Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12096 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12096 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CARMINE RUSSO
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LABICO il 23/05/1966 avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE MILITARE APPELLO di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale Militare NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito per l’Avvocatura Generale dello Stato l’avv. NOME COGNOME in difesa della Presidenza del consiglio dei ministri e del Ministero della difesa, che si riporta alle conclusioni scritte depositate all’odierna udienza unitamente alla nota spese. udito il difensore del ricorrente avv. NOME COGNOME che conclude insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso; letta la memoria difensiva trasmessa il 26 settembre dall’Avvocatura Generale dello Stato;
letta la memoria di replica trasmessa dal difensore del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
In sede di merito le decisioni che hanno affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato militare di rivelazione di segreti a scopo di spionaggio, ed altro, sono rappresentate dalla sentenza emessa dal Tribunale Militare di Roma in data 9 marzo 2023 e da quella emessa dalla Corte Militare di Appello in data 29 gennaio 2024.
Le contestazioni elevate nei confronti del Biot riguardano condotte verificatesi in data 30 marzo 2021 e nei giorni immediatamente antecedenti.
Il capo di imputazione si articola in cinque fattispecie di reato, contrassegnate dalle lettere A (procacciamento di notizie segrete a scopo di spionaggio e procacciamento di notizie di carattere riservato di cui agli artt. 88 e 93 cod.pen. mil.pace) B (esecuzione di fotografie a scopo di spionaggio di cui all’art. 89 bis cod.pen.mil. pace) C (rivelazione di segreti militari a scopo di spionaggio di cui
R.G.N. 24850/2024
all’art. 86 cod.pen. mil. pace) D (comunicazione all’estero di notizie non segrete nØ riservate di cui all’art.94 cod.pen.mil. pace) e può darsi per conosciuto dalle parti anche nelle sue componenti in fatto.
L’esito Ł, in secondo grado, quello della condanna dell’imputato alla pena di anni 29 e mesi due di reclusione militare (ritenute sussistenti tutte le ipotesi di reato, ad esclusione di quella dell’art. 89 bis cod.pen. mil. pace, in riferimento alle foto di documenti coperti da segreto militare di cui alla lettera B della contestazione).
In primo grado, con le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti e la applicazione della disciplina della continuazione, NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni 30di reclusione (ritenuto reato piø grave il capo C – rivelazione di segreti militari a scopo di spionaggio con pena di anni 24, cui si aggiungono in continuazione le restanti fattispecie).
2. Le contestazioni, in fatto, sono relative all’avvenuta consegna da parte del COGNOME (ufficiale dello Stato Maggiore della Marina Militare, Capitano di Fregata) ad un diplomatico russo (tal NOME COGNOME, accreditato presso l’Ambasciata russa) di una MICRO SD contenente n.181 immagini di documenti (tese a riprodurre n. 19 documenti) che lo stesso COGNOME, secondo l’accusa, aveva fotografato all’interno dell’ Ufficio di appartenenza (Stato Maggiore Difesa/ Sezione Analisi Strategica, nel cui ambito l’imputato era Ufficiale addetto alla sicurezza già dal 9 luglio del 2018).
La consegna della MICRO SD Ł avvenuta il 30 marzo del 2021 intorno alle ore 20, con contestuale arresto del Biot, come risulta dalla decisione di primo grado.
Va evidenziato che nei giorni antecedenti l’arresto (dal 16 marzo del 2021 e sino al 26 marzo 2021, come riferito dal teste NOME COGNOME era stata installata una microcamera all’interno dell’ufficio che ha consentito di riprendere i comportamenti di interesse tenuti dal COGNOME (i supporti video, duplicati, sono stati depositati agli atti del dibattimento e ritenuti conformi all’originale). La iniziativa interna al Comando era sorta in ragione della esistenza di un ‘pericolo di fuoriuscita di informazioni’ segnalato dall’ AISI.
In particolare dalla visione delle immagini risulta che nei giorni 18, 23 e 25 marzo 2021 NOME COGNOME aveva scattato numerose fotografie a documenti sia cartacei che visualizzati sullo schermo di una postazione di lavoro (v. deposizione del teste COGNOME). Risulta altresì che il COGNOME estraeva dall’apparecchio con cui aveva scattato le foto una scheda MICRO SD e la riponeva (protetta dal foglietto, cd. bugiardino) all’interno di una scatola di medicinali marca Crestor . Già dalla visione delle immagini era possibile comprendere – secondo quanto riferito dai testi – che alcuni documenti erano classificati perchØ si notava in modo chiaro il logo della NATO. Solo il 25 marzo Biot portava, secondo quanto si evince dalle immagini, la scheda SD all’esterno dell’Ufficio. In quel momento veniva allertata la Procura della Repubblica ordinaria.
Anche l’incontro con il diplomatico russo (persona salita a bordo della vettura del Biot in un parcheggio di un centro commerciale e solo successivamente identificata) e la consegna a costui della scheda MICRO SD Ł stata ricostruita ‘in diretta’ (v. il resoconto del teste COGNOME COGNOME, sintetizzato a pag. 26 e ss.) dagli operatori di polizia giudiziaria che stavano monitorando i comportamenti del Biot e che – in sostanza – lo pedinavano.
Come emerge dalla decisione di primo grado, al momento dell’intervento dei militari (venti operatori, appartenenti al Ros dei Carabinieri) viene rinvenuta in possesso del diplomatico russo, appena disceso dall’auto, la scheda MICRO SD marca Kingston (posta all’interno di una scatola di medicinali marca Crestor ) e all’interno della vettura del Biot, sotto il sedile posto al lato guida, viene rinvenuta altra scatola di medicinali marca Crestor con all’interno la somma di denaro di cinquemila euro.
Le verifiche tecniche eseguite sulla scheda MICRO SD in sequestro dimostrano, sempre secondo i giudici del merito, che le immagini sono state scattate con uno smartphone SAMSUNG S9
(come risultava dai video dei comportamenti tenuti in ufficio dal COGNOME) identificato in quello rinvenuto in uso al COGNOME a seguito di perquisizione domiciliare immediatamente successiva all’arresto.
Le videoriprese dei – soli – comportamenti tenuti dal COGNOME all’interno del luogo ove prestava servizio sono state ritenute utilizzabili come prova documentale – ai sensi dell’art. 234 cod.proc.pen. – in ragione del fatto che la videosorveglianza Ł stata realizzata dal «datore di lavoro» in epoca antecedente l’inizio del procedimento penale (si veda pag. 42 della decisione di primo grado, nonchØ piø diffusamente, pag. 55 e ss.).
Come piø ampiamente si dirà in seguito, uno dei principali temi trattati nel processo sta nella mancata acquisizione al fascicolo del dibattimento della scheda MICRO SD marca Kingstone rinvenuta in occasione dell’arresto dell’imputato.
Nella decisione di primo grado si evidenzia che il reperto Ł stato ‘visionato’ al momento del fatto – il 9 aprile del 2021 – da alcuni ufficiali dello Stato Maggiore della Difesa al fine di «classificarne» i contenuti, ma Ł stato reso solo in parte ostensibile (v. pag. 61 e ss. della sentenza di primo grado).
Ciò in ragione del fatto che – secondo le deposizioni raccolte – in larga misura si trattava di documenti NATO (cd. Nato Secret e Nato Confidential) coperti, si afferma in sentenza, da un divieto assoluto di divulgazione anche rispetto alla autorità giudiziaria (v. articolo 7 della Convenzione di Ottawa del 1951 che testualmente recita : the archives of the organisation and all documents belonging to it or held by it shall inviolable, wherever located).
Attraverso la deposizione dei soggetti che hanno visionato il contenuto della scheda (Gen. COGNOME Stefano e Gen. COGNOME NOMECOGNOME nonchØ il teste COGNOME) sono state raccolte le informazioni processuali circa i contenuti. Il Gen. COGNOME ne aveva, in particolare, contezza per averli ‘trattati’ all’interno dello Stato Maggiore della Difesa.
Attraverso le deposizioni si Ł appreso, dunque, che tredici documenti erano segreti o riservati, mentre sei non erano classificati . Dei tredici ben 9 avevano qualifica NATO, di questi, 7 erano NATO SECRET. Gli altri 4 erano generati : uno in ambito estero e tre in ambito nazionale .
I documenti RAGIONE_SOCIALE sono, in sostanza, secondo i testimoni : a) dei report cd. Periodic Mission Review volti a verificare la idoneità di una determinata operazione in corso, in ambito navale e in territorio estero (missione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ) con suggerimenti per sanare eventuali criticità rilevate; b) vi erano anche due Risk Assesment ove si evidenziano i rischi che l’alleanza deve affrontare per determinate operazioni; c) vi erano anche aspetti organizzativi in tema di vigilanza aerea con indicazione degli apporti di ciascun paese aderente. Secondo i testi sarebbe pacifica la rilevanza militare/strategica dei suddetti documenti (v. pag. 65).
La situazione di non ostensibilità ha riguardato i 5 documenti NATO indicati nel capo di imputazione con le lettere A – D – E- H – P -, mentre sono stati resi ‘visionabili’ i documenti non inerenti l’attività NATO, in tema di attività antiterrorismo, di sicurezza cibernetica interministeriale e in tema di organizzazione del personale della Marina.
In sede di valutazione il Tribunale Militare ha affermato, sui punti di maggior rilievo, che:
chiara Ł la finalità di spionaggio della complessiva condotta tenuta dal COGNOME, dovendosi includere nella valutazione l’intera sequenza che ha inizio con la ‘fissazione’ del contenuto dei documenti, cui pacificamente Biot aveva la possibilità di accedere, nella scheda SD contenuta nell’apparecchio Samsung ;
nessun vizio può derivare dalla mancata ostensione dei cinque documenti NATO contenuti nella scheda MICRO SD, posto che da un lato non era possibile violare l’art. 7 della convenzione di Ottawa, ratificata con legge n. 1226 del 10.11.1954 , dall’altro il Tribunale osserva che i contenuti della scheda SD sono certamente noti al Biot perchØ Ł processualmente certo che lui ne sia stato il creatore (avendo riempito il supporto
magnetico) con tutto ciò che ne consegue in punto di inconsistenza delle questioni relative al diritto di difesa. Inoltre si evidenzia che il contenuto della scheda, sul piano della tipologìa di informazioni, Ł stato processualmente ricostruito attraverso le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME soggetti altamente attendibili e qualificati. Il limite alla acquisizione processuale viene, pertanto, ritenuto del tutto ragionevole (la acquisizione potrebbe pregiudicare in modo concreto gli interessi NATO e la credibilità dell’Italia) e non lesivo dei diritti della difesa (v. pag. 140);
si ritiene inoltre, sul piano della tipicità, che la rivelazione, operata dal BIOT, specie dei documenti NATO, rientri nei contenuti precettivi di cui all’art. 86 cod.pen. mil. pace (si tratta di segreti relativi a forza, preparazione e difesa militare dello Stato) proprio in ragione del fatto che le notizie fornite ineriscono alla programmazione, esecuzione e direzione strategica di missioni estere cui prende parte l’Italia, in ambito NATO. Il reato Ł consumato e non meramente tentato – in ragione del fatto che il dispositivo informatico contenente i dati segreti era stato consegnato al destinatario;
per il resto si ritiene che tra le diverse violazioni di legge contestate e ritenute (tra cui il procacciamento, ritenuto integrato in rapporto alla ‘acquisizione’ del documento segreto su un supporto magnetico riproducibile) sussista la medesimezza del disegno criminoso;
si conferma la validità delle consulenze tecniche informatiche e la utilizzabilità delle registrazioni video realizzate all’interno degli uffici dello Stato Maggiore della Difesa (video che Ł stato visionato dalla difesa in data 10 aprile 2021 presso gli uffici del Ros).
5. La decisione di secondo grado al di là della segnalata difformità relativa al capo B ha sostanzialmente ribadito le valutazioni espresse dal Tribunale.
La sentenza sintetizza i venti motivi di appello da pagina 68 a pagina 168 e sul punto non può che operarsi un rinvio al testo.
Va precisato che sul piano istruttorio nel giudizio di secondo grado Ł stata acquisita la perizia sull’hardware contenente le registrazioni del sistema di videoripresa che era stato installato presso l’ufficio del Biot, realizzata nel «parallelo» giudizio ordinario tenutosi presso il Tribunale di Roma (con acquisizione dei verbali dibattimentali che documentano l’esame del perito).
Questo Ł stato il solo incremento istruttorio rispetto alla piattaforma probatoria del giudizio di primo grado.
5.1 In sede di valutazione, le argomentazioni della Corte di secondo grado sono di seguito esposte, nei limiti di necessità per la comprensione dei motivi di ricorso.
Secondo la Corte di merito il divieto oggettivo di conoscibilità – anche in ambito giudiziario – del contenuto dei singoli documenti NATO, da cui sarebbero derivate (secondo la prospettazione difensiva) plurime nullità degli atti del procedimento, deriva direttamente dalla legge di ratifica n.1226 del 1954 – degli Accordi di Ottawa del 1951 e non ha bisogno di un provvedimento nazionale di ‘conferma’. Non trova, dunque, applicazione la disciplina legislativa del segreto di Stato di cui all’art. 256 cod.proc.pen. e la copertura costituzionale della inviolabilità degli archivi NATO Ł fornita dall’articolo 11 della Costituzione. Se Ł vero che Ł possibile, attraverso una apposita procedura da attivarsi presso l’Alleanza Atlantica – la «liberazione» del singolo documento dal vincolo di inviolabilità, tale procedura Ł stata ritenuta, nel caso in esame, superflua con congrua motivazione già espressa in primo grado.
Si afferma sul tema che nessun vincolo Ł posto dalla legge di ratifica alla conoscibilità ‘indiretta’ dei contenuti di massima e della classificazione del documento (a differenza di quanto accade nella disciplina del segreto di Stato) sicchŁ era possibile raccogliere le informazioni circa la natura dei documenti attraverso le deposizioni testimoniali : ‘ sembra di poter dire che l’inviolabilità debba riferirsi al contenuto concreto dei documenti classificati, ai quali infatti non Ł possibile accedere, ma
non anche ad altri elementi che possono essere utilmente adoperati per valutare l’imputazione’ (v. pag. 185 della decisione impugnata) .
