Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25189 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25189 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
CAVALIERE NOME nato a Foggia il 18/10/1977 CAVALIERE NOME nato a Foggia il 16/03/1985 CAVALIERE NOME nata a Foggia il 07/06/1973
avverso la sentenza del 08/10/2024 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che è riportato alla requisitoria in atti e ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore, Avvocato NOME COGNOME del Foro di Bari, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 ottobre 2022 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Parma, in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, così statuiva:
riconosceva responsabile NOME COGNOME dei delitti di associazione per delinquere, di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, di omessa
dichiarazione (per l’anno 2010) e di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale , in quanto capo di un sodalizio criminale, strutturato e stabile, finalizzato all commissione di reati tributari e fallimentari, operante attraverso un sistema di società consorziate, formalmente autonome ma in realtà gestite in modo unitario e centralizzato, nonché amministratore di fatto e di diritto di tutte le società coinvolte, e per l’effetto condannava alla pena di anni quattro di reclusione, disponendo nei suoi confronti la confisca per equivalente di beni per un valore pari a C 17.137.335,75;
riconosceva responsabile NOME COGNOME degli stessi reati come contestatigli ai capi A), L), N), O), P), R), assorbiti i reati di cui ai capi K) e M) in quelli di cui ai ca ed N), in quanto co-gestore del sodalizio criminale nonché amministratore di diritto di diverse società (RAGIONE_SOCIALE), e per l’effetto lo condannava alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, disponendo nei suoi confronti la confisca per equivalente di beni per un valore pari a C 11.920.331,30;
riconosceva responsabile NOME COGNOME dei delitti di partecipazione ad associazione per delinquere e di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, di cui ai capi O) e P), limitatamente all’anno d’imposta 2019, in quanto amministratrice e socia unica della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto la condannava alla pena di anni uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione, con sospensione condizionale della pena, disponendo nei suoi confronti la confisca per equivalente di beni per un valore pari a C 1.558.100,73.
Con sentenza dell’8 ottobre 2024 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME COGNOME per i reati di cui ai capi C), E) e G), limitatamente al periodo d’imposta 2012, perché estinti per intervenuta prescrizione, e per l’effetto rideterminava la pena inflittagli per i reati residui reati – posti in continuazione con quelli di cui alla sentenz 542/2020 del GUP di Foggia del 21 dicembre 2020 – in anni due e giorni dieci di reclusione, riducendo la confisca per equivalente applicatagli fino alla concorrenza del valore di C 13.763.021,00. Confermava nel resto la sentenza appellata, disponendo, quanto ad NOME COGNOME, la conferma della condanna inflittagli anche per il reato di cui al capo S), erroneamente non inserito nel dispositivo della sentenza di primo grado.
La Corte territoriale rigettava l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagi compiuti in assenza di proroghe dei relativi termini legittimamente concesse, trattandosi di eccezione preclusa per effetto della scelta del rito abbreviato, riguardando inutilizzabilità non patologica; dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 6 -bis, cod. proc. pen.; confermava
l’affermazione di responsabilità di tutti gli imputati, ritenendo le loro dichiarazio ammissive corroborate dagli altri elementi di prova raccolti e, in particolare, ritenendo provata la partecipazione di NOME COGNOME all’associazione per delinquere contestata, a dispetto del suo subentro nella fase finale del vita del sodalizio, in ragione del ruolo attivo e consapevole da lei avuto nella gestione del meccanismo fraudolento; stabiliva che il problema del concorso della confisca diretta e della confisca per equivalente, disposte in relazione ai medesimi reati tributari, dovesse essere affrontato in fase esecutiva; riteneva, infine, proporzionate le pene inflitte agli imputati in ragion della gravità dei fatti, della durata del sodalizio e dell’entità delle somme evase o distratte.
Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME il loro comune difensore, che affidava l’unitaria impugnativa a nove motivi, qui enunciati nei limiti stabiliti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo eccepisce, sotto l’egida della violazione degli artt. 407, commi 1 e 2, 438, comma 6-bis, e 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inutilizzabilità delle intercettazioni, perché acquisite oltre i termini delle indagini preliminari senza valid proroga: infatti, le richieste di proroga delle indagini preliminari del 6 febbraio 2017 e de 20 marzo 2021, in quanto non notificate agli indagati o in quanto intempestive, avevano dato luogo ad una nullità assoluta della proroga e degli atti successivi o, comunque, ad una inutilizzabilità patologica degli atti compiuti, in nessun modo sanabile.
Il secondo motivo eccepisce, sotto l’egida della violazione degli artt. 192, 494 e 533 cod. proc. pen., l’insufficienza del compendio probatorio posto a sostegno del giudizio di responsabilità degli imputati, in quanto fondata esclusivamente sulle loro dichiarazioni spontanee, prive di valore probatorio autonomo.
Il terzo motivo eccepisce, sotto l’egida della violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., il vizio di omessa motivazione sull’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiut oltre i termini: questo perché la Corte territoriale, lungi dal limitarsi a ritenere questione preclusa dalla scelta del rito abbreviato, avrebbe dovuto valutare nel merito la fondatezza dell’eccezione. Lo stesso motivo rinnova la richiesta di sollevare eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 438, comma 6-bis cod. proc. pen., che prevede che nel rito abbreviato l’imputato non possa eccepire nullità diverse da quelle assolute né l’inutilizzabilità di atti derivante da violazioni di legge, salvo che si tratti di divieti pr assoluti, perché ritenuta disposizione in contrasto con gli artt. 3, 111, 27, commi 2 e 3, Cost. e 6, comma 2, CEDU. La disposizione censurata sarebbe, infatti, indeterminata e come tale suscettibile di dar luogo ad incertezze applicative – il divieto di eccepire l’inutilizzabilità non distinguendo tra inutilizzabilità fisiologica e inutilizzabilità pato -; sarebbe tale da generare disparità di trattamento, potendo subire, quello degli
imputati che acconsenta all’utilizzazione di atti illegittimi, una discriminazion processuale rispetto all’imputato che acceda al rito abbreviato senza dovere acconsentire all’utilizzazione di tale tipo di atti; comporterebbe la violazione del principio di legalit del giusto processo, facendo sì che la colpevolezza sia accertata sulla base di atti acquisiti in violazione di legge, così contraddicendo il principio di “colpevolezza legalmente accertata”. Né il sacrificio di tali principi sarebbe giustificabile evocando la “logi negoziale” del rito abbreviato – nel senso che l’imputato accetterebbe “contrattualmente” il rischio di atti inutilizzabili in cambio dello sconto di pena – perché lo statuto di principi, costituenti garanzie fondamentali dello Stato di Diritto, ne impedirebbe il bilanciamento con esigenze di celerità e di deflazione processuale.
Il quarto motivo ribadisce l’insufficienza probatoria delle dichiarazioni spontanee degli imputati a fondare una pronuncia di condanna.
Il quinto motivo contesta, sotto l’egida della violazione degli artt. 416 cod. pen. e degli artt. 192 e 533 cod. pen., l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di partecipazione all’associazione a delinquere di cui al capo A), in quanto non comprovata dagli elementi di fatto valorizzati dal giudice di appello; rileverebbero, invece, in senso contrario, il suo subentro tardivo (solo nel 2019) nella gestione della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE – quindi, a distanza di tre anni dalla costituzione del presunto sodalizio criminale -, la limitatezza della sua attività – rispondendo ella di due soli rea tributari -, l’assenza di oggettivi elementi atti a dimostrare, sul piano materiale che psicologico, il contributo offerto all’operatività del gruppo criminale – essendo stati valorizzati esclusivamente dati formali (ruoli societari, somiglianze tra società) o meramente suggestivi (un video condiviso su Facebook) durante una cena aziendale
Il sesto motivo eccepisce, sotto l’egida della violazione degli artt. 1, comma 143, I. n. 244 del 2007, 322-ter cod. pen. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, l’illegittima duplicazione della confisca del profitto dei reati tributari. È dedotto, nell’interesse di NOME COGNOME che, essendo stata disposta la menzionata confisca sia in forma diretta sui beni delle società RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, sia in forma per equivalente sui beni personali della COGNOME, sarebbero stati violati i principi di proporzionalità residualità della confisca per equivalente.
