanza che in altre sentenze irrevocabili non si faccia il suo nome ma quello di COGNOME NOME, posto che nessuna di dette sentenze esclude mai che l’NOME facesse parte del medesimo RAGIONE_SOCIALE.
9.4.A non diverse censure si espongono le doglianze relative alla figura del COGNOME la cui sicura appartenenza al sodalizio è stata confermata dalla Corte di appello in base al contenuto di alcune conversazioni telefoniche dalle quali era emerso non solo che il ricorrente lavorava con gli altri associati COGNOME, COGNOME e COGNOME ma che disimpegnava anche compiti tipicamente (e consapevolmente) adesivi al programma associativo. Di tali elementi di prova il ricorrente si disinteressa completamente prediligendo direzionare le proprie lamentele verso generiche considerazioni sul governo della prova e sull’omesso esame di emergenze processuali nemmeno specificamente indicate. Nè la brevità del periodo di osservazione investigativa depone a sfavore della sussistenza del reato di partecipazione al sodalizio in presenza di elementi di prova univocamente idonei a dimostrare la sicura valenza probatoria dei dati utilizzati per la decisione (cfr. sul punto Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01, secondo cui, in tema di RAGIONE_SOCIALE a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare della “affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto
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riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato; nello stesso senso, Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02).
Ne consegue che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
10.1 ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME (cl. DATA_NASCITA).
10.1.Poiché i ricorrenti lamentano la immotivata severità del trattamento sanzionatorio, valgano anche qui le medesime considerazioni già svolte in sede di esame del ricorso di NOME COGNOME.
11.11 ricorso di NOME COGNOME (DATA_NASCITA. DATA_NASCITA).
11.1.11 ricorrente lamenta l’immotivata conferma della recidiva qualificata, ritenuta e applicata sin dal primo grado.
11.2.11 primo Giudice aveva escluso la recidiva contestata per taluni imputati e l’aveva immotivatamente applicata (anche) all’odierno ricorrente cui la rubrica imputa di aver commesso i reati a lui ascritti con recidiva reiterata, specifica ed i nfraq u inq uen na le.
11.3.11 ricorrente se ne era lamentato in appello articolando sul punto specifico motivo (il settimo) con il quale chiedeva la disapplicazione della speciale circostanza aggravante.
11.4.Sennonché, dalla lettura della sentenza impugnata, risulta che il ricorrente aveva rinunciato a tutti i motivi fatta eccezione per quelli relativi alla qualificazione della sua condotta associativa, alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, alla applicazione della pena nel minimo irrogabile.
11.5.0rbene, la rinuncia ai motivi di appello ad esclusione di quello riguardante la misura della pena, comprende anche i motivi concernenti la recidiva, che, pur confluendo nella determinazione della pena come ogni altra circostanza, costituisce capo autonomo della decisione (Sez. 6, n. 54431 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274315 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 2, n. 11761 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259825 – 01; si veda, altresì, Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285702 – 03, secondo cui la rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quelli riguardanti la misura della pena, la concessione delle attenuanti generiche ed il bilanciamento delle circostanze, comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti).
11.6.11 secondo motivo, concernente la misura della pena applicata per il reato ritenuto dalla Corte di appello, resta assorbito dall’accoglimento del ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO. Resta ferma l’inammissibilità del ricorso in ordine alla recidiva le cui statuizioni, sul punto, sono ormai irrevocabili.
12.11 ricorso di NOME COGNOME.
12.1.NOME COGNOME è stato considerato in entrambi i gradi giudizio il capo indiscusso del RAGIONE_SOCIALE che da lui prende il nome.
12.2.11 ricorrente non deduce il travisamento delle prove dichiarative indicate dai Giudici di merito a sostegno delle proprie condivise conclusioni sicché i motivi, semplicemente elencati senza alcuna ulteriore ed autonoma illustrazione delle specifiche critiche riferite a ognuno di essi, sono (anche per questa ragione) generici e inammissibilmente fattuali. La deduzione difensiva secondo la quale «nessun collaboratore afferma che dopo l’arresto del NOME il ricorrente abbia assunto per tutta la durata della contestazione» sollecita una verifica del contenuto del fascicolo del dibattimento non consentita in questa sede di legittimità in assenza, come detto, di travisamento della relativa prova. Sicché non è chiaro dove e perché si annidi la illogicità dell’affermazione della Corte di appello secondo la quale il ricorrente dirigeva l’RAGIONE_SOCIALE anche dal carcere ove era stato nel frattempo ristretto mantenendo il ruolo di unico e solo capo del gruppo. Semmai, l’interrogativo è un altro e riguarda il ruolo disimpegnato da coloro che secondo la Corte di appello hanno svolto esclusivamente il ruolo di partecipi del sodalizio, intercettando le critiche del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO già sopra esaminate (ed in qualche modo anche del ricorrente che si chiede come sia logicamente possibile attribuire ad altri il ruolo di organizzatori e contestualmente ritenerli solo partecipi). L’illogicità, dunque, non gioca a favore del ricorrente, bensì a danno degli altri imputati oggetto del ricorso del Pubblico RAGIONE_SOCIALE.