Nessun dubbio, sempre secondo la Corte di secondo grado, può residuare circa il fatto che i documenti in questione erano effettivamente ‘classificati’ (come emerge anche dalla visione dei filmati che riproducono la condotta di COGNOME all’interno dell’ufficio) e riguardavano gli interessi militari dell’Italia (come deposto dai testi che li hanno visionati e che, come il Gen. COGNOME, già li conoscevano), in ragione del fatto che gli assetti NATO influiscono sulla distribuzione delle forze tra i vari paesi e dunque sulla difesa militare del nostro paese .
Si tratta di deposizioni testimoniali che si sono limitate ad indicare la ‘cornice’ e non il contenuto specifico dei documenti (in tal modo rispettando il segreto oggetto di tutela) e che provengono da soggetti di elevata competenza e piena attendibilità.
5.2 Per tutte le ragioni sin qui esposte la Corte di secondo grado ritiene che non si Ł determinata alcuna nullità processuale per violazione dei diritti della difesa, in rapporto alla segretezza del contenuto dei documenti NATO, rimasta tale anche all’interno del processo. La mancata acquisizione ‘fisica’ dei reperti, in altre parole, da un lato era imposta dalla legge di ratifica degli accordi di Ottawa, dall’altro Ł stata bilanciata dal pieno contraddittorio realizzato in dibattimento con i testimoni qualificati che hanno riferito sulla ‘cornice’ e sulla ‘inerenza’ dei documenti agli oggetti di tutela penalistica posti a base dell’esercizio dell’azione penale.
Quanto al tema delle registrazioni dei comportamenti tenuti dall’imputato all’interno dell’ufficio la perizia svolta nel procedimento ordinario – acquisita in secondo grado, come si Ł anticipato, ed utilizzabile ai sensi dell’art.238 cod.proc.pen. – avrebbe confermato genuinità, continuità e assenza di tracce audio (nessun microfono era stato in concreto collegato, v. pag. 196 della decisione impugnata).
Vengono dunque respinti i motivi in tema di inutilizzabilità delle registrazioni video, formulati con l’atto di appello, anche sotto il profilo della modalità di estrazione della cd. copia forense. In particolare si sostiene che al momento in cui sono iniziate le registrazioni non poteva dirsi già emersa una notizia di reato (si trattava di informazioni generiche, frutto di attività preventiva, che indicavano COGNOME come probabile autore di una dispersione informativa) e che la videoripresa ha natura di prova documentale, in ragione della necessità di tutela del patrimonio informativo dell’ufficio. Solo in data 25 marzo attraverso la visione della condotta del COGNOME (che estraeva dal telefono marca Samsung la scheda SD e la riponeva, occultata, nel proprio zaino) si poteva ritenere che dalla attività di controllo interno nel luogo di lavoro era emersa una vera e propria notizia di reato (ritualmente comunicata, v. pag. 229 della sentenza impugnata).
Per il resto si afferma che le censure in fatto tendono a parcellizzare i momenti in cui si Ł articolata la condotta e i relativi indizi a sostegno, lì dove la ricostruzione va operata in maniera unitaria e complessiva, così come realizzato in primo grado.
Si respingono – sempre in punto di ricostruzione del fatto – altre questioni in punto di utilizzabilità delle prove e si ribadisce che Ł stata accertata la accessibilità in concreto da parte di NOME COGNOME per la tipologìa di funzioni svolte (che comportavano il possesso del cd. NOS, nulla osta sicurezza), ai documenti classificati poi riversati per fotogrammi nella MICRO SD.
In particolare la Corte di secondo grado si sofferma sulla ritualità dell’attività perquirente che al momento del fatto – ha consentito di rinvenire e sequestrare la scheda MICRO SD che era nella materiale disponibilità del diplomatico russo.
Si afferma, su tale punto, che l’attività non contrasta con la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961. Si ribadisce che al momento dell’ intervento non vi era certezza in punto di qualità soggettiva della persona che si era appena incontrata con il COGNOME e, in ogni caso, la rimostranza circa il reperimento della scheda poteva al piø essere opposta dallo stesso COGNOME
(o dall’ Ambasciata russa), e non certo dal Biot. Si aggiunge che il sequestro sarebbe stato – in ogni caso – immune dagli eventuali vizi della perquisizione.
Ancora, si ribadisce la ritualità dell’attività di verifica tecnica della memoria del cellulare Samsung s9 e della scheda SD posta in essere dal M.llo COGNOME (con i relativi confronti, da cui si evince che nella scheda sequestrata sono state fissate le immagini scattate con il cellulare samsung S9 trovato nella abitazione dell’imputato). La estrazione della copia forense del cellulare marca samsung Ł stata realizzata in presenza del consulente della difesa COGNOME.
5.3 Quanto alle qualificazioni giuridiche si ribadisce che la deposizione dei testi qualificati Ł pienamente idonea a ritenere dimostrata la ‘riconducibilità’ dei documenti alle diverse caratteristiche previste dalle norme incriminatrici azionate.
Si ritiene infine che il reato di ‘rivelazione’ Ł stato correttamente ritenuto consumato (e non tentato) perchØ l’intervento della polizia giudiziaria Ł avvenuto subito dopo la scambio tra la scheda (trovata in possesso del diplomatico russo) e il denaro, dunque a condotta conclusa.
L’atto di ricorso Ł affidato a ben 24 motivi che saranno qui rievocati negli stretti limiti di utilità per la decisione, così come previsto dall’art. 173 comma 1 disp.att. cod.proc.pen. .
6.1 La difesa deduce vizio del procedimento con nullità degli atti con cui si Ł instaurato il contraddittorio (a partire dall’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415 bis cod.proc.pen.) ed esercitata l’azione penale per il mancato deposito o comunque la non ostensione di parte dei documenti contenuti nella scheda SD in sequestro, con vizio di motivazione delle decisioni reiettive di tale eccezione già proposta in sede di merito.
In particolare la difesa evidenzia che la questione non riguarda (come sarebbe stato affermato dalla Corte di Appello in modo non pertinente) la astratta legittimità della ritenuta sussistenza del segreto NATO, quanto le ricadute di carattere processuale in punto di pregiudizio al diritto di difesa e violazione delle disposizioni del codice di rito. La mancata ‘discovery’ di talune fonti di prova ha reso nulli – in tesi – gli atti di esercizio dell’azione penale. Lo stesso COGNOME in sede di interrogatorio ex art. 415 bis cod.proc.pen. ha affermato di non aver potuto esercitare il proprio diritto di difesa in ragione della mancata visione di taluni reperti oggetto di sequestro. Si tratta di una questione cui non sarebbe stata fornita risposta. Se ne ripropone la valenza, con richiesta di dichiarazione di annullamento della decisione impugnata e trasmissione degli atti al giudice di primo grado.
6.2 Al secondo motivo, sotto analogo profilo si deduce la inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine il cui supporto materiale (scheda SD) non Ł stato reso disponibile alla difesa dell’indagato. Si sostiene in sostanza che la ‘inaccessibilità fisica’ dei reperti (ivi compreso lo smartphone samsung in sequestro) avrebbe comportato la inutilizzabilità di tutte le deposizioni e gli accertamenti svolti sui supporti informatici, con rilievo del vizio sub art. 191 cod.proc.pen. .
Sarebbero inutilizzabili – con piena influenza sulla tenuta logica della decisione – anche le avvenute analisi informatiche sui reperti, che hanno condotto i giudici del merito a stabilire l’esistenza di un rapporto tra il telefono Samsung S9 reperito nella abitazione del Biot e la scheda MICRO SD in sequestro. In ogni caso, la Corte di secondo grado non avrebbe espresso una congrua motivazione in rapporto alla deduzione contenuta – circa tali aspetti – nei motivi di appello.
6.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge per mancato interpello al Presidente del consiglio dei ministri circa la stessa esistenza e opponibilità del preteso segreto NATO, di cui – in ogni caso – si contesta l’esistenza come categoria autonoma e distinta dal segreto di stato.
Secondo la difesa – con ampia e diffusa argomentazione cui si opera rinvio- andava interamente ed esclusivamente applicata dai giudici del merito la previsione di legge di cui all’art.256 bis cod.proc.pen. in tema di segreto di Stato (nonchØ le disposizioni della legge n.124 del 2007). In subordine si rappresenta che – quantomeno – andava interpellata la NATO, al fine di ottenere
conferma della natura segreta dei documenti.
Invece di realizzare il percorso descritto dalle disposizioni di cui sopra, i giudici del merito hanno ritenuto sussistente una forma di segreto non prevista dal nostro ordinamento e non confermata da alcuna autorità amministrativa o governativa.
Si ribadisce che nel giudizio non vi sarebbe stata ‘parità di armi ‘ perchØ non Ł stato possibile visionare i documenti caratterizzati dalle lettere A – D – E- H – P, mentre sono stati visionati i reperti O – Q- L- U .
Non vi Ł mai stata consegna alla difesa della sceda MICRO SD e del cellulare SAMSUNG S9, con impossibilità di realizzare verifiche informatiche autonome.
A pagina 54 dell’atto di ricorso viene redatto – in ogni caso – un elenco di oggetti materiali che, pur oggetto di sequestro, non sono stati resi accessibili alla difesa, cui si opera rinvio.
Si rappresenta che nel giudizio ordinario Ł stato attivato l’interpello alla Presidenza del Consiglio mentre il Tribunale Militare e la Corte di Appello hanno ritenuto non necessaria simile procedura. In ciò la difesa vede un aggiramento della disciplina di garanzia prevista dalla legge n.124 del 2007. Si argomenta che se davvero vi Ł non accessibilità ai documenti NATO la disciplina che va applicata, sul piano processuale, Ł quella del segreto di Stato.
Si contesta, in altre parole, l’esistenza di una ‘autonoma disciplina’ del cd.segreto NATO che deriverebbe direttamente dalla legge di ratifica degli accordi di Ottawa. In realtà, si afferma, solo attraverso la apposizione del segreto di stato appare possibile tutelare la inaccessibilità di informazioni provenienti da organismi internazionali.
La stessa Corte Militare ha affermato che Ł possibile realizzare un interpello alla NATO a fini di declassificazione del documento, ma non ha seguito tale percorso, nØ ha spiegato le ragioni di tale scelta.
Ci si duole di tale omessa attivazione di un percorso che avrebbe potuto condurre quantomeno – alla ‘ declassificazione’ dei documenti NATO, con facoltà delle parti processuali di prenderne visione.
In ogni caso, la Corte di secondo grado non avrebbe espresso una congrua motivazione in rapporto alla deduzione contenuta – circa tali aspetti – nei motivi di appello.
4 Il medesimo profilo – scelta di non procedere ad interpello verso il Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art.256 bis cod.proc.pen. – viene prospettato, al quarto motivo, come vizio per avvenuto esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi.
La scelta della Autorità Giudiziaria procedente di non accedere ai documenti riservati NATO con limitazione delle facoltà processuali difensive, data la estrema rilevanza dei dati non acquisiti in giudizio – avrebbe, in sostanza, invaso un campo riservato alla autorità amministrativa.
L’interpretazione proposta dalla Corte di Appello avrebbe – erroneamente – attribuito natura ‘autoapplicativa’ all’art. 7 degli Accordi di Ottawa, lì dove la classificazione del segreto doveva essere operata dal vertice politico-amministrativo. In ciò la difesa ipotizza la venuta ad esistenza di un ulteriore vizio.
Si lamenta anche la artificiosa – e non verificabile – duplicazione dei giudizi, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare, in ragione del diverso ambito delle informazioni contenute nei documenti ‘non disvelati’.
6.5 Al quinto motivo le medesime situazioni di fatto – in tema di non accessibilità ai reperti rappresentati dalla scheda MICRO SD e dallo smartphone Samsung – vengono prospettati sub specie vizio di mancata assunzione di prova decisiva, stante il reiterato diniego delle richieste difensive tese alla elaborazione ‘autonoma’ o comunque alla verifica dei contenuti dei supporti informatici.
La difesa ribadisce che le limitazioni opposte durante l’intero procedimento alla diretta
consultazione dei ‘corpi di reato’ hanno reso impossibile l’attività difensiva e la dimostrazione di estraneità del Biot ai fatti oggetto di contestazione. Il processo non avrebbe rispettato i parametri di cui all’art. 111 Cost. e 6 Conv. Edu. Processo non giusto.
In estrema sintesi, secondo la difesa sarebbe stata ostacolata la prova negativa del rapporto tra l’imputato ed il fatto.
La mancata ostensione del singolo documento e la mancata consegna dei supporti informatici in originale o in copia integrale limita le facoltà di introduzione di elementi a discarico in modo, secondo la difesa, del tutto irragionevole.
Anche la inchiesta interna sul ‘tracciamento’ dei documenti riservati all’interno dell’ufficio (che avrebbe potuto dimostrare il contatto o il non contatto tra COGNOME e gli specifici documenti presenti sulla MICRO SD) Ł stata resa impossibile, di fatto, dalla mancata ostensione dei documenti NATO secondo l’accusa presenti sulla MICRO SD . Si ribadisce che, in ogni caso, il profilo personale di COGNOME non consentiva di accedere alla documentazione classificata digitale ma solo a quella cartacea.
Dunque la prova ‘decisiva’ – per stare alla rubrica del motivo – non raccolta Ł qui vista come quantomeno – la mancata consegna nelle mani di un consulente della difesa dei reperti rappresentati dalla scheda MICRO SD e dallo smartphone Samsung.
6.6 Al sesto motivo si deduce, sempre in rapporto al tema della discovery parziale, vizio di mancanza di motivazione sul diniego di un affidamento di perizia informatica in secondo grado.
Si ribadisce che le verifiche sui dispositivi in sequestro sono state realizzate in modo parziale e senza ‘reale coinvolgimento’ della difesa. Solo i consulenti del PM hanno potuto visionare le copie forensi dei supporti informatici e ‘raccontare’ in dibattimento gli esiti delle loro verifiche. Dunque la mera presenza della difesa alla ‘estrazione’ della copia forense non ha alcun significato, posto che non Ł stato possibile esaminare il contenuto informatico della copia così estratta.
In particolare si evidenzia che il diniego di perizia non ha visto espressa – a suo sostegno una reale motivazione da parte del giudice di secondo grado. La Corte Militare di appello si sarebbe limitata a ribadire l’esistenza e la legittimità del segreto NATO, il che non consente di ritenere effettivamente affrontato il tema che era stato posto con il motivo di appello.
