Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43857 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Castelvetrano il 15/04/1951
avverso l’ordinanza del 30/05/2024 della Corte di assise di appello di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, la Corte di assise di appello di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena all’ergastolo con isolamento diurno per un anno, irrogata con sentenza definitiva, in relazione a due reati di omicidio di cui ai capi 4) e 5) della contestazione, diretta a ottenere la commutazione dell’ergastolo con isolamento diurno nella pena di anni trenta di reclusione, con i conseguenti provvedimenti.
La Corte territoriale, a fronte della richiesta di rideterminazione della pena, in forza di istanza di definizione del procedimento con il rito abbreviato, formulata in data 10 gennaio 2000, nel corso del giudizio di primo grado, epoca in cui tale richiesta era ammissibile, ai sensi del d. Igs. n. 51 del 1998, rigettava la richiesta.
NOME
La Corte di assise di appello, inoltre, ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale, avanzata con memoria del 27 aprile 2024, relativamente all’art. 4 -ter del d. Igs. n. 82 del 2000, convertito dalla legge n. 144 del 2000, con riferimento agli artt. 117 e 3 Cost., nella parte in cui la norma censurata finirebbe per assoggettare imputati, condannati per i medesimi reati, a diversi regimi sanzionatori a seconda delle fasi processuali e della cronologia delle relative richieste.
La Corte territoriale ha sottolineato che, all’udienza del 10 gennaio 2000, era stata emessa ordinanza con la quale la richiesta di rito abbreviato proposta era stata dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 223 del d. Igs. n. 51 del 1998, posto che l’istanza di rito speciale poteva essere svolta quando non era ancora iniziata l’istruzione dibattimentale e non già, come era avvenuto nel caso al vaglio, quanto l’istanza era intervenuta ad istruzione già avviata.
Ancora risulta che nel corso del giudizio di appello la richiesta di giudizio abbreviato non era stata riformulata, non avendo chiesto l’imputato di avvalersi 4 -ter d. Igs. n. 82 del 2000 come convertito.
Tale norma, infatti, prevedeva che, a determinate condizioni, vi fosse l’estensione a giudizi pendenti delle disposizioni di cui alla legge n. 479 del 1999 che aveva prescritto che si potesse accordare il rito abbreviato anche a imputati per reati puniti con la pena dell’ergastolo, prevedendo, in questi casi, che la pena da irrogare fosse quella di anni trenta di reclusione.
Dunque, la semplice richiesta di ammissione al rito, svolta alla prima udienza del 2000, nel corso del giudizio di primo grado non rendeva, per il Giudice dell’esecuzione, di per sé, esistente una posizione di aspettativa o un diritto maturato in capo all’odierno ricorrente.
Il Giudice dell’esecuzione ha richiamato il precedente di legittimità n. 11916 del 2018, sezione Prima penale e la nota sentenza della Corte EDU, COGNOME c. Italia, secondo le quali l’accesso in sede esecutiva ai possibili benefici di conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni trenta di reclusione, è riservato esclusivamente a coloro i quali, nelle fasi di merito, siano stati comunque ammessi al rito speciale.
Il ricorrente, invece, secondo la Corte territoriale non risulta mai ammesso al rito abbreviato, né tale rito ha richiesto quando, nel corso del giudizio di appello, avrebbe potuto farlo, in forza delle norme a quella data vigenti.
La Corte territoriale, infine, osserva che la sentenza della sezione Quinta penale di questa Corte di legittimità n. 15493 del 23 febbraio 2021, indicata dalla difesa come precedente a favore della sua prospettazione, si riferisce a un imputato che, anche in quel caso, era stato ammesso al rito abbreviato a differenza dell’istante.
La questione di legittimità costituzionale, da ultimo, per la Corte di assise di appello è stata oggetto già di esame da parte della Consulta.
Si richiama sul punto, l’ordinanza n. 235 del 23 luglio 2013, nonché la più recente ordinanza n. 147 dell’8 luglio 2021.
Secondo il Giudice delle leggi l’istante, quando nel procedimento a quo non ha mai acquisito il diritto essere giudicato con il rito abbreviato, sulla base della disciplina recata dalla legge n. 479 del 1999 o altra, non può accedere a tale rito in sede esecutiva, sanando una circostanza processuale che non si è mai verificata, cioè quella dell’ammissione al rito abbreviato.
