Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15508 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15508 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 25/01/1959
avverso la sentenza del 23/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avvocato COGNOME del foro di CROTONE nomina dichiarata oralmente all’odierna udienza, in difesa di NOME COGNOME conclude insistendo nell’accoglimento dei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio, disposto dalla sentenza n. 21649 del 3 aprile 2023 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione, ha riconosciuto nei confronti di NOME COGNOME la partecipazione qualificata ai sensi dell’articolo 416-bis, secondo comma, cod. pen. e lo ha condannato alla pena di anni dodici e mesi sei di reclusione ed euro 12.000 di multa.
Vanno in primo luogo premesse, per quanto qui di rilievo, le sentenze concernenti il ricorrente, con specifico riferimento alla imputazione indicata:
con la sentenza del 26 febbraio 2018, il Tribunale di Crotone ha condannato NOME COGNOME per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis, commi primo, secondo, terzo, quinto e ottavo cod. pen. (capo C dell’imputazione) per aver fatto parte della cosca o “‘ndrina COGNOME” quale articolazione dell'”ndrina” di isola Capo Rizzuto, per i reati di estorsione aggravata e per altre ipotesi delittuose, applicandogli la pena di anni sedici di reclusione;
con la sentenza del 18 novembre 2019, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di condanna; e, ai fini che qui interessano, ha assolto dal reato associativo di cui al capo C) NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 87, e NOME COGNOME, rideterminando le pene per i residui reati;
con la sentenza n. 10566 del 11.12.2020 (dep. 2021), la Corte di cassazione, Sezione Prima, ha annullato la sentenza, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla riconosciuta qualità di capo dell’associazione, affermando che dall’iter argomentativo esposto nella sentenza di appello non era possibile comprendere rispetto a quale struttura e a quali associati NOME fosse il vertice, a fronte dell’assoluzione dei suoi congiunti dal delitto associativo. Ha altresì rigettato ricorso del Procuratore generale territoriale, avverso la pronuncia di assoluzione appena indicata.
In particolare, quanto alla fattispecie di cui al comma secondo dell’art. 416-bis cod. pen., nella sentenza si afferma (pag. 62) che «”Se, però, è vero che sulla partecipazione associativa di NOME COGNOME risulta non manifestamente illogica e scevra da vizi giuridici, non altrettanto dicasi per la sua individuazione in un ruolo apicale, di cui ci si duole sia nella seconda parte del secondo motivo, sia nel terzo motivo, sia infine nei motivi nuovi presentati nell’interesse dell’imputato. Invero, i costrutto accusatorio fatto proprio dalla pronuncia di primo grado è nel senso dell’esistenza di una cosca o ‘ndrina COGNOME (si vedano in particolare pagine 671 e 672 di detta pronuncia), il cui vincolo associativo risulta avvalorato dal legame di sangue,
con interessi preponderanti sul villaggio Capopiccolo, «con ruolo di coordinatore per NOME, che conosce i luoghi e le dinamiche da anni, sa e decide il da farsi, soprattutto ha i rapporti con l’esterno ed è in grado di acquisire il riconoscimento all’esterno; ruolo di esecutori per gli altri che attuano il dominio della famiglia e raccolgono i frutti»; e con «capacità intimidatoria propria e derivata», quest’ultima proveniente dal gruppo più vasto di appartenenza di NOME (la locale di Isola) che costituisce «vertice delocalizzato del gruppo facente capo alla Locale di Cutro». Essendo, però, esclusa con motivazione non manifestamente illogica – su cui ci si soffermerà in fra con riguardo all’impugnazione del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro – la partecipazione associativa dei figli e nipoti di NOME COGNOME, la Corte territoriale, ferma restando la partecipazione