6.7 Al settimo motivo la difesa deduce il vizio di inutilizzabilità delle videoregistrazioni realizzate nei locali dello Stato Maggiore Difesa, all’interno dell’ufficio del Biot.
Si riprendono – in sostanza – i temi già sollevati nei gradi di merito circa la inutilizzabilità processuale dei video registrati presso l’ufficio del Biot.
Secondo la difesa vi era già, in data 16 marzo 2021 una notizia di reato e, pertanto si tratterebbe di attività di ‘intercettazione ambientale’ non autorizzata.
Si contesta la natura documentale dell’elemento di prova e la applicabilità della disciplina che riguarda il controllo della fedeltà dei dipendenti nel luogo di lavoro, atteso che la registrazione Ł avvenuta – in ogni caso – in luogo assimilabile al domicilio privato.
Anche l’acquisizione della perizia sul computer ove erano allocate in via originaria le registrazioni (realizzata nel giudizio ordinario presso la Corte Assise Roma dall’ing. COGNOME) non ha risolto – secondo la difesa – i dubbi di utilizzabilità, posto che il video Ł stato tratto da quella che era solo di una postazione di visualizzazione e non la fonte primaria della registrazione (si insiste, in particolare, sul possibile controllo anche in audio, pur essendo stato tale aspetto smentito dal perito).
Ci si diffonde, circa tale aspetto, in considerazioni tecniche (contenute nella consulenza di parte) allo scopo di dimostrare le criticità della perizia e la pretesa contraddittorietà della motivazione fornita dalla Corte di merito.
6.8 Al motivo n.8 si deduce vizio di inutilizzabilità del sequestro della MICRO SD in rapporto alla avvenuta violazione della immunità diplomatica dell’agente russo, protetta dalla Convenzione di
Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961.
Anche in tal caso viene riproposto il tema già sollevato nel corso del giudizio di merito. Si evidenzia che la polizia giudiziaria non avrebbe potuto sottoporre a perquisizione l’agente diplomatico russo. Da qui il vizio ‘oggettivo’ del sequestro, rilevante ai sensi dell’art. 191 cod.proc.pen. .
Si contesta l’assenza di legittimazione del COGNOME a dedurre il vizio, posto che il giudizio per la pretesa divulgazione del segreto si Ł svolto solo contro COGNOME e pertanto costui sarebbe pienamente legittimato ad introdurre la questione.
Si contesta, altresì, la tesi per cui dal vizio della perquisizione non deriverebbe il vizio del sequestro a fini di prova.
9 Al nono motivo si deduce l’assenza di motivazione da parte della Corte di secondo grado su tutte le questioni di inutilizzabilità delle prove che erano state sottoposte e devolute con i motivi di appello.
Si ribadisce che Ł stata inibita la possibilità di apprezzare il contenuto e la natura dei documenti riprodotti all’interno della scheda MICRO SD . Viene sintetizzato il contenuto dei motivi già illustrati in precedenza e si ritiene meramente formale ed elusiva la risposta contenuta nella decisione impugnata.
6.10 Al decimo motivo si deduce ancora la inutilizzabilità delle verifiche informatiche sui reperti rappresentati dalla scheda MICRO SD e dallo smartphone Samsung S9.
La presenza della difesa alla estrazione delle copie forensi dei dispositivi Ł stata meramente passiva, senza alcuna reale possibilità di intervento e senza avere la materiale disponibilità dei supporti informatici. Ciò avrebbe – in tesi – determinato la inutilizzabilità dei risultati degli accertamenti informatici, ingiustamente non dichiarata dai giudici del merito. Si deduce, nel corpo del motivo, la violazione dell’art. 6 Conv. Edu in tema di effettività del contraddittorio in ambito probatorio e parità di armi.
Viene richiamato il contenuto dei motivi già esposti in punto di assenza di un equo bilanciamento tra le pretese esigenze di segretezza ed i diritti di accesso della difesa alle fonti di prova e si evidenzia l’assenza di una effettiva motivazione sul punto.
6.11 Al motivo n.11 si deduce la inutilizzabilità anche delle cd. prove indirette .
Secondo la difesa se il segreto NATO Ł davvero ‘invincibile’ (dunque paragonabile negli effetti ad un segreto di Stato) allora non poteva essere ammessa la testimonianza dei testi COGNOME e COGNOME sul contenuto ‘di cornice’ della scheda MICRO SD, nonchØ quella dei testi COGNOME e COGNOME sul rapporto tra la scheda SD e lo smartphone Samsung in sequestro. La Corte di secondo grado motiva su questo punto – in tesi – in modo illogico ed errato.
In particolare, la difesa dopo aver ripercorso la intera vicenda processuale e aver di nuovo ribadito il vizio di fondo – rappresentato dalla mancata accessibilità ai contenuti della scheda in sequestro – evidenzia come sia stata violata, attraverso tali testimonianze, la disposizione (art. 202 comma 5 cod.proc.pen. ) che vieta, in caso di segreto di Stato, la acquisizione anche indiretta delle notizie coperte da segreto (si citano le decisione emesse, sul tema, dalla Corte cost. in piø occasioni).
Si ribadisce, con estremo vigore dialettico, che la Corte di secondo grado attraverso il mantenimento dei profili di utilizzabilità di tali deposizioni ha reso possibile una acquisizione probatoria del tutto generica e inidonea ad affermare la responsabilità dell’imputato, oltre a violare tanto la disciplina del segreto che i diritti della difesa : .. la cesura che segna l’art. 202 comma 5 cpp Ł proprio dettata ad impedire che il confronto tra interessi costituzionali generi queste mostruosità giuridiche, in base a cui un individuo può essere condannato sulla base di prove segrete, raccontate parzialmente, geometricamente e sibillinamente dalla polizia giudiziaria, ma a lui inaccessibili .. .
Si chiede, pertanto, la declaratoria di inutilizzabilità anche delle prove cd. indirette.
6.12 Al motivo n.12 si ripropone la questione di legittimità costituzionale della legge di ratifica degli Accordi di Ottawa (legge n. 1226 del 1954) per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost. .
Le linee della questione posta dalla difesa possono essere così sintetizzate : a) ove si dovesse convalidare la tesi seguita dai giudici del merito, con derivazione dalla legge di ratifica degli accordi di Ottawa del segreto NATO vi sarebbe la irragionevolezza della disciplina di legge, rispetto a quella del segreto di Stato di cui alla legge n.124 del 2007, posto che sul segreto NATO – visto come categoria autonoma – non risulterebbe prevista espressamente la procedura di conferma nØ sono previste deroghe in rapporto a specifiche figure di reato; b) ne deriva la correlata violazione dei diritti della difesa lì dove si ritengano utilizzabili le prove indirette e lì dove si ritenga inutile la procedura di conferma del vincolo; c) ne deriva la collisione con il principio di separazione dei poteri e con i principi del giusto processo.
Viene chiesta, pertanto, con ampie argomentazioni cui si opera rinvio, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
6.13 Al motivo n.13 si deduce vizio di motivazione nonchØ la violazione, in ogni caso, dei profili di metodo di cui all’art. 192 cod.proc.pen. e della regola di giudizio di cui all’art. 533 cod.proc.pen. .
Al di là dei profili di inutilizzabilità sin qui esposti, la difesa evidenzia che i giudici del merito hanno valutato le prove (con particolare riguardo al contenuto della MICRO SD) solo attraverso le dichiarazioni dei testi, su aspetti generici e non specifici. Da qui deriva, in tesi, la violazione della regola del ‘ragionevole dubbio’ – in chiave di limite alla affermazione di responsabilità-, regola che implica il rapporto diretto con la fonte di prova e non tollera simili mediazioni cognitive.
Vi sarebbe stato un ‘cieco affidamento’ nelle parole dei testimoni che hanno visionato il contenuto dei reperti, lì dove il giudice deve apprezzarne direttamente il contenuto.
6.14 Al motivo n.14 si deduce vizio di nullità per violazione dei diritti difensivi – ai sensi dell’art.178 comma 1 lett. c cod.proc.pen. – in sede di raccolta della prova, sempre per la inaccessibilità dei reperti.
Secondo la difesa – alla luce di tutto quanto detto in precedenza – non Ł stato nemmeno possibile, in concreto, realizzare un efficace controesame dei testi mancando l’accesso alle fonti di prova ‘primarie’. E’ stata alterata la parità delle armi ed Ł stato negato il diritto di difendersi provando, in un caso che può dirsi davvero fuori dalla normalità. La narrazione dei testi non era sufficiente – secondo la difesa – ad orientare i poteri ricostruttivi a discarico, occorreva disporre della scheda MICRO SD e dello smartphone in via diretta.
La deduzione, pur prospettata nei motivi di appello, non sarebbe stata – in concreto esaminata.
6.15 Al motivo n.15 si deduce – quanto alla affermazione di responsabilità per il delitto di procacciamento – vizio di motivazione sub specie travisamento delle informazioni probatorie e violazione dell’art. 192 cod.proc.pen. .
Anche volendo considerare utilizzabili le videoregistrazioni realizzate all’interno dell’ufficio (su cui non vi Ł stata questione di segretezza) non vi Ł alcuna prova – secondo la difesa – di effettiva corrispondenza tra i contenuti della scheda SD e le condotte anomale (v. le fotografie) tenute dal Biot.
Si ribadisce che in particolare per la documentazione classificata digitalizzata il Biot non era in possesso di un proprio account e si sarebbe dovuto servire di un account già in uso, cosa che non Ł stata verificata.
In sostanza secondo la difesa se sulla scheda SD vi erano documenti riservati o segreti, questi – specie per quanto riguarda i documenti digitalizzati e non cartacei – non erano stati fotografati dal Biot (mancherebbe la prova in fatto della autonoma accessibilità a tali documenti in capo
all’imputato) . Dunque vi sono affermazioni in sentenza non supportate in modo adeguato dalle pretese evidenze probatorie.
16 Al sedicesimo motivo si deduce vizio di motivazione circa il fatto della avvenuta cessione della scheda MICRO SD in data 30 marzo 2021.
Secondo la difesa la stessa ‘cessione’ della scheda informatica da parte del COGNOME all’agente diplomatico russo Ł frutto di una supposizione non adeguatamente verificata.
Nessuno ha visto la cessione e la vettura su cui viaggiava quella sera il Biot non era munita di impianto di registrazione audio. Non può pertanto affermarsi con il dovuto grado di certezza che il supporto informatico rinvenuto sulla persona di NOME COGNOME sia stato oggetto di cessione da parte dell’imputato.
17 Al motivo n.17 si deduce vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta attendibilità delle consulenze informatiche.
Al netto delle questioni di inutilizzabilità vengono riproposte le questioni di valutazione dei risultati delle consulenze informatiche sullo smartphone , per sostenere che non vi Ł prova certa e affidabile dell’avvenuto inserimento e utilizzo della scheda MICRO SD nello smartphone del Biot.
18 Al motivo numero 18 si deduce la inutilizzabilità di una relazione informatica proveniente da un consulente tecnico del Pubblico Ministero e depositata fuori udienza, in data 1 marzo 2023, mai acquisita al fascicolo per il dibattimento.
19 Al motivo numero 19 si deduce erronea applicazione di legge in rapporto alla avvenuta qualificazione della natura ‘segreta’ o ‘riservata’ delle notizie contenute nella scheda MICRO SD, con quanto ne deriva in punto di qualificazione giuridica del fatto o dei fatti di reato .
Si tratta, da qui in avanti, di motivi subordinati, nel senso che sono valutabili – in chiave di ulteriore tutela della posizione dell’imputato – solo in presenza del diniego delle questioni di nullità o di inutilizzabilità e della attestazione di manifesta infondatezza (o irrilevanza) della questione di legittimità costituzionale prospettata.
Secondo la difesa non può bastare – in riferimento al principio di tassatività ed alla pluralità di disposizioni incriminatrici – la qualifica «formale» di segretezza o riservatezza del documento ma il giudice deve sempre verificare – in via autonoma – la correttezza di simile ipotesi, oltre che l’inerenza delle informazioni al bene protetto dalla norma incriminatrice militare.
La natura segreta delle informazioni non Ł una mera presa d’atto ma il risultato di un apprezzamento e di una valutazione. In questo giudizio ci si sarebbe limitati a raccogliere le opinioni dei testi COGNOME e COGNOME e non si Ł chiesto nulla alla autorità che, in tesi, aveva generato i documenti (ossia, in ipotesi, la NATO) .
Sarebbe dunque paradossale l’emissione di una decisione di condanna che recepisce le valutazioni dei testi e non già l’apprezzamento diretto dei documenti o, quantomeno, le risultanze di una procedura di conferma della inviolabilità da parte della autorità che ha generato il documento.
6.20 Al ventesimo motivo si deduce erronea applicazione di legge in rapporto alla individuazione, in sede di merito, di una condotta di rivelazione consumata e non meramente tentata.
La difesa parte dalla considerazione per cui, pur se si dovesse ritenere avvenuto lo «scambio» della scheda MICRO SD tra COGNOME e l’agente russo costui, immediatamente bloccato quando Ł sceso dalla vettura del Biot, non ha avuto il tempo di consultare il contenuto della scheda e non ne ha avuto la effettiva disponibilità per un tempo apprezzabile. Dunque non ne ha preso nessuna contezza.
Ci si diffonde, pertanto, sia sul significato etimologico di ‘rivelazione’ (termine che implica un rapporto conoscitivo tra due soggetti) che su aspetti giuridici (la impossibilità di prendere cognizione del supporto e la natura del reato), al fine di dimostrare che lì dove il destinatario non abbia potuto
prendere contezza della comunicazione il reato sarebbe punibile solo sub specie tentativo.
In tale direzione – si assume – anche la decisione emessa dalle Sezioni Unite di questa Corte n.7523 del 1983. Si chiede, pertanto, la riqualificazione in delitto tentato.
6.21 Al ventunesimo motivo si impugna la formula di assoluzione parziale «perchØ il fatto non sussiste» – in secondo grado -dal reato di cui al capo B (le riproduzioni fotografiche di taluni documenti) che in realtà Ł stato ritenuto assorbito nelle condotte di procacciamento – di cui al capo A – e successiva rivelazione. Secondo la difesa il fenomeno dell’assorbimento non va dichiarato attraverso la formula utilizzata dalla Corte di Appello e, in ogni caso, vi sarebbe contraddittorietà interna della motivazione.