L’appello del ricorrente in ordine alle circostanze attenuanti generiche (non applicate in primo grado a fronte, oltretutto, di una recidiva qualificata, ritenuta e applicata sin dal primo grado e non oggetto di contestazione in appello) era del tutto generico, essendosi limitato l’imputato a dedurre il “limitato arco temporale di operatività” senza chiarire quale fosse l’oggetto qualificato da tale operatività (se cioè la propria condotta o quella della RAGIONE_SOCIALE). La genericità della deduzione rendeva inammissibile l’appello e con esso l’odierno ricorso, non avendo nemmeno in questa sede specificato il ricorrente quale fosse il parametro di giudizio sotNOMEsto ai giudici del gravame i quali hanno comunque dato una propria risposta sulla tutt’altro che breve durata della sua leadership e della operatività stessa dell’RAGIONE_SOCIALE (iniziata nel 2015 ed in vita per almeno quattro anni).
12.3.11 ricorso è dunque inammissibile.
13.11 ricorso di NOME.
13.1.NOME COGNOME è stato giudicato in primo grado colpevole del reato di cui al capo A, con il ruolo di organizzatore/promotore del sodalizio e condannato alla pena di ventisei anni e otto mesi di reclusione.
La Corte di appello, escluso il ruolo di capo del ricorrente, ha rideterminato la pena nella misura di undici anni e nove mesi di reclusione, confermando nel resto la sua condanna.
13.2.Con l’unico motivo di ricorso, l’imputato lamenta l’erronea applicazione, nei suoi confronti, dell’art. 416 bis.1 cod. pen.
13.3.Richiamati gli argomenti di cui ai §§ 5.6-5.7 che precedono, il Collegio osserva ulteriormente quanto segue.
13.4.Va in primo luogo disattesa la censura difensiva della incompatibilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen.
E’ stato al riguardo già affermato il principio (che deve essere qui ribadito) secondo il quale l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modifiche, in legge 12 luglio 1991, n. 203 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.), è configurabile anche con riferimento al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. 1, n. 45335 del 14/07/2023, COGNOME, Rv. 285719 – 02; Sez. 6, n. 9956 del 17/06/2016, Accurso, Rv. 269715 – 01). Non si vede, del resto, per quale ragione l’RAGIONE_SOCIALE per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti non possa contemplare, nel suo programma, il finanziamento dell’attività del RAGIONE_SOCIALE camorristico gestito dai suoi stessi capi, anche al fine del sostentamento economico delle famiglie dei sodali arrestati.
13.5.Quanto alla persistente esistenza del cd. “RAGIONE_SOCIALE“, la Corte di appello dà conto di plurimi elementi di prova consistiti non solo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma anche degli esiti delle intercettazioni disposte anche in altri procedimenti che ne dimostrano l’operatività almeno fino al mese di giugno dell’anno 2019 (pag. 16).
13.6.Tali elementi sono del tutto negletti dal ricorrente il cui libello difensivo costituisce una sostanziale riedizione dell’atto di appello privo di confronto critico con le ragioni della sentenza impugnata nella sua complessità.
13.7.Ne consegue che anche il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
14.11 ricorso di NOME COGNOME.
14.1.NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di ventisei anni e otto mesi di reclusione perché ritenuto organizzatore/promotore del sodalizio rubricato al capo 1. La Corte di appello ha escluso il ruolo organizzativo e ha rideterminato la pena nella misura di undici anni e nove mesi di reclusione, previo riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod.
– a pen. e delle circostanze attenuanti giudicate prevalenti rispetto alle altre aggravanti. L’imputato (che pure ha beneficiato di un trattamento sanzionatorio prossimo al minimo edittale e in ogni caso inferiore al medio) se ne duole ma le sue doglianze sono assorbite in virtù dell’accoglimento del ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
15.11 ricorso di NOME.
15.1.NOME COGNOME è stato condannato in primo grado alla pena di sedici anni e otto mesi di reclusione perché ritenuto partecipe del sodalizio di cui al capo 1. La Corte di appello, esclusa la recidiva e la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ha rideterminato la pena nella misura di sei anni e otto mesi di reclusione.
15.2.La Corte di appello ha confermato la condanna dell’imputato indicando i seguenti elementi di prova: a) il riconoscimento fotografico effettuato dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME; b) le accertate frequentazioni con altri indiscussi componenti del RAGIONE_SOCIALE nei luoghi deputati alla organizzazione dell’attività di spaccio, in particolare nell’appartamento deputato a piazza di spaccio del sodalizio; c) i dialoghi telefonici intercorsi (ed intercettati) con NOME e con quest’ultimo e NOME COGNOME; d) la condanna per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 consumato il 3 gennaio 2018 in concorso con NOME COGNOME.
15.3.11 ricorrente esclude la valenza individualizzante della testimonianza del COGNOME (che lo riconosce ma afferma di non sapere chi fosse) e propone una diversa lettura delle conversazioni intercettate contestando altresì di identificarsi nell’interlocutore apostrofato dai conversanti come “COGNOME“.
15.4.In appello aveva dedotto l’insufficienza dell’informazione probatoria introdotta dalla testimonianza dell’AVV_NOTAIO che aveva riferito di aver attribuito il soprannome “COGNOME” alla persona del ricorrente non in base all’intestazione dell’utenza intercettata (riconducibile ad una donna che non ha rapporti di parentela con il ricorrente) o all’ascolto diretto delle conversazioni (e dunque di un riconoscimento vocale mai effettuato) ma in base al fatto che quello era notoriamente il soprannome del NOME, fatto però smentito, secondo la difesa, dalla testimonianza di altro ufficiale di PG (che aveva proceduto all’arresto di quasi tutti gli imputati e che da vent’anni operava nella stessa zona) secondo il quale l’imputato non aveva alcun soprannome.
15.5.Va in primo luogo stigmatizzato l’inammissibile utilizzo del contenuto del materiale probatorio del quale il ricorrente non deduce il travisamento con conseguente insuscettibilità di tali elementi a costituire criterio di valutazione della tenuta logica della motivazione in parte qua.
15.6.Quanto al soprannome, l’informazione probatoria introdotta dal · · testimone COGNOME deve essere letta insieme con le altre prove pure indicate dalla Corte di appello alcune delle quali (l’arresto con NOME) totalmente neglette. Quel che non è consentito nella valutazione della tenuta logica della motivazione e della sua aderenza alle prove è la parcellizzazione di queste ultime che esclude la concordanza imposta dal legislatore come criterio di giudizio.
15.7.11 fatto indiziante, infatti, è di per sé normalmente significativo di una pluralità di fatti non noti, per cui in tal caso si può pervenire al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. (così Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230, che ha affermato il principio per il quale l’indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. Peraltro l’apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta – o storica – quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice).
15.8.11 giudice, a fronte di una molteplicità di indizi, deve procedere in primo luogo all’esame parcellare di ciascuno di essi, definendolo nei suoi contorni, valutandone la precisione, che è inversamente proporzionale al numero dei collegamenti possibili col fatto da accertare e con ogni altra possibile ipotesi di fatto, nonché la gravità, apprezzata con i medesimi criteri; deve quindi procedere alla sintesi finale accertando se gli indizi, così esaminati possono essere collegati tutti ad una sola causa o ad un solo effetto e collocati tutti,
armonicamente, in unico contesto, dal quale possa per tale via esser desunta l’esistenza o, per converso, l’inesistenza di un fatto (Sez. 6, n. 9916 del 30/05/1994, COGNOME, Rv. 199451; Sez. 6, n. 7175 del 19/05/1998, COGNOME, Rv. 211129).
15.9.Nel caso di specie, gli elementi indicati dalla Corte di appello devono essere valutati dapprima singolarmente e quindi secondo la loro convergenza verso l’informazione finale. Orbene, l’informazione probatoria introdotta dall’ufficiale di P.G. è certa e precisa e non è contraddetta dall’ignoranza del collega su possibili soprannomi del ricorrente, né da valutazioni di inattendibilità del testimone stesso. Tale informazione si salda con quelle, altrettanto gravi e precise, della sicura conoscenza degli altri sodali e della frequentazione dei luoghi dello spaccio, della condanna insieme con uno di essi per un reato in materia di stupefacenti, del riconoscimento dell’imputato ad opera del COGNOME. La convergenza di tali elementi e il fatto che le conversazioni telefoniche intercorrono proprio con i sodali (ed hanno ad oggetto le dinamiche associative) rende non manifestamente illogica (e dunque non sindacabile) la conclusione cui pervengono i Giudici distrettuali. Il dubbio circa la identificazione del “COGNOME” nell’odierno ricorrente deve poter essere ragionevole e non basarsi su meri astratti possibilismi sganciati da una visione sinottica del quadro probatorio.
15.10.L’impostazione seguita dal ricorrente non è, dunque, condivisibile perché comporta un’inaccettabile rifiuto del metodo di valutazione unitaria (“concordante”, lo definisce l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.) degli indizi con il conseguente abbandono del vero terreno di confronto con la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, rispetto alla quale le doglianze, così come espresse, sono del tutto generiche e parziali (e per certi versi nemmeno decisive).
15.11.Nel resto, le censure difensive, onde escludere il ruolo associativo del ricorrente, propongono l’inammissibile rilettura delle conversazioni intercettate non consentita in questa sede per le ragioni già sopra indicate.
15.12.11 ricorso è dunque inammissibile.
33.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
In accoglimento del ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME (cl. 1990), COGNOME NOME (cl. 1991), COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente al ruolo associativo da essi disimpegnato e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, assorbiti i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. 1990), NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME (cl. 1991) con esclusione, quanto a quest’ultimo, del motivo relativo alla applicazione della recidiva che dichiara inammissibile.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.