Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11441 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11441 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 13/02/1971
avverso la sentenza del 13/05/2022 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
lette le conclusioni della parte civile, Comune di Vibo Valentia, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria di replica degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori del ricorrente;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Vibo Valentia ha condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 326 cod. pen. perché, quale Vice dirigente della Squadra mobile della Questura di Vibo Valentia, rivelava all’avvocato NOME COGNOME informazioni coperte
da segreto d’ufficio e, in particolare, il coinvolgimento della Squadra mobile di Vibo Valentia nell’arresto per detenzione di armi da guerra di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, operato dalla Squadra mobile di Bologna, eseguito sulla base di attività di intercettazione svolte congiuntamente dai due reparti e delle quali non si faceva intenzionalmente menzione nel verbale di arresto, così da non rendere pubblico che l’operazione si inseriva in una più ampia indagine. Il ricorrente, inoltre, è stato condannato al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dalle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Interno, danno da liquidarsi in separato giudizio.
La Corte di appello di Catanzaro, in riforma di tale sentenza, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando un unico motivo di annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 326 cod. pen., 129, 546, 578 cod. proc. pen.
Rileva il difensore che la disposizione di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. deve coordinarsi con la presenza della parte civile e con la pronuncia di condanna in primo grado, per cui il giudice di appello, nel prendere atto di una causa estintiva del reato, è tenuto a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., sull’azione civile, necessariamente compiendo una valutazione approfondita del compendio probatorio.
Nel caso di specie nessuna valutazione sarebbe stata compiuta in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato e, segnatamente, dell’offensività della condotta -sebbene la difesa avesse dedotto che la notizia asseritamente coperta da segreto era, in realtà, già di pubblico dominio- e della sussistenza dell’elemento psicologico. Inoltre, si contesta che la telefonata di cui al prog. 4631 RIT 486/2011, tra il ricorrente e l’avvocato NOME COGNOME, contenga riferimenti alla circostanza che l’operazione era stata fatta nei confronti di alcuni appartenenti al gruppo dei ‘Piscopisani’, per cui non è dato comprendere quale indagine avrebbe compromesso l’informazione veicolata all’avvocato.
Con i motivi aggiunti la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge di difetto di motivazione, in quanto l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 l. n. 203 del 1991 e l’assoluzione dell’imputato dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa avrebbero imposto l’assoluzione anche per il reato di rivelazione di segreti d’ufficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Dalla sentenza impugnata risulta che l’odierno processo è collegato ad altro, a carico di NOME COGNOME più altri, per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. e numerosi reati fine, concluso con l’assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nel presente processo NOME COGNOME è stato rinviato a giudizio per il reato di partecipazione all’associazione di cui sopra e NOME COGNOME per i delitti di concorso esterno e di rivelazione di segreti d’ufficio, per aver fornito un contributo utile al rafforzamento della cosca COGNOME veicolando in favore della stessa, tramite l’avvocato COGNOME, informazioni su indagini in corso, reato, quest’ultimo, aggravato dalla finalità agevolativa della cosca.
Nel giudizio di primo grado, NOME COGNOME è stato condannato per concorso esterno, mentre il ricorrente è stato assolto da tale reato, perché il fatto non sussiste, ed è stato condannato per rivelazione di segreti d’ufficio, con esclusione dell’aggravante dell’agevolazione della cosca.
In secondo grado, NOME COGNOME è stato assolto perché il fatto non sussiste, mentre il ricorrente è stato prosciolto per essere il reato di rivelazione di segreti di ufficio estinto per intervenuta prescrizione.
La sentenza di secondo grado, premesso che il reato di rivelazione di segreti di ufficio si era prescritto dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, ha rilevato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01). Richiamato, poi, l’orientamento secondo cui tali principi devono essere contemperati con la presenza della parte civile (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286880) che impone di valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito, ha respinto le censure dedotte dal ricorrente, relative al difetto di offensività della condotta e alla mancanza di elemento soggettivo del
reato. Ciò in quanto il reato « risulta provato dalla telefonata intercettata tra il COGNOME e il COGNOME, il cui contenuto è inequivoco e non si presta ad interpretazioni alternative ».
4. La parte di interesse di tale conversazione, che costituisce l’unico elemento di prova a carico dell’imputato, è riportata nella sentenza di primo grado. Cui la sentenza di secondo grado rinvia (pag. 39); in essa l’imputato, parlando con l’avvocato COGNOME afferma «compare, stanotte abbiamo fatto il colpaccio con i colleghi di Bologna».
Secondo i giudici di merito, il ricorrente, pur riferendosi a una operazione di polizia già di dominio pubblico, avrebbe rivelato all’interlocutore un aspetto delle indagini che non era stato reso noto, ossia il fatto che esse riguardavano il gruppo dei ‘Piscopisani’, cosca rivale del clan COGNOME.
Né la sentenza di primo grado né quella di secondo grado indicano, però, da quali elementi sia stata tratta questa deduzione, del tutto assente nel dialogo captato.
Né, dal punto di vista logico, si comprende quale possa essere stato il senso della presunta rivelazione, fatta a un soggetto, l’avvocato COGNOME che è stato assolto dal reato di concorso esterno in una associazione di stampo mafioso, che, a sua volta, è stata ritenuta insussistente.
Risulta, dunque, con immediata evidenza, la assoluta assenza di elementi a sostegno dell’ipotesi accusatoria, che impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con più favorevole formula di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 04/03/2025.