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Rivelazione segreto d’ufficio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna di un commissario d’esame per un concorso pubblico. Il commissario aveva rivelato le tracce delle prove a una candidata, consentendole di vincere il concorso. I giudici di merito avevano qualificato il fatto come utilizzazione di segreto d’ufficio (art. 326, comma 3 c.p.). La Suprema Corte, invece, ha riqualificato il reato in semplice rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326, comma 1 c.p.), chiarendo la distinzione tra le due fattispecie e rinviando alla Corte d’Appello per la sola rideterminazione della pena.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rivelazione segreto d’ufficio: quando comunicare una notizia è diverso da utilizzarla

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 34503/2025, offre un’importante lezione sulla corretta qualificazione del reato di rivelazione segreto d’ufficio. La Suprema Corte ha chiarito la sottile ma fondamentale differenza tra la semplice comunicazione di una notizia riservata (art. 326, comma 1, c.p.) e il suo sfruttamento a fini di profitto (art. 326, comma 3, c.p.). Il caso riguardava un membro di una commissione esaminatrice che aveva anticipato le domande di un concorso pubblico a una candidata, la quale aveva poi ottenuto il posto.

I Fatti del Caso

Un componente della commissione esaminatrice per l’assunzione di un agente di polizia locale aveva fornito a una candidata informazioni riservate sulle tracce e sulle domande oggetto delle prove d’esame. Grazie a questa ‘soffiata’, la candidata era riuscita a superare il concorso e a ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con una retribuzione annua di circa 20.000 euro. L’azione del commissario ha inevitabilmente alterato il corretto svolgimento della procedura concorsuale, violando i principi di imparzialità e segretezza che governano i concorsi pubblici.

L’Iter Giudiziario e l’Errata Qualificazione del Reato

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano condannato il commissario per il delitto di cui all’art. 326, terzo comma, del codice penale. Questa norma punisce il pubblico ufficiale che, a scopo di profitto proprio o altrui, ‘utilizza’ una notizia d’ufficio che deve rimanere segreta. La difesa dell’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’ottenimento di un posto di lavoro non costituisse un ‘vantaggio patrimoniale ingiusto’ e che quindi la norma fosse stata applicata in modo eccessivamente estensivo. La Cassazione ha rigettato questa tesi, confermando che un contratto di lavoro è senza dubbio un’utilità economica, ma ha accolto il ricorso per un motivo diverso e più profondo.

Le Motivazioni della Decisione: la Rivelazione di Segreto d’Ufficio

La Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici di merito avessero sbagliato a qualificare il reato. La condotta del commissario non configurava un’ ‘utilizzazione’ del segreto, ma una ‘rivelazione’. La Suprema Corte ha richiamato il suo consolidato orientamento, secondo cui:
* L’art. 326, comma 1, c.p. (Rivelazione) punisce la condotta della mera comunicazione della notizia segreta a soggetti estranei all’ufficio.
* L’art. 326, comma 3, c.p. (Utilizzazione) punisce un’azione diversa e più grave: lo sfruttamento, da parte del pubblico ufficiale, dello specifico contenuto economico e morale della notizia segreta per trarne un profitto (patrimoniale o non).

Nel caso di specie, il commissario non ha sfruttato per sé il contenuto delle domande, ma le ha semplicemente comunicate a un terzo. La sua azione è stata quella di ‘trasmettere’ l’informazione segreta. Pertanto, il fatto doveva essere inquadrato nella fattispecie più lieve della rivelazione di segreto d’ufficio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata, riqualificando il reato ai sensi dell’art. 326, primo comma, del codice penale. Il processo è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano, ma solo per la rideterminazione della pena, che sarà necessariamente diversa e inferiore a quella prevista per il reato di utilizzazione. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: nel diritto penale, ogni parola conta. La distinzione tra ‘rivelare’ e ‘utilizzare’ non è un mero tecnicismo, ma delinea due condotte illecite con disvalori e conseguenze sanzionatorie differenti. Per i pubblici ufficiali, questa sentenza è un monito sulla necessità di mantenere il più stretto riserbo sulle informazioni apprese in ragione del proprio ufficio, poiché anche la semplice comunicazione a terzi integra una fattispecie di reato.

Svelare le domande di un concorso pubblico a un candidato costituisce reato?
Sì, secondo la sentenza, tale condotta integra il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, previsto dall’articolo 326, primo comma, del codice penale.

Qual è la differenza tra ‘rivelazione’ e ‘utilizzazione’ di un segreto d’ufficio?
La ‘rivelazione’ consiste nella mera comunicazione della notizia segreta a un soggetto esterno. L”utilizzazione’, invece, è una condotta più grave in cui il pubblico ufficiale sfrutta attivamente il contenuto della notizia per ottenere un profitto, patrimoniale o non patrimoniale.

Ottenere un posto di lavoro grazie a informazioni segrete è considerato un vantaggio patrimoniale?
Sì, la Corte di Cassazione ha affermato in modo inequivocabile che la conclusione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce un’utilità suscettibile di valutazione economica e, quindi, un vantaggio patrimoniale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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