Il settimo motivo denuncia nell’interesse di NOME COGNOME la violazione degli artt. 219, commi 1 e 3, L.F., in riferimento alla mancata esclusione della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità e del mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, dato che il danno personalmente cagionato dal ricorrente al ceto creditorio era risultato ammontare a soli C 22.400,00.
L’ottavo e il nono motivo denunciano la violazione degli artt. 133 e 81 cpv. cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. e il vizio di omessa motivazione e deducono: che
la pena inflitta agli imputati sarebbe sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti e al ruo di ciascuno nella loro realizzazione; che gli aumenti per la continuazione non sarebbero stati graduati in base alla natura e alla gravità dei singoli reati e sarebbero stati in ogn caso identici pur a fronte di reati eterogenei; che per NOME COGNOME non sarebbe stata fornita alcuna motivazione sugli aumenti che le erano stati applicati per la continuazione.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria in data 2 giugno 2025 chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
La trattazione dei ricorsi ha avuto luogo in pubblica udienza avendone fatto tempestiva richiesta il difensore dei ricorrenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati.
Il primo e il terzo motivo sono infondati.
1.1. Questa Corte ha condivisibilmente affermato che l’omessa notifica all’indagato della richiesta di proroga delle indagini preliminari non è causa di nullità, né determina l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti dopo la sua presentazione (Sez. 3, n. 23953 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 263653 – 01; Sez. 5, n. 19873 del 27/01/2012, COGNOME, Rv. 252520 – 01).
1.2. Questa stessa Corte si è, inoltre, univocamente espressa nel senso che l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine ordinario o prorogato fissato dalla legge per la chiusura delle indagini preliminari non è assimilabile alla inutilizzabilità delle prove vietate, ex art. 191 cod. proc. pen., e non è, pertant rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte; ciò significa che essa è sostanzialmente assimilabile ad una nullità a regime intermedio, soggetta, in quanto tale, alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182 cod. proc. pen., con la conseguenza che, quando la parte assiste all’atto che si assume viziato, la relativa nullità deve essere dedotta prima che il già menzionato atto sia compiuto ovvero, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo (Sez. 5, n. 1586 del 22/12/2009, dep. 2010, Belli, Rv. 245818 01; conf. Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996 – 03; Sez. 1, n. 36671 del 14/06/2013, COGNOME, Rv. 256699 – 01; Sez. 1, n. 2383 del 28/04/1998, COGNOME, Rv. 210673 – 01; Sez. 1, n. 1176 del 17/03/1992, COGNOME, Rv. 189856 – 01).
1.3. Dal carattere relativo (o, comunque, non assoluto) della patologia di cui si discute si è fatta discendere la sua natura “disponibile”, di modo che, secondo il costante
orientamento della giurisprudenza di legittimità, la scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti f dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all’art. 191 cod. pr pen.), la stessa non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272196 – 01, in cui la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’inutilizzabilità delle intercettazioni attivate prima dell’iscrizione del ricorrent registro degli indagati e proseguite dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari; in senso conforme: Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011, dep. 2012, Inzitari, Rv. 252580 – 01; Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, dep. 2012, COGNOME e altri, Rv. 252853 – 01; Sez. 5, n. 38420 del 12/07/2010, Rosa e altri, Rv. 248506 – 01).
1.4. Il riportato principio è stato recepito dal legislatore, che l’ha cristallizzato n disposizione di cui all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 1, comma 43, della legge 23 giugno 2017 n. 103, in cui, significativamente, si è fatto riferimento alla “non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violaz di un divieto probatorio”. Mediante tale espressione si è inteso tracciare, anche sul piano normativo, una precisa distinzione tra le inutilizzabilità riconducibili alla violazione divieti probatori, cui fa riferimento l’art. 191 cod. proc. pen., suscettibili, come stabil dal secondo comma di quella disposizione, di essere rilevate anche di ufficio in ogni stato e grado del processo (e, quindi, anche nell’ambito del giudizio abbreviato), e le inutilizzabilità che non sono riconducibili a questa categoria e che, pertanto, sono in qualche misura “disponibili” dalle parti, tanto comportando che siano eccepite immediatamente ovvero non appena possibile.