Propone tempestiva impugnazione il condannato, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME affidando il ricorso per cassazione a due motivi, di seguito riassunti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 666 cod. proc. pen., 30, comma 1, lett. b) legge n. 479 del 1999, art. 4-ter legge n. 144 del 2000, con vizio di motivazione.
La motivazione del Giudice dell’esecuzione non si è confrontata con le osservazioni difensive secondo le quali il ricorrente aveva diritto ad avvalersi della normativa, relativa al trattamento sanzionatorio per il caso di accesso al rito abbreviato, non potendo far dipendere la privazione della libertà personale dalla circostanza casuale dell’avvenuta apertura, o meno, dell’istruttoria dibattimentale.
La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 7 del d. I. n. 341 del 2000 ha fatto sì che sussistesse il diritto degli imputati di reati puniti con l’ergastolo ch hanno chiesto il rito abbreviato nel vigore del d. I., al trattamento penale di favore collegato a tale procedimento speciale, cioè la condanna ad anni trenta di reclusione invece che all’ergastolo.
Va ribadito, per il ricorrente, che il principio di ultrattività della lex mitior riconosciuto dall’art 7 CEDU, non incontra ostacoli di operatività, essendo possibile in executivis procedere all’applicazione del trattamento più mite sempre che la pena più grave sia ancora in corso di esecuzione o ne siano perduranti gli effetti.
Nel caso di specie, l’imputato aveva presentato istanza di rito abbreviato tempestivamente nel processo di cognizione e, dunque, ha diritto alla normativa più favorevole, ossia quella che statuiva, per i giudizi abbreviati, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione per anni trenta.
Si richiama la pronuncia delle Sez. U, ricorrente COGNOME secondo la quale è la richiesta formulata nel caso concreto, a cristallizzare il più favorevole trattamento sanzionatorio. Tale richiesta di giudizio abbreviato è stata formulata nella vigenza della legge intermedia, cioè la legge n. 479 del 1999 che, all’art. 30
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comma 1 lett. b), in relazione ai reati puniti con l’ergastolo individua il più mite trattamento sanzionatorio da applicare in caso di condanna.
Si richiama anche la pronuncia delle Sez. U, ricorrente COGNOME secondo la quale l’applicazione della legge intermedia, più benevola, è imposta in coerenza con l’art. 7 CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo attraverso la regola della retroattività della lex mitior di cui all’art. 2, comma quarto, cod. pen.
Sicché, per soggetti che hanno commesso un reato astrattamente punibile con l’ergastolo, ma che abbiano chiesto di accedere al rito abbreviato durante la vigenza della disposizione di cui all’art. 30 comma 1 lett. b) cit. e, quindi, nell’arco di tempo compreso tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000, vi è il diritto ad accedere al trattamento sanzionato dal più favorevole.
Sarebbe ininfluente anche la circostanza ritenuta dal giudice dell’esecuzione della mancata richiesta di abbreviato nel corso del giudizio di appello.
Nota il ricorrente che la prima udienza di questo giudizio è stata svolta il 25 gennaio 2002, cioè quando l’ammissione al rito abbreviato non poteva più essere formulata, tanto che la richiesta dei coimputati (COGNOME e Sciacca) era stata dichiarata inammissibile nella medesima udienza.
Peraltro, si tratta di scelte processuali che sono state condizionate dall’incerta e confusionaria evoluzione normativa, sviluppatasi tra il 1999 e il 2000. Soltanto con la sentenza della Grande Camera, Scoppola c. Italia n. 2, del 17 settembre 2009, l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. ha perso la connotazione di norma processuale a favore di quella di norma di carattere sostanziale.
Tali principi, all’epoca delle richieste di rito abbreviato formulata dal ricorrente, non erano condivisi né dal giudice che ha dichiarato inammissibile distanza né dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 4ter d.l. n. 82 del 2000 convertito dalla legge n. 144 del 5 giugno 2000 per contrasto con gli artt. 117 Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, per contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., avendo sottoposto gli imputati per medesimi reati puniti con l’ergastolo a trattamento sanzionatorio differenziato a seconda delle diverse fasi processuali.
La pronuncia della Corte costituzionale n. 235 del 2013, richiamata anche dal Giudice dell’esecuzione, ha stabilito che è precluso in sede esecutiva, sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme applicate dal giudice della cognizione.