di quest’ultimo al contesto associativo più ampio di cui si è detto, in diretto collegamento con la locale di Cutro (rectius agli ordini della stessa) capeggiata da NOME COGNOME COGNOME, avrebbe dovuto spiegare in che modo COGNOME possa essere considerato vertice, non ritenendosi comprovata la sussistenza di una cosca RI/lo e la partecipazione associativa alla stessa dei suoi figli e nipoti. Invece, non è dato comprendere dall’iter argomenta tivo esposto nella sentenza di appello rispetto a quale struttura e a quali associati NOME sia vertice, a fronte dell’assoluzione dei suo congiunti dal delitto associativo. Né può desumersi – per implicito – tale ruolo dal mero riconoscimento di autonomia decisionale da parte di COGNOME al prevenuto nella gestione del villaggio Capopiccolo, sufficiente a dimostrare la funzione del medesimo di referente della cosca di Cutro, ma non la sua posizione apicale ovvero di “vertice delocalizzato”, rispetto alla quale i giudici di merito avrebbero dovuto e nel giudizio di rinvio dovranno svolgere il necessario approfondimento valutativo e, quindi, argomentativo”»; – con sentenza n. 1999 del 3 dicembre 2021 la Corte di appello di Catanzaro, su base delle indicazioni fornite dalla sentenza della Corte di cassazione, ha escl sussistenza del ruolo apicale di NOME COGNOME e lo ha condannato alla pena di a dodici e mesi sei di reclusione; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
a seguito di ricorso per cassazione del Sostituto Procuratore generale pres Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 21649 del 2023 la Quinta sezione de Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata, anche in accoglimento del conclusioni del PG secondo il quale la sentenza impugnata nell’escludere la qualif di capo promotore di cui all’art. 416 bis, secondo comma, cod. pen., contestat Riillo al capo C) dell’imputazione, non si era confrontata con altre evidenze probat quali la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 6 giugno 2005 (irrevoca in data 6 marzo 2007) relativa al processo cd. “Scacco matto” che ha accertato qualifica di NOME COGNOME di organizzatore e cassiere del clan Nicoscia sin dicembre 2000 con rapporti con il clan Grande Aracri di Cutro; la sentenza della Cor
di Assise di Appello di Catanzaro del 19 luglio 2018 (irrevocabile in data 4 giugno 2019) che ha accertato l’ascesa di COGNOME e la considerazione che di lui aveva avuto anche negli anni successivi NOMECOGNOME
In tale sentenza la Quinta sezione evidenzia che la Corte territoriale ha escluso la qualifica di capo promotore di NOME COGNOME sulla base di due considerazioni; la prima, derivante dalla circostanza che è stata esclusa la sussistenza di un’autonoma cosca COGNOME a seguito dell’assoluzione dei figli e dei nipoti dalla partecipazione all stessa con la conseguenza che appare illogica l’indicazione del COGNOME quale capo di un’articolazione di cui non si conoscono i partecipi; la seconda, derivante dall’affermazione secondo cui la circostanza che NOME COGNOME abbia riconosciuto autonomia decisionale in capo a NOME COGNOME nella gestione del Villaggio Capopiccolo, se è indice di partecipazione dell’imputato alla cosca, non appare idonea da sola a confermare un ruolo di vertice del COGNOME, in assenza di altre indicazioni da cui desumere un potere decisionale degli affari criminali dell’associazione.
Ciò precisato, la sentenza ha poi affermato che la prima delle motivazioni offerte (mancanza della qualifica di capo promotore in ragione dell’assoluzione dei figli e dei nipoti della cosca COGNOME) è da ritenersi apparente, in quanto la sentenza impugnata ha unicamente riprodotto le medesime considerazioni contenute nella sentenza della Prima sezione di questa Corte allorquando ha annullato la precedente sentenza, là dove invece chiedeva di spiegare in che modo COGNOME potesse essere considerato vertice, non ritenendosi comprovata la sussistenza di una autonoma cosca.