1.5. La natura “fisiologica” dell’inutilizzabilità in parola è stata ribadita ne sentenza Sez. 5, n. 22128 del 14/02/2019, Trapani, Rv. 276510 – 01, che, in tema di giudizio abbreviato conseguente alla notifica del decreto di giudizio immediato, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 407, 438 e 458 cod. proc., nella parte in cui non consentono all’imputato di eccepire l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine delle indagini preliminari, prima di richieder il rito alternativo o contestualmente alla richiesta, come è invece consentito all’imputato tratto a giudizio nelle forme ordinarie, che può sollevare l’eccezione nel contesto dell’udienza preliminare.
1.5.1. A sostegno la Corte ha richiamato il principio di diritto, enunciato dalle Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, COGNOME Rv. 216246 – 01, secondo cui «Il giudizio abbreviato costituisce un procedimento “a prova contratta”, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire
agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del “dibattimento”. Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l’inutilizzabilità cosiddetta ‘fisiologica’ della prova, cioè quell coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte “secundum legem”, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 stesso codice (in quanto in tal caso il v sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), ne’ le ipotesi di inutilizzabilità “relativa” stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta ‘patologica’, inerente, cioè, agli atti probat assunti “contra legem”, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito».
1.5.2. In linea con il diritto vivente, ritiene questa Corte che la questione di legittimi costituzionale della disposizione di cui all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. che si chiede di sollevare è manifestamente infondata.
La Corte costituzionale, invero, nella sentenza n. 127 del 2021, sia pure incidentalmente, ha qualificato la richiesta di giudizio abbreviato incondizionato come espressione di «un vero e proprio diritto potestativo dell’imputato», da ritenersi «compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento», e nella sentenza n. 82 del 2019, del pari incidentalmente, ha affermato che la diversità di trattamento è legittima se giustificata dalla diversa natura del rito prescelto.
Deve, dunque, ritenersi, in coerenza con la natura del rito abbreviato quale rito premiale – che si fonda sulla scelta volontaria dell’imputato di rinunciare al contraddittorio dibattimentale in cambio di uno sconto di pena e che comporta l’accettazione a fini di prova degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, salvo eccezioni tassative e con la ratio della prevista limitazione delle eccezioni di inutilizzabilità – funzionale alla semplificazione del giudizio ed in linea con la logica di economia processuale – che la disposizione di cui all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. non pregiudica in maniera irragionevole il diritto di difesa, in quanto l’imputato può scegliere se accedere o meno al rito abbreviato, sollevare eccezioni prima della scelta del rito medesimo ed eventualmente optare per il dibattimento, in cui tutte le eccezioni sono ammesse. La disposizione censurata non viola neppure l’art. 6 CEDU, atteso che la nozione di
“colpevolezza legalmente accertata” non implica che ogni vizio procedurale determini automaticamente una violazione della norma convenzionale. La Corte EDU ha, infatti, riconosciuto la legittimità dei riti alternativi, purché vi sia stato consenso informato tutela minima delle garanzie fondamentali (Corte EDU, sez. 1, 25 marzo 2021, ricorsi nn. 15931/15 e 16459/15, COGNOME e COGNOME c. Italia, in cui il giudice convenzionale ha dato atto che il giudizio abbreviato previsto dal codice di procedura penale italiano «comporta dei vantaggi indiscutibili per l’imputato . In compenso, prevede un’attenuazione delle garanzie procedurali offerte dal diritto interno …» ed ha rammentato che «né il testo né lo spirito dell’articolo 6 della Convenzione impediscono a una persona di rinunciare spontaneamente, in maniera esplicita o tacita, alle garanzie di un processo equo. Tuttavia, per essere rilevante dal punto di vista della Convenzione, tale rinuncia deve essere accertata in maniera non equivoca, e devono essere previste delle garanzie minime proporzionate alla sua la gravità. Inoltre, tale rinuncia non deve scontrarsi con nessun interesse pubblico importante »).
