LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Rivelazione segreto d’ufficio: la Cassazione decide

Un pubblico ufficiale ha avvertito un amico tramite WhatsApp di un’intercettazione in corso. La Corte di Cassazione ha confermato la sua condanna per rivelazione di segreto d’ufficio, specificando che anche messaggi allusivi sono sufficienti se svelano informazioni segrete. Tuttavia, la Corte ha annullato la pena a causa di un errore nella valutazione dei precedenti penali dell’imputato, disponendo un nuovo giudizio limitatamente alla sanzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rivelazione di Segreto d’Ufficio: Quando un WhatsApp Costa una Condanna

Un semplice messaggio su WhatsApp, inviato per avvertire un amico, può trasformarsi in un reato penale? Secondo la Corte di Cassazione, la risposta è affermativa. Una recente sentenza ha confermato la condanna per rivelazione di segreto d’ufficio a carico di un maresciallo della Guardia di Finanza che aveva utilizzato informazioni apprese tramite un’intercettazione per mettere in guardia un conoscente. Questo caso offre spunti cruciali sui limiti della comunicazione per i pubblici ufficiali e sulla natura stessa del reato.

I Fatti: Un Messaggio di Troppo

La vicenda ha origine da un’indagine penale durante la quale le comunicazioni di un soggetto erano sotto intercettazione. Un maresciallo, in servizio presso il reparto investigativo, ascoltava una conversazione tra un suo amico e la persona indagata. Appena sedici minuti dopo, il maresciallo inviava una serie di messaggi WhatsApp al suo amico, rimproverandolo per i suoi rapporti con l’indagato e facendo un riferimento esplicito e allusivo al contenuto della telefonata appena intercorsa, in particolare alla discussione su un curriculum e all’interesse mostrato dall’amico («ti sei fatto sentire tutto interessato»).

Questo riferimento, apparentemente innocuo, era in realtà la chiave di volta: il maresciallo poteva conoscere quel dettaglio solo ed esclusivamente grazie all’attività di intercettazione in corso. L’amico, ricevuti i messaggi, comprendeva immediatamente la situazione, così come, in un secondo momento, anche il soggetto indagato, vanificando potenzialmente l’efficacia delle indagini.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Condannato sia in primo grado che in appello per il reato di cui all’art. 326 del codice penale, il maresciallo presentava ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. La difesa sosteneva principalmente che non vi fosse stata una vera e propria “rivelazione”, ma al massimo un’induzione alla conoscenza attraverso un percorso logico da parte del destinatario. Inoltre, si contestava la sussistenza del dolo, ovvero dell’intenzione di commettere il reato, affermando che lo scopo era solo quello di proseguire una conversazione amichevole e sconsigliare una frequentazione pericolosa. Infine, venivano sollevate questioni procedurali e un errore nella determinazione della pena, basata su presunti precedenti penali inesistenti.

La Decisione della Cassazione sulla rivelazione di segreto d’ufficio

La Corte di Cassazione ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso, ritenendoli inammissibili o infondati. I giudici hanno stabilito che la condotta del maresciallo integrava pienamente il reato di rivelazione di segreto d’ufficio. La concatenazione logica e temporale tra l’ascolto della telefonata e l’invio dei messaggi era così stretta da non lasciare dubbi: il messaggio, pur non esplicitando l’esistenza di un’intercettazione, ne svelava l’esistenza attraverso la comunicazione di un’informazione che poteva essere conosciuta solo tramite essa. Non si è trattato di una semplice inferenza del destinatario, ma di un disvelamento diretto della notizia segreta.

La Corte ha inoltre confermato la presenza del dolo. L’intenzione di ammonire l’amico, utilizzando a tal fine informazioni coperte da segreto d’ufficio, è stata considerata sufficiente per integrare l’elemento psicologico del reato. La volontà di raggiungere uno scopo (l’avvertimento), pur se amichevole, attraverso un mezzo illecito (la rivelazione) configura pienamente la volontarietà della condotta criminosa.

Le Motivazioni

Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha chiarito che il reato di rivelazione di segreto d’ufficio è un reato di pericolo concreto, finalizzato a proteggere il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione. Per la sua configurazione, è sufficiente che l’informazione segreta venga comunicata a un soggetto non autorizzato a conoscerla, creando un pericolo per gli interessi tutelati. Nel caso di specie, il messaggio inviato, con il suo riferimento preciso e temporalmente vicino a una conversazione privata, era di per sé sufficiente a “disvelare la sottostante intercettazione”. La Corte ha sottolineato come il riferimento all’essersi “fatto sentire” fosse un elemento di prova evidente, associato in modo inequivocabile alla conversazione appena avvenuta.

L’unico punto su cui la Cassazione ha dato ragione al ricorrente è stato l’ultimo, relativo al trattamento sanzionatorio. I giudici di merito avevano erroneamente tenuto conto di precedenti penali che non risultavano dal casellario giudiziale. Questo “travisamento del dato” ha viziato la valutazione sulla concessione delle attenuanti e sulla quantificazione della pena. Per questo specifico motivo, la sentenza è stata annullata.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma limitatamente alla determinazione della pena, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio su questo punto. La condanna per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio è stata invece confermata. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: i pubblici ufficiali sono tenuti a un dovere di segretezza assoluto riguardo alle informazioni apprese nell’esercizio delle loro funzioni. Anche comunicazioni private e apparentemente allusive, se contengono dettagli riservati, possono integrare un grave reato, con conseguenze significative sulla carriera e sulla fedina penale.

Un messaggio su WhatsApp può configurare il reato di rivelazione di segreto d’ufficio?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche un messaggio che non dichiara esplicitamente un segreto può integrare il reato, se il suo contenuto e il contesto temporale in cui è inviato permettono al destinatario di comprendere in modo inequivocabile un’informazione riservata, come l’esistenza di un’intercettazione in corso.

Perché la Corte ha ritenuto che l’imputato avesse agito con dolo (intenzione)?
La Corte ha ritenuto sussistente il dolo perché l’imputato ha volontariamente utilizzato un’informazione appresa segretamente per ragioni d’ufficio (il contenuto di una telefonata intercettata) per inviare un ammonimento a un amico. La volontà di usare quell’informazione riservata per uno scopo personale, anche se non di lucro, è sufficiente a integrare l’intenzionalità richiesta dal reato.

Cosa succede quando una Corte d’Appello commette un errore nel valutare i precedenti penali di un imputato?
Quando un giudice commette un errore fattuale, come considerare esistenti dei precedenti penali che in realtà non ci sono (tecnicamente un “travisamento del dato”), la sua decisione sulla pena è viziata. In tal caso, la Corte di Cassazione annulla la sentenza limitatamente a quel punto e rinvia il caso a un altro giudice per una nuova valutazione e determinazione della sanzione corretta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati