Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46987 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46987 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 08/05/1959 avverso l’ordinanza del 28/06/2024 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale il 20/05/2024, a carico, tra gli altri, di COGNOME NOME, accusato di essere organizzatore e promotore all’interno dell’associazione di tipo mafioso denominata “clan Contini”, operante a Napoli fino a tutto il 2023.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, evidenziando, in estrema sintesi, vizi motivazionali e violazione degli articoli 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. circa “la ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in capo al COGNOME del ruolo di organizzatore in relazione al delitto d
capo 1) della rubrica”.
Parte ricorrente sostiene che sarebbero state valorizzate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia datate e già oggetto di valutazione in un precedente giudizio, nel quale ruoli apicali nell’associazione erano stati riconosciuti ad altri soggetti, mentre il fratello del ricorrente, COGNOME Salvatore, pur accusato di essere referente per il “rione Amicizia” del clan COGNOME, era stato condannato, quale mero partecipe, al minimo della pena: sicché analogo ragionamento avrebbe dovuto valere per COGNOME NOMECOGNOME che si assumeva avesse tenuto la reggenza in luogo di COGNOME e che, peraltro, era stato detenuto dal 1999 al 2016. Anche i ruoli apicali, nel medesimo clan, di COGNOME classe 1950 (rimarcato in altra ordinanza custodiale del 20/6/2024) e NOME COGNOME confermavano la subordinazione del ricorrente, da considerare mero partecipe all’associazione.
Nello stesso senso era, secondo il ricorso, il tenore delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: NOME COGNOME aveva indicato, in ordine gerarchico, COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti, peraltro, subordinati a COGNOME NOME, allorché libero; COGNOME NOME, pur avendolo menzionato quale referente del clan COGNOME per il “rione Amicizia”, aveva chiarito che il COGNOME dovesse rapportarsi a COGNOME NOME per le decisioni più delicate; COGNOME NOME, pur riconoscendo ad NOME e COGNOME NOME il ruolo di referenti dei Contini, aveva specificato che “la persona di maggior carisma criminale era certamente NOME COGNOME”
Sarebbe stata trascurata, per parte ricorrente, anche la conversazione riportata a pagina 201 dell’ordinanza custodiale, in cui, parlando col nipote, COGNOME NOME, COGNOME NOME aveva asserito di aver ricevuto la “mesata” di euro 2.000,00, ovvero di essere un mero stipendiato del clan e, come tale, avere un ruolo subordinato.
Gli elementi ulteriori desumibili dalle intercettazioni e valorizzati dal Tribunale del riesame, in realtà, proverebbero solo che COGNOME NOME fosse partecipe del sodalizio, non il suo ruolo di vertice.
In particolare, la mancata convocazione del ricorrente da parte di COGNOME NOME, desumibile da un’intercettazione ambientale avvenuta a casa di COGNOME NOME, dimostrava che COGNOME NOME non avesse il detto ruolo apicale. Dall’incontro del COGNOME con altro soggetto presso il pub Sombrero si desumeva solo che qualcuno avesse chiesto aiuto a lui, piuttosto che al COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è, nel complesso, infondato, non ravvisandosi le addotte
violazioni di legge e neppure vizi di motivazione.
2. Quanto ai secondi, è pacifico che, in tema di misure cautelari personali, il giudice di legittimità debba limitarsi a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto (rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie) delle ragioni che hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato ex art. 292 cod. proc. pen. (che non necessita dell’accertamento della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza) e/o la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01). Il controllo insomma va operato, in positivo, sulla sussistenza di ragioni giuridicamente significative a sostegno della decisione presa e, in negativo, sull’assenza di illogicità evidenti o contraddittorietà o carenze motivazionali (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01).
D’altra parte, è opportuno ribadire, in diritto, che «nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati» (ex multis Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890-01).
Nel caso in esame, come detto, l’ordinanza impugnata non incorre, dunque, neppure nell’assunta violazione di legge allorché rimarca il ruolo verticistico dell’indagato emerso sia dalle numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sia dalle intercettazioni.
Nell’ordinanza genetica ed in quella del Tribunale del riesame il detto ruolo è stato desunto sia dalle dichiarazioni dei collaboratori, alcune delle quali niente affatto datate, come quelle di COGNOME NOME (che ha iniziato di recente, nel 2022, la sua collaborazione), di NOME COGNOME (che, invece, ha iniziato a collaborare nel 2021) e di COGNOME NOME (collaborante dal 24/9/2020), sia dalle intercettazioni.
In particolare, i menzionati collaboratori, pur specificando, come evidenziato dallo stesso ricorrente, che il COGNOME fosse, a sua volta, subordinato all’interno del clan ad altre figure ancor più di vertice, hanno tuttavia confermato la posizione
sovraordinata agli altri associati nell’ambito territoriale allo stesso affidato.
Dalle intercettazioni, poi, si desume che l’indagato discutesse delle attività estorsive da porre in essere e del recupero dei relativi crediti in corso, impartendo disposizioni circa la riscossione e la divisione interna dei proventi criminali. E si desume, ancora, che egli si sia doluto con COGNOME NOME della mancata convocazione da parte del riconosciuto vertice assoluto dell’organizzazione, COGNOME NOMECOGNOME una volta che costui era stato scarcerato: ciò che è stata logicamente ritenuta, dall’ordinanza censurata, come la chiara conferma del ruolo apicale che lo stesso COGNOME si attribuiva (essendosi il COGNOME, secondo il COGNOME, comportato in tal modo per essersi il COGNOME avvicinato al clan COGNOME). Infine, tra le tante risulta, ancora, correttamente valorizzata l’intercettazione nella quale il COGNOME si vantava del rispetto tributatogli da una moltitudine di avventori allorché era stato a cena al “pub Sombrero”: sottolineatura, da parte del medesimo ricorrente, del suo elevato carisma criminale all’interno dell’associazione.
Tutti i predetti elementi, logicamente valorizzati dall’ordinanza impugnata, confermano che la stessa non è affatto incorsa nelle censure dedotte, da ritenersi inammissibili, laddove sollecitano una diversa lettura del materiale probatorio, e infondate, in diritto, nella parte in cui sostengono che solo ai ruoli di vertice assoluto delle organizzazioni criminali vada riconosciuta la qualifica di promotore, dirigente od organizzatore.
Ex art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Trattandosi di provvedimento da cui non consegue la rimessione in libertà del detenuto, una sua copia va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. (ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 30/10/2024
sigliere estensore
Il Presidente