1.5.3. La questione, per come formulata, è anche in parte irrilevante, dal momento che nessuno degli imputati impugnanti può concretamente dolersi della dedotta ‘discriminazione processuale’ rispetto ad altri imputati giudicati sulla base di atti d indagine non inutilizzabili, giacché non risulta dalle carte processuali in possesso del Collegio l’effettivo verificarsi di tale evenienza.
2. Il secondo e il quarto motivo sono, invece, inammissibili.
Premesso che, in tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese, nell’immediatezza dei fatti, alla polizia giudiziaria dalla persona sottoposta ad indagini sono pienamente utilizzabili, purché verbalizzate in un atto sottoscritto dal dichiarante, onde consentire al giudicante di verificarne i contenuti ed evitare possibili abusi, o anche solo involontari malintesi, da parte dell’autorità di polizia (Sez. 2, n. 41705 del 28/06/2023, COGNOME, Rv. 285110 – 01; Sez. 6, n. 10685 del 19/01/2023, COGNOME, Rv. 284466 – 02; Sez. 1, n. 37676 del 03/05/2022, L., Rv. 283740 – 01), va riconosciuto che l’eccezione difensiva di insufficienza di quelle rese dagli odierni ricorrenti a sostenere l’affermazione di responsabilità per i delitti loro ascritti è generica, perché non tiene conto del loro convergere in un quadro probatorio composto anche dagli ulteriori elementi di prova desunti dagli atti delle indagini preliminari ritenuti pienamente utilizzabili in ragion del rito prescelto.
3. Anche il quinto motivo è inammissibile.
Nella sentenza impugnata la partecipazione di NOME COGNOME all’associazione per delinquere di cui al capo A) è stata desunta dal ruolo apicale da lei avuto nella RAGIONE_SOCIALE e nella RAGIONE_SOCIALE, subentrate nel 2019 alle società fallite del gruppo familiare, con le quali i fratelli NOME COGNOME e NOME, capi del sodalizio criminal
avevano proseguito l’attività di frode fiscale, realizzata tramite quelle, con le stesse modalità operative (fatture per operazioni inesistenti, uso di società cartiere); società la RAGIONE_SOCIALE e nella RAGIONE_SOCIALE – che condividevano con le fallite la sede legale e quella operativa (studio COGNOME e RAGIONE_SOCIALE) nonché i dipendenti. La conferma della di lei consapevole adesione al programma criminoso dell’associazione è stata, inoltre, tratta dalla pubblicazione sulla piattaforma ‘Facebook di un video di una cena aziendale del 21/12/2019, che la ritraeva, assieme ai fratelli NOME e NOME, intenta in festeggiamenti con i dipendenti.
Si tratta di elementi non illogicamente ritenuti, nei loro complesso, come deponenti per la consapevolezza da parte della Cavaliere dell’esistenza del sodalizio, per la sua condivisione del programma criminoso e per la sua adesione attiva ad esso mediante la commissione di reati fine, attraverso i quali contribuiva alla prosecuzione delle frodi fiscali, di modo che le deduzioni difensive al riguardo, prive della specifica allegazione di decisivi elementi di prova di segno contrario, devono disattendersi in quanto volte esclusivamente a suggerire una valutazione alternativa delle prove non consentita nel giudizio di legittimità.