6.22 Al ventiduesimo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il motivo si dirige alle modalità di esercizio del potere discrezionale del giudice ai sensi degli artt. 132 e 133 cod.pen. . In tale direzione, si afferma che la Corte di secondo grado non ha spiegato le ragioni per cui le circostanze di fatto indicate dalla difesa nei motivi di appello non hanno avuto incidenza favorevole al Biot nel processo determinativo della sanzione.
In particolare si evidenzia che la valutazione in punto di gravità dell’offesa non ha considerato l’assenza di «concreto pregiudizio», posto che le informazioni contenute nella scheda MICRO SD non sono state oggetto di effettivo disvelamento. Tale dato Ł oggettivo e non può essere accantonato sol perchØ il mancato pregiudizio Ł dipeso dal repentino intervento della polizia giudiziaria.
6.23 Anche il motivo n.23 riguarda la determinazione della pena, ma la doglianza si dirige al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 48 comma 2 cod.pen. mil. pace.
Si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
La difesa rappresenta che gli elementi di fatto tesi ad attestare l’ottima condotta militare ed il provato valore del Biot erano stati allegati in modo completo ed esaustivo, ma non sono stati oggetto di reale valutazione da parte della Corte. Vi sarebbe, pertanto, una omissione valutativa non certo sanata dalla avvenuta citazione di precedenti giurisprudenziali.
6.24 al motivo ventiquattresimo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla conferma delle statuizioni risarcitorie.
Si era rappresentata – nei motivi di appello – la assenza di danno risarcibile per la mancata ‘divulgazione effettiva’ delle informazioni. Ciò nonostante, la Corte di secondo grado ha ritenuto sussistente il danno sotto altri e diversi profili.
Simile argomentazione – ad avviso della difesa – non Ł accettabile, posto che una volta accertata l’assenza di divulgazione il danno sarebbe venuto meno sotto il profilo dell’an debeatur e non del quantum debeatur .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, per le ragioni che seguono.
Il corposo ricorso difensivo – pur indubbiamente suggestivo e articolato – non Ł accoglibile in alcuno dei ventiquattro motivi proposti.
Giova premettere alcune considerazioni di metodo, prima di esaminare ciascuna delle doglianze introdotte nell’interesse di NOME COGNOME
2.1 Il ricorso può essere scisso in tre macro-aree : a) le pretese violazioni processuali correlate
alla non integralità della discovery delle fonti di prova; b) la contestazione, sempre in rito, circa la non autonomia del cd. segreto NATO rispetto alla generale disciplina del segreto di Stato; c) il deficit di tipicità e i vizi di motivazione in rapporto alla disciplina di diritto sostanziale che Ł stata ritenuta applicabile.
Si tratta, ovviamente, di tre aspetti della decisione impugnata che vivono di profonde e costanti interrelazioni, come si vedrà nell’esame dei motivi, su cui Ł bene sin d’ora precisare quanto segue:
– nell’esame dei pretesi vizi del procedimento questa Corte non Ł vincolata alle motivazioni espresse nella decisione impugnata, potendo rielaborare in via autonoma – se necessario – il tema in diritto sotteso alla decisione. Come Ł stato piø volte evidenziato nella presente sede di legittimità (tra le molte v. Sez. I n. 16372 del 20.3.2015, rv 263326) il vizio di motivazione, peraltro, non Ł denunziabile – in via generale – con riferimento a questioni di diritto, poichŁ queste se sono fondate e disattese dal giudice di merito (motivatamente o meno) danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge (lett. b dell’art. 606 co.1 cod.proc.pen.) mentre se sono infondate il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimità della pronunzia. Ulteriore conseguenza di ciò Ł che questa Corte, nell’esaminare la denunzia di violazione (o falsa applicazione) delle norme coinvolte nella operazione interpretativa non Ł vincolata, nel percorso di ricostruzione della fattispecie in diritto, alle argomentazioni espresse nel provvedimento impugnato ma può liberamente rielaborare il tema dedotto;
inoltre, va ricordato che eventuali errori in diritto che non abbiano avuto influenza decisiva sul dispositivo emesso in sede di merito possono essere oggetto di rettifica nella presente sede di legittimità in virtø di quanto previsto dall’art. 619 co.1 cod. proc. pen., come ribadito, tra le molte, da Sez. I, n.9707 del 10.8.1995, COGNOME, rv 202302 ove si Ł precisato che risulta possibile – in sede di legittimità – rimediare a difetti motivazionali non incidenti sul nucleo essenziale della decisione impugnata;
ancora, quanto ai profili piø strettamente ricostruttivi del fatto va ricordato che che il giudizio di legittimità non si costruisce sull’esame delle possibilità rappresentative – anche plausibili del fatto, ma sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile un vizio tale da comportare l’annullamento (si veda, ex multis , Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178) . In tal senso, le operazioni di verifica da compiersi in sede di legittimità in rapporto ai motivi di ricorso e al fine di riconoscere o meno il vizio argomentativo del provvedimento impugnato, possono essere così sintetizzate:
verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le altre, Sez. II n. 9269 del 5.12.2012, COGNOME, Rv. 254871) nŁ omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV, n.14732 del 1.3.2011, COGNOME, Rv 250133 nonchŁ Sez. I, n.25117 del 14.7.2006, COGNOME, Rv 234167) ;
verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioŁ su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, COGNOME, Rv 254572 nonchŁ in Sez. II n. 44048 del 13.10.2009,
COGNOME, Rv 245627) ;
verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito e circa l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso ( travisamento della prova ) lì dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex multis , Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516, ove si Ł precisato, sul punto, che «.. non Ł, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nŁ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione piø persuasiva di quella fatta propria dal giudicante; ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piø significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione..);
anche il rispetto del canone decisòrio secondo cui la colpevolezza dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod. proc. pen. come novellato dalla legge n.46 del 2006) non introduce una ulteriore categoria di vizio deducibile, tale da consentire – di fatto l’esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la capacità dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata (tanto che il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di «apparenza» di motivazione) . Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, Ł solo quello «ragionevole» e cioŁ quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. I n.3282 del 2012 del 17.11.2011, nonchŁ, in termini generali, v. Sez. I n. 31546 del 21.5.2008, rv 240763) .
3.
Ciò posto, possono essere esaminati i motivi di ricorso nel modo che segue, nell’ordine in cui sono stati sintetizzati in parte narrativa, cercando ove possibile di evitare ripetizioni (pur se le stesse sono presenti nell’atto di ricorso).
3.1 I primi due motivi di ricorso riguardano il piano processuale e le conseguenze giuridiche della discovery parziale (nel senso della non accessibilità di parte dei contenuti della micro sd in sequestro e della impossibilità di realizzare autonomi accertamenti informatici sulla scheda e sul cellulare in sequestro da parte della difesa). La difesa ipotizza nullità degli atti di esercizio dell’azione penale (a partire dall’avviso ai sensi dell’art.415 bis cod.proc.pen.) o, in alternativa, la inutilizzabilità radicale degli elementi di prova non oggetto di disclosure (intendendo per tali la scheda SD, il cellulare Samsung e le stesse consulenze informatiche su tali reperti). Si tratta di due motivi infondati.
Occorre partire, nella operazione valutativa delle doglianze difensive, da alcune considerazioni di fondo che riguardano lo scenario dimostrativo raffigurato nelle due decisioni di merito.
Al netto delle questioni derivanti dalla discovery parziale dei reperti (che saranno affrontate di qui a un attimo), va evidenziato che la ricostruzione si basa su una pluralità di elementi di prova «in chiaro» che Ł bene, sia pure in sintesi, rievocare.
Vi Ł una prima sequenza di eventi che sono stati ricostruiti :
attraverso la registrazione dei comportamenti tenuti dal COGNOME all’interno del luogo di servizio tra il 16 e il 25 marzo, consistenti nella ‘fissazione’ in una memoria elettronica di immagini di documenti cartacei e su schermo e nella successiva fuoriuscita della memoria elettronica dal luogo di servizio, con modalità che possono definirsi di occultamento;
attraverso il pedinamento fisico di NOME COGNOME da parte della polizia giudiziaria, che ha consentito di monitorare l’incontro avvenuto in data 30 marzo 2021 tra il COGNOME e l’agente diplomatico russo;
attraverso le attività svolte nella immediatezza, in sede di controllo di polizia giudiziaria del COGNOME e dell’agente russo, che hanno consentito di rinvenire una memoria elettronica nella disponibilità del secondo (da un lato) e la somma di denaro in contanti di cinquemila euro nella disponibilità di COGNOME, dall’altro;
attraverso la perquisizione domiciliare effettuata nella immediatezza presso la abitazione del Biot, che ha consentito di rinvenire uno smartphone dello stesso tipo e modello di quello che veniva utilizzato dal Biot all’interno del luogo di servizio per scattare le fotografie ai documenti.
Ora, le evidenze dimostrative che hanno consentito di ricostruire detta sequenza (ferma restando la necessità di rispondere alle doglianze in punto di utilizzabilità della videosorveglianza interna al luogo di lavoro) non sono intaccate da alcun profilo di segretezza o di parzialità della disclosure e possono essere – sul piano della logica comune, ben utilizzato nelle decisioni di merito – interpretate solo in un modo : tra NOME COGNOME e l’agente russo Ł intervenuto uno scambio – scheda SD versus denaro – all’interno della vettura del Biot.
Si tratta di una conclusione che non soffre di alcuna illogicità (anticipandosi qui la valutazione del motivo di ricorso numero 16), posto che l’incontro tra COGNOME e l’agente russo, per le sue modalità, ha un senso solo ove si ponga mente all’attività svolta dal COGNOME, alla anomalìa dei comportamenti tenuti da costui all’interno dell’ufficio nei giorni antecedenti ed all’interesse dell’agente russo ad ottenere ‘qualcosa’ in cambio del pagamento di una somma di denaro.
Dando per assodato lo «scambio» , le ipotesi che i giudici di merito hanno dovuto affrontare e dirimere sono, essenzialmente due : a) la scheda SD rinvenuta nella disponibilità dell’agente russo conteneva informazioni segrete/riservate che NOME COGNOME aveva fotografato e archiviato all’interno del luogo di servizio; b) la scheda SD era vuota, oppure conteneva immagini di qualsiasi altra natura ma non correlate alla attività di servizio del COGNOME.
Nel primo caso, in tutta evidenza, si rientra nel «perimetro» dello spionaggio (inteso in senso ampio come trasmissione di particolari notizie riservate a soggetti non legittimati a riceverle) mentre nel secondo caso si rientra, tendenzialmente, nella truffa (COGNOME riceve del denaro ma non compie alcuna divulgazione di notizie attinenti al servizio).
Questa premessa appare necessaria per comprendere la dinamica ricostruttiva e per apprezzare la rilevanza e la fondatezza della doglianza, posta dalla difesa in chiave di limite denunziato come irragionevole – alla conoscenza diretta dei contenuti della scheda SD.
3.2 Un secondo profilo occorre chiarire.
Le doglianze difensive qui in esame sono state introdotte in modo parcellizzato, senza la necessaria visione di insieme che consente di comprendere e sottoporre a valutazione le ragioni poste alla base della incompleta discovery .
Se da un lato Ł indubbio che la difesa – così come il giudice e lo stesso organo dell’accusa, sul piano processuale – non ha avuto la possibilità di operare una «consultazione diretta» di alcune
delle immagini contenute nella scheda MICRO SD in sequestro (sono stati consultati 4 documenti su 9), , nonchØ della memoria dello smartphone samsung s9 rinvenuto nella abitazione del Biot, ciò Ł dipeso da una necessità di fornire tutela (nella prospettiva seguita dall’organo giudicante) ad una «forma di segreto» che si Ł ritenuta derivante direttamente dalla legge con cui lo Stato italiano ha recepito gli Accordi di Ottawa (legge numero 1226 del 10 novembre 1954, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione sullo statuto dell’Organizzazione del Trattato Nord- Atlantico, firmata ad Ottawa il 20 settembre del 1951) . In particolare, come si Ł ricordato in parte narrativa, secondo l’articolo 2 di detta legge, «piena ed intera esecuzione Ł data alla Convenzione suddetta a decorrere dalla sue entrata in vigore». Da ciò deriva l’impegno ad osservare i contenuti dell’articolo 7 dell’Agreement, con cui si stabilisce la «inviolabilità» degli archivi della organizzazione e dei documenti in essi contenuti, ovunque si trovino ( the archives of the organisation and all documents belonging to it or held by it shall inviolable, wherever located ) .
Ora, se Ł esatto affermare che il concetto di «segreto» in senso giuridico comporta «una relazione materiale o personale e indica il limite posto – da un soggetto competente- alla conoscibilità di un fatto, un atto o una cosa, destinata a rimanere occulta ad ogni persona diversa da quelle che legittimamente conoscano il fatto, l’atto o la cosa» come affermato in modo nitido da Sez. I n. 8018 del 4.7.1985, rv 170391, Ł evidente che il segreto – in rapporto ad una fonte legale che lo giustifichi – va protetto e tutelato non soltanto in riferimento alle condotte di violazione e divulgazione punibili in senso sostanziale (rivelazione di segreti, spionaggio etc.) ma anche in sede processuale (come limite alla sua conoscenza diretta), pena la sua vanificazione e salve le ipotesi di ‘deroga’ (con disvelamento) derivanti – parimenti – da fonte legale.
Da ciò deriva che si Ł verificato – nel caso che ci occupa e sul piano processuale – non già un evento ascrivibile a una patologica assenza di correttezza da parte dell’organo dell’accusa (ad esempio una deliberata scelta di sottrazione di uno o piø elementi di prova di cui non viene disvelata l’esistenza alla controparte) ma un evento definibile in termini di «necessario bilanciamento» tra una full disclosure e la necessità di tutela di un vincolo di segretezza di documenti aventi classifica NATO SECRET, derivante dalla adesione dell’Italia alla Alleanza Atlantica.
Nella prospettazione difensiva, ai primi due motivi di ricorso, il ricorrente si concentra sull’effetto (la parziale discovery di cui si Ł detto) ma non ne esamina la causa, dando luogo ad una non corretta – sul piano giuridico – ricostruzione dell’evento processuale.