Afferma (p. 16), inoltre, che «La sentenza non ha colmato la lacuna motivazionale rispondendo apparentemente con la seconda delle argomentazioni e cioè che l’autonomia decisionale nella gestione del villaggio, pur essendo indice di partecipazione non è sufficiente a confermare un ruolo di vertice, in assenza di altre indicazioni»; e aggiunge che «la sentenza ha ritenuto assenti altre indicazioni a fronte di un compendio istruttorio corposo e significativo richiamato nel motivo di ricorso, compendio di cui la sentenza impugnata non fornisce alcun tipo di valutazione anche in senso eventualmente favorevole all’imputato COGNOME/lo: Io pretermette interamente».
Nella sentenza di annullamento si afferma dunque che la Corte territoriale ha omesso di valutare che:
COGNOME è stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., qual associato del clan Nicoscia fino al dicembre 2000 con rapporti con il clan Aratri di Cutro, come da sentenza allegata;
COGNOME ha partecipato ad una riunione tenutasi in data 9 agosto 2012 tra i vertici del clan a casa di Grande Aracri unitamente ad eminenti esponenti della ‘ndrangheta
locale con lo scopo, tra le altre questioni, di ristabilire la pace tra il Riillo e Nico Domenico.
Si afferma anche che ha altresì omesso di valutare alcune rilevanti conversazioni telefoniche: conversazione n. 27151 del 23 gennaio 2013 relativa alla designazione ad opera di NOME COGNOME del reggente di Isola Capo Rizzuto nel corso della quale il COGNOME era indicato quale antagonista di COGNOME; conversazioni nn. 5574 e 5576 del 23 luglio 2013 nel corso delle quali il COGNOME rivelava la sua influenza rispetto all’assunzione di lavoratori nei villaggi turistici e la capacità di creare posti lavoro e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME
La sentenza della Quinta sezione della Corte di cassazione ha dunque rilevato «una lacuna motivazionale che deve essere colmata nel giudizio di rinvio in considerazione peraltro de/principio affermato dalla Corte secondo il quale: Nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita de gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. (Nella fattispecie, sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolez in ordine al delitto di cui all’art. 416bis, comma secondo, cod. pen. a carico de/l’indagato che risultava svolgere il ruolo di risolutore di controversie di portata rilevante, in materia di assegnazione di zone di competenza, per la realizzazione di lavori edili ed attività di “movimento terra”). (Conf. altresì n. 10040 del 1987). (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890).»
A seguito di tale annullamento con rinvio, la Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza ora impugnata, ha riconosciuto nei confronti di NOME COGNOME la partecipazione qualificata ai sensi dell’articolo 416 bis, secondo comma, cod. pen., e lo ha condannato alla pena di anni 12 e mesi sei di reclusione ed euro 12.000 di multa.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione mediante distinti atti sottoscritti dai difensori, di fiducia,avv. NOME COGNOME e av NOME COGNOME deducendo i motivi di seguito enunciati in conformità al disposto di cui all’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con l’atto di ricorso, a firma dell’avv. NOME COGNOME il ricorrente ha dedotto due motivi.
4.1. Con il primo motivo ha eccepito la violazione ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. b) ed e), cod proc. pen. degli articoli 416-bis, secondo comma, cod. pen. e 192 cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta affermazione del ruolo apicale del ricorrente nell’ambito della ritenuta associazione di tipo mafioso.
In particolare, ha dedotto che la sentenza impugnata, alle pagine 21 e 22, ha descritto il ruolo apicale del ricorrente con una motivazione illogica e contraddittoria, fondando, in particolare, la decisione sulla partecipazione ad una riunione del 9 agosto 2012 a casa di NOME COGNOME e traendo da tale partecipazione il ruolo apicale del ricorrente.
La difesa ha evidenziato che la Corte territoriale ha omesso di considerare che il ricorrente all’interno della presunta consorteria di appartenenza non godeva di un riconoscimento idoneo ad attribuirgli tale qualifica e ciò in quanto la riunione aveva ad oggetto una diatriba nata con il cognato di NOME NOME, tale NOME NOME il quale vantava una posizione di predominio sul villaggio Capopiccolo.