4. Il sesto motivo è, invece, infondato.
4.1. La giurisprudenza di questa Corte si è espressa affermando che «In tema di reati tributari, è legittimo il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca che presenti una struttura “mista”, prevedendo, in via principale, la sottoposizione a vincolo, a titolo di sequestro diretto, del profitto dei reati conseguito dalla persona giuridica e subordinatamente all’accertata impossibilità di esecuzione di questo, il sequestro di un valore equivalente nella disponibilità del legale rappresentante dell’ente» (Sez. 3, n. 46973 del 10/05/2018, B., Rv. 274074 – 01; Sez. 3, n. 38858 del 14/06/2016, COGNOME, Rv. 267631 – 01)
4.2. Ciò posto, corretta è la premessa dalla quale muove la ricorrente NOME COGNOME: ossia, che la confisca “diretta” e la confisca “per equivalente” presentano differenti caratteristiche strutturali e funzionali. Infatti, mentre la prima consi nell’ablazione di beni che costituiscono il profitto del reato per cui si procede, o sono ad esso riconducibili (come nel caso dei beni acquisiti attraverso il reimpiego dei proventi illeciti), la seconda ricorre quando la misura incide su beni diversi (e del tutto avulsi d una relazione di pertinenzialità) da quelli che costituiscono il profitto dell’attiv criminosa, il cui valore economico sia, nondimeno, corrispondente a quello del profitto stesso. Le due misure reali soggiacciono, conseguentemente, a una differente disciplina processuale che attiene al loro peculiare rapporto funzionale, caratterizzato dalla sussidiarietà della forma per equivalente rispetto a quella diretta.
Come, è stato chiarito dalle Sezioni Unite Gubert, sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648 – 01, si può far luogo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente soltanto dopo avere verificato la impossibilità, ancorché temporanea, di sottoporre al provvedimento cautelare i beni che, direttamente o indirettamente, siano riferibili al profitto del reato (il quale, nei reati tributari, è costituito da «qualsi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario», così Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255036). Tale riscontro, tuttavia, non deve necessariamente essere effettuato al momento dell’adIzione del provvedimento ablativo, ma vi si può procedere anche in una fase successiva, corrispondente alla sua concreta esecuzione.
Ne viene che, come il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 322-ter cod. pen., anche la stessa confisca del profitto del reato può essere disposta anche solo parzialmente nella forma per equivalente, qualora non tutti i beni costituenti l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino immediatamente individuabili (Sez. 2, n. 11590 del 9/02/2011, COGNOME, Rv. 249883), di modo che il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero (si vedano Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015, COGNOME e altro, Rv. 265058; Sez. 2, n. 24785 del 12/05/2015, COGNOME e altri, Rv. 264282; Sez. 3, n. 37848 del 7/05/2014, COGNOME, Rv. 260148; Sez. 3, n. 10567/13 del 12/07/2012, COGNOME, Rv. 254918) e al giudice dell’esecuzione qualora il destinatario della misura dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal pubblico ministero nella selezione dei cespiti da confiscare (Sez. 3, n. 20776 del 6/03/2014, P.G. in proc. Hong, Rv. 259661).
4.3. Sulla base delle argomentazioni che precedono, dunque, deve ritenersi del tutto legittima, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, la statuizione di confisca del profitto dei reati tributari in forma “mista”, ossia mediante la previsione sia della confisca diretta di beni delle società RAGIONE_SOCIALE e nella RAGIONE_SOCIALE che della confisca per equivalente di beni dell’imputata, essendo stata rispettata, in riferimento a tale seconda forma, la condizione della predeterminazione dell’ammontare del valore del compendio assoggettabile alla misura medesima. Tali beni, infatti, sono suscettibili di venire concretamente determinati nel momento esecutivo, con obbligo degli organi dell’esecuzione di curare la preventiva ablazione del profitto nella forma diretta e la corrispondenza, quanto alla confisca per equivalente, del valore delle cose confiscate a quello del profitto determinato nel provvedimento ablativo.