Tuttavia, secondo la Corte costituzionale ciò è possibile per effetto di una sopravvenienza costituzionalmente rilevante, qual è una sentenza che attivi
l’obbligo conformativo di cui all’art. 46 CEDU, che abbia determinato un’alterazione della sequenza tra esecuzione e cognizione.
Gli obblighi conformativi dell’ordinamento interno scaturiti dalla sentenza della Grande Camera, Scoppola c. Italia n. 2, del 17 settembre 2009, ha portato la Corte costituzionale ad affermare (cfr. sent. n. 2010 del 2013) che il giudice dell’esecuzione può sollevare la questione di illegittimità costituzionale di una norma interna, già applicata dal giudice della cognizione, qualora questa si frapponga all’adempimento di simili obblighi conformativi, quando si debba applicare una decisione della Corte europea relativa a un caso che sia identico a quello deciso e che possa trovare rimedio in sede esecutiva.
Solo con l’entrata in vigore della legge cd. COGNOME si è consentito agli imputati per reati astrattamente punibili con l’ergastolo di chiedere, in sede di udienza preliminare, l’ammissione al rito abbreviato escludendo il previo consenso del pubblico ministero.
Si sostiene che nel caso di specie il ricorrente aveva il diritto di ottenere l’applicazione della disciplina più favorevole, tra tutte quelle in vigore, dal momento della commissione dell’omicidio a quello della sentenza definitiva.
La citata sentenza COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha definitivamente qualificato l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. come norma di diritto penale sostanziale in ragione della sua immediata incidenza sul trattamento sanzionatorio deducendone la sua soggezione al principio di retroattività in mitius.
Il ricorrente ha . chiesto di essere ammesso al rito abbreviato il 10 gennaio 2000 e la richiesta è stata rigettata dalla Corte di assise di Trapani sul presupposto che era già stata dichiarata aperta l’istruzione dibattimentale.
Tuttavia, in seguito, la sentenza COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha radicalmente modificato la situazione tanto da consentire al ricorrente di sostenere l’illegittimità del citat art. 4-ter, per contrasto col principio di necessaria retroattività della legge penale più favorevole, nel caso di specie rappresentata dalla norma discendente dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. nella versione post Carotti.
Il dell. n. 82 del 2000, poi, ha rimesso in termini la maggior parte degli imputati consentendo loro di formulare la richiesta di rito abbreviato e beneficiare del più favorevole trattamento sanzionatorio, reintrodotto dalla cd. legge Carotti, escludendo dal beneficio, però, i restanti imputati.
La violazione dell’art. 7 CEDU, a parere del ricorrente, consente la proposizione della questione di legittimità costituzionale, ex art. 117 Cost., relativamente alla norma la cui applicazione ha, di fatto precluso, in sede di esecuzione la rideterminazione della pena dell’ergastolo.
La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del d.l. n. 341 del 2000 che disponeva l’applicazione
retroattiva dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., attuata con il medesimo decreto che restaurava la pena dell’ergastolo anche nel caso in cui l’imputato avesse optato per il rito abbreviato.
In quel caso si chiedeva la rimozione di una norma che il giudice della cognizione aveva già applicato in violazione dell’art. 7 CEDU.
Stante la rilevanza della questione discendendo dalla pronuncia di incostituzionalità la riduzione a trent’anni di reclusione della pena irrogata e la non manifesta infondatezza della questione, si chiede di rimettere alla Corte costituzionale la questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
1.1. Il primo motivo è infondato.
A seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’Uomo n. 10249/03 del 17 settembre 2009 (COGNOME c. Italia), la conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni trenta è dovuta, in sede esecutiva, solo nel caso di giudizio abbreviato ammesso tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000 e cioè nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b, legge n. 479 del 1999 (cfr. Sez. 1, n. 4008 del 10/01/2014, Ganci, Rv. 258272).