Quanto ai contenuti della intercettazione del 9 agosto 2012, da cui risulta che il COGNOME intendeva risolvere i contrasti relativi alla gestione del Villaggi Capopiccolo, la difesa ha rilevato che il ricorrente non si era presentato alla riunione spontaneamente, ma a seguito di chiamata e che dalla conversazione intervenuta tra il ricorrente e il COGNOME era emerso che il primo intendeva riferire notizie relative alla sua scarcerazione avvenuta nel 2011, in tal modo evidenziandosi che da allora tra i due non vi è stato alcun contatto.
La difesa ha evidenziato altresì che la lunga intercettazione tra il ricorrente e NOME COGNOME avrebbe confermato l’esclusione della sussistenza di un ruolo apicale, in quanto in essa il ricorrente parlava di sé in termini di partecipazione ad una “locale” ma non quale capo di una “ndrina” né in tale veste gli si rivolgeva il COGNOME.
Contraddittoria, poi, sarebbe la motivazione della sentenza in quanto, a pagina 23, pur prendendo atto che nella conversazione del 23 gennaio 2013 progressivo 27151 Grande Aracri si poneva il problema di designare un reggente per la locale di Isola Capo Rizzuto, valutando anche la figura del ricorrente per poi preferendogli NOME COGNOME non giunge a considerare l’insussistenza del ruolo apicale attribuito al ricorrente.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod proc pen. in relazione al vizio d motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il diniego delle attenuanti generiche si reggerebbe su una motivazione soltanto apparente come evincibile dalla pagina 25 della sentenza impugnata, fondandosi sull’ astratta gravità del reato, ciò che invece non sarebbe consentito dal momento che la gravità è già presa in considerazione dal legislatore nella determinazione della pena edittale.
Con l’ulteriore atto di ricorso, a firma dell’Avv. NOME COGNOME il ricorrente ha dedotto, con un unico motivo, la violazione, ai sensi dell’articolo 606, comma 1,
lett. b), cod proc. pen. dell’art. 416-bis, secondo comma, cod. pen. e la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen.
La difesa ha eccepito, in particolare, che la motivazione a fondamento della sussistenza del predetto ruolo non sarebbe sorretta da basi logiche in quanto, accertata l’insussistenza della realtà associativa denominata “ndrina COGNOME” e del ruolo di capo della stessa, si è preteso di attribuire la qualifica apicale al ricorrente sull base di una intercettazione di una conversazione intercorsa tra il ricorrente e NOME COGNOME e altri soggetti.
Nel ricorso in particolare si è evidenziato che la sentenza impugnata sarebbe dovuta pervenire, a seguito dei due annullamenti con rinvio, all’unica conclusione possibile ovvero all’esclusione radicale del ruolo direttivo del ricorrente.
Più specificamente si è dedotto che la pronuncia impugnata è incorsa in un errore di diritto in ordine ai presupposti applicativi dell’articolo 416-bis, second comma, cod. proc. pen. in quanto, da un lato, si è soffermata sulla sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 6 giugno 2005 (irrevocabile il 6 marzo 2007) con la quale il ricorrente è stato condannato, quale cassiere e organizzatore del clan Nicoscia di isola di Capo Rizzuto e che faceva riferimento al ruolo svolto con riferimento al periodo fino all’anno 2000, dall’altro è giunta ad affermare erroneamente che dal 2010 al 2013 il ricorrente ha mantenuto ruoli organizzativi e di coordinamento.
Tale ruolo apicale deriverebbe, secondo il provvedimento impugnato, dalla partecipazione del ricorrente al summit con esponenti della locale di Cutro, in cui si assume che si pianificavano attività estorsive e attività connesse alla gestione dei villaggi turistici, riunione che invece avrebbe avuto ad oggetto il superamento del contrasto tra il ricorrente, NOME e COGNOME Domenico circa la gestione del villaggio di Capopiccolo.
Tale conclusione si porrebbe in contraddizione con la successiva affermazione secondo cui i due elementi apicali della locale di Isola di Capo Rizzuto, COGNOME e COGNOME, erano sottomessi alla volontà di colui che in quel momento governava le componenti della locale di isola di Capo Rizzuto, ovvero di COGNOME.
Si è dunque ritenuta la illogicità del provvedimento dal momento che se il ricorrente fosse stato sottomesso e avesse risposto alle direttive altrui non poteva ricoprire alcun ruolo di vertice.
Il ricorso si è soffermato poi sulla conversazione del 23 gennaio 2013, progressivo numero 27151, già sopra indicata e sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME evidenziando che non si tratta di dati probatori idonei a far ritenere integrato il ruolo apicale.
Si è evidenziato, poi, ancora una volta l’illogicità del percorso motivazionale là dove la sentenza impugnata, pur affermando che il ruolo direttivo del COGNOME non possa discendere dal fatto che egli coordinasse una “ndrina COGNOME” a base familiare, per
essere stati i congiunti assolti dalla contestazione associativa, ha concluso che il ricorrente una volta scarcerato è stato riposizionato nel ruolo già ricoperto di apicale referente di uno dei villaggi turistici svolgendo funzioni di coordinamento e organizzative, avendo già coperto compiti organizzativi.
In conclusione, si è eccepito che il provvedimento impugnato ha tratto il ruolo apicale del ricorrente dai rapporti con NOME COGNOME dalla presenza, dalla posizione e dai poteri decisionali nell’ambito del villaggio di Capopiccolo, mentre le conversazioni intercettate e la partecipazione al summit non comproverebbero tale ruolo apicale, con ciò dando luogo ad una motivazione in contrasto con la disposizione di cui all’articolo 627 cod. proc. pen., avendo la sentenza fatto cattivo uso delle indicazioni della Cassazione che imponeva una valutazione attenta e analitica di determinate evidenze che invece è stata eseguita in maniera superficiale e apodittica.
Con requisitoria orale, il Sostituto Procuratore generale della Cassazione, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In via preliminare deve evidenziarsi che il giudizio di legittimità può avere ad oggetto soltanto i vizi dedotti con i motivi di ricorso, anche ai sensi dell’art. 611 comma 1, cod. proc. pen., sicché vanno ritenute inammissibili le censure nei confronti del provvedimento censurato che vengano per la prima volta formulati dalla difesa in sede di discussione orale.
Sulla base di tale principio, deve pertanto dichiararsi inammissibile la doglianza formulata dall’avv. NOME COGNOME innanzi al Collegio all’udienza del 25 febbraio 2025, con la quale è stata prospettata, peraltro in termini assolutamente generici, la pendenza di un analogo procedimento penale nei confronti del ricorrente, così asserendo una non meglio precisata violazione del principio del ne bis in idem.
Ciò precisato, il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Il primo motivo dell’atto di ricorso dell’avv. COGNOME e l’atto di ricors dell’avv. COGNOME devono essere trattati congiuntamente, essendo tra loro strettamente connessi perché entrambi diretti a censurare la sentenza impugnata in ordine alla illogicità e contraddittorietà della motivazione circa l’affermazione della sussistenza del ruolo di direzione del ricorrente, nell’ambito della ritenuta associazione di tipo mafioso.
Va rilevato che la decisione impugnata, nel pervenire al riconoscimento della partecipazione cd. qualificata del ricorrente, ha puntualmente adempiuto all’onere di colmare le lacune motivazionali indicate dalla sentenza della Quinta sezione della
Corte di cassazione e, a tal fine, ha considerato ulteriori dati probatori, in conformità al principio affermato da questa Corte secondo cui, in caso di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio ha pieni poteri di cognizione e, salvi i limi derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, COGNOME, dep. 2024, Rv. 285801- 02).
