Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3885 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3885 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a CATANIA il 21/02/1990
avverso l’ordinanza del 08/08/2024 del TRIBUNALE di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che si è riportato alla requisitoria in atti chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
È impugnata l’ordinanza del 08/08/2024 con la quale il Tribunale del Riesame di Catania ha confermato l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale che ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto NOME Daniele:
indiziato del reato di cui all’art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 cod. pen., in quanto responsabile del “Gruppo Stazione” costituente articolazione territoriale di Cosa Nostra catanese, in particolare della famiglia “Santapaola-Ercolano”, valorizzando gli esiti dell’attività di captazione disposta nei confronti del ricorrente e di altri sodali e dell’attività di osservazione e controllo sul territorio, evidenzianti una intensa attività nel settore delle estorsioni ed una “gestione” del territorio oltre nello spaccio di sostanze stupefacenti;
del reato di cui all’art. 73, commi 1 e 6, D.P.R. 309/90, 416 bis.1 cod. pen. per la cessione di 50 gr. di cocaina a Greco Rosario sulla base delle risultanze di attività di osservazione e controllo sul territorio, culminate nel sequestro della sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dell’acquirente;
dei reati di tentata estorsione aggravata (in danno di COGNOME NOME) e di estorsione aggravata (in danno di COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME) sulla base delle risultanze captative acquisite.
Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia di COGNOME, articola due motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia vizi di violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attribuzione al ricorrente di un ruolo apicale in seno alla associazione mafiosa Santapaola Ercolano, gruppo Stazione.
Evidenzia la carenza di motivazione per la mancanza di elementi (anche di dichiarazioni di collaboratori di giustizia) da cui desumere una posizione di supremazia del ricorrente rispetto ad altri correi in quanto le intercettazioni evidenziano una semplice frequentazione ed eventuale cointeressenza del ricorrente in determinate imprese criminose, mentre nessuno dei collaboratori di giustizia ha parlato del ricorrente come di un loro “capo”.
Deduce, con richiamo di argomenti giurisprudenziali, che l’attribuzione della qualifica di responsabile richiede la verifica dell’effettivo esercizio del ruolo di vertice che lo renda riconoscibile, sia all’esterno che nell’ambito del sodalizio.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e di motivazione con riferimento al capo 20) di imputazione (estorsione a danni di Buttafuoco).
Deduce che le dichiarazioni della persona offesa escludono che possa ritenersi integrata la fattispecie contestata dell’estorsione, dato il mancato riferimento a minacce o violenze: il rapporto fra la persona offesa ed il ricorrente (e prima ancora con COGNOME NOME) si è snodato lungo un diverso
binario, essendosi trattato di mero rapporto creditorio senza interessi, nell’ambito del quale lo Strano è intervenuto quale terzo per conto del creditore nel frattempo arrestato (COGNOME NOME), senza porre in essere minacce o violenze.
Sotto tale profilo, richiama precedente arresto giurisprudenziale (Sez. 2, n. 11282 del 02/10/1985) per rilevare che la condotta del ricorrente, priva di connotati di violenza e comunque volta esclusivamente ad aiutare il COGNOME nel recuperare il proprio credito, sarebbe suscettibile di essere, al più, inquadrata nella diversa fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen.
Il Sostituto Procuratore generale si è riportato alla requisitoria in atti, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
È infondata la censura difensiva, sollevata con il primo motivo, in ordine al ruolo apicale contestato al ricorrente nel sodalizio mafioso di riferimento, sul presupposto della mancanza, nel corpo motivazionale del provvedimento impugnato, di riferimenti concreti al medesimo ruolo. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge, o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: il controllo di legittimità non può riguardare né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal Tribunale, pur investendo formalmente la motivazione (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266939; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; da ultimo v. Sez. 2, n. 7263 del 14/01/2020, COGNOME, non mass.).
La doglianza difensiva non indica da quali specifici passaggi motivazionali emergerebbe il vizio di manifesta illogicità in relazione ai temi sollevati e non si
confronta con la motivazione del provvedimento impugnato che, in modo esaustivo e dettagliato, attraverso la sintesi degli elementi più rilevanti che compongono il compendio indiziario, acquisito attraverso una complessa attività tecnica di indagine e sul territorio compiuta dalle forze dell’ordine, ha ritenuto pienamente riscontrata, sia pure con i limiti insiti nel giudizio cautelare, l’impostazione accusatoria delineata attraverso la contestazione provvisoria ed il richiamo alla fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 416 bis cod. pen., disattendendo in pieno la tesi difensiva sostenuta in ordine alla presunta “posizione paritaria ed orizzontale con gli altri associati” assunta dal ricorrente (pag.40 del provvedimento impugnato). Nel corpo motivazionale del provvedimento sono ampiamente illustrate, attraverso il richiamo di pertinenti passaggi delle conversazioni intercettate, le evidenze acquisite, indicative di un ruolo di supremazia esplicato dal ricorrente nella gestione del gruppo malavitoso della “Stazione”. Particolare risalto è stato dato alle risultanze acquisite: in ordine alla gestione delle estorsioni (in tal senso si consideri il tenore delle conversazioni del 27 e 28 settembre 2023 nelle quali il ricorrente avvisava COGNOME NOME, responsabile di altro gruppo territoriale, di avere avviato tutta una serie di attività estorsive nel territorio di sua competenza; della conversazione dal carcere, fra il ricorrente ed il sodale NOME COGNOME del 24 novembre 2023, da cui si desumono le direttive dal carcere date dal ricorrente per la prosecuzione delle estorsioni in corso, con indicazione dell’esistenza di un “Libro mastro”, custodito dal padre, ove erano indicate le cifre estorte; della conversazione del giorno successivo, con il sodale COGNOME AlessandroCOGNOME nel corso della quale quest’ultimo, a richiesta, forniva un dettagliato rendiconto sulla destinazione data alla somma illecitamente riscossa attraverso la gestione abusiva dei parcheggi nella zona; infine, il contenuto del messaggio del ricorrente, a se stesso, del 16/10/2023 da cui risultano nomi e cifre degli stipendi che il medesimo pagava agli affiliati del suo gruppo). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Relativamente all’attività di spaccio di stupefacenti è stata data rilevanza alle conversazioni del 15/11/2023, e successive, relative all’episodio di cessione di droga a Greco Rosario da cui si evidenzia un ruolo di organizzatore del ricorrente rispetto a tale operazione.
