Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1775 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1775 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BERGAMO il 11/02/1996
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE di APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore di NOME COGNOME, avvocato COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Si dà atto che in data 18/11/2024 sono pervenute a mezzo pec dall’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA, in difesa della parte civile COGNOME NOME le conclusioni scritte e nota spese.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza emessa in data 11 giugno 2024, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 2 dicembre 2022 dal Tribunale di Milano nei confronti di NOMECOGNOME assolveva l’imputato dal reato di cui al capo B8) per non aver commesso il fatto, mentre, in relazione agli altri capi di
imputazione, rideterminava la pena finale in anni cinque e mesi due di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta decisione NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.re E), B) e C) cod. proc. pen., eccependo con un unico motivo, articolato in più punti, la mancanza ovvero la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme processuali stabilite appena in nullità, di inutilizzabilità e di inammissibilità particolare, richiamando il contenuto dei verbali delle udienze dibattimentali contesta la ricostruzione operata dalla Corte territoriale secondo cui il soggetto che si presentava alle persone offese come NOME sarebbe stato l’imputato, rilevando, invece, che il COGNOME non aveva le caratteristiche fisiche del medesimo e, inoltre, la figura di NOME era stata descritta dai testimoni in modo sempre diversa e con molteplici ruoli nell’ambito delle condotte illecite contestate. Sottolinea, altresì, c il numero di telefono mobile con cui erano stati contattati i testimoni non era affatto in uso all’imputato, bensì si trattava di un numero di cellulare intestato ed utilizzat dal coimputato NOME COGNOME In ogni caso, deduce che non sussisterebbe il reato di associazione per delinquere, bensì, semmai, sarebbero state commesse alcune truffe unite dal vincolo della continuazione, ciò in quanto il periodo in cui sono state commesse le truffe era stato estremamente limitato, circa quattro mesi, ed i coimputati non avevano certo programmato di commettere un numero indeterminato di reati. Infine, lamenta che la Corte di appello avrebbe errato nel valutare il ruolo apicale di COGNOME all’interno della presunta associazione, il quale, semmai, avrebbe svolto il ruolo di semplice partecipe, considerato che risulta provato che i conti correnti ove venivano versati i soldi dalle vittime delle truf erano intestati solo ad NOME COGNOME che quindi sarebbe il solo ad aver percepito il provento dei reati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla censura sul ruolo apicale attribuito a NOME COGNOME relativamente al reato di cui al capo A), nei termini di seguito esposti.
Nel caso di specie, i giudici di primo e secondo grado hanno basato le loro decisioni su prove dirette raccolte in dibattimento, soprattutto sul contenuto delle testimonianze delle persone offese, ritenute tutte pienamente attendibili malgrado
lievi incertezze nei riconoscimenti da parte di alcuni testimoni, giustificate dal tempo trascorso dai fatti. Giova ricordare che, come è noto, compito di questa Corte non quello di svolgere una rivalutazione del compendio istruttorio utilizzato dai giudici di merito, ma piuttosto la verifica della tenuta logico-giuridica dell motivazione nei limiti propri del giudizio di legittimità. Si afferma, infatti, che: tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito» (così, tra le tante, Sez.6 n.5465 del 04/11/2020, dep.2021, Rv. 280601-01).
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’enunciare il principio secondo cui: «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (così, tra le tante, Sez.2, n.37295, del 12/06/2019, E., Rv.277218-01). Tale regola di giudizio, che il Collegio intende ribadire, assume sicura rilevanza nel caso di specie, in quanto le motivazioni della decisione del Tribunale di Milano, espressamente dalla sentenza della Corte di appello, risultano particolarmente dettagliate nel ricostruire in fatto l vicende relative ai diversi capi di imputazione, offrendo, così, ai giudici di appello un quadro probatorio nitido e preciso sotto ogni profilo, che, sostanzialmente, è stato, poi, fatto proprio dalla Corte territoriale; in ogni caso la motivazione dei giudici d appello ha ripercorso il contenuto di ciascuna testimonianza svolgendo per ognuna di esse la valutazione di attendibilità, tant’è che con riferimento al capo b8) si è giunti, invece, ad un’assoluzione per mancanza di prove certe. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Quanto all’eccezione in ordine alla sussistenza di un’associazione a delinquere, si rileva che la sentenza del Tribunale milanese ha motivato puntualmente ed in maniera congrua (si veda pag.22) sulla presenza dei caratteri distintivi di un sodalizio criminoso, che sono stati, quindi, indicati nei seguenti termini : «1) il preventivo accordo almeno fra tre persone implicante l’insorgere di un vincolo stabile, permanente, fondato sulla consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con un contributo causale, alla realizzazione di un programma criminale duraturo, finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti; 2) l’esistenza di una struttura organizzata, anche se
minima e 3) l’indeterminatezza del programma criminoso», descrivendo di seguito gli elementi di riscontro in atti. La Corte di appello, come detto, ha fatto propria, sostanzialmente, l’ampia motivazione del Tribunale, che non presenta i vizi denunciati dal ricorrente e appare in linea, peraltro, con la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla durata del vincolo associativo, secondo cui: “Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o più delitti predeterminati, in quanto l’elemento temporale insito nella nozione stessa di stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario protrarsi del legame criminale, occorrendo soltanto una partecipazione all’associazione pur se limitata ad un breve periodo” (così Sez.2, n.19917 del 15/01/2013, COGNOME, Ry.255915-01).