Ciò premesso, i motivi di ricorso non colgono nel segno in quanto i giudici del rinvio hanno esaustivamente analizzato, dandone adeguato conto nella motivazione, in primo luogo, la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 6 giugno 2005 (irrevocabile il 6 marzo 2007) che aveva affermato la responsabilità del COGNOME come cassiere e organizzatore del clan Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto, ponendo in rilievo come dalla sentenza sia emerso che il ricorrente fino all’anno 2000, oltre a rivestire il ruolo di cassiere, aveva il potere di intervenire nel regolamento di conti tra clan, e nei rapporti con altri clan, nonché nelle riunioni con gli affiliati. Con tale sentenza s è pertanto riconosciuto al ricorrente un ruolo direttivo e organizzativo, ai sensi dell’art. 416-bis, secondo comma, cod. pen.
Muovendo da tale premessa, la sentenza ha poi esaminato gli elementi probatori a sostegno del ruolo apicale rivestito dal ricorrente, affrontando lo specifico tema, oggetto di doglianza del secondo ricorso, ovvero se, una volta scarcerato, il COGNOME abbia mantenuto tali prerogative organizzative e di coordinamento anche alla luce dell’avvenuta assoluzione dei suoi familiari.
Sulla sussistenza di tale profilo, già indicato nella prima sentenza di annullamento quale elemento da approfondire e nuovamente indicato anche nella seconda sentenza di annullamento della pronuncia assolutoria sul punto, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione congrua e puntuale.
Infatti, i giudici del rinvio a pagina 23 della sentenza, dopo aver dato conto di una molteplicità di elementi da cui trarre il ruolo apicale del ricorrente, più avanti evidenziati, hanno rilevato che «pur non potendosi affermare che il ruolo “direttivo” di COGNOME discenda dal fatto che egli coordinasse una ‘ndrina COGNOME a base familiare (atteso che i congiunti sono stati assolti dalla contestazione associativa) è provato che il ricorrente, che già aveva ricoperto compiti organizzativi nella locale di Isola, una volta scarcerato sia stato riposizionato nel ruolo già ricoperto, non di semplice partecipe, ma di soggetto apicale referente di uno dei villaggi turistici svolgendo funzioni di coordinamento e organizzative».
La sentenza si è, dunque, confrontata con la circostanza dell’assoluzione dei propri familiari dalla fattispecie associativa riferibile ad una “ndrina COGNOME” a bas
familiare (indicata nella parte finale dell’imputazione), dando poi conto, con congrua motivazione, della sussistenza del ruolo di vertice del Riillo della associazione di tipo “RAGIONE_SOCIALE“, Locale Isola di Capo Rizzuto.
Pertanto, pur evidenziando l’insussistenza della “ndrina COGNOME“, la sentenza impugnata ha esaustivamente affrontato il tema della configurabilità del ruolo qualificato del COGNOME nel sodalizio criminoso, alla luce di una motivazione che si è sviluppata secondo precisi passaggi argomentativi, analizzando e colmando le lacune motivazionali indicate dalla sentenza di annullamento della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e non limitandosi a ciò soltanto.
In primo luogo, la sentenza si è soffermata sulla partecipazione del Riillo alla riunione del 9 agosto 2012 convocata da NOME COGNOME, capo della Locale di Cutro, evidenziando che «le intercettazioni hanno fornito un resoconto in diretta» dell’oggetto della riunione e cioè il superamento del contrasto tra il ricorrente e NOME COGNOME, cognato di NOME COGNOME (vertice della stessa locale di Riillo, per come accertato con la sentenza irrevocabile) oltre che quello tra Riillo e COGNOME.
Sul punto, deve rilevarsi che il provvedimento ha evidenziato che a tale riunione partecipavano anche esponenti apicali della cosca di Arena di Isola, NOME COGNOME e il suo vicario COGNOME NOME, il nipote di NOME COGNOME e COGNOME NOME, braccio destro di NOME COGNOME, provvedendo a illustrare l’oggetto della riunione, individuato in quello di ricollocare il COGNOME nella gestione d Villaggio di Capopiccolo, conferendogli nuovamente il primato in tale gestione (primato gestionale affermato nella sentenza irrevocabile 6 marzo 2007), direzione che era stata assegnata a NOME nel periodo di detenzione del ricorrente.