3.3 Per essere ancora piø chiari :
non vi Ł dubbio alcuno circa l’obbligo del Pubblico Ministero di provvedere al deposito integrale – della documentazione relativa alle indagini espletate in vista dell’esercizio dell’azione penale, già ai sensi dell’art. 415 bis comma 2 cod.proc.pen., senza alcun potere discrezionale di selezione degli atti realizzati nel corso del procedimento;
la stessa Corte costituzionale, con la decisione num. 145 del 1991 ha ribadito che l’obbligo di deposito – in vista dell’esercizio dell’azione penale – riguarda tutti gli atti attraverso cui l’indagine preliminare si Ł sviluppata, non potendosi discrezionalmente sottrarre un atto inerente le indagini espletate alla piena conoscenza delle parti;
tuttavia tale assetto riguarda ipotesi ordinarie e non può essere esteso alla ipotesi in cui uno o piø atti – o cose – siano sottratti al deposito e alla disclosure in ragione di altra e diversa disposizione di legge posta a tutela di una forma di segreto. In tal caso il mancato o parziale – disvelamento dell’atto non Ł frutto di (patologica) discrezionalità dell’organo dell’accusa ma Ł condotta imposta dalle disposizioni di legge poste a tutela del segreto. Pertanto, la domanda da porsi non Ł quella riguardante la nullità degli atti di esercizio dell’azione – per stare al primo motivo del ricorso -, posto che nessuna nullità potrebbe mai derivare da una condotta doverosa (il mantenimento del segreto), ma Ł quella della legittima
«considerazione» circa la esistenza e la estensione del particolare tipo di segreto che impedisce la full disclosure .
A ciò va aggiunto, per stare nell’ambito dei principi espressi dalla Corte Edu, richiamati proprio dalla difesa attraverso la produzione in udienza di copia della sentenza emessa dalla Grande Camera in data 26 settembre 2023 nel caso NOME COGNOME contro Turchia il profilo della necessità del mantenimento del segreto e la esistenza – o meno – di adeguate garanzie processuali complessive, come da costante orientamento interpretativo della Corte di Strasburgo. Si veda, per tutte, la decisione Rowe e Davis contro Regno Unito del 16 febbraio 2000: : «.. il diritto all’accesso alle prove pertinenti non costituisce un diritto assoluto. Nell’ambito di un procedimento penale, possono emergere interessi contrapposti, quali la sicurezza nazionale, la necessità di proteggere testimoni esposti a rischio di ritorsioni o la segretezza delle tecniche investigative delle forze di polizia, che devono essere ponderati rispetto ai diritti dell’imputato (si veda, ad esempio, la sentenza COGNOME c. Paesi Bassi del 26 marzo 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-II, p. 470, § 70). In alcune circostanze, può risultare necessario omettere determinati elementi probatori dalla disponibilità della difesa al fine di tutelare i diritti fondamentali di un altro soggetto o di salvaguardare un interesse pubblico di particolare rilievo. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, sono ammissibili esclusivamente le restrizioni ai diritti della difesa che risultino strettamente necessarie (si veda la sentenza COGNOME e altri c. Paesi Bassi del 23 aprile 1997, Reports 1997-III, p. 712, § 58). Inoltre, al fine di garantire all’imputato un equo processo, eventuali difficoltà derivanti da una limitazione dei diritti della difesa devono essere adeguatamente compensate dalle garanzie procedurali adottate dalle autorità giudiziarie (si vedano la sentenza COGNOME, cit., p. 471, § 72, e la sentenza COGNOME e altri, cit., p. 712, § 54.. )».
3.4 Ciò che la difesa, pertanto, non considera in modo adeguato Ł che la necessità di fornire tutela ad una ‘forma’ di segreto (qui il segreto su archivi e documenti della NATO) ben può avere conseguenze sulla integrale discovery di materiali processuali, senza che da ciò possa derivare per il principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico – nullità alcuna.
La giurisprudenza formatasi in seno alla Corte Edu richiede – sul punto – esclusivamente la verifica della ‘stretta necessità’ del segreto e l’esistenza – nel complesso – di adeguate garanzie procedurali per l’accusato. Questi sono i veri ‘temi’ sottesi alle doglianze difensive, che verranno qui esaminati.
Va inoltre precisato che la stessa decisione esibita in sede di discussione dalla difesa del COGNOME va letta nel senso della continuità con i principi sopra enunciati della stretta necessità del segreto e della adeguata compensazione con altre garanzie processuali.
La sentenza emessa dalla Grande Camera Corte Edu in data 26 settembre 2023 nel caso NOME COGNOME contro Turchia, riguarda un caso in cui il ricorrente era stato condannato per la partecipazione ad una associazione terroristica per il solo fatto che risultava utilizzatore di un sistema di messaggistica cifrato (ByLock) utilizzato da altri membri della organizzazione, senza il concreto apprezzamento (e la messa a disposizione nel giudizio) del contenuto dei messaggi inoltrati e ricevuti.
In un caso del genere risulta – secondo la Corte Edu – violato tanto l’articolo 7 (per interpretazione estensiva della norma incriminatrice interna) che l’articolo 6 della Convenzione per l’assenza di complessiva equità processuale, dovuta alla assenza di full disclosure non compensata da garanzie sufficienti per l’imputato circa la facoltà di contestare efficacemente gli elementi di prova a carico.
Pur in simile contesto – che non presenta concrete ragioni di sovrapposizione con il caso qui in trattazione, per quanto si dirà in seguito – va subito rilevato che la Corte di Strasburgo raggiunge la constatazione di violazione non già in ragione della mera esistenza di una ‘inaccessibilità’ a taluni
dati dimostrativi (come pare prospettare il ricorrente), ma in ragione della assenza di ‘motivi plausibili’, idonei a giustificare il limite di accessibilità dei dati elettronici e della assenza di adeguato bilanciamento (v. par. 330 della sentenza).
Ciò del resto Ł in linea con i contenuti della direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio in tema di diritto all’informazione nei procedimenti penali, aspetto che Ł opportuno rimarcare.
In effetti la disciplina dettata in ambito UE si occupa in modo espresso di prevedere, al comma 3 dell’articolo 7, le deroghe al principio della full disclosure processuale: .. in deroga ai paragrafi 2 e 3, purchŁ ciò non pregiudichi il diritto a un processo equo, l’accesso a parte della documentazione relativa all’indagine può essere rifiutato se tale accesso possa comportare una grave minaccia per la vita o per i diritti fondamentali di un’altra persona o se tale rifiuto Ł strettamente necessario per la salvaguardia di interessi pubblici importanti, come in casi in cui l’accesso possa mettere a repentaglio le indagini in corso o qualora possa minacciare gravemente la sicurezza interna dello stato membro in cui si svolge il procedimento penale. Gli stati membri garantiscono che, secondo le procedure del diritto nazionale, una decisione di rifiutare l’accesso a parte della documentazione relativa all’indagine, a norma del presente paragrafo, sia adottata da una autorità giudiziaria o sia quantomeno soggetta a un controllo giurisdizionale.
Si tratta di un dato di normazione UE di estremo interesse e rilievo per l’odierna decisione, posto che viene riconosciuta in modo espresso quella necessità di bilanciamento tra interesse processuale (discovery integrale) e limite alla accessibilità a taluni dati conoscitivi, bilanciamento che da un lato richiede la ‘particolare rilevanza’ della esigenza posta a base della limitata accessibilità (ad es. la sicurezza interna dello stato membro) dall’altro impone la esistenza di meccanismi di riequilibrio tali da garantire – nel suo complesso – l’equità del giudizio.
Ora, nel caso qui in esame può dirsi, con assoluta condivisione dei contenuti delle decisioni di merito, che da un lato non possono nutrirsi dubbi circa la assoluta necessità di mantenere – anche in ambito processuale – la inviolabilità del segreto NATO sulle specifiche informazioni contenute nei documenti classificati (per il pregiudizio alla sicurezza derivante dalla divulgazione), dall’altro il processo ha visto il pieno esercizio del contraddittorio sulle fonti dichiarative (in particolare COGNOME e COGNOME) che, nei limiti di inviolabilità del contenuto dei documenti, hanno riferito in dibattimento sugli ambiti cui inerivano le notizie, sull’oggetto e sulla inerenza dei contenuti alle strategìe di organizzazione militare della Alleanza Atlantica e della relativa componente italiana.
Ciò esclude non solo la nullità degli atti di esercizio dell’azione penale (invocata con il motoivo n.1), posto che trattasi non già di una indebita ‘sottrazione discrezionale’ di un elemento di conoscenza alla difesa ma di un atto dovuto (quanto alla imposizione della inaccessibilità parziale), nonchØ esclude che dalla inaccessibilità fisica dei contenuti dei reperti (motivo n.2) possa derivare la inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali e degli accertamenti tecnici che hanno avuto ad oggetto il cellulare samsung s9 reperito nella abitazione del Biot e le comparazioni con la scheda MICRO SD.
Si tratta, infatti, di elementi di prova che realizzano proprio quel meccanismo di ‘bilanciamento’ richiesto dalle pronunzie della Corte Edu prima citate e che concretizzano la previsione di cui all’art. 7 comma 3 della citata Direttiva UE in tema di giusto processo.
In effetti le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME che hanno visionato in modo integrale il contenuto della scheda MICRO SD e hanno descritto – nei limiti di cui sopra – la tipologìa di documenti in essa contenuti altro non sono che lo strumento con cui l’autorità giudiziaria Ł riuscita a coniugare la esigenza di mantenimento del segreto (sulle specifiche informazioni) con l’esercizio dei poteri ricostruttivi, in contraddittorio, dei contenuti della scheda e, dunque, della tipologìa di illecito penale commesso dal Biot (si ricordi la alternativa indicata in apertura).
Un processo per il delitto di rivelazione di un segreto – in altre parole – non può essere uno strumento con cui si arreca un ulteriore pregiudizio al segreto (che Ł l’oggetto di tutela penale messo in rilievo) ma, al tempo stesso, per essere definito ‘giusto’ deve consentire il contraddittorio sulle fonti dimostrative che siano idonee a rappresentare l’avvenuta commissione del delitto.
Nel caso in esame sulle fonti dimostrative COGNOME e COGNOME (in una con tutte le altre fonti dimostrative in chiaro) e sui contenuti apportati da tali testimoni qualificati Ł stato ampiamente realizzato il contraddittorio in dibattimento e ciò esclude che possa definirsi viziato il segmento processuale con cui si Ł ricostruito il contenuto della scheda MICRO SD oggetto dello scambio.
I principi di diritto che portano al rigetto dei primi due motivi di ricorso possono essere sintetizzati, dunque, nel modo che segue:
l’obbligo di deposito integrale degli atti di indagine e delle fonti di prova di cui agli articoli 415 bis comma 2 e 416 comma 2 cod.proc.pen. può trovare deroga – in riferimento a determinati elementi di conoscenza – lì dove esista un obbligo di mantenimento della segretezza (sul contenuto di tali elementi) imposto da diversa fonte normativa e nel limite della stretta necessità;
ove sussista detta ipotesi derogatoria la equità del processo (nel senso previsto dall’art.7 della Direttiva 2012/13/UE) Ł strettamente correlata alla esistenza della facoltà difensiva di esercizio del contraddittorio sulle fonti di prova con cui viene introdotto nel giudizio il materiale conoscitivo idoneo a determinare la attribuzione della specifica condotta di reato all’imputato.
Terzo e quarto motivo sono infondati.
4.1 La difesa, in estrema sintesi, ritiene – sotto diversi profili – illegittima la individuazione del segreto NATO come diretta conseguenza della ratifica degli accordi di Ottawa (legge 1226 del 10.11.1954) ed afferma che i giudici del merito avrebbero dovuto, per converso, applicare le disposizioni processuali di cui all’art. 256 bis cod.proc.pen. e la correlata disciplina contenuta nella legge n.124 del 2007 in tema di segreto di Stato.
La prospettazione della difesa Ł errata in diritto.
Va premesso che ai sensi della legge n.1226 del 10 novembre 1954, art. 2, la ratifica della Convenzione sullo Statuto dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico Ł avvenuta senza alcuna riserva da parte della Repubblica italiana : piena ed intera esecuzione Ł data alla Convenzione suddetta a decorrere dalla data della sua entrata in vigore.
Si Ł in presenza, dunque, di un ‘ordine di esecuzione’ la cui efficacia, in rapporto alle disposizioni contenute nella Convenzione cui si opera riferimento Ł stata ben descritta dalla Corte costituzionale nella decisione numero 58 del 1997 : tale tecnica legislativa dà luogo alla produzione nell’ordinamento interno di tutte le norme espresse nel testo della Convenzione. In particolare sono oggetto di ricezione nell’ordinamento interno – in virtø del semplice ordine di esecuzione – tutte le disposizioni che, per come formulate nel Trattato, realizzano condizioni auto-applicative e non necessitano di altro adempimento intermedio (cd. norme self-executing ).
Bisogna pertanto chiedersi – in forza di quanto detto sopra – se la disposizione in tema di inviolabilità degli archivi e documenti generati in ambito NATO di cui all’articolo 7 della Convenzione di Ottawa sia o meno auto-applicativa, in rapporto alla sua formulazione letterale e alla sua finalità.
Ad avviso del Collegio nessun dubbio può nutrirsi in proposito, in ragione del fatto che il tenore letterale della disposizione non richiede alcuna mediazione o intervento di una autorità diversa dalla Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (autorità generatrice del documento) e la inviolabilità Ł affermata in via assoluta e generale, senza eccezioni o deroghe. Del resto anche sul piano delle finalità non può non considerarsi che l’Alleanza Ł – in quanto tale – una coalizione tra Stati di tipo militare e per finalità di comune difesa, il che ben sostiene – sul piano della interpretazione logica e storica – siffatta interpretazione, del tutto in linea con il contenuto dell’articolo 11 della Costituzione della Repubblica.
Dunque Ł del tutto fuorviante la tesi difensiva della assenza di una autonoma fonte legale del segreto NATO e della necessaria ‘riconduzione’ di ogni forma di segreto militare o politico alla categoria giuridica del segreto di Stato.
Nel nostro ordinamento, infatti, coesistono il segreto di Stato (v. art. 39 della legge n.124 del 2007) e il segreto NATO (art. 7 Convenzione di Ottawa e legge n.1226 del 1954), fermo restando che il cono applicativo dell’art. 39 della legge 124 del 2007 Ł di particolare ampiezza e tale da determinare possibili interrelazioni in concreto (riguardando atti, documenti, notizie, attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e difesa militare dello Stato ).
Non può escludersi – in altre parole – che l’autorità politico-amministrativa possa opporre il segreto di Stato, anche alla autorità giudiziaria, in riferimento a specifiche vicende che riguardino gli accordi NATO e il coinvolgimento dell’Italia in attività correlate, ma ciò non significa – in alcun modo – che la fonte del segreto NATO sia da ricercarsi nelle norme di diritto sostanziale o processuale che concernono la disciplina del segreto di Stato, data la piena autonomia delle rispettive discipline normative e la diversa matrice genetica del segreto NATO, che riguarda tutta la documentazione riservata che si genera nel contesto operativo della Alleanza Atalantica.
4.2 Non può pertanto essere accolto (terzo motivo) il profilo di doglianza secondo cui i giudici del merito avrebbero dovuto applicare le disposizioni di legge previste dalla legge n.124 del 2007 in tema di segreto di Stato, ivi comprese le disposizioni di carattere processuale di cui agli articoli 202 o 256 bis e ter cod.proc.pen., per la semplice ragione che nel presente giudizio non si verte in ipotesi di avvenuta opposizione del segreto di Stato ma di rivelazione di notizie coperte dal segreto NATO, la cui fonte giuridica e legislativa ha – come si Ł detto – piena autonomia rispetto al segreto di Stato, derivando dall’art. 7 del Trattato di Ottawa, disposizione autoapplicativa e recepita all’interno del nostro ordinamento in forza dell’ordine di esecuzione contenuto nella legge n.1226 del 1954.
Il segreto NATO ha fonte legale – peraltro rinforzata ai sensi dell’art.11 Cost. – ed Ł diretta derivazione della ‘appartenenza’ del documento alla Organizzazione Atlantica e tale aspetto non necessita di conferma alcuna, non essendo prevista detta procedura dalla medesima Convenzione.
Del resto, giova precisare che l’oggetto del presente giudizio Ł esclusivamente rappresentato in riferimento alle imputazioni – dalla verifica delle condotte di procacciamento e rivelazione di notizie ‘segrete o riservate’ concernenti la forza, preparazione e difesa militare dello Stato.
In tale ambito, dunque, non viene in rilievo il segreto in quanto limite posto alla autorità giudiziaria alla conoscenza di informazioni rilevanti per l’accertamento di ‘altri’ e ‘diversi’ reati. La precisazione appare necessaria in ragione del fatto che – anche in rapporto all’ istituto del segreto di Stato – la particolare disciplina legislativa di cui alla legge n.124 del 2007 trova occasione ‘storica’ in decisioni della Corte costituzionale che, a partire dalla sentenza n.82 del 1976 (ma con particolare forza nella decisione numero 110 del 1998) hanno posto in luce la necessità di una disciplina organica del segreto di stato, in riferimento essenzialmente alle plurime occasioni in cui detta tipologìa di segreto Ł stata opposta come limite alla conoscenza di condotte relative alla avvenuta commissione di ‘altri’ fatti di reato, del tutto diversi dalla rivelazione del segreto.
Giova rievocare, sul punto, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella decisione n.86 del 1977, ove si Ł affermato che .. la individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie ecc., che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti, costituisce indubbiamente il frutto di una valutazione della autorità preposta appunto a salvaguardare questa sicurezza e non può consistere in una attività ampiamente discrezionale .. in quanto tocca la salus
rei publicae ed Ł quindi intimamente legata all’accertamento di questi interessi e alla valutazione dei mezzi che ne evitano la compromissione o ne assicurano la salvaguardia’ .
Quando, di contro, l’oggetto del giudizio Ł rappresentato dalla rivelazione del segreto (come nel caso in esame) ciò che rileva ai fini del giudizio Ł – come si Ł detto – la possibilità di ricostruire, anche in via indiretta, la inerenza o meno delle notizie rivelate alle categorie previste dalle diverse disposizioni incriminatrici e non necessariamente il ‘contenuto’ della singola informazione. In ciò risulta corretta la tesi sostenuta nella decisione impugnata secondo cui ‘ sembra di poter dire che l’inviolabilità debba riferirsi al contenuto concreto dei documenti classificati, ai quali infatti non Ł possibile accedere, ma non anche ad altri elementi che possono essere utilmente adoperati per valutare l’imputazione’.
In altre parole, per valutare la avvenuta commissione di condotte di spionaggio Ł sufficiente conoscere – con il dovuto grado di certezza – la ‘inerenza’ del documento oggetto di rivelazione al tema della forza, preparazione e difesa militare dello Stato, mentre non Ł indispensabile conoscere il contenuto specifico della notizia. Da ciò deriva che anche la scelta della autorità giudiziaria militare, nel presente giudizio, di non attivare la procedura di interpello alla NATO per ottenere eventualmente – la declassificazione dei documenti, al di là di ogni altra considerazione, non può essere censurata in questa sede proprio in ragione del fatto che la attività istruttoria svolta in contraddittorio ha fornito elementi sufficienti per realizzare il giudizio sulle imputazioni contestate.
Anche sotto il dedotto profilo del preteso ‘esercizio di potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi’ di cui al quarto motivo, il ricorso, per quanto sinora detto, Ł del tutto infondato, posto che l’autorità giudiziaria militare non ha fatto altro che riconoscere l’esistenza del segreto NATO come limite alla accessibilità processuale di alcuni reperti derivante direttamente dalla legge di ratifica degli accordi di Ottawa, non sostituendosi in alcun modo nØ al legislatore nØ alla autorità amministrativa.
Il quinto motivo Ł inammissibile per genericità.
La genericità deriva dal fatto che viene con tale doglianza riproposta sotto diverso profilo (quello della mancata assunzione di prova decisiva) la questione del ‘limitato accesso’ ai reperti, rappresentati dalla scheda MICRO SD e dal cellulare Samsung s9.
In tale prospettazione la difesa non tiene conto delle ragioni per cui in sede di merito sono stati posti i suddetti limiti, in riferimento alla necessaria tutela del contenuto delle informazioni contenute nei documenti NATO che erano stati ‘fissati’ fotograficamente e immagazzinati informaticamente nella scheda MICRO SD oggetto di sequestro (come verificato in contraddittorio attraverso le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME).
La difesa, in altre parole, pretende di trasformare in vizio processuale (la mancata messa a disposizione dei reperti e la assenza di verifica diretta dei loro contenuti, quantomeno per ciò che riguarda i documenti NATO SECRET) ciò che Ł il risultato della riconosciuta esistenza del segreto e della sua necessaria tutela, prospettando la violazione dei canoni del giusto processo.
Ma si Ł già detto (v. par. 3) che in simili casi – di parziale inaccessibilità di fonti di prova correlate alla tutela di profili di segretezza – ciò che rileva Ł la ‘stretta necessità’ del mantenimento del segreto in ambito processuale e la esistenza di meccanismi di ‘compensazione’ che consentano l’esercizio delle facoltà di difesa.
E si Ł già detto che a giudizio del Collegio in sede di merito si Ł dato conto in maniera ineccepibile della ricorrenza sia del primo parametro che del secondo.
Quanto alla stretta necessità del mantenimento – in ambito processuale – del segreto va ribadito che la scelta risulta insindacabile in forza della corretta applicazione della legge di ratifica ed esecuzione degli accordi di Ottawa, mentre sotto il profilo della ‘compensazione’ va ulteriormente ricordato che la difesa del Biot Ł stata posta in condizione, durante il procedimento, di : a)
contro
esaminare i testimoni qualificati che hanno riferito sui contenuti della scheda MICRO SD dopo averla visionata in modo integrale; b) assistere alla estrazione di copia forense del cellulare samsung s9; c) controesaminare i consulenti della pubblica accusa che hanno riferito circa i tratti di corrispondenza tra la memoria dello smartphone e i contenuti della scheda MICRO SD .
Si tratta di attività difensive che si aggiungono – ovviamente – alla restante parte della istruttoria che non ha sofferto di alcuna limitazione cognitiva (ricostruzione di quanto avvenuto all’interno del luogo di servizio / ricostruzione della consegna della scheda MICRO SD all’agente diplomatico russo) e che consentono di ritenere sussistente la complessiva equità del giudizio, così come richiesto dalla giurisprudenza sovranazionale.
Per il resto, il motivo Ł del tutto ripetitivo di censure già proposte ai primi due motivi ed esaminate in precedenza.
6. Il sesto motivo di ricorso Ł parimenti inammissibile per genericità .
La Corte di secondo grado ha dato ampiamente conto (da pag. 243 a pag.264) delle ragioni per cui Ł stato ritenuto affidabile il contributo tecnico del teste COGNOME (consulente del PM), quanto al profilo delle analisi informatiche che hanno consentito di affermare che le immagini scaricate sulla scheda MICRO SD erano state create tramite l’utilizzo dello smartphone Samsung s9 trovato pressoi l’abitazione del Biot ed a costui in uso. Da ciò Ł derivata, con motivazione del tutto congrua, la scelta di non realizzare la rinnovazione istruttoria su tale aspetto.
Si tratta di aspetti argomentativi del tutto logici e non rivalutabili nella presente sede di legittimità, su cui le obiezioni difensive tendono a riproporre il tema del limitato accesso alle fonti di prova, già ampiamente trattato in precedenza.
7.
Il settimo motivo Ł infondato, per le ragioni che seguono.
7.1 La doglianza si rivolge – in chiave di inutilizzabilità – alle videoregistrazioni dei comportamenti tenuti dal Biot all’interno dei locali in cui prestava servizio, avvenute, come Ł noto, dal 16 al 26 marzo 2021.
Circa tale aspetto, va in primis rilevato che senza vizi logici o errori di diritto – in sede di merito – Ł stato escluso che in data 16 marzo 2021 il COGNOME versasse nella condizione di soggetto indagato.
Le eventuali attività informative preventive realizzate dall’AISI, pur lì dove abbiano comportato intercettazioni preventive, ai sensi dell’art. 226 disp. att. cod.proc.pen. non danno luogo ad una notizia di reato in ragione della loro finalità meramente preventiva e in ragione dell’espresso divieto (art. 226 disp.att. comma 5) di essere sinanche ‘richiamate’ in atti di indagine.
Da ciò deriva che le attività di videoregistrazione svolte all’interno dei locali di servizio dello Stato Maggiore della Difesa – che hanno consentito di captare le condotte anomale del Biot – pur se ricollegabili ad una segnalazione di sospetto, derivante da indagini preventive degli apparati informativi, hanno natura documentale per l’essenziale ragione della loro collocazione pre -procedimentale, correlata alla assoluta inutilizzabilità probatoria delle indagini preventive.
La differenza tra atto di indagine e documento (art. 234 cod.proc.pen.) deriva – come Ł noto proprio dal fatto che il documento Ł il risultato di una attività posta in essere da un soggetto giuridico diverso da quelli titolari di poteri investigativi procedimentali e avente finalità generiche di controllo e/o documentazione di accadimenti.
Sotto tale profilo la scelta di posizionare strumenti di videosorveglianza dell’attività di NOME COGNOME Ł stata posta in essere dai suoi superiori gerarchici e per legittime finalità di controllo di ciò che avveniva all’interno del luogo di lavoro, luogo che non può essere considerato in termini di ‘privata dimora’ (si veda, sotto tale profilo, quanto affermato da Sez. I n. 30566 del 7.3.2019, rv 276603).
La natura documentale Ł stata già ritenuta da questa Corte di legittimità in sede di valutazione del ricorso proposto dal Biot avverso la misura cautelare (sentenza n. 13649 del 2022) e va qui
ribadita, non tanto in riferimento ai precedenti giurisprudenziali in tema di controllo delle condotte del lavoratore subordinato, quanto in ragione del fatto che – lo si ripete – a carico del Biot non era emersa in modo compiuto una notizia di reato nel momento in cui il Comando del reparto di sua appartenenza decide di effettuare un monitoraggio visivo delle condotte tenute in locali ‘di servizio’.
Si tratta di una opzione di controllo estranea alle attività investigative in senso proprio e, al piø, rapportabile all’esercizio di un generico potere di controllo e vigilanza di tipo amministrativo, inquadrabile nella disposizione di legge di cui all’art. 220 disp.att. cod.proc.pen., nel senso che l’emersione di indizi di reato nel corso di simile attività deve determinare la formalizzazione della notizia di reato e l’applicazione delle norme del codice di rito.
Ma ciò Ł proprio quello che Ł avvenuto, secondo quanto emerge dalle decisioni di merito.
La notizia di reato viene infatti formalizzata subito dopo che dalla visione delle immagini emerge – in data 25 marzo – che NOME COGNOME non soltanto ha fotografato dei documenti all’interno del luogo di servizio (aspetto già anomalo ma che avrebbe, in astratto, potuto trovare delle spiegazioni in necessità di archiviazione non necessariamente illecite) ma ha occultato la memoria elettronica nel proprio zaino, portandola in tal modo all’esterno del luogo di servizio.
Sotto tale profilo, va ritenuta corretta la ricostruzione offerta in sede di merito circa la sequenza di ‘emersione’ della notizia di reato in tale momento, quantomeno per quanto concerne la condotta di procacciamento, intesa come mantenimento del possesso di una notizia riservata oltre i legittimi confini funzionali del rapporto di servizio. Dunque ciò che avviene prima non può dirsi frutto di attività investigativa realizzata nel corso del procedimento e mantiene la natura di prova documentale, con infondatezza del motivo di ricorso.
NØ a diverse conclusioni può approdarsi in ragione dei dubbi avanzati dalla difesa circa la esistenza di un controllo non soltanto visivo ma anche uditivo, atteso che simile evenienza Ł stata smentita, in fatto, dal perito nominato dal Tribunale di Roma nel giudizio ordinario (con avvenuta acquisizione della perizia nel corso del giudizio di secondo grado militare). Sul punto le critiche difensive – essenzialmente di tipo tecnico – ai risultati dell’elaborato peritale sono in questa sede inammissibili, in ragione della approfondita e congrua disamina dell’elaborato realizzata in sede di merito.
8. L’ottavo motivo Ł infondato.
La difesa ripropone il tema dell’avvenuto sequestro della scheda MICRO SD in rapporto alla immunità diplomatica dell’ COGNOME, sostenendo la illegittimità ‘a monte’ della perquisizione.