3. Il motivo di ricorso attinente all’attribuzione al Campos del ruolo apicale all’interno dell’associazione a delinquere deve essere, invece, accolto, in quanto le motivazioni delle sentenze di merito presentano delle incongruenze e delle lacune che non possono essere risolte in sede di legittimità. In primo luogo, si osserva che la sentenza della Corte di appello ha sostenuto (si veda pag.26) che il ricorrente «Ha promosso e costituito l’associazione…», mentre la sentenza del Tribunale ha affermato (pag.22) che COGNOME faceva parte dell’associazione «con il ruolo di organizzatore…»; seppure l’art. 416, secondo comma, cod. pen. faccia riferimento ai fini dell’aggravante a tutti e tre i ruoli sopra indicati, in sede di motivazione però, necessario che la condotta illecita sia descritta con precisione in ossequio al principio di legalità. Inoltre, si rileva che la Corte milanese, al fine di riconoscere ricorrente il ruolo di capo e promotore dell’associazione unitamente a NOME COGNOME, ha affermato che COGNOME procacciava i clienti, prendendo gli appuntamenti e trattando direttamente le vendite, ed era stato «…individuato come il soggetto con il quale le vittime avevano i contatti». Nella sentenza di primo grado, invece, il giudice aveva indicato (pag.3) che le utenze telefoniche di riferimento della concessionaria RAGIONE_SOCIALE il cui amministratore unico risultava essere NOME COGNOME, consistevano in due numeri, uno di un’utenza fissa e l’altro di un’utenza mobile, entrambi intestati a predetto COGNOME per cui non è chiaro con quale utenza il ricorrente contattasse i clienti vittime delle truffe. Inoltre, è la ste sentenza impugnata a rilevare che COGNOME non aveva a disposizione alcun conto corrente riferibile alla società RAGIONE_SOCIALE su cui venivano versate le somme di denaro da parte delle vittime. Di tal che si ritiene che gli indici rilevatori del ruolo apica
Campos individuati dalla sentenza impugnata (pag.26) non risultano di per sé sufficienti a connotare in termini di maggior pericolosità l’agire di quest’ultimo, in quanto le condotte descritte in sentenza ben potrebbero essere svolte anche dal mero partecipe all’associazione. La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha individuato elementi distintivi ben più pregnanti: quanto alla figura del promotore (Sez. 2, n.52316 del 27/09/2016, Riva, Rv.268962-01) si è affermato che “In tema di reato associativo, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a sè le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo già costituito, provocando l’adesione di terzi all’associazione ed ai suoi scopi attraverso un’attività di diffusione del programma. (In motivazione, la Corte ha precisato che il ruolo del promotore non richiede la partecipazione alla complessiva attività di gestione dell’associazione, nè l’assunzione di funzioni decisionali, trattandosi di condotte che connotano le diverse figure dell’organizzatore e del capo). Con riferimento, invece, al ruolo di capo la Cassazione (Sez.2, n.19917 del 15/01/2013, COGNOME, Rv.255915-01) ha affermato, ad esempio, che: “Nel reato di associazione “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. (Nella specie, in relazione ad un’associazione dedita ai furti di auto, è stata ritenuta sussistente l’aggravante nei confronti di un imputato che impartiva direttive ai sodali in ordine alle autovetture da sottrarre ed alle somme da corrispondere dalle vittime dei furti, a titolo estorsivo, per ottenerne la restituzione)”. Infine, anche la veste di organizzatore è stata delineata in termini più puntuali, ritenendo (si veda Sez.3, n.2039 del 02/02/2018, PG c/Papini, Rv. 274816-03) che: “In tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che assume i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità, non essendo, invece, necessario che lo stesso soggetto sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altri soggetti”. In ragione delle evidenziate carenze motivazionali, la sentenza impugnata deve essere perciò annullata limitatamente alla qualifica verticistica attribuita al ricorrente, con rinvio per un nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano che, sulla base degli elementi probatori in atti, dovrà verificare l’effettivo ruolo svolto da COGNOME all’interno del sodalizio criminoso in conformità ai criteri giurisprudenziali sopra esposti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Conseguentemente per le considerazioni sin qui esposte la sentenza deve essere annullata relativamente al reato di cui al capo A) limitatamente alla qualifica verticistica, con rinvio per un nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano, dichiarando l’inammissibilità nel resto del ricorso. Si rigetta, inoltre, la richiesta di liquidazione delle spese processuali formulata dalla parte civile NOME COGNOME in quanto le sue conclusioni sono pervenute tardivamente, solo in data 18 novembre 2024.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo A) limitatamente alla qualifica verticistica, con rinvio per un nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese processuali formulata dalla parte civile NOME COGNOME
Così deciso in Roma il 19 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il PresiHente