5. Manifestamente infondato è il settimo motivo.
5.1. Prive di rilievo sono le deduzioni difensive articolate nell’interesse di NOME COGNOME che censurano il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, L.F., riconosciuta sub valente nel bilanciamento delle circostanze rispetto alle attenuanti. Vale, infatti, il principio di diritto secondo cui «È inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato finalizzata a ottenere l’esclusione di un’aggravante, nel caso in cui la stessa sia stata già ritenuta sub valente rispetto alle riconosciute attenuanti» (Sez. 4, n. 15937 del 14/03/2024, COGNOME Rv. 286342 – 01; Sez. 5, n. 13628 del 15/12/2023, de. 2024, COGNOME, Rv. 286222 – 01): principio, questo, comunque decisivo nel caso di specie, non avendo avuto il riconoscimento dell’aggravante del danno di rilevante gravità alcuna incidenza sulla determinazione della pena applicata al ricorrente (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
5.2. Prive di giuridico pregio sono, invece, le doglianze attinenti al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 219, ultimo comma, L.F. È jus receptum, infatti, che «In tema di reati fallimentari, il danno di speciale tenuità di cui alla circostanza attenuante prevista dall’art 219, comma 3, LF., è quello cagionato dal fatto di reato globalmente considerato» (Sez. 5, n. 11725 del 10/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279098 – 01; Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, COGNOME, Rv. 215986 – 01), di modo che correttamente la Corte territoriale ne ha escluso la concedibilità ad NOME COGNOME il quale, tramite il suo agire concorsuale, aveva posto in essere distrazioni d’importo complessivo pari ad C 3.245.692,99 come tali suscettibili di determinare un danno tutt’altro che lieve al ceto creditorio delle società fallite (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
6. Inammissibili sono, infine, l’ottavo e il nono motivo.
6.1. I rilievi articolati in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio applicato a NOME COGNOME COGNOME e ad NOME COGNOME sono generici e non consentiti nel presente giudizio di legittimità, stimandosi congrue e prive di illogicità evidenti l argomentazioni rassegnate dalla Corte territoriale in ordine alle scelte discrezionali compiute al riguardo [per NOME COGNOME COGNOME la pena essendo stata rideterminata in anni due e giorni dieci di reclusione, in ragione del riconoscimento del suo ruolo di leadership del gruppo familiare e di amministratore di fatto delle società utilizzate per realizzare il programma criminoso, ritenuti gli aumenti per la continuazione – computati in misura maggiore per i reati associativi e fallimentari perché più gravi rispetto a quelli tributari – proporzionati alla capacità a delinquere dimostrata e alla gravità dei fatti protrattisi per anni e tali da avere causato ingenti danni all’Erario e ai creditori del società fallite; per NOME COGNOME, la pena essendo stata determinata in anni tre e mesi quattro di reclusione, con le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219, comma 1, L.F., stimati congrui gli aumenti differenziati applicati per la continuazione – segnatamente, in mesi sei per i
reati con evasione superiore a tre milioni di euro (capi L ed N) e in mesi due per i reati con evasione inferiore al milione d euro (capi O e P) – sulla pena base per il reato più
grave (capo S) fissata in anni quattro di reclusione, giustificata dalla pluralità dell condotte, dalla sofisticazione del disegno criminoso e dalla gravità delle distrazioni (per
oltre 3 milioni di euro)].
6.2. Generici sono i rilievi di omessa motivazione in ordine ai criteri di determinazione
del trattamento sanzionatorio applicato a NOME COGNOME fissato in anni uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione, con pena sospesa, e giustificato sulla base della sua
piena consapevolezza del programma criminoso del gruppo criminale di cui era partecipe e della sua mancata attivazione, da amministratore di diritto delle società utilizzate per
la presentazione di dichiarazioni fiscali fraudolente, per impedire tale presentazione ove da altri posta in essere. Trattamento sanzionatorio in ogni caso così determinato nella
sentenza di primo grado e confermato all’esito del giudizio di appello: pena base per il reato più grave (capo
P):
anni quattro di reclusione; ridotta per le attenuanti generiche ad anni due e mesi otto di reclusione; aumentata ex art. 81 cpv. cod. pen. di un mese
per il reato di cui al capo A) e di un mese per il reato di cui al capo O); ridotta di un terzo per la scelta del rito.
Per tutto quanto sin qui esposto i ricorsi devono essere rigettati. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 27/06/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME GLYPH
COGNOME
Il Presidente
M
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE