Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33722 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33722 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BELLUNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/09/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 27 settembre 2023 dalla Corte di appello di Venezia, che ha parzialmente riformato – limitatamente al trattamento sanzionatorio – la sentenza del Tribunale di Belluno che aveva condannato COGNOME per il reato di furto.
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, in concorso con NOME, si sarebbe illegittimamente impossessato di undici paia di occhiali, esposti per la vendita nel negozio “RAGIONE_SOCIALE“. In particolare, avrebbe svolto le funzioni di “palo”, con il compito di avvisare la complice, nel caso in cui venisse scoperta, nel momento in cui materialmente sottraeva la merce.
Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 189, 192 e 213 cod. proc. pen., 3 Cost. e 6 CEDU.
Contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che la persona che aspettava NOME all’esterno del negozio fosse proprio l’odierno imputato, sostenendo che tale valutazione si baserebbe solo sulla circostanza che l’imputato avesse un abbigliamento simile a quello che, secondo la descrizione fornita dal dipendente dell’esercizio commerciale, avrebbe indossato il presunto “palo”.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 110 e 624 cod. pen.
Contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che la condotta dell’imputato, che era consistita nella mera presenza sul luogo del fatto, integrasse un’ipotesi di concorso nel reato di furto.
Il ricorrente sostiene che, anche se si volesse ritenere che la persona che aspettava la Ionel all’esterno del negozio fosse proprio l’odierno imputato, non si potrebbe, comunque, ritenere che quest’ultimo avesse fornito un rilevante contributo causale alla commissione del reato. L’imputato, infatti, non era all’interno del negozio e non aveva posto in essere alcuna condotta finalizzata ad agevolare la sottrazione della merce oppure a facilitare la fuga di chi aveva sottratto materialmente la merce.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 110 e 114 cod. pen.
Contesta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., sostenendo che il presunto contributo fornito dall’imputato alla commissione del reato sarebbe, in ogni caso, di minima rilevanza. L’imputato, infatti, si sarebbe limitato ad aspettare la complice all’esterno nel negozio, fornendo un apporto marginale alla commissione del delitto.
2.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 131-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen.
Contesta il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, sostenendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere ostativo all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. l’elevato valore della merce sottratta. Secondo il ricorrente, infatti, in applicazione del principio di offensività, si dovrebb analizzare non solo il dato astratto del valore di un oggetto ma l’effettività del danno causato, che, nel caso in esame, sarebbe del tutto mancante, atteso che la refurtiva era stata successivamente restituita all’avente diritto.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi versati in fatto – sono inammissibili per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Sotto altro profilo, deve essere evidenziato che entrambi i motivi sono manifestamente infondati, atteso che i giudici di merito hanno basato il giudizio di responsabilità, in ordine alla partecipazione dell’imputato alla consumazione del furto, non solo sulla base della particolare descrizione del reo (non limitata al solo abbigliamento) fornita dal dipendente dell’esercizio commerciale, ma anche sulla circostanza che l’imputato era stato sorpreso degli agenti della polizia giudiziaria mentre era nel possesso dell’intera merce sottratta. La Corte di appello ha ritenuto, senza incorre in alcun vizio logico, che il contributo fornito dall’imputat fosse quello tipico del “palo”. Il COGNOME, come contestato nell’imputazione, attraverso la vetrina del negozio, doveva “controllare” l’interno del negozio,
avvisando la complice, nel caso in cui venisse scoperta, nel momento in cui materialmente sottraeva la merce.
1.2. Il terzo motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 6 della sentenza), con le quali il ricorrente non si effettivamente confrontato
La Corte di appello, in particolare, ha ritenuto che l’attenuante non potesse essere riconosciuta, in considerazione del rilevante contributo fornito dal COGNOME alla commissione del reato, nel ruolo – tutt’altro che marginale – di “palo”.
Si tratta di una decisione in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha già affermato che «non può riconoscersi l’attenuante della partecipazione di minima importanza a colui che, nella commissione di un furto, abbia svolto la funzione di “palo”, in quanto il suo contributo, anche se di importanza minore rispetto a quella dei correi, facilita la realizzazione dell’attività crimino rafforzando l’efficienza dell’opera degli esecutori materiali e garantendo loro l’impunità» (Sez. 5 – , Sentenza n. 21469 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281312).
1.3. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, invero, ha dato conto, senza incorrere in errori di diritto e con motivazione effettiva e priva di vizi logici, delle ragioni per le quali non h ritenuto esservi margine per la dedotta causa di non punibilità (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
Quanto all’asserita restituzione della merce all’avente diritto, va rilevato che, a seguito della riforma dell’art. 131-bis cod. pen. operata dal d.lgs. n. 150 del 2022, le vicende successive alla commissione del reato possono assumere rilevanza, ai fini dell’apprezzamento dell’entità del danno ovvero come possibile spia dell’intensità dell’elemento soggettivo (cfr. Sez. 3, n. 20279 del 21/03/2023, Malgrati, Rv. 284617), ma solo in quanto siano relative alla condotta assunta dal reo. L’art. 131-bis cod. pen., infatti, fa espresso riferimento alla «condotta susseguente al reato». Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non ha dedotto che la restituzione della merce sia stata conseguente alla spontanea condotta dell’imputato e, anzi, dalla sentenza impugnata, si desume che la restituzione all’avente diritto sia stata conseguente al fatto che l’imputato era stato sorpreso dalla polizia giudiziaria nel possesso della refurtiva.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 14 giugno 2024.