L’affermazione di apicalità del ruolo del ricorrente risulta delineata, con argomentazioni logiche e coerenti, a pagina 22 della sentenza in cui Collegio ha rilevato che dalle conversazioni avvenute nel corso della citata riunione è derivata la dimostrazione del potere del Grande Aracri e del ruolo direttivo di Riillo, il quale ha partecipato ad una riunione alla presenza soltanto di componenti di spicco dell’associazione ‘ndranghetista” e nella quale al ricorrente, proprio perché detentore di un potere decisionale con riferimento alla gestione dei villaggi turistici, è stata lasciata la decisione se continuare a far lavorare NOME COGNOME
Ne consegue che le doglianze difensive prospettate con entrambi i ricorsi non scalfiscono la coerenza logica della motivazione sul rilievo da attribuire alla riunione ed alla intercettazione del 9 agosto 2012 e sul ruolo qualificato del ricorrente, mirando piuttosto a prospettare una non consentita diversa ricostruzione dei fatti, il cui accadimento non è in discussione.
Inoltre, nessun profilo di contraddittorietà del percorso motivazionale del provvedimento impugnato si ravvisa a pagina 22 della sentenza, dove i due elementi apicali della Locale di Isola, ossia il COGNOME e il COGNOME, vengono indicati come
sottomessi alla volontà di NOME COGNOME in quanto, come rilevato n provvedimento, tale affermazione va valutata alla luce del particolare contesto n quale, in quel momento, il COGNOME è il vertice “delocalizzato” della detta Loc di Isola, perchè capo della Locale di Cutro.
La prova della sussistenza del ruolo apicale del ricorrente è stata ulteriormente corroborata nella parte della motivazione in cui i giudici han evidenziato, altresì, che il COGNOME non era un soggetto che si limitava a lavora Villaggio Capopiccolo, sottolineando che egli gestiva il villaggio e poneva in ess condotte estorsive, proprio grazie al potere mafioso che gli derivava dalla posizi rivestita. E, inoltre, un ulteriore approfondimento idoneo a supportare la decisi censurata si ritrova nella parte della motivazione in cui i giudici di appell riferimento alla riunione e ai rapporti con NOME COGNOME hanno dato conto d circostanza che il contrasto con COGNOME nascondeva un più ampio conflitto con Nicoscia, in relazione al quale NOME COGNOME aveva accolto le rivendicazio del Riillo, lasciando a lui la scelta, appunto quale espressione del potere decisi nell’ambito dell’attività di gestione del villaggio, se consentire al Nicos continuare a lavorare.
A tale episodio la sentenza attribuisce la dimostrazione, ancora una volta, d ruolo apicale del COGNOME, evidenziando la ricomposizione di conflitti tra soggett rivestono ruoli di vertice, appunto il COGNOME e il ricorrente.
Priva di fondamento appare poi la doglianza relativa alla conversazione del 23 di gennaio 2013 progressivo n. 27151, in quanto la sentenza impugnata, a pagina 23, ha ben fatto comprendere come il Grande COGNOME avesse scelto COGNOME NOME come reggente dell’Isola di Capo Rizzuto, tra coloro che già rivestivan posizioni di rilievo organizzativo, tra cui appunto il COGNOME.
Con motivazione che non appare affatto illogica, la sentenza impugnata ha dato atto che la scelta come reggente della Locale di Isola di una persona diversa ricorrente, che al pari dell’altro (Lequoque) rivestiva una posizione organizzativa, per questo ne esclude il ruolo direttivo, precisando al riguardo che la scelta tra apicali era ricaduta sul secondo perché figura meno divisiva.