Tale indirizzo risulta ribadito, da ultimo, con la sentenza n. 71250/16, COGNOME c. Italia, del 17 ottobre 2024, con la quale i Giudici di Strasburgo hanno confermato che, in ipotesi di procedimenti aventi natura premiale innescati dalla richiesta dell’imputato, il momento da considerare, ai fini dell’individuazione della legge che prescrive la pena meno afflittiva, è quello in cui interviene la richiesta medesima, cioè il momento in cui l’imputato presta il proprio consenso al rito speciale, con conseguente scelta della pena che si sceglie di subire (nel caso esaminato, era stato ammesso il rito abbreviato, con richiesta avvenuta nel mese di ottobre del 2012 e il giudice nazionale aveva irrogato la pena più clemente, con conseguente applicazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 7 d.l. n. 341 del 2000, secondo cui soltanto i soggetti passibili di condanna all’ergastolo senza isolamento diurno potevano fruire di una riduzione di pena a trent’anni di reclusione, mentre quelli passibili di condanna all’ergastolo in regime di isolamento diurno avrebbero beneficiato della mancata imposizione di tale regime. Così escludendosi la denunciata violazione dell’art. 7 CEDU nonché la presunta lesione della garanzia a un equo processo ai sensi dell’art. 6 § 1 CEDU, in quanto, visto il quadro giuridico vigente al momento della presentazione della richiesta del rito semplificato, l’interessato non poteva legittimamente aspettarsi
l’irrogazione di una pena diversa dall’ergastolo senza isolamento diurno che possedeva i caratteri della prevedibilità).
In altri termini, del tutto razionalmente si è sottolineato che non viene in questione il tema della pena prevista dal legislatore con riguardo alla fattispecie incriminatrice, ma l’entità della riduzione individuata per effetto della scelta, processualmente ammissibile e, pertanto, seguita dal provvedimento giudiziale di ammissione, di accedere ad un rito alternativo, la quale è del tutto razionale che sia correlata alla disciplina vigente al momento in cui la richiesta viene presentata, indipendentemente dalla disciplina esistente al momento del fatto.
Il ricorso contesta il diniego della richiesta di rideterminazione della pena · dell’ergastolo con isolamento diurno, sulla base dell’intervenuta richiesta di abbreviato, nel corso del giudizio di primo grado, rito speciale, tuttavia, mai ammesso, tra il 2 gennaio e 23 novembre 2000.
Dunque, in presenza di un presupposto – mera istanza di ammissione al rito – reputato insufficiente per l’invocata rideterminazione, in base alla consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 275324; Sez. 1, n. 20933 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255388; Sez. 1, n. 4075 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254212; Sez. 1, n. 5134 del 11/01/2012, COGNOME, Rv. 251857).
Nel caso in esame, il procedimento di cognizione si è svolto nelle forme del rito ordinario, mentre il rito abbreviato non risulta mai ammesso, nemmeno in sede di legittimità o in grado di appello, ove non è stato richiesto.
Dunque, appare ineccepibile, come ritenuto dal Giudice dell’esecuzione, che il presente caso debba essere regolato dal principio interpretativo fissato, tra le altre, dalla pronuncia di questa Corte, Sez. 1, n. 40373 del 20/06/2013, ricorrente COGNOME secondo la quale è necessario, perché possa discutersi in fase esecutiva su quale sia il legittimo trattamento sanzionatorio, nella successione di leggi che hanno inciso sulla previsione della diminuente per il rito, che il giudizio abbreviato sia stato ammesso e che, dunque, la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di un processo celebrato con quelle forme.
Vanno richiamati, inoltre, gli approdi di questa Corte, anche a Sezioni unite (Sez. U, n. 44985 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 260927; Sez. 1, n. 8350 del 27/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259543), nella parte in cui hanno affermato che il principio di necessaria retroattività della disposizione più favorevole, di cui alla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 (COGNOME c. Italia), non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali, che è regolata dal principio tempus regit actum (in ordine agli effetti della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità degli
articoli 4 -bis e 4 -vicies, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modifiche dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49).
Anche i rilievi svolti dall’istante, con il richiamo alle due decisioni di questa Corte, nel suo massimo consesso, ricorrenti COGNOME ed COGNOME e al principio di legalità della pena come principio destinato a prevalere su quello dell’intangibilità del giudicato (Corte Cost. n. 210 del 18 luglio 2013) sono stati, in sostanza, disattesi dal giudice dell’esecuzione, con il ragionamento ineccepibile esposto, in senso decisivo, laddove si sottolinea la mancanza di ammissione, del rito abbreviato in sede di cognizione e la mancata richiesta di questo in grado di appello.
2.2. Con riferimento al secondo motivo il provvedimento censurato evidenzia, con ragionamento che deve essere condiviso, quanto alla devoluta questione di illegittimità costituzionale, dell’art. 4 -ter cit., per violazione degli artt. 3, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, che questa è stata già affrontata dalla Corte costituzionale con pronuncia del 23 luglio 2013 n. 235 e con la più recente sentenza n. 147 resa in data 8 luglio 2021.
Invero, la disposizione oggetto dell’attuale eccezione è già stata sottoposta all’esame della Corte costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non ha riaperto i termini per la richiesta di giudizio abbreviato in favore dell’imputato i cui processo pendesse innanzi alla Corte di cassazione.
Con l’ordinanza n. 235 · del 2013, tali questioni sono state dichiarate manifestamente inammissibili, quanto al parametro interno di cui all’art. 3 Cost., perché esso non è pertinente alla necessità di conformare l’ordinamento nazionale ad una sentenza della Corte europea; e quanto al parametro convenzionale, perché la fattispecie oggetto del giudizio a quo era estranea alla ratio della sentenza COGNOME c. Italia, atteso che l’imputato non era stato ammesso al giudizio abbreviato in applicazione di una norma di natura processuale, attinente invero ai termini di proposizione della relativa istanza e, peraltro, giustificata dalla funzione istituzionale del rito alternativo «che assicura all’imputato una riduzione di pena, nel caso di condanna, quale “contropartita” per la sua rinuncia alla garanzia della formazione della prova in contraddittorio, in quanto idonea a determinare un significativo risparmio di energie processuali».
Con la seconda sentenza citata, poi, il Giudice delle leggi ha avuto modo di precisare che la diversità di trattamento tra gli imputati per i quali era stata aperta l’istruttoria dibattimentale e gli altri, censurata in via incidentale di fronte alla Cor per violazione dell’art. 3 Cost., quale espressione di un «irragionevole privilegio» per gli imputati di reati puniti con l’ergastolo, è stata dichiarata manifestamente infondata dall’ordinanza n. 99 del 2001 (poi confermata dall’ordinanza n. 222 del
2002). Tanto, in base alla considerazione che la diversità di trattamento rifletteva la peculiare situazione nella quale versavano gli imputati di reati puniti con l’ergastolo, anteriormente alla legge n. 479 del 1999, allorquando era loro radicalmente precluso l’accesso al rito alternativo.
Nei loro confronti – afferma l’ordinanza n. 99 del 2001 – «si era prevista una “rimessione in termini” particolarmente ampia (consentendo la proposizione dell’istanza, nel giudizio di primo grado, prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale e, entro tale limite, anche nel giudizio di appello, qualora sia stata disposta la rinnovazione dell’istruzione). Nei confronti di tutti gli altri imputati che avrebbero potuto formulare la richiesta anche anteriormente, sia pure con un diverso regime normativo – si è, invece, stabilita una semplice estensione dell’ordinario termine di proposizione, fino ad uno stadio compatibile con la funzione alternativa al dibattimento che il rito abbreviato è istituzionalmente chiamato a svolgere (donde il limite segnato dall’inizio dell’istruttoria dibattimentale).
Va, infine, rilevato che l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice dell’esecuzione penale in riferimento all’art. 3 Cost. è stata dichiarata anche dalla sentenza n. 57 del 2016, nella quale si rammenta che, ove non ricorra l’eccezione di matrice convenzionale, torna a valere la considerazione di sistema per cui il procedimento esecutivo «è finalizzato all’esecuzione di un provvedimento e non certo alla verifica della legittimità costituzionale delle’ norme in base alle quali il titolo si è formato e rispetto alle quali l’imputato ha già avuto la facoltà di eccepire l’illegittimità nel processo di cognizione».
In senso analogo, già la sentenza n. 100 del 2015 aveva dichiarato la manifesta inammissibilità della questione ex art. 3 Cost. sollevata dal giudice dell’esecuzione penale, appunto perché, tolta l’eccezione di fonte convenzionale, «non è consentito sollevare nel procedimento di esecuzione un incidente di legittimità costituzionale concernente una norma applicata nel giudizio di cognizione (la questione avrebbe dovuto essere, infatti, proposta nell’ambito di quest’ultimo)».
Segue il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 18 ottobre 2024