La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961 – ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n.804 del 9 agosto 1967 – prevede all’articolo 24 che l’archivio e i documenti della missione diplomatica sono inviolabili ; all’art. 27 comma 2 che la corrispondenza ufficiale della missione Ł inviolabile; all’art. 29 che la persona dell’agente diplomatico Ł inviolabile, con divieto di arresto; all’art. 31 che l’agente diplomatico gode della immunità dalla giurisdizione penale dello Stato accreditatario.
Ora, la immunità diplomatica rappresenta una ‘garanzia funzionale’ in rapporto all’esercizio dei compiti affidati alla missione diplomatica dello stato estero e, pertanto, l’ unico soggetto legittimato in ipotesi – ad opporsi alla perquisizione o al sequestro della scheda MICRO SD era il Capo della missione diplomatica di appartenenza dell’ Ostroukhov.
Il fatto che tale opposizione non sia mai intervenuta – come processualmente accertato e al di là della sua fondatezza o meno – chiude ogni discorso sul tema, posto che l’odierno ricorrente non ha alcuna legittimazione a fruire della particolare condizione giuridica dell’agente diplomatico COGNOME
Il nono motivo Ł inammissibile per manifesta infondatezza e genericità.
La difesa ripropone le doglianze processuali derivanti dalla limitata disclosure e sostiene che la
Corte di secondo grado non avrebbe fornito congrua e completa risposta.
Come si Ł evidenziato in apertura la questione in rito – al di là della risposta fornita dal giudice del merito – Ł valutabile da questa Corte di legittimità anche in ipotesi di omessa motivazione da parte della Corte di Appello, nel senso che la motivazione Ł segmento della decisione che riguarda, essenzialmente, la ricostruzione del fatto.
La Corte di cassazione afferma la fondatezza o meno delle questioni in rito anche prescindendo dalle considerazioni espresse sul punto dal giudice del merito e dunque non può parlarsi – in tale ambito – di vizi di motivazione.
Quanto ai profili di ‘contenuto’ delle doglianze, le stesse sono state già esaminate ai paragrafi precedenti, cui si rinvia.
Il decimo e l’undicesimo motivo sono infondati.
Secondo la difesa la parziale inaccessibilità di alcuni reperti (MICRO SD e cellulare Samsung s9) determinerebbe la mancanza di equità del processo, la violazione del principio della parità delle armi e la inutilizzabilità anche delle cd. prove ‘indirette’ rappresentate : a) dalle elaborazioni tecniche tese a stabilire che le fotografie contenute nella scheda erano state scattate con il cellulare in uso al Biot; b) dalle deposizioni rese dai testimoni che hanno integralmente visionato il contenuto della scheda MICRO SD in sequestro.
Come si Ł già avuto modo di osservare nei precedenti paragrafi, la disciplina di legge applicabile al ‘segreto NATO’ non Ł quella del segreto di Stato, pur esistendo dei profili di affinità tra i due istituti.
Da ciò deriva che la disposizione di legge invocata dalla difesa per negare validità alle cd. prove indirette (art. 202 comma 5 cod.proc.pen.) delle notizie coperte da segreto non Ł – in quanto tale – applicabile, con piena legittimità tanto delle elaborazioni tecniche che delle dichiarazioni testimoniali.
Del resto va anche tenuto in debito conto che :
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha piø volte affermato che la testimonianza può riguardare anche un documento non acquisito al fascicolo per il dibattimento (v. Sez. V n.38767 del 2017, rv 271210 , ove si Ł affermato che il contenuto rappresentativo di un documento può essere provato anche attraverso una testimonianza, ed il grado di minore affidabilità della prova dichiarativa non implica l’inutilizzabilità di quest’ultima; in tal senso anche Sez. III n.47666 del 14.7.2022, rv 283657) ;
le elaborazioni di tipo tecnico sui reperti e le stesse deposizioni testimoniali, come pure si Ł detto, non hanno avuto alcun effetto di ‘compromissione’ del segreto, perchØ non hanno riguardato le specifiche informazioni contenute nei documenti, quanto il rapporto tra la scheda SD e il telefono marca samsung (la consulenza) e la natura dei documenti con inquadramento della ‘cornice’ (le deposizioni), pertanto nemmeno possono ritenersi, in senso proprio, delle prove indirette sul contenuto delle informazioni coperte da segreto;
come pure si Ł detto sono proprio questi elementi di prova, sviluppati nel contraddittorio tra le parti, (ossia la consulenza e le testimonianze) ad aver consentito il pieno ‘bilanciamento’ tra le esigenze di protezione del segreto NATO e le facoltà processuali della difesa e lo stesso potere cognitivo dei giudici del merito, atteso che le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME hanno introdotto in contraddittorio le conoscenze necessarie a realizzare la qualificazione dei documenti;
peraltro, detta qualificazione dei documenti – unico aspetto rilevante processualmente, dato il tenore delle imputazioni – era già in parte stata acquisita processualmente tramite la visione ‘in chiaro’ delle immagini registrate all’interno dell’ufficio del Biot, posto che come emerge dai contenuti delle decisioni, già in tali momenti poteva notarsi la tipologìa NATO di
alcuni documenti fotografati.
Pertanto, alla luce di tutto quanto finora detto i motivi vanno respinti, atteso che il contraddittorio processuale ha riguardato gli elementi di prova idonei a ricostruire – con pienezza – il contenuto della scheda MICRO SD oggetto di scambio, pur mantenendo integra la tutela delle informazioni oggetto di segreto NATO.
11. Al dodicesimo motivo viene proposta questione di legittimità costituzionale nella ipotesi in cui dovesse ritenersi fondata la tesi sostenuta in sede di merito circa la derivazione del segreto NATO dalla legge di ratifica degli Accordi di Ottawa.
La questione, in rapporto a quanto si Ł argomentato sin qui, Ł manifestamente infondata.
Si Ł già evidenziato che la norma di cui all’articolo 7 della Convenzione di Ottawa Ł – in tutta evidenza – autoapplicativa e pertanto vige nel nostro ordinamento in ragione della avvenuta ratifica del Trattato.
La segretezza assoluta degli archivi e documenti interni della Alleanza Atlantica Ł diretta conseguenza – sul piano logico, prima ancora che giuridico – della natura dell’organismo , trattandosi di una alleanza militare tra stati per scopi di comune difesa. Le esigenze di pianificazione difensiva sono, per loro natura, non ostensibili, specie lì dove involgano rapporti strategici tra plurimi e diversificati attori istituzionali.
Non si comprende, per il vero, la ragione per cui la difesa del ricorrente tenti di costruire un incidente di legittimità costituzionale sulla base di una comparazione tra due discipline (segreto di Stato e segreto Nato) che, pur nelle possibili affinità di scopo, sono profondamente diverse quanto al rispettivo inquadramento giuridico.
La adesione ad un Trattato internazionale comporta, ipso facto , delle limitazioni di sovranità (in rapporto alle finalità perseguite) che rientrano ampiamente nella previsione costituzionale di cui all’articolo 11 della Costituzione. Dunque con l’adesione alla Alleanza Atlantica l’Italia ha inverato detta disposizione costituzionale nella parte in cui promuove l’adesione del nostro Paese ad organizzazioni internazionali tese a promuovere la pace e la giustizia tra le Nazioni ed ha – al contempo – accettato le limitazioni di sovranità derivanti da simile accordo.
La costruzione ‘interna’ del segreto di Stato Ł invece figlia della necessità di regolamentare con legge la sottrazione – alla conoscenza dei soggetti non legittimati – di informazioni la cui divulgazione potrebbe arrecare pregiudizio alle istituzioni democratiche della Repubblica. Sotto tale profilo Ł la maggiore ampiezza – come si Ł già notato – della possibile sfera applicativa del segreto di Stato ad aver determinato, nel corso del tempo, la necessità di una regolamentazione piø estesa dell’istituto, con profili che riguardano le attribuzioni dei poteri di opposizione e di sindacato. Ma, lo si ripete, si tratta di regolamentazione che riguarda in via esclusiva il segreto (interno) di Stato, non certo applicabile al segreto NATO in ragione della illustrata diversità di ambito.
Non vi Ł, pertanto, alcun profilo di violazione di disposizioni costituzionali che possa venire in rilievo – incidentalmente – nel presente giudizio, nØ può ipotizzarsi una violazione dei canoni del giusto processo di cui all’art.111 Cost. .
Ciò perchØ – come pure si Ł detto – il rispetto delle garanzie di contraddittorio e difesa deriva (una volta che si Ł limitata la disclosure allo scopo di mantenere il segreto sulle informazioni protette) dalla esistenza o meno di meccanismi processuali idonei a coniugare le esigenze cognitive – tipiche del giudizio su una imputazione – con la verifica di genuinità e affidabilità delle informazioni introdotte nel giudizio. Ciò nel caso che ci occupa Ł avvenuto, essenzialmente, in ragione dell’avvenuto esercizio del contraddittorio sul contenuto delle deposizione rese dai testi COGNOME e COGNOME.
12. Il tredicesimo motivo Ł inammissibile perchØ manifestamente infondato e tendente alla rivalutazione di elementi di prova congruamente apprezzati in sede di merito.
Come si Ł già avuto modo di affermare nella disamina dei motivi che precedono, in sede di merito vi Ł stato un congruo e logico apprezzamento delle complessive risultanze probatorie acquisite al giudizio, con ricostruzione ineccepibile delle condotte tenute da NOME COGNOME.
In sede di merito può dirsi raccolta, circa la sequenza di episodi avvenuti tra il 18 e 31 marzo del 2021 una «sovrabbondanza» di elementi di prova, quanto alla predisposizione, da parte dell’imputato della scheda MICRO SD in cui erano immagazzinate le fotografie scattate all’interno dell’ufficio (vi Ł prova documentale attraverso la videoregistrazione, convalidata dalle consulenze tecniche sullo smartphone) e quanto alla consegna del supporto informatico all’agente diplomatico russo in cambio di una somma di denaro (attività di polizia giudiziaria con immediato intervento e sequestro della scheda e del denaro).
Dunque in una ottica non parcellizzata del fenomeno ricostruttivo – come si Ł già evidenziato in precedenza – l’unico segmento del giudizio che si Ł alimentato con prova ‘indiretta’ Ł rappresentato dalla deposizione dei testimoni qualificati (in particolare COGNOME e COGNOME) sui contenuti ‘inaccessibili’ (documenti NATO SECRET) della scheda MICRO SD. Qui il fenomeno probatorio Ł indiretto perchØ si basa sulla percezione visiva del teste che ha raccontato il contenuto «di massima» dei documenti contenuti nella scheda.
Ma, come si Ł detto piø volte, dette deposizioni vanno calate nell’intera dialettica processuale e hanno consentito di ricostruire – in pieno contraddittorio – le coordinate in cui si muovono le informazioni oggetto di «cessione informativa» dal Biot all’ agente russo COGNOME il che Ł pienamente sufficiente a consentire la ricostruzione dei delitti oggetto di contestazione.
In particolare, una volta affermata – senza alcun vizio logico – la piena affidabilità dei suddetti testimoni, il giudice del merito non incontra alcun limite – a differenza di quanto sostenuto dalla difesa – a ritenere provata l’inerenza delle notizie segrete, oggetto di cessione alla «forza, preparazione e difesa militare dello Stato», in ciò integrando la piø grave tra le contestazioni in fatto e in diritto.
Una simile classificazione, infatti, non richiede necessariamente la «percezione diretta», ossia la visione del documento, da parte del soggetto decidente, atteso che – come ogni altro elemento fattuale – lo stesso può essere ricostruito tanto in via diretta che in via indiziaria. Ed Ł la valutazione dei contenuti delle deposizioni testimoniali, realizzata in sede di merito, ad essere non solo consentita ma del tutto appagante, posto che la prospettazione difensiva nemmeno introduce concreti elementi di inaffidabilità dei dichiaranti e continua a basarsi su petizioni di principio fallaci e fuorvianti (ad es. la necessità della diretta consultazione dei documenti).
13. Il quattordicesimo motivo Ł inammissibile per genericità.
Si tratta della riproduzione – sotto diversa forma – delle doglianze già esaminate ai primi due motivi di ricorso. Qui la difesa riproduce le proprie tesi sulla illegittima limitazione di accessibilità ai reperti, direzionando la critica verso i provvedimenti giurisdizionali di ammissione delle prove e verso le modalità di realizzazione del contraddittorio dibattimentale.
Si tratta di doglianze che non hanno alcuna portata innovativa o originale rispetto a quelle già esaminate in precedenza e pertanto non può farsi altro che richiamare lo sviluppo argomentativo sin qui svolto.
14. Il quindicesimo motivo Ł inammissibile per manifesta infondatezza, oltre a risultare versato in fatto.
Secondo la difesa mancherebbe la prova della condotta di procacciamento, specie in ragione dell’avvenuto travisamento di informazioni probatorie circa la ‘accessibilità’ da parte del Biot di documenti riservati digitalizzati e circa la affermata ‘corrispondenza’ tra i contenuti della scheda SD e i residui di memoria del cellulare Samsung.
Tuttavia va rilevato che il tema Ł trattato ampiamente e senza vizi logici nella decisione
impugnata, ove si ribadisce che la qualifica del Biot lo poneva in condizione di accedere, anche in via di fatto, all’intera documentazione e si ribadisce la validità della elaborazione informatica che ha consentito di apprezzare che la scheda SD oggetto di cessione era stata ‘allocata’ all’interno del cellulare Samsung (cellulare che, del resto, veniva utilizzato dal Biot, come risulta dai video relativi alle condotte anomale tenute nel luogo di servizio).
Del resto, va rilevato che la condotta di procacciamento – in diritto – si realizza in chiave funzionale, lì dove il possesso della informazione, cui si accede in via diretta per ragioni di servizio, viene sviato per una finalità diversa (si veda, sul tema, Sez. I n. 11160 del 20.11.1996, rv 206230).
Dunque nella vicenda che ci occupa, ciò che rileva Ł che il Biot sia stato l’autore della MICRO SD portata all’esterno dello Stato Maggiore Difesa e successivamente da lui consegnata al diplomatico russo. Su tali aspetti, per il vero, il dato dimostrativo principale Ł offerto proprio dalle riprese video, aspetto con cui il ricorrente non si confronta in modo adeguato, rispetto alla corposa elaborazione intervenuta in sede di merito.
Analoga sorte di inammissibilità – come si Ł detto in precedenza – riguarda il motivo numero 16 in punto di dimostrazione dello scambio intervenuto tra COGNOME e COGNOME.