La doglianza articolata è generica in quanto ancorata ad una laconica critica della motivazione espressa dal provvedimento impugnato senza evidenziare quali diversi elementi, per contro, potrebbero essere valorizzati per sostenere un rapporto di parità fra il ricorrente e gli altri sodali con i quali si interfaccia.
Sotto il profilo in esame, il provvedimento impugnato si colloca nel solco degli insegnamenti di questa Corte secondo cui l’assunzione del ruolo apicale, configurabile non solo nei confronti di chi si ponga al vertice dell’organizzazione,
ma anche di colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del sodalizio e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890 – 01; Sez. 4, n. 29628 del 21/06/2016, Pugliese, Rv. 267464-01, Sez. 2, n. 19917 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 255915-01) deve collegarsi ad una condotta obiettiva e manifesta, almeno sotto l’aspetto sintomatico, così da divenire riconoscibile e riconosciuta, oltre che ab externo, nell’ambito del sodalizio e realizzando quindi un effettivo risultato di assoggettamento interno (Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262487; Sez. 6 n. 40530 del 31/05/2017, Rv. 271482-01; nonché Sez. 5, n. 33186 del 22/02/2019, Rv. 276589, secondo cui «in tema di partecipazione ad associazione mafiosa, la titolarità di una “piazza di spaccio” per conto della propria famiglia criminale, confederata all’interno dell’unico e più ampio sodalizio mafioso di riferimento», può costituire un elemento da cui desumere l’avere del sodalizio stesso un ruolo apicale).
3. È infondato il secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato nell’avere ritenuto integrata la fattispecie estorsiva, di cui al capo 20), piuttosto che quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza sulle persone.
L’art. 393 cod. pen. punisce la condotta di chi, al fine di esercitare un preteso diritto “potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo mediante violenza o minaccia sulle persone”.
La dottrina è pressoché concorde nel ritenere che, attraverso l’incriminazione dei fatti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è stato perseguito lo scopo di impedire la violenta sostituzione dell’attività individuale all’attività degli organi giudiziari, onde evitare che il privato si faccia ragione con le proprie mani, compromettendo la pubblica pace; coerentemente con tale ratio dell’incriminazione, l’oggetto della tutela è stato ravvisato in un interesse pubblico, e precisamente nell’interesse dell’Autorità giudiziaria all’esercizio esclusivo dei suoi poteri, e le relative norme incriminatrici sono state collocate nel titolo del codice penale relativo ai delitti contro l’amministrazione della giustizia.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si caratterizzano, quindi, per il fatto che il soggetto che vanta la titolarità di un preteso diritto, e per tale ragione potrebbe “ricorrere al giudice”, acquisisce la c.d. legittimazione al reato in quanto la sua qualifica limita la meritevolezza di un trattamento processuale e sanzionatorio indiscutibilmente di
favore; detto trattamento di favore non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), trovando ragionevole giustificazione nella tutela di un interesse che lo legittima (così in motivazione, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027).
La doglianza difensiva non si confronta, tuttavia, con il compendio motivazionale dell’ordinanza, in particolare con il contenuto della conversazione intercorsa tra il ricorrente e la persona offesa, del 04/09/2023, nella quale quest’ultima viene minacciata di conseguenze pregiudizievoli ( “altrimenti adesso devo maltrattare te”) con l’evocazione della destinazione dei soldi al sostentamento dei detenuti (“le persone in galera non li possono maltrattare in questo modo”); ancora più minaccioso il tenore della conversazione del 12/09/2023 nella quale il ricorrente ha ripetutamente minacciato di morte la persona offesa (“..ti sto venendo a sparare, ora subito! Ti procuri 2/300 euro oggi e me li porti… perché ti siedo su una sedia a rotelle, ti siedo, parola miei…”).
Le dichiarazioni rese dalla persona offesa che si è limitata a riferire sulla genesi del suo debito (asceso in soli 4/5 mesi a circa 10,000 euro in relazione a reiterati prestiti anche giornalieri), oltre che sulle modalità di restituzione concordate con il COGNOME NOME e successivamente con il ricorrente, vanno interpretate alla luce del contenuto esplicito delle minacce di morte, o di ritorsioni gravi con armi ai danni della medesima parte offesa, e dell’esplicito riferimento alla necessità di destinare il denaro ai detenuti, evidenziandosi in tal modo il contesto mafioso in cui la condotta si è inserita e facendo escludere, con ciò, la configurabilità di una pretesa suscettibile di essere tutelata dinanzi ad un “giudice” .
La doglianza difensiva non si confronta con la totalità degli elementi indiziari acquisiti e tende a svilirli, suggerendo una diversa qualificazione giuridica della condotta, prescindente da una visione d’insieme degli elementi che costituiscono tassello di un compendio probatorio unitario.
Il ricorso deve, di conseguenza, essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La detenzione in carcere del ricorrente impone gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 07/11/2024.