Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 16123 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16123 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANIA il 02/04/1968
avverso l’ordinanza del 27/12/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG COGNOME Il Procuratore Generale si riporta alla memoria scritta e conclude per l’inammissibilita’
del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di CATANIA in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27.12.2024 il Tribunale di Catania ha rigettato l’istanza di riesame proposta dalla difesa di COGNOME NOME avverso l’ordinanza del Gip del locale Tribunale datata 25.11.2024 che aveva applicato al medesimo la misura della custodia cautelare in carcere, ritenuto il quadro di gravità indiziaria in ordine ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 (capi 6), e 9)), con l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. cit. per il capo 9).
L’ordinanza applicativa della misura, sintetizzando le acquisizioni investigative compendiate nell’informativa di reato, che a loro volta traevano origine dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME, ha ricostruito un’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina (capo 6), diretta, organizzata e promossa da COGNOME NOME e composta da parenti ed affini avente fornitori calabresi ed acquirenti locali. Venivano quindi individuate plurime e costanti forniture dalla Calabria per quantitativi ingentissimi, i luoghi destinati alla ricezione dello stupefacente, allo stoccaggio ed alla vendita delle sostanze stupefacenti nonché i ruoli ricoperti dai singoli componenti del sodalizio.
In particolare si accertava il ruolo apicale rivestito dal COGNOME, che si occupava della direzione, del coordinamento ed esecuzione dell’intera attività illecita, dei contatti con i fornitori, della pianificazione della ricezione dei carichi, de cessioni e della riscossione dei crediti.
Il Tribunale, adito in sede di riesame, ha rigettato le doglianze difensive aventi ad oggetto la contestazione del quadro di gravità indiziaria, quantomeno in relazione alla circostanza aggravante dell’essere stato il capo ed il promotore dell’associazione di cui al capo 6), nonché il grado delle esigenze cautelari, ritenendo che le acquisizioni probatorie ne rivelassero con qualificata probabilità la posizione apicale e che in punto di esigenze cautelari, dalla contestazione della fattispecie di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 conseguisse la doppia presunzione di sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa e di adeguatezza della sola custodia in carcere, presunzione nella specie non superata da nessun elemento di segno contrario.
Avverso detta ordinanza l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Con il primo deduce la violazione di legge, l’illogicità manifesta della motivazione e la contraddittorietà del ragionamento logico-giuridico del Tribunale del riesame con riferimento agli artt. 273 cod.proc.pen. e 73 e 74 d.p.r. n. 309 del 1990 per l’assenza di gravi indizi di colpevolezza, sia in ordine al ruolo apicale contestato
al capo 6) che all’aggravante di cui all’art. 80 contestata al capo 9).
Si contesta che gli elementi acquisiti, ovvero le intercettazioni e le video riprese, siano idonei a concretare i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai predetti elementi.
Con riguardo all’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990, il sequestro rappresenta l’unico episodio concreto che coinvolge tuttavia solo COGNOME e COGNOME e non già il COGNOME senza alcuna evidenza del suo ruolo.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, l’illogicità manifesta della motivazione e la contraddittorietà del ragionamento logico-giuridico del Tribunale del riesame con riferimento agli artt. 274 e 275 cod.proc.pen. per l’assenza delle esigenze cautelari e l’inadeguata valutazione della proporzionalità della misura cautelare.
Si assume che il Tribunale ha applicato erroneamente la presunzione relativa di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, senza considerare le specificità del caso concreto così adottando una misura non proporzionata al caso, in violazione del principio di adeguatezza di cui all’art. 275 comma 1 cod.proc.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso é manifestamente infondato.
Ed invero il controllo di legittimità deve riscontrare, nei limiti della devoluzione la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Non può, quindi, intervenire nella ricostruzione dei fatti né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probat ma deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia «effettiva» e non meramente apparente; b) non sia «manifestamente illogica», in quanto risultano sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia «internamente contraddittoria», ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente «incompatibile con altri atti del processo» in termini tali da risultarne vanificata o radicalment inficiata sotto il profilo logico. Per la configurabilità del vizio della motivazi non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Di conseguenza, non possono ritenersi ammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione
a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito: quindi, ove sia denunciato il vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimità deve controllare essenzialmente se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e verificato la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze probatorie (vedi Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 6, 15 marzo 2006, COGNOME Rv. 233708; Sez. 1, n.41738 del 19/10/2011, Rv. 251516; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460).
In altri termini nel giudizio di legittimità sono rilevabili esclusivamente i argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione, poiché il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato, senza possibilità di procedere ad una nuova ricostruzione dei fatti, ad una diversa valutazione degli elementi indiziari, o ad una diversa delibazione in merito all’attendibilità delle fonti, alla rilevanza ed al spessore dei dati probatori, all’intensità delle esigenze cautelari (Sez. 2, n. 27866 del 17/03/2019, Rv. 276976).
Nella specie il Tribunale, con un’argomentazione ampia e priva di aporie logiche, ha dato conto sia della sussistenza e dell’articolazione interna del sodalizio di cui al capo 6) dell’incolpazione provvisoria, sia della ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. cit., desunte dalle investigazioni condotte mediante videoriprese, analisi dei tabulati estratti dai GPS installati sulle autovetture utilizzate intercettazioni telefoniche, specificando nel corpo dell’ordinanza le singole trasferte ricostruite nel corso delle indagini.
Quanto al ruolo apicale ricoperto dal COGNOME, emblematiche sono le conversazioni captate in seguito all’arresto della figliastra COGNOME e della nipote COGNOME ove lo stesso insisteva nel volersi “consegnare” alle forze dell’ordine, ammettendo quindi la propria integrale responsabilità e così palesando, insieme alla moglie, sensi di colpa per quanto avvenuto, circostanze che trovavano ulteriore riscontro nelle conversazioni del 9.8.2022 in cui il figlio NOME definiva il padre come padrone e boss criticandone le scelte ma così confermando il suo ruolo.
Il secondo motivo é parimenti manifestamente infondato.
Va premesso che in tema di custodia cautelare in carcere, la presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei “pericula
libertatis”, si limiti a apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le qual
in particolare, rilevano sia il fattore “tempo trascorso dai fatti”, che deve esser parannetrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il
sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività
risocializzanti svolte in regime carcerario, volte al reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonché l’assenza di comportamenti criminali
(Sez.5, n.
806
del
27/09/2023, dep. 2024, Rv. 285879).
Nella specie, come rilevato dalla Corte di merito, la presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3, cod.proc.pen. non è stata superata da nessun elemento di
segno contrario, tenuto conto altresì della biografia criminale dell’indagato che vanta precedenti per associazione mafiosa ed estorsione aggravata, oltre ad un
procedimento pendente per art. 73 dpr n. 309 del 1990.
3.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00
in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp.att. cod.proc.pen.
Così deciso il 26.3.2025