Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38427 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38427 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Mesagne il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 25/10/2023 della Corte di Appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME; udite le conclusioni del AVV_NOTAIO che, riportandosi alla memoria depositata e notificata alle parti, chiede il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO che, in difesa della parte civile NOME COGNOME, si riport alle conclusioni già depositate e chiede il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO che, in difesa di NOME COGNOME, si riporta ai moti di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 25 ottobre 2023, ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni tre e mesi undici di reclusione ed euro 4.300,00 di multa pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Brindisi in data 6 dicembre 2022 nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli arit. 610 e n. 2 cod. pen. (capo 6), 56 e 610, comnni primo e secondo, cod. pen. con riferimento all’art. 339 cod. pen., (capo 7), 4 L. 110/1975 e 61 n. 2 cod. pen. (capo 8), 2 e 7 895/1967 (capo 9), 4 e 7 L. 895/1967 (capo 10).
I fatti oggetto dell’imputazione si inseriscono in una vicenda articolata nella quale il figlio NOME è stato rinviato a giudizio anche per il tentato omicidio del compagno dell madre.
I reati contestati all’attuale ricorrente sono in danno della ex moglie NOME COGNOME e il capo 10) si riferisce all’arma, una pistola, usata dal figlio per commettere tentato omicidio.
All’esito del giudizio di primo grado gli imputati sono stati condannati per i reati a l rispettivamente contestati, tra cui per quello di cui al capo 10), che avrebbero commesso in concorso, NOME COGNOME come istigatore e NOME COGNOME come esecutore materiale.
NOME COGNOME ha definito il processo in appello ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. e si è assunto ogni responsabilità in relazione al tentato omicidio per il quale comunque, il padre NOME, l’attuale ricorrente, non era e non è imputato né, ovviamente è stato condannato.
Nell’atto di appello la difesa di NOME COGNOME ha rilevato la inattendibilità dell moglie, unica fonte di prova in ordine alle imputazioni allo stesso contestate, e ha evidenziato che la condanna pronunciata per i reati di violenza privata e tentata violenza privata e per la detenzione del coltello utilizzato in quelle occasioni sarebbero priva effettiva consistenza.
Ad analoghe conclusioni poi, secondo la difesa, si sarebbe dovuto pervenire anche con riferimento all’imputazione di cui al capo 10), relativo al porto e all’occultamento dell’ar utilizzata dal figlio NOME, in quanto nella conversazione intercettata il ricorrente e il f non avrebbero parlato della pistola ma di un sotto casco, “il coso”, che avrebbe dovuto essere spostato. Sotto altro profilo, poi, la difesa ha censurato la determinazione della pena.
La Corte territoriale ha ritenuto infondati tutti i motivi proposti e ha confermato condanna del ricorrente.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
3.1. Vizio di motivazione in.relazione alla ritenuta attendibilità di NOME COGNOME, ex moglie del ricorrente e madre di NOME evidenziando che la Corte territoriale non si sarebbe compiutamente confrontata con le censure contenute nell’atto di appello e con gli elementi emersi, dai quali emergerebbe la mendacità delle dichiarazioni rese dalla donna.
3.2. Violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per i reati contestati, c anche considerato che i reati di cui ai capi 6), 7) e 8), non sussistendo alcun nesso eziologico con quelli che si inseriscono nei complicati rapporti esistenti tra la persona offes
e il figlio NOME e la compagna di quest’ultimo, non avrebbero dovuto essere contenuti nel decreto che dispone il giudizio.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’inosservanza di norme previste a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità con riferimento alla rite credibilità e attendibilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME, nonché all’assenza di altre prove a riscontro di tali dichiarazioni.
3.4. Violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 495 cod. proc. pen. con riferimento al diniego di effettuare durante le indagini la prova del guanto di paraffina al figlio NOME ed eventualmente allo stesso ricorrente.
In data 19 giugno 2024 è pervenute in cancelleria una memoria con la quale il AVV_NOTAIO COGNOME chiede il rigetto del ricorso.
In data 26 giugno 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni e la nota spese della parte civile costituita con le quali si chiede il rigetto del ricorso e la condanna ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel primo e nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità con riferimento all’utilizzabili e alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che in effetti afferiscono alla logicità e completezza della motivazione (con riferimento alle censure sollevate in merito all’applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04), sono infondate.
La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha infatti fornito congrua risposta alle analoghe critiche contenute nell’atto di appello e h esposto gli argomenti per cui queste non erano coerenti con quanto emerso nel corso delle indagini.
Alla Corte di cassazione, d’altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.
Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell’art 606 lett. e) cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di verificare e stabilire giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se
abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Sotto tale aspetto la motivazione del provvedimento impugnato, con i puntuali riferimenti alle indagini effettuate e ai riscontri emersi, risulta adeguata e coerente per c ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell’istruttoria dibattimentale, risulta nella sostanza inconferente.
Ciò anche considerato che «in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità» (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01).
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 6), 7 e 8) in quanto tali fat assenza di un nesso eziologico con gli altri reati contestati, non avrebbero dovuto essere contenuti nel decreto che ha disposto il presente giudizio.
La doglianza, sollevata ora per la prima volta, peraltro manifestamente infondata, non è consentita.
Nel processo celebrato con il rito ordinario le questioni relative alla completezza e regolarità del decreto che dispone il giudizio devono essere dedotte, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen.
Nel caso in cui il processo sia celebrato, come in quello di specie, con le forme del rito abbreviato le medesime questioni afferenti la richiesta di rinvio a giudizio devono essere sollevate, a pena di decadenza, prima che sia emessa l’ordinanza che dispone la trasformazione del rito in quanto, ai sensi dell’art. 438, comma 6 bis, cod. proc. pen. “la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute …”.
Principio questo, peraltro, già pacificamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte anche prima della modifica all’art. 438 cod. proc. pen. apportata con la L. 103 del
2017 (Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, Boccuni, Rv. 269880 – 01 per cui «L’imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell’imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l’accettazione dell’imputazione formulata dall’accusa»; Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, Bianco, Rv. 252854 – 01).
2.2. La censura contenuta nell’inciso riportato nell’ultima riga del secondo motivo, secondo il quale “i fatti contestati non possono essere susssunti nel reato di violenza privata aggravata ma, tutt’al più, nell’ipotesi di ragion fattasi”, in assenza di qualsivoglia ulteriore argomento, non è consentita in quanto è formulata in termini totalmente generici e non adempie all’onere di specificità imposto dall’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Nel quarto motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 495 cod. proc. pen. con riferimento al diniego di effettuare durante le indagini la prova del guanto di paraffina al figlio NOME ed eventualmente a sé stesso.
La doglianza -peraltro manifestamente infondata in quanto il processo è stato celebrato con il rito abbreviato- non è consentita ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.
La questione relativa alla mancata effettuazione della “prova del guanto di paraffina al figlio e al ricorrente stesso” infatti, non aveva costituito oggetto di appello (c riepilogo dei motivi di gravame contenuto nella sentenza impugnata che il ricorrente non contesta sul punto cfr. Sez. 2, n. 9028 del 5/11/2013, dep. 2014, Carrieri, Rv 259066)
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10 luglio 2024