La pronuncia censurata non ha trascurato di valutare, poi, le dichiarazioni re dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME dalle quali i giudici di appello tratto elementi per affermare che il Villaggio di Capopiccolo, che era un cen strategico e operativo per il gruppo criminoso, grazie alla presenza del ricorre consentiva alla cosca di favorire le latitanze, garantire assunzioni, di sodali e popolazione di Isola, gestendo l’assegnazione dei servizi di lavanderia, rif manutenzione ecc., costringendo, altresì, coloro che fossero in cerca di occupazion a rivolgersi alla cosca.
Il ruolo egemone del COGNOME viene definitivamente evidenziato dalle ulterio conversazioni intercettate e riportate nella sentenza impugnata alle pagine 87 e tra COGNOME e COGNOME, dalle quali risulta che il ricorrente racconta che la gestio Villaggio serviva a legare la popolazione alla cosca costituendo una fucina di posti lavoro stagionali, tali da garantire il sussidio di disoccupazione nei mesi succes avendo il COGNOME la gestione del Villaggio, la popolazione non poteva che rivolgersi a e agli altri vertici del sodalizio.
Le conclusioni cui la sentenza è pervenuta sono ulteriormente confortate dal richiamo a quanto affermato nella sentenza della Corte di Assise di Appello d Catanzaro del 19 luglio 2018 (irrevocabile in data 4 giugno 2019) in cui è st ricostruito che, nel periodo indicato nell’imputazione, NOME COGNOME NOME e vertice “delocalizzato” della Locale di Isola, rimasta senza guida a causa delle gu tra la famiglia COGNOME e la famiglia COGNOME, in ciò dovendosi individuare la ragione summit da lui convocato
In conclusione, il Collegio, con motivazione puntuale e dettagliata, immune da vizi di illogicità, ha esaustivamente indicato gli elementi a sostegno del ruo coordinamento e di organizzazione del Riillo, fugando ogni ragionevole dubbio sulla configurabilità della sua partecipazione qualificata al sodalizio “ndranghetisti rispondendo pienamente alle indicazioni della sentenza di annullamento della Quinta Sezione della Corte di cassazione.
Sotto tale profilo, si ritiene utile richiamare i principi ribaditi da Sez. I, del 30/11/2023 dep. 2024, COGNOME Alex, secondo cui «in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta n precedenti gradi e una tale preclusione è tanto più stringente quando le doglianze risolvono, come nel caso di specie, in rilievi che, sollecitando una diversa lettur materiale probatorio, attingono il merito della regiudicanda. A questo proposito Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno, più volte, impartito la lezi interpretativa alla luce della quale il vizio di motivazione – che deve risultare dal del provvedimento impugnato o, a seguito della novella ex art. 8 della legge 2 febbraio 2006, n. 46 del 2006, da altri atti del processo specificamente indicat ricorso – in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedim sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una dive ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesc Rv. 205621-01). Infatti, come più volte affermato dalla Corte regolatrice, l’indag di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circosc dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espre volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomenta
sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione; la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente (manifesta: cfr. testo dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.), cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi” dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché le ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074)».
In conclusione, alla luce delle esposte ragioni e dei principi richiamati, i motivi di ricorso devono ritenersi infondati in quanto i giudici di merito, con una pronuncia che mostra linearità e chiarezza, hanno dato atto delle ragioni del loro convincimento, indicando le fonti di prova di cui hanno tenuto conto nel percorso motivazionale, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato.
2.2. Manifestamente infondato è, poi, il secondo motivo dell’atto di ricorso dell’avv. COGNOME con cui si è dedotta l’assenza di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Con argomentazione esaustiva, sebbene sintetica, i Giudici della Corte d’Appello di Catanzaro hanno ritenuto di non applicare la disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen., alla luce della personalità del ricorrente e delle condanne per delitto associativo, parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., facendo, dunque, corretta applicazione del principio secondo cui per escludere o per ritenere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2 n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02).
Né, va aggiunto, la difesa ha offerto elementi di segno positivo, idonei ad incidere sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, PG C/COGNOME Claudio, Rv. 275640 – 01).
3. Alla luce delle ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, seguendo a tale esito l’onere delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 25 febbraio 2025
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Il Presidente