Si Ł già evidenziato che la prospettiva difensiva Ł inaccoglibile, posto che contrasta con la logica comune di correlazione tra plurime circostanze indizianti (condotte anomale del Biot registrate all’interno dell’ufficio / particolari cautele nell’incontro con COGNOME / immediato intervento della polizia giudiziaria che seguiva la vettura condotta dal Biot e reperimento della scheda nella disponibilità di COGNOME), il che rende superfluo ogni ulteriore commento.
I motivi n.17 e n.18 sono inammissibili per genericità e tendenza alla riproposizione di questioni in fatto congruamente apprezzate in sede di merito.
Ed invero, quanto alla valutazione delle consulenze informatiche che hanno consentito di convalidare la tesi dell’avvenuto inserimento della scheda MICRO SD proprio nello smartphone in uso al Biot (come del resto ripreso nelle immagini registrate all’interno del luogo di servizio) la Corte di secondo grado ha correttamente a ampiamente motivato circa le obiezioni difensive (da pag.243 a pag. 271 della decisione impugnata) e su tali aspetti le doglianze difensive tendono a provocare una mera rivalutazione degli elementi di prova, non consentita in sede di legittimità, mentre nessun profilo di decisività può essere attribuito ai contenuti della memoria depositata in data 1 marzo 2023, in ragione del complesso delle evidenze – anche di tipo tecnico – già acquisite e utilizzabili.
Il diciannovesimo motivo Ł infondato.
La difesa, sui temi di diritto sostanziale, contesta in primis l’avvenuta qualificazione giuridica del reato piø grave, rappresentato dall’art.86 del cod. pen. mil. pace, lì dove la previsione incriminatrice concerne la rivelazione, nell’interesse di uno Stato estero, di notizie concernenti la forza, preparazione e difesa militare dello Stato e che devono rimanere segrete .
I profili di critica riguardano, essenzialmente, l’avvenuta qualificazione – da parte dei giudici del merito- della tipologìa di notizie nel senso di cui sopra: a) senza un apprezzamento diretto del contenuto delle informazioni che erano immagazzinate nella scheda MICRO SD; b) senza una verifica presso l’autorità politico-amministrativa che avrebbe, in ipotesi, generato il documento segreto.
Ad avviso del Collegio entrambe le doglianze non possono trovare accoglimento, in ragione dei contenuti delle decisioni, che hanno correttamente ricostruito la «tipologìa» di notizie oggetto di rivelazione.
Quanto al contenuto dei documenti classificati in termini di NATO SECRET si Ł già detto che la qualifica di segretezza deriva direttamente dalla legge di ratifica ed esecuzione degli Accordi di Ottawa senza necessità di conferma alcuna da parte del soggetto giuridico che ha generato il documento, ma al di là di tale aspetto (che riguarda il profilo giuridico-formale), l’istruttoria ha
consentito di ricostruire con piena affidabilità «la cornice» dei documenti e la «inerenza» delle informazioni a profili che ricadono pienamente nell’ambito della previsione incriminatrice.
Si Ł, in tal modo, fornito pieno «equilibrio dimostrativo» all’intero giudizio, nel senso richiesto dalla giurisprudenza della Corte Edu citata in apertura della parte in diritto della presente decisione e valevole per i casi di limiti alla full disclosure , atteso che le parti hanno avuto la possibilità di interloquire in contraddittorio circa la natura dei documenti, aspetto centrale per attribuire all’imputato la specifica violazione di legge oggetto di contestazione.
In particolare, come si Ł evidenziato nella parte narrativa (di sintesi del contenuto delle decisioni) nessun dubbio di attendibilità ha inficiato o depotenziato le deposizioni dei testi (COGNOME e COGNOME) che hanno visionato integralmente la scheda MICRO SD. Si tratta di testimoni altamente qualificati per esperienza professionale ed attività di servizio, come ribadito nella decisione impugnata.
Non possono, pertanto, essere accolti dubbi circa la inerenza delle informazioni ai punti descritti dal legislatore nella norma incriminatrice ( forza, preparazione e difesa militare dello Stato ) in ragione del fatto che la «contribuzione militare italiana» alle missioni operative NATO Ł aspetto di indubbia rilevanza e rientra a pieno titolo nella strategia militare di difesa, in tal modo integrando il fatto tipico.
La difesa non riguarda, infatti, la sola attività di presidio dei propri confini nazionali ma anche le operazioni svolte – a sostegno di missioni di pace – in territorio estero, in ragione del fatto che, come Ł dimostrato proprio dal drammatico conflitto bellico insorto (poco dopo i fatti per cui si procede) nell’est Europa, la pace Ł un bene di elevata fragilità, il cui mantenimento in essere richiede un concreto attivismo di tutti i popoli che ne abbiano a cuore il senso profondo.
Inoltre, come Ł stato evidenziato nelle decisioni di merito, i documenti oggetto di rivelazione (per quanto riguarda i NATO SECRET) hanno ad oggetto proprio le analisi di criticità rilevate nello svolgimento di specifiche operazioni ed i livelli di contribuzione di ciascun paese aderente alla Alleanza, il che mostra in piena evidenza come non possa dubitarsi del rilievo strategico di simili informazioni in rapporto alle finalità di tutela sottese alla norma incriminatrice.
18. Il ventesimo motivo Ł infondato.
La condotta tenuta da NOME COGNOME integra il reato di rivelazione di segreti a scopo di spionaggio nella forma consumata e non tentata, essendo entrato il supporto magnetico contenente le informazioni nella sfera di autonoma disponibilità del soggetto destinatario, così come si Ł ritenuto in sede di merito.
Secondo autorevole dottrina la condotta di rivelazione Ł un comportamento che ‘realizza l’ingresso di una notizia segreta (o riservata) nella sfera di disponibilità di un soggetto non autorizzato a riceverla’ .
Simile nozione, su cui si concorda, non richiede la dimostrazione della effettiva fruizione da parte del destinatario della notizia oggetto di ‘cessione’, posto che il disvalore penale del fatto Ł ricollegato alla condotta tenuta dal soggetto agente, condotta che si perfeziona con la trasmissione della notizia. E’ evidente, peraltro, che la mancata ‘fruizione’ dei contenuti del documento, ove accertata, può ridurre il profilo di gravità del fatto, al fine di riequilibrio del trattamento sanzionatorio (ad es. con la applicazione delle circostanze attenuanti generiche).
Nel caso in esame, pertanto, non vi Ł alcun vizio in diritto in quanto si Ł sostenuto in sede di merito, posto che la consegna della scheda Ł – come si Ł detto – certamente avvenuta e l’intervento successivo da parte della polizia giudiziaria si Ł verificato a condotta compiuta.
NØ a diverse conclusioni può pervenirsi in riferimento ai contenuti espressi – sul tema – da Sez. U 1983 ric. COGNOME, come erroneamente prospettato dalla difesa.
In tale arresto, il cui oggetto principale Ł rappresentato da questioni relative alla giurisdizione,
le Sezioni Unite di questa Corte hanno scrutinato – per la particolare vicenda concreta, caratterizzata dalla avvenuta spedizione di una lettera di un soggetto recluso, bloccata dalla Direzione del Penitenziario – il profilo del tentativo di rivelazione di notizie segrete ed hanno confermato la sussistenza dell’ipotesi tentata, con le argomentazioni che seguono : ‘.. va rilevato che questa Corte ha piø volte affermato che, ai fini della configurazione della ipotesi del tentativo di reato, la questione non va risolta sulla base del carattere c.d. formale del reato.
Sulla identificazione di tale carattere sono state, pervero, manifestate opinioni e pareri discordi in dottrina sicchØ deve negarsi a tale carattere l’idoneità a discriminare le varie ipotesi di configurazione di reato nella forma tentata.
Ciò che Ł rilevante, a tali fini, Ł la natura concreta dell’ azione con la quale si pone in essere il reato ed Ł in riferimento a tale natura che va verificata la possibilità di configurazione del tentativo.
Quando l’azione in cui si concreta il reato si realizza con un solo atto ovvero con una condotta che si esaurisce in un solo momento Ł evidente che non può parlarsi di tentativo di reato giacchØ l’istantaneità della condotta posta in essere dall’agente fa si che il reato sia già consumato con l’esaurimento della condotta, se questa Ł idonea per la configurazione del reato, ovvero che non Ł proprio a parlarsi di reato, neppure nella forma tentata, per l’inidoneità della condotta.
Diverso Ł il caso in cui la condotta dell’agente si realizza o con un comportamento di questi non esaurentesi immediatamente o con una serie o pluralità di atti finalizzati alla commissione del reato;in tali ipotesi la frazionabilità nel tempo della condotta delittuosa ammette e consente un’interruzione del comportamento delittuoso sicchØ questo può essere interrotto, per qualsiasi causa, anche indipendente dalla volontà dell’agente, dando luogo alla figura del reato tentato.
Sulla base di tali principi e ritenuto che la condotta dell’COGNOME non si Ł esaurita unicamente ed immediatamente con la spedizione della missiva di cui all’imputazione giacchØ il fatto stesso della spedizione si Ł protratto per tutto il tempo necessario per il recapito della lettera al suo destinatario, correttamente dal giudice di merito Ł stato configurato il delitto nella forma tentata come contestata…. Infatti, il delitto di rilevazione di notizie di carattere riservato, previsto e punito dagli artt. 91 e 93 del c.p.m.p., Ł configurabile nella forma tentata qualora sia commesso mediante spedizione di una lettera che, per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, non giunta al destinatario; in tal caso, infatti, il prolungamento nel tempo della condotta delittuosa rende possibile l’interruzione dell’iter delittuoso e la punibilità dell’azione ai sensi dell’art. 56 c.p.’.
Dunque Ł del tutto evidente che la riconoscibilità del tentativo risulta correlata alla concreta vicenda oggetto di giudizio. Nel caso NOME le informazioni riservate erano contenute in una missiva che, pur inoltrata, non era giunta – per evento esterno alla volontà dell’agente – nelle mani del destinatario, lì dove nel caso in esame non può dubitarsi della traditio della scheda informatica, rinvenuta dalla polizia giudiziaria sulla persona dell’ COGNOME . Anche sotto tale profilo il motivo va, pertanto, respinto.
19. Il ventunesimo motivo va dichiarato inammissibile per carenza di interesse.
La Corte di secondo grado ha assolto NOME COGNOME dal reato militare di ‘esecuzione di fotografie a scopo di spionaggio’ di cui al capo B della imputazione (per sette documenti) con la formula ‘perchØ il fatto non sussiste’ (come ribadito nella ordinanza di correzione dell’errore materiale del 15 maggio 2024).
In motivazione viene accolto – in massima parte – il motivo di appello introdotto dalla difesa, in ragione della ricorrenza di una ipotesi di assorbimento, nel senso che l’esecuzione delle fotografie sarebbe stata esclusivamente una modalità con cui si Ł realizzato il piø grave delitto di procacciamento di cui al capo A.
Ora, con il ricorso per cassazione, la difesa si duole della formula utilizzata (ampiamente liberatoria) ritenendola non conforme ai contenuti della motivazione, ove si Ł esclusa la ricorrenza
del reato per intervenuto assorbimento della condotta in altra di maggiore gravità.
Ma, al di là della esattezza o meno della formula di proscioglimento, le impugnazioni non mirano alla correzione – fine a se stessa – dei dispositivi di sentenza ma mirano ad ottenere un risultato utile e concreto (art. 568 comma 4 cod.pen.), risultato che nel caso in esame non potrebbe essere perseguito attraverso una rettifica, in senso meno favorevole al ricorrente, del dispositivo della decisione impugnata.
L’esercizio del potere di commisurazione della pena, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, ha tenuto conto della assenza di ‘diffusione’ delle notizie coperte da segreto, pur se la stessa non Ł – in alcun modo – dipesa dalla volontà di NOME COGNOME ma dal tempestivo intervento della polizia giudiziaria.
Al ricorrente, proprio in ragione di tale profilo, sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante di cui all’art. 65 n.2 cod.pen.mil. pace e ciò ha consentito di commisurare la pena per il reato piø grave di cui al capo C della rubrica nel range 20/24 anni, ai sensi dell’art. 51 cod.pen.mil. pace., con fissazione della pena-base in quella di anni 24.
Dunque in sede di merito si Ł tenuto conto – nei limiti della ragionevolezza e pure a fronte di condotta di particolare gravità – della assenza di divulgazione delle notizie, pur se correlata a fattore esterno alla condotta. Inoltre, Ł pacifica la possibilità per il giudice del merito di quantificare la pena, una volta applicate le circostanze attenuanti generiche, nel vertice edittale che risulta da tale applicazione (v. Sez. V n. 12049 del 16.12.2009, dep.2010, rv 246887).
21. Il motivo n.23 Ł infondato.
La circostanza attenuante dell’ottima condotta e provato valore militare Ł stata ritenuta insussistente con congrua motivazione, in ragione non solo della assenza di profili di eccellenza della condotta pregressa (aspetto contestato dalla difesa) ma anche in ragione della inconciliabilità tra il suo riconoscimento e la totale caduta etica manifestata con la condotta oggetto di giudizio. Ed Ł tale secondo profilo ad essere, ad avviso del Collegio, decisivo, in ragione dell’accentuato disvalore del fatto commesso, la cui attenuazione (attenuanti generiche) Ł stata realizzata in sede di merito solo in ragione di profili oggettivi (il sequestro repentino della scheda) e mai soggettivi.
22. Il motivo n.24 Ł infondato.
La difesa del ricorrente sostiene che l’assenza di effettiva ‘compromissione informativa’ avrebbe dovuto condurre i giudici del merito a ritenere assente il danno risarcibile.
Ma in tal modo si affronta un tema civilistico attraverso categorie concettuali eminentemente penalistiche, lì dove le voci di danno individuate dalla Corte Militare di Appello – danno alla credibilità dei sistemi interni di controllo dei documenti classificati e danno alla immagine dello Stato italiano nelle relazioni internazionali – sono indiscutibili nell’ an e andranno quantificate nelle sedi competenti.
Al rigetto del ricorso segue – ex lege – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Va inoltre condannato il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute per l’esercizio delle azioni civili, liquidate come da dispositivo.
3
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Presidenza del consiglio dei ministri e Ministero della difesa, che liquida in complessivi euro 15.